MELONI ATTACCA I GIUDICI CHE LE “IMPEDISCONO DI FAR RISPETTARE LA LEGGE, MA E’ LEI CHE L’HA INFRANTA
IL CASO DEI CENTRI IN ALBANIA E QUELLO DI ALMASRI HANNO DIMOSTRATO CHE A VIOLARE LA LEGGE E’ IL SUO GOVERNO
“Ogni tentativo che verrà fatto di impedirci di governare” il fenomeno delle migrazioni “con serietà e determinazione sarà rispedito al mittente. Non c’è giudice, politico o burocrate che possa impedirci di far rispettare la legge dello Stato italiano, di garantire la sicurezza dei nostri cittadini, di combattere gli schiavisti del terzo millennio, di salvare vite umane”.
Con queste parole, pronunciate al Meeting di Rimini e accolte da applausi scroscianti, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha lanciato l’ennesimo attacco alla magistratura.
Meloni se l’è presa con giudici, politici e “burocrati”, senza distinzioni di ruolo o funzione. Tutti per lei rientrano nella stessa categoria, quella di chi non vuole “metterla nella condizione di fare il suo lavoro”, come aveva detto in un altro discorso lo scorso anno, in cui criticava i giudici che mostravano “menefreghismo della volontà popolare”.
La falla del ragionamento è sempre la stessa: non tocca ai giudici “permettere” al governo di fare il suo lavoro; tocca al governo rispettare le leggi. E nei circa tre anni di mandato svolti finora almeno due casi legati all’immigrazione hanno mostrato che rispettare le leggi non è la priorità per l’esecutivo: i centri costruiti in Albania, e la liberazione del comandante libico Almasri.
Il caso Almasri e lo scontro con la Corte penale internazionale
Nel discorso a Rimini, Meloni ha tessuto ancora una volta le lodi del proprio operato. “Non ci interessa sfruttare la migrazione per avere manodopera a basso costo da impiegare nei nostri sistemi produttivi”, si è spinta a dire. “Ci interessa combattere le cause profonde che spingono tanti, troppi giovani a pagare trafficanti senza scrupoli per affrontare viaggi potenzialmente letali”.
giudici, ma tace sui colpi di mitra dei libici”
Quei “trafficanti senza scrupoli” sono gli stessi che la presidente
del Consiglio disse di voler combattere “in tutto il globo terracqueo” a marzo 2023, dopo la strage di Cutro. Poco meno di due anni dopo, a gennaio di quest’anno, il governo italiano ha avuto l’occasione di rispettare la promessa: Najeem Osema Almasri, uomo di punta della Rada, milizia libica che contribuisce a detenere e torturare migliaia di persone migranti in Libia, è stato arrestato in Italia.
Su di lui pendeva un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Cpi). Si trattava solo di “far rispettare le leggi”: convalidare l’arresto e inviare Almasri all’Aja. D’altra parte se è vero che “non c’è niente di più importante che salvare una vita umana strappandola agli artigli dei trafficanti di esseri umani”, come ha detto Meloni a Rimini, avrebbe dovuto essere una decisione semplice.
Come è noto, il governo ha scelto una direzione ben diversa. Prima il ministero della Giustizia non ha confermato l’arresto del comandante libico, per ragioni che sono poi state spiegate più volte in modo confuso e ben poco convincente. Poche ore dopo, il ministero dell’Interno ha organizzato un volo di Stato per riportare Almasri a Tripoli. Una “espulsione” motivata “in parte” dalla sua “pericolosità”, come ha ribadito il ministro Piantedosi. In realtà la scelta è stata politica: aggirare la Corte penale internazionale per, con tutta probabilità, evitare ritorsioni da parte della Libia e mantenere i rapporti internazionali. Ma nessuno nel governo si è preso la responsabilità di ammetterlo.
L’Italia poteva dare un duro colpo al sistema del traffico di essere umani che passa dalla Libia, contribuendo alle indagini internazionali che lo riguardano. Invece ha deciso di non rispettare le leggi che la obbligano a cooperare con la Corte dell’Aja. Dalla vicenda è nata un’indagine della Cpi, la cu
procura ha smentito le giustificazioni del governo Meloni. E anche un’indagine del Tribunale dei ministri, che ha chiesto il rinvio a giudizio per i ministri Nordio e Piantedosi e per il sottosegretario Mantovano. Naturalmente, la presidente del Consiglio ha risposto attaccando i giudici.
Sui centri migranti in Albania avevano ragione i giudici
In un altro passaggio del suo discorso a Rimini, Meloni ha elencato tutti i cambiamenti che l’Italia avrebbe portato nell’approccio europeo alla questione migratoria: “L’attuazione dei partenariati paritari con i Paesi di origine e transito, la difesa dei confini esterni dell’Unione europea, il rafforzamento della politica dei rimpatri, la costruzione di soluzioni innovative”. Queste ultime due parole, piuttosto criptiche, si riferiscono alla costruzione dei centri migranti in Albania. Un’iniziativa che ancora una volta, per fini politici, ha sfidato la legge – curandosi bene di attaccare tutti i magistrati che lo facevano notare.
I centri albanesi erano nati per ospitare persone migranti intercettate nel Mediterraneo. Il piano venduto agli elettori era chiaro: qui porteremo solo chi viene da Paesi considerati ‘sicuri’, che sarà sottoposto a procedure accelerate per la domanda d’asilo; se non ha diritto a restare in Europa, sarà subito rimandato indietro. Sottinteso: senza mai mettere piede in Italia. È diventato presto evidente che questo piano era del tutto insensato.
Dopo i costosi lavori per la costruzione dei centri, conclusi parecchio in ritardo rispetto alla tabella di marcia annunciata, per i primi mesi di attività i tribunali italiani non hanno mai convalidato la detenzione delle (pochissime) persone portate in Albania. Questo perché, semplicemente, il governo stava violando le norme nazionali ed europee sul diritto d’asilo. Che
avessero ragione i giudici lo ha poi confermato la Corte di giustizia dell’Ue, poche settimane fa. L’esecutivo invece ne ha approfittato per attaccare i magistrati, mentre i centri rimanevano vuoti e inutilizzati.
Alla fine, il governo ha fatto un passo indietro – pur senza ammetterlo – e ha trasformato i centri in Albania in Cpr, centri di permanenza per il rimpatrio. Strutture identiche a quelle che si trovano già in Italia, e in cui non c’era certo carenza di posti. Un flop, motivato dalla volontà politica di presentare “soluzioni innovative” sulle migrazioni. Peccato che queste soluzioni andassero, ancora una volta, contro le leggi che Meloni ha detto di voler “fare rispettare”.
(da Fanpage)
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