QUANTO AVRA’ ROSICATO TRUMP, FISCHIATISSIMO ALLA FINALE DEGLI US OPEN, PER GLI APPLAUSI CHE IL PUBBLICO DI NEW YORK HA RISERVATO A BRUCE SPRINGSTEEN, SUO NEMICO GIURATO, QUANDO LE TELECAMERE HANNO RIPRESO LA FACCIA FELICE DEL CANTANTE?
LA FEDERAZIONE AMERICANA DEL TENNIS AVEVA CHIESTO ALLE TELEVISIONI DI NON TRASMETTERE EVENTUALI CONTESTAZIONI … NEW YORK È UNA CITTÀ LIBERAL E NON LO AMA TANTO PIÙ CHE TRUMP STA MINACCIANDO DI MANDARE LA GUARDIA NAZIONALE NELLE STRADE PER RIPORTARE L’ORDINE, E VUOLE IMPICCIARSI DELLE ELEZIONI PER IL NUOVO SINDACO IN PROGRAMMA IL 4 NOVEMBRE, PER OSTACOLARE IL DEMOCRATICO ZOHRAN MAMDANI, CHE HA DEFINITO “UN PERICOLOSO COMUNISTA”
Niente da fare. La Usta, la federazione americana del tennis, aveva chiesto alle televisioni di non trasmettere le probabili obiezioni della liberal New York alla passerella sportiva del presidente Trump, e loro avevano accettato di ubbidire.
Però, quando alle 2 e 32 minuti del pomeriggio la faccia del capo della Casa Bianca è apparsa sugli schermi dell’Arthur Ashe Stadium, proprio mentre il sergente maggiore Carla Loy cantava l’inno, l’onda dei “buu” del pubblico pagante è diventata inequivocabile, almeno per chi guardava a bordo campo. Non assoluta, non totale, ma forte e chiara.
E tutto sommato ci stava pure, perché Trump frequenta spesso i grandi eventi sportivi in quanto sono un veicolo di pubblicità, non necessariamente per la sua passione che va poco oltre il golf. Perciò, se ti esponi a gioie e dolori della frequentazione del pubblico, poi devi accettare che siano appunto gioie e dolori.
Il presidente è andato a vedere la finale non invitato dagli organizzatori, che preferiscono in genere tenersi fuori dalla politica, ma dalla Rolex. E già questo ha fatto discutere, considerando che la Svizzera è stata una delle nazioni più colpite dai dazi, e magari così spera di recuperare un po’ di punti. Trump aveva un palco agli Open, con la sua compagnia, che ha conservato fino al 2017.
L’amore però era finito nel 2015, quando era venuto a vedere la sfida fra Serena e Venus Williams da candidato alla Casa Bianca contro l’ex senatrice di New York Hillary Clinton, e i fischi erano stati anche più forti di ieri.
Il presidente è arrivato verso l’una e mezza, con le misure di sicurezza che hanno complicato l’ingresso degli spettatori,
obbligando gli organizzatori a ritardare di trenta minuti l’inizio della finale. Si è affacciato sul campo, per prudenza, quando era mezzo vuoto, magari con l’idea di limitare i danni di immagine. Quando però la sua faccia vicino all’inviato speciale Witkoff è ricomparsa sugli schermi, alla fine del primo set stravinto da Alcaraz, le urla di disapprovazione sono diventate assordanti, costringendolo ad un sorrisetto, come per rispondere che non gli avevano fatto nulla.
E quanto gli sarà ribollito il sangue, sentendo invece gli applausi riservati a Bruce Springsteen, suo nemico giurato, quando le telecamere hanno ripreso la faccia felice del cantante. Chissà poi se tutto questo non abbia avuto qualche effetto anche sul cuore dei tifosi, visto che Sinner aveva evitato di commentare la politica, mentre Alcaraz si era detto onorato di avere il presidente in tribuna.
New York è una città liberal e non sorprende che non abbia mai amato questo suo figlio diverso. Però ora Trump sta minacciando di mandare la Guardia Nazionale nelle strade per riportare l’ordine, nonostante la criminalità sia in calo, e vuole impicciarsi delle elezioni per il nuovo sindaco in programma il 4 novembre, per deragliare la candidatura del democratico Zohran Mamdani, che ha definito «un pericoloso comunista».
New York non ama sentirsi dire cosa fare, da nessuno, perciò risponde. Senza paura, senza riverenza, ascoltando solo la propria testa e la propria pancia.
(da repubblica.it )
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