SANITA’ AMMAZZATA DAI POLITICI: MENO 60 MILIARDI RISPETTO AI PAESI UE
NO PREVENZIONI E CURE, PAZIENTI RASSEGNATI
“Tra poco in molte regioni ci sono le elezioni. Ma quando andiamo a votare non ricordiamo che l’80% del budget delle Regioni è destinato alla sanità. Sono questi enti che decidono come siamo curati, come sono i nostri ospedali, quanto personale deve essere assunto, il rapporto percentuale tra il numero dei cittadini e i posti letto”.
Esordisce così la giornalista Milena Gabanelli nel dibattito di ieri alla festa del Fatto: “Come sta la sanità”. Gabanelli affronta la questione con il suo stile, non solo indicando i mali, i numeri, ma anche quello che potremmo fare noi cittadini.
Accanto a lei ci sono altre figure che da anni si dedicano alla battaglia per salvare la sanità pubblica italiana: Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, che con le sue analisi e le sue proposte è stimolo e spina nel fianco di chi governa la salute. Poi Maria Rita Gismondo, nota microbiologa che ha lavorato al Sacco e all’Università di Milano. Infine Eleonora Daniele, giornalista tv, che alla salute psichiatrica ha appena dedicato un libro reportage.
Diversi di loro riprendono il testimone lasciato da Gabanelli: il ruolo che possono avere i cittadini di fronte a una politica che si è dimenticata della salute. Lo ricorda Cartabellotta: “L’Italia investe nel Sistema Sanitario Nazionale circa 135 miliardi. Facendo un calcolo è come se spendessimo oltre 50 miliardi in media in meno degli altri Paesi europei. E non parlo di Germania e Francia che giocano proprio in un altro campionato, ma di tutti gli stati dell’Unione. Per essere alla pari con gli altri dovremmo arrivare a 185 miliardi. Eppure i cittadini sembrano rassegnati, non si incazzano”. In che cosa si traduce tutto questo? “La perdita dell’universalismo. Cioè… abbiamo anche strutture di eccellenza, ma i cittadini non sono curati in modo uguale. Chi ha più mezzi ha cure migliori. E il livello di assistenza non è certo lo stesso in ogni parte del Paese”. Gismondi prova a indicare le tappe ‘della morte’ della sanità pubblica: “Tutto cominciò quando il ministro della Sanità, Francesco di Lorenzo, all’inizio degli anni Novanta, parlò di ‘aziende’ ospedaliere. Certo, gli ospedali devono avere i conti a posto, ma il loro scopo non è produrre profitto. È produrre salute”. Nel dibattito c’è un convitato di pietra: la politica. Quella che, ricordano gli ospiti, spesso sceglie dirigenti e medici in base alla appartenenza e non alle competenze. Ma la politica, anche, che lamenta di aver perso un ruolo, di non incidere più nella società, e poi non si occupa adeguatamente del tema che più incide sulla vita dei cittadini: la salute.
La politica che si è dimenticata quello che c’è scritto nella Costituzione all’articolo 32: “La salute è un diritto fondamentale”. Ma se poi la subordina a bilanci e conti, diventa
un diritto condizionato. Secondario.
Un dibattito serrato: si parla del personale insufficiente, del ruolo del medico di base, della mancanza di prevenzione, delle liste d’attesa interminabili, dei milioni di italiani che sono costretti a non curarsi più, semplicemente perché non hanno i mezzi. E poi ancora del rapporto con le multinazionali e dei prezzi dei nuovi farmaci.
Ed Eleonora Daniele racconta la sua esperienza di familiare di persona colpita da autismo e insieme di cittadina impegnata per cambiare le cose in un ambito, la psichiatria, troppo trascurato: “Sta passando la nuova legge sulla salute mentale”, racconta Daniele, “ma in Italia le destiniamo poco più del tre per cento delle risorse complessive per la salute. In altri Paesi europei siamo al sette per cento”. Siamo sempre lì, al confronto impietoso con i nostri vicini, con gli stati che fanno parte con noi dell’Unione europea. “Eppure”, conclude Daniele, “il disagio psichico e i suicidi sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti”.
L’Italia negli anni 90 era al secondo posto al mondo nella classifica Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) della qualità della sanità pubblica. Oggi stiamo scivolando indietro, così come nelle classifiche sulla durata media della vita.
Ma come dicono Gabanelli e Cartabellotta. tocca anche a noi dire la nostra: con il voto, con tutte le forme di partecipazione.
(da ilfattoquotidiano.it)
Leave a Reply