PIU’ POVERTA’ E PIU’ SFRUTTAMENTO: L’OCCUPAZIONE MODELLO MELONI
IL LAVORATORE DEV’ESSERE RICATTABILE PER ACCETTARE PRECARIETA’, MENO TUTELE E STIPENDI DA FAME
Il governo Meloni rivendica un trionfo occupazionale. Ma dietro i numeri del lavoro si nasconde un’operazione chirurgica – e crudele – sul mercato del lavoro: non un’espansione virtuosa dell’occupazione, ma un record di lavoro povero e un’espulsione silenziosa delle tutele. Un’operazione che è partita da un
momento preciso: lo smantellamento del Reddito di Cittadinanza, la misura che aveva finalmente introdotto un minimo sindacale di dignità nelle dinamiche tra chi offre lavoro e chi è costretto a cercarlo.
La logica è quella della teoria del salario di riserva: se esiste un sussidio che garantisce un tenore di vita (per quanto minimo) alternativo allo sfruttamento, il lavoratore ha potere contrattuale. Le imprese – almeno quelle meno inclini a rispettare diritti e contratti – devono offrire di più. La risposta del governo è stata semplice: togliere l’alternativa.
Con la soppressione dell’RdC e l’introduzione dell’Assegno di Inclusione (Adi) e del Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl), l’esecutivo ha ristrutturato il sistema di welfare in senso fortemente selettivo. I numeri forniti dal rapporto Inps 2024 parlano chiaro: dei 418.000 nuclei familiari che avrebbero potuto accedere alle nuove misure, meno della metà ha effettivamente presentato domanda. Circa 212.000 nuclei non hanno ricevuto nulla. Il risultato? Un drastico ridimensionamento della platea dei beneficiari e una ridistribuzione della povertà, non un suo contrasto.
Le nuove misure colpiscono soprattutto chi ha minori, disabili o anziani a carico. Secondo il rapporto, il 60% delle domande di Adi per nuclei fragili è stato respinto. A essere esclusi sono anche gli stranieri (solo il 7% dei percettori di Sfl è comunitario o extracomunitario), le donne con carichi di cura e chi ha un Isee appena sopra la soglia. L’Adi, con appena 52.700 domande effettivamente accolte, e il Sfl, con solo 17.600 persone effettivamente inserite in percorsi attivi, coprono una frazione minima di quanto copriva l’RdC.
Ma non è solo un problema quantitativo: l’accesso al Supporto per la Formazione e il Lavoro richiede competenze digitali non banali, diventando così una misura tecnocratica e classista, che punisce gli esclusi due volte: prima per povertà, poi per ignoranza digitale.
Questa selezione feroce ha prodotto un effetto immediato sul mercato del lavoro: un improvviso aumento della forza lavoro disponibile, soprattutto nella fascia bassa della scala salariale. Senza misure che garantissero una crescita della domanda, lo squilibrio ha provocato ciò che l’economia definisce uno shock di offerta: quando tanti cercano lavoro, ma pochi lo offrono, i
salari crollano.
L’effetto? Più persone hanno un impiego, ma a condizioni peggiori. Secondo dati e testimonianze raccolte da associazioni e sindacati, si moltiplicano i contratti di poche ore, i part-time forzati, le paghe sotto la soglia della sopravvivenza. Persone in condizioni economiche modeste, cioè con valori bassi di Isee, vivono il ricatto di dover accettare qualsiasi contratto, anche se devono lavorare 30 ore a settimana per meno di mille euro al mese. Se poi vivi in una grande città devi scegliere se fare la spesa o pagare l’affitto. E chi non accetta queste condizioni, spesso, finisce nel lavoro nero. Ma per l’Istat questo è “inattivo”, e così la disoccupazione cala artificialmente.
In base agli ultimi dati Istat, relativi al 2023, la povertà assoluta in Italia colpisce l’8,5% delle famiglie e il 9,8% degli individui, per un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e 5 milioni 752 mila individui. Negli ultimi 10 anni, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all’8,5%, e quella individuale dal 6,9 al 9,8%.
È utile anche l’ultimo Rapporto Caritas per capire meglio. Non solo è aumentata la povertà di chi non ha lavoro, ma anche di chi
ce l’ha: il 48% di chi cerca aiuto ha infatti un’occupazione formale, spesso anche a tempo pieno. Fra le testimonianze raccolte dalla Caritas troviamo Valeria, 36 anni, commessa part-time a Milano: “Lavoro 30 ore a settimana e a fine mese non arrivo comunque a 900 euro. Devo scegliere se pagare le bollette o fare la spesa”. Il Reddito di cittadinanza avrebbe almeno integrato il suo reddito familiare fino a 1.300.
E anche il rapporto Istat 2025 su condizioni di vita e reddito delle famiglie – riferito al 2024 – registra un aumento: il 23,1 % della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (in aumento dal 22,8 % del 2023).
Nel frattempo il governo ha allentato le maglie dei controlli sui contributi: oggi un’azienda può trattenere i versamenti previdenziali dei dipendenti per tre mesi senza subire conseguenze immediate. Un credito a costo zero, pagato con i diritti dei lavoratori. Inoltre, sono tornati (peggiorati) i voucher, che non coprono più nemmeno le finzioni contrattuali del passato. Il rischio, concreto, è quello di una regolarizzazione del precariato sotto forma di “opportunità” e “flessibilità”.
Giorgia Meloni ha creato occupazione senza dignità e ha
intrappolato forza lavoro in una trappola: povera, precaria, frammentata, invisibile. Ha ristretto le tutele ai “meritevoli”, dividendo i poveri in serie A, B e C. Ha trasformato il mercato del lavoro in un’arena in cui chi è disperato lavora per sopravvivere, non per vivere.
È un modello di Paese che non premia il lavoro, ma il ricatto. E che si regge su un’equazione disumana: se hai fame, accetti tutto. Anche l’ingiustizia.
Pasquale Tridico e Lorenzo Cresti
(da ilfattoquotidiano.it)
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