PANICO A PALAZZO CHIGI, “SALVARE LA “LA ZARINA DI VIA ARENULA, DIFENDIAMOLA A OLTRANZA”: GIUSI BARTOLOZZI, CAPO DI GABINETTO DI CARLO NORDIO, IERI È STATA RICEVUTA DALLA MELONI A PALAZZO CHIGI, DOPO CHE LA DIRIGENTE È STATA INDAGATA PER IL CASO ALMASRI (COSÌ COME IL GUARDASIGILLI, PIANTEDOSI E MANTOVANO) CON L’ACCUSA DI “DICHIARAZIONI MENDACI” AL TRIBUNALE DEI MINISTRI
NORDIO “PRETENDE” CHE LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI ESTENDA AL SUO CAPO DI GABINETTO L’IMMUNITÀ DI CUI GODE UN MINISTRO, PER EVITARE IL PROCESSO… SE “CADESSE” LA BORTOLOZZI SAREBBERO GUAI PER IL GOVERNO, SE PARLA SONO CAZZI PER TUTTI
Ieri mattina, prima di pranzo. Giusi Bartolozzi entra a Palazzo Chigi, senza farsi notare. Sale a piano nobile. Il colloquio non ha altri testimoni, ma fonti di via Arenula riferiscono: è lì per incontrare Giorgia Meloni. È la seconda volta in meno di 24 ore, perché lunedì pomeriggio è stata ricevuta dalla presidente del Consiglio e da Alfredo Mantovano.
Non deve bussare, né farsi annunciare: da qualche settimana è l’anello debole – e dunque più sensibile – del governo. È la ragione per cui la premier, alla fine e senza nascondere qualche dubbio, dovrà dare ordine di difenderla. Almeno fin quando sarà possibile. Almeno finché non sarà troppo dannoso sul fronte del consenso insistere per estendere a un capo di gabinetto l’immunità di cui gode un ministro.
Qualche ora dopo, sempre a Palazzo Chigi. Stavolta dietro i vetri oscurati dell’auto blindata c’è Carlo Nordio. Non si vede, ma vuole farsi sentire. Il Guardasigilli ha urgente bisogno di confrontarsi con Mantovano. Vuole assicurarsi che il sottosegretario alla Presidenza – e ovviamente Meloni – facciano di tutto per difendere la magistrata.
E d’altra parte, Bartolozzi è il suo braccio destro e sinistro. Talmente fidata (e dunque potente) da essere soprannominata “la ministra”. Ecco perché Nordio ripete, e poi ripete ancora a tutti in queste ore: è stata leale e corretta, non può pagare per tutti.
C’è infatti un problema che assilla il ministro, nel giorno in cui diventa ufficiale lo status di indagata di Bartolozzi: fino a metà pomeriggio, i membri della destra in giunta per le autorizzazioni non hanno ancora ricevuto l’ordine di andare allo scontro con le toghe pur di “scudarla” con l’immunità.
Che nessuno pensi di combattere una battaglia che sia solo di facciata, è dunque il messaggio. Che nessuno pensi di potersi sfilare dalla lotta. Giusi non può cadere. Da giorni, a palazzo tutti attendevano solo l’ufficialità dell’indagine a carico della magistrata. Nessuna sorpresa, dunque. Neanche per Meloni.
La premier, come sempre in queste circostanze, sceglie di mostrarsi cauta. Considera l’indagine su Almasri un atto ostile contro il suo esecutivo, dunque sa che alla fine dovrà difendere anche Bartolozzi. Semmai, riferiscono fonti a lei vicine, teme di far passare un messaggio che potrebbe rivelarsi pericoloso sul fronte del consenso: quello di un esecutivo che protegge i suoi a colpi di voti parlamentari.
Anche perché nelle prossime settimane si vota, partendo dalle Marche in cui corre un candidato di Fratelli d’Italia: non è il momento di rischiare boomerang.
Eppure, come detto, Bartolozzi è talmente al centro delle scelte strategiche di questo esecutivo che la destra non potrà che difenderla. Con un obiettivo: allontanare il problema, spingendo in avanti il momento della verità. Pesa anche un elemento psicologico, in queste ore. E risponde al nome di Matteo Renzi. È, paradossalmente, lo scudo più efficace per la magistrata: quanto più l’ex premier la attacca, tanto più a Palazzo Chigi cresce la voglia di difenderla.
Nemici comuni, alleanze di necessità. Buone a superare dubbi, resistenze, screzi. Perché Bartolozzi, di avversari interni, ne ha parecchi. E non solo a Palazzo Chigi, dove da tempo si discute delle sbavature attribuite alla magistrata nella gestione della vicenda (e dove Mantovano ha deciso di spostare la regia per gestire eventuali nuovi casi internazionali simili a quelli di Almasri).
C’è pure la macchina di via Arenula, che da mesi vive con fastidio gli avvicendamenti interni decretati dalla capo di gabinetto. E poi ancora il risentimento dei colleghi che lavorano negli altri ministeri, con cui Bartolozzi si interfaccia per la stesura dei provvedimenti. Eppure, alla fine dovranno difenderla. Tutti. Anche a costo di forzare la mano.
(da Il Foglio)
Leave a Reply