POLITICI IN FUGA: “NON ROMPERE I COGLIONI…â€, MA ADESSO SCAPPANO
L’EX MINISTRO CASTELLI CHE LASCIA SERVIZIO PUBBLICO QUANDO UN OPERAIO SARDO GLI URLA “NON ROMPERMI I COGLIONI” E’ IL SINTOMO DEL TRACOLLO DEI PARTITI, PRECIPITATI AL 9% DI CREDIBILITA’….I POLITICI-DINOSAURI HANNO L’ACQUA ALLA GOLA
“Castelli, non rompere i coglioni a me, eh”.
Con queste parole, scandite giovedì a Servizio Pubblico, l’operaio disoccupato Antonello non ha soltanto costretto alla goffa fuga l’ex ministro leghista.
Ha mostrato, inequivocabilmente, lo scollamento che esiste tra piazza e casta.
E l’imbarazzo che i gerarchi tradiscono quando il salotto televisivo non è quello dei talk precotti, ma osa porgere il microfono alla gente comune.
Senza (più) timori reverenziali verso i politici.
La puntata di giovedì è stata a suo modo storica.
Ecco perchè merita, forse, una telecronaca doviziosa.
Minuto 20 “I nodi vengono al pettine”:
Enrico Letta comincia col cipiglio che gli è consono (quello del carlino appisolato). Passare dalla rivolta dei forconi alla flemma piddina si rivela straniante, come abbandonarsi lascivamente a una mazurka di Casadei dopo un rave party.
Minuto 30 Finalmente (come no) parla Castelli, con quel bel visino da Fonzie canuto al Bar della Polenta Taragna, e quella vocina da cyborg senza pile.
Castelli parte con un freestyle in cui parla senza dire nulla. Come ai bei tempi.
Che però non son più belli (per lui).
Minuto 35 “C’è una grande insipienza politica”.
È la volta di Maurizio Zamparini, il mangiallenatori biscardiano.
Zamparini ricorda a Castelli che lui, fino all’altro giorno, era al governo. E quindi lo sfacelo è anche colpa della Lega.
Raccoglie applausi scroscianti. In effetti, come arringatore, Zamparini — non esattamente Engels o Popper — mostra doti inattese.
“Loro (rivolto a Castelli) sono la causa, insipienti!”.
Notare il curioso uso reiterato della parola “insipienti”, imparata evidentemente un minuto prima sul Devoto-Oli.
Minuto 40 Santoro ricorda che i forconi sono nati con Berlusconi.
Lo fa anche per togliere un alibi alle tesi complottistiche di Monti. Di fatto è un assist per Castelli.
Il quale, sveglio come una lince in letargo, blatera: “Eh ma voi siete proprio ossessionati da Berlusconi”.
È la stessa frase ripetuta nelle settimane precedenti da Santanchè e Mussolini: nella banalità , il centro-destra è ancora ampiamente coeso.
Santoro scrolla la testa, come Savicevic quando elargiva assist a Pancev. E Pancev, detto “Ramarro”, li sbagliava. Sempre.
Minuto 50 Castelli desidera “rispondere a quello lì che non conosco” (il fingere di non sapere i nomi degli avversari è altra prassi antica Pdl).
Ecco la sua “risposta: “Lei è un ignorante” (ulteriore topos dei berluscones; tu argomenti, io sfanculo).
In un rutto di genialità , Castelli lamenta poi la chiara presenza di una claque pro-Zamparini. Come dargli torto.
Ogni giovedì, i suoi fans assaltano gli studi per entrare: Zamparini, si sa, è un po’ lo spin doctor di Santoro.
Minuto 58 È il momento di Enrico Letta. Quindi possiamo andare avanti.
Minuto 76 Castelli si vanta d’esser stato ministro dei Trasporti. Un po’ come se Schettino si vantasse di quanto bene dribbli gli scogli.
Minuto 83 Castelli boccheggia livido: “La Sicilia è quella che spreca di più. Voi avete 23 mila dipendenti pubblici, mentre in Lombardia ce ne sono solo tremila”.
I protestanti attaccano anche Letta: “Siete tutti uguali, dov’è finita la vertenza per ridurre i costi della politica?”.
Letta non risponde, e questo è normale (non rispondere è la linea politica del Pd), mentre è inedita la definitiva percezione di come quei manifestanti — in collegamento da Siliqua, Sardegna — stiano usando il linguaggio che apparteneva alla prima Lega.
Castelli, di colpo, appare un relitto.
È superato nel suo stesso (presunto) terreno.
Non solo non ha argomenti, cosa arcinota; non ha nemmeno più appigli.
Non può parlare nè alla testa (mai fatto) nè alla pancia (sempre fatto), perchè ciò che dice non interessa più.
Da giovedì, Castelli è ufficialmente un dinosauro. Di cui mai nessun archeologo si interesserà mai.
Minuto 90 Castelli esala un “perchè bocciare la mia proposta tout court?”, ignaro del significato dell’espressione “tout court” (che infatti pronuncia “tukurt”).
È qui che appare Antonello, operaio disoccupato dell’Eurallumina di Portovesme.
In pochi secondi, riassume 18 anni di malapolitica: “Castelli, non rompere i coglioni a me, eh”, “A me non me li rompi i coglioni tu”.
Una sintesi meravigliosa, liberatoria e iconoclasta, già divenuta tormentone in Rete.
Castelli, puerilmente, abbandona lo studio. Attenzione: è una fuga inedita. Non è esibizione di arroganza, come Berlusconi da Lucia Annunziata.
E non avviene per un attacco di un “pari grado” (Mastella, Santanchè).
Castelli, letteralmente, scappa.
È l’emblema del politico sconfitto, senza più armi di fronte al semplice cittadino.
Non è un caso — sarebbe oltremodo erroneo pensarlo — che lo sfogo si sia verificato nel momento esatto in cui tutti i politici, con l’eccezione miracolistica di Monti, stiano patendo un livello di consenso minimo.
Tutti, da Berlusconi a Bersani, Lega (ampiamente) inclusa.
A fuggire è stato Castelli, ma la faccia di Letta, ancor più quando Marco Travaglio ha scudisciato lo zio, non era certo più serena: egli era ben conscio di apparire, agli occhi della piazza, egualmente colpevole e “correo”.
Guai a ridimensionare lo sfogo di Antonello a mero atto folclorico.
La sua arringa è stata forse un po’ sgrammaticata, ma lucidissima: “Tu, e la classe dirigente degli ultimi 30 anni, ha commesso il reato più grave che si poteva fare. Ha rotto il patto tra generazioni”.
Parole che qualsiasi opposizione, se solo esistesse, dovrebbe far proprie.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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