MELONI, SCHLEIN E IL PARADOSSO REGIONI
LA TANTO CRITICATA ELLY RIESCE A PRESENTARE IL CAMPO LARGO OVUNQUE, LA PREMIER NON RIESCE ANCORA A COMPORRE LE LITI INTERNE PER LE CANDIDATURE
Paradossi della leadership. Elly Schlein, la presunta Cenerentola ostracizzata dai suoi nemici interni, bullizzata dagli alleati M5S, intortata dalle manovre dei vecchi cacicchi Pd, festeggia il primo weekend di settembre con una lista di candidati presidenti alle Regionali completa e competitiva, che recupera praticamente ogni scheggia del suo mondo compresa la gran parte del vecchio Terzo Polo, oltreché il movimento di Giuseppe Conte.
Giorgia Meloni, sovrana dei sondaggi e padrona indiscussa della maggioranza di centrodestra, è ancora in stand by in ogni territorio, esclusa la Calabria dove Roberto Occhiuto ha fatto tutto da solo (dimissioni e ricandidatura).
Sembra strano, non lo è. A sinistra quindici anni di liti interne, scissioni e contro-scissioni hanno esaurito le energie di ogni singolo contendente: stare insieme è la sola formula non ancora
sperimentata dopo aver dispiegato ogni diverso schema di competizione elettorale. Per di più, la debolezza percepita (probabilmente a torto) della leader del Pd ha reso più facili le intese. Quando sarà il caso o ce ne sarà la necessità, si dicono i molti aspiranti al trono di futuro candidato premier, sarà facile tagliarle la strada e sorpassarla, appropriandosi dell’eredità della sua stagione: un campo largo che nessun altro dei signori sul palcoscenico progressista – non uno del Pd, non Giuseppe Conte, e figuriamoci Matteo Renzi – avrebbe potuto costruire.
A destra la percezione è opposta, Meloni appare come una leader per sempre, il suo bis per la premiership è scontato, farla fuori impossibile. La stessa unità del centrodestra risulta indiscutibile, sono trent’anni che funziona allo stesso modo salvo rare eccezioni, e tutta questa stabilità, prevedibilità, immobilità, consente un solo modulo di gioco: la lotta nella gabbia per spostare o conservare i frammenti di potere ancora contendibili. Da quella parte, insomma, il rebus risulta l’esatto contrario di quello che si è dovuto sciogliere a sinistra. Nella maggioranza di governo c’è e ci sarà di sicuro un accordo. C’è e ci saranno senz’altro candidati comuni. Ma questa cosa così sicura rende incandescente il conflitto su nomi e cognomi e forse la decisione resterà in sospeso fino al 28 settembre, quando i risultati delle Marche decideranno se FdI conserva il suo governatore o se dovrà cercare compensazioni altrove. Così in queste elezioni la principale sfida delle due leader sarà quella di superare il paradosso che le riguarda.
Schlein dovrà dimostrare, con i risultati, di non essere solo l’artefice occasionale di una formula fragile, fondata su un compromesso di necessità, ma la federatrice capace di conservare alla sinistra le sue ultime roccheforti e potenzialmente di estenderle. Meloni, che certo non ha bisogno di rafforzare la sua immagine di comando, dovrà superare la prova della mediazione con alleati insoddisfatti e riottosi che cercano una rivincita personale dopo essere stati messi ai margini del racconto politico nazionale. E dovranno farlo, tutte e due, in uno schema completamente diverso dal recente passato: due poli che si confrontano alla pari, senza poter contare sull’azione di disturbo di terze forze che sfilano voti da una parte o dall’altra. Sarà complicato, sarà interessante, ci dirà dove andrà la politica italiana nei prossimi anni.
(da lastampa.it)
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