PER IL VERTICE TRA TRUMP E PUTIN VALE LA REGOLA “IL NEMICO DEL MIO NEMICO È MIO AMICO”: ENTRAMBI I PRESIDENTI VEDONO I PAESI EUROPEI COME UN PROBLEMA: L’ODIO VERSO IL VECCHIO CONTINENTE AVVICINA I DUE
“LA STAMPA”: “IL TITOLO DEL GIORNALE RUSSO ‘ROSSIYSKAYA GAZETA’, MEGAFONO DELLA PROPAGANDA PUTINIANA, RIASSUME LA SVOLTA TRA WASHINGTON E MOSCA: ‘PIÙ LONTANO DALL’EUROPA, PIÙ VICINO ALLA PACE”
«Non fare la scema, America, non ti faremo del male, ridacci indietro l’Alaska». Era il 1990, l’Unione Sovietica si stava sgretolando rapidamente, e la band musicale Lyube stava girando un videoclip pieno di scene di guerra e armi ispirato dal suo ultimo irriverente successo. All’epoca, suonava come uno scherzo, quasi un gioco per stuzzicare l’orgoglio nazionale
Oggi, 35 anni dopo, i Lyube, fieri della loro fama di gruppo pop preferito da Vladimir Putin, hanno abbandonato il look da picciotti di periferia degli esordi, per indossare sul palco le uniformi militari e venire invitati ai concerti al Cremlino come cantori della gloria russa.
Che include anche l’Alaska: la penisola americana venduta dallo zar Alessandro II agli Stati Uniti è già stata rivendicata dal presidente della Duma Vyacheslav Volodin nel 2022, e il refrain «L’Alaska è nostra!», parafrasi dello slogan dell’annessione della Crimea nel 2014, sta risuonando in tutti i talk show propagandistici che riempiono il palinsesto di prima serata delle TV di Stato.
La Russia si isola ancora di più dal resto del mondo, come ha confermato ieri il divieto di videochiamate in WhatsApp e Telegram, introdotto dal governo russo per bloccare il canale di comunicazione più semplice dei russi con amici e parenti oltre confine (inclusi quelli in Ucraina). Nello stesso tempo, Putin riconfigura rapidamente la sua geografia politica a favore dell’America di Trump, e il giornale governativo Rossiyskaya Gazeta riassume la svolta nel titolo di prima pagina:
«Più lontano dall’Europa, più vicino alla pace». «Nessun rischio di spie britanniche, infiltrati ucraini e “benefattori” europei», è la conclusione del giornale. Il Cremlino ha ribaltato completamente la sua narrazione sugli Stati Uniti come «impero del male» alla guida di quello che Putin chiama «l’Occidente collettivo».
Ora, russi e americani «sono vicini molto prossimi» e da Anchorage «si aprono prospettive di grandi progetti comuni», spiega ai giornalisti il consigliere diplomatico di Putin, Yury Ushakov. Il dittatore russo non sembra preoccupato ad affidare la sua sicurezza completamente in mano all’ex nemico, accettando di incontrare il suo collega americano in una base militare Usa: temeva molto di più, secondo Rossiyskaya Gazeta, una destinazione come Budapest, Istanbul o Dubai, che avrebbero potuto comportare il «sorvolo di territori ostili» vicini all’Ucraina o all’Azerbaigian.
Con un altro vantaggio: in territorio americano non si corre il rischio di un’apparizione improvvisa di Volodymyr Zelensky. Da nemici che si guardano attraverso l’Atlantico, a «buoni vicini» divisi da appena 83 chilometri di mare sul versante Pacifico: l’Alaska diventa il punto di incontro ideale di due leader che si devono spartire il mondo lontano da tutti, in una «nuova Yalta», auspicata dalla Nezavisimaya Gazeta.
Difficile capire quanto alla Casa Bianca abbiano colto la nostalgia imperiale di questa scelta, che viene evidenziata al pubblico russo come trionfo «storico»: non solo Putin rompe
l’isolamento internazionale e incontra da pari a pari l’uomo più potente del mondo, ma lo fa in un territorio che in qualche modo è «nostro».
Anna Zafesova
per “la Stampa”
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