MOLISE, LO SCHELETRO DA 10 MILIARDI INCOMPIUTO DA TANGENTOPOLI
“IL CARACCIOLO ERA UN GIOIELLO, DAVA LAVORO A 320 PERSONE, POI SONO ARRIVATI I TAGLI ALLA SANITA’”
“Sono nato qui, prima che nessuno ci potesse nascere più”. La storia di Agnone, incastrata tra i monti dell’Alto Molise, racconta un’Italia che invecchia e scompare. A parlare è Maurizio D’Ottavio, direttore dell’Eco, giornalista precario e molisano testardo, che si è rifiutato di tagliare le radici. “Il giorno in cui chiusero il punto nascite dell’ospedale Caracciolo lo ricordo come fosse ieri”. Era il 2010, sono passati 15 anni. “Ho l’immagine delle culle che venivano portate via. Una scena di una tristezza che non si può spiegare”.
Il paese è famoso per le campane dei papi: Agnone è la casa della Pontificia Fonderia Marinelli. È la fabbrica più antica del mondo: fu aperta intorno all’anno mille, il bronzo viene fuso e decorato ancora dalla stessa famiglia. Nell’800 la chiamavano “l’Atene del Sannio” perché era luogo di attrazione di filosofi, medici, giuristi; un secolo e mezzo fa gli abitanti erano 11.865. Oggi sono poco più di un terzo: 4.602 e duemila persone sono state perse solo negli ultimi vent’anni.
Agnone è una delle città più senescenti d’Italia: l’indice di invecchiamento è del 372%; per ogni bambino ci sono quasi quattro anziani. Per D’Ottavio il declino del paese coincide con l’agonia dell’ospedale pubblico: “Il Caracciolo era un gioiello, dava lavoro a 320 persone, serviva dodici comuni molisani, ma era importante anche per i paesi di confine dell’Abruzzo. Negli ultimi quindici anni l’hanno smontato, taglio dopo taglio: reparti chiusi, personale ridotto a circa 100 unità, il 118 è demedicalizzato di notte. Siamo in montagna, d’inverno possono scendere anche metri di neve. Si immagini ad avere un’emergenza qui, bisogna correre a Vasto o a Isernia, a 40 minuti d’auto”.
Uscendo dai confini cittadini, la malinconia si trasforma in farsa: si risale la collina e in pochi minuti si arriva all’ecomostro, che racconta meglio di ogni statistica il fallimento del territorio. Il nuovo ospedale di Agnone fu progettato alla fine degli anni Settanta, parte di un piano che prevedeva strutture pubbliche moderne in tutto il Molise. Avrebbe dovuto affiancare e poi sostituire il vecchio Caracciolo con reparti d’avanguardia per servire un bacino di trentamila persone, fino alla provincia di Chieti. Fu un’idea del democristiano Remo Sammartino, ex sindaco agnonese, parlamentare e sottosegretario nel primo governo Rumor. I lavori, iniziati a metà degli anni Ottanta, si fermarono di botto nel 1992. Si disse che erano finiti i fondi. Sprechi, omissioni, gare fallite: dieci miliardi di lire buttati, seguiti da altri finanziamenti inghiottiti dal nulla.
Dalla strada l’ospedale non si vede, è nascosto nel bosco.
Bisogna scavalcare un cancello e addentrarsi nell’erba alta, poi la carcassa appare all’improvviso. Gli occhi si poggiano prima sul guscio di cemento armato, poi sul tetto di tegole ordinate, praticamente intatto: nonostante i decenni di abbandono, la struttura è ancora integra. È un’altra beffa, perché oltre lo scheletro non c’è nulla: quattro piani di pilastri nudi, la corte centrale dove crescono gli alberi, scale di servizio senza ringhiere, finestre quadrate aperte sulla campagna e i monti. Dentro e fuori, due gru arrugginite: non hanno smontato nemmeno quelle, come se fossero tutti scappati di corsa da una catastrofe improvvisa. Ci sono graffiti e scritte sui muri, un altro fabbricato esterno è pieno di vecchi macchinari del Caracciolo, fascicoli e faldoni, scatole stipate di ricette mediche e dati dei pazienti, immondizia. Per completare l’opera servirebbero circa 40 milioni. L’ultima ipotesi, già cestinata, era di trasformarla in carcere. “Noi chiaramente preferiremmo progetti in ambito sanitario – dice Daniele Saia, sindaco di Agnone e presidente della provincia di Isernia – ma la competenza è della Regione. Sono 25 mila metri quadri coperti, ci vorrebbe un imprenditore privato che decidesse di investire sul territorio”. Traduzione: non ci sono soldi.
Se si scatta una foto dall’alto, con un drone, a valle compaiono anche i piloni del viadotto “Femmina Morta”. Un altro ecomostro con il destino segnato nel nome. Doveva essere un collegamento rapido con l’Abruzzo, per ridurre un isolamento sempre più asfissiante (dal terremoto del 2018 è chiuso anche il viadotto Sente). Anche qui fu bloccato tutto negli anni di
Tangentopoli e da allora resta lo scheletro della strada: una manciata di piloni che sbucano da terra, gettati nel nulla. A marzo l’Anas ha bandito la gara per i lavori di completamento, che partono da una base di 34,7 milioni di euro, si attende l’apertura delle buste per capire se almeno quest’opera avrà un futuro.
Se “il Molise non esiste”, come vuole una battuta famosa e stucchevole, la colpa è di chi l’ha spolpato, tra opere fantasma, servizi tagliati, comunità lasciate a invecchiare da sole. Ma il Molise esiste eccome, asimmetrico e diseguale. A un’ora di macchina da Agnone, c’è Pozzilli, il paese di Neuromed, cattedrale della sanità privata. È a due passi da Venafro, un’area periferica trasformata in capitale della neurologia nazionale. Fattura quasi 100 milioni l’anno, domina i tetti di spesa regionali e intercetta i fondi europei. Una creatura di Aldo Patriciello, ras berlusconiano passato alla Lega, eurodeputato alla quinta legislatura e macchina da preferenze: uno degli uomini più potenti della Regione. Politica e soldi si mescolano, come sempre. Il Molise esiste: specchio dell’Italia presente e futura, dove il pubblico agonizza e il privato prospera.
(da ilfattoquotidiano.it)
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