SE PUTIN CREDE ANCORA DI VINCERE
I VOLENTEROSI DEVONO ESSERE PIU’ REALISTI
In quattro anni mi sono accorto che scrivere di Vladimir Putin è uno dei compiti più difficili. Devi dire quello che sai. Devi dire quello che pensi sia vero. Devi chiederti perché ha voluto aggredire così platealmente l’Ucraina e perché continui, persino a dispetto di vantaggi immediati e non irrilevanti, a smontarla pezzo dopo pezzo. La boriosa e fallimentare esperto-crazia dell’ex Occidente lamenta e accusa alla svelta: non vuole la pace! Vuole solo prolungare la guerra! Si avanza l’idea che in Putin ci sia una particolare spietatezza, una crudeltà quasi calcolata, forse perfino una attrazione per il dolore (degli altri). Ho già letto qualche cosa di simile quando si parlava di Saddam Hussein (un altro nostro ex amico carissimo). Perché? Per che cosa? Perché ora? Perché rilancia trattative e bombarda, si dice disponibile e poi avanza, promette e non mantiene: al prossimo vertice forse… Se … Ma…
Biografie così estreme che, secondo alcuni smodati propagandisti, sfiorano la descrizione del Male, il male storico, geopolitico (quell’altro, teologico, non conta), richiederebbero un modo di scrivere nuovo e duro per dire la verità. Richiedono il ricorso a parentesi, punti esclamativi e due punti.
Forse la questione è molto semplice. Se sei vittorioso, soprattutto in guerra, la gente ti ama. La forza è tutto. Insomma, il mondo è di chi lo vuol prendere. Lo abbiamo insegnato proprio noi, i globalisti della superiorità morale, purché si finga di rispettare ciò che con ridicola gravità chiamiamo «i diritti».
Putin il Semplificatore resta rigorosamente fedele a una constatazione: il mondo ammira il potere più della compassione o della giustizia. E con il potere purtroppo, prima o poi, viene anche il rispetto, non soltanto nel suo mondo di autocrati, soprattutto nel nostro, quello democratico, il mondo del Bene.
Se non fosse così come avremmo accettato di avere la mano un po’ pesante in molte guerre da noi predefinite «giuste’»; o con i migranti che dovrebbero essere l’alimento del nostro bene assoluto, ma se non è assoluto che bene è?; come da 76 anni potremmo assistere un po’ annoiati alla scia di sangue tra israeliani e palestinesi, al Sudan, eccetera?
Putin sa che la guerra, qualsiasi tipo di guerra, ha una sua logica spietata a cui non puoi apportare eccezioni o scorciatoie: conosce soltanto due epiloghi, vittoria o sconfitta. Il pareggio esiste esclusivamente in uno sport, il calcio. La Corea è a torto considerata una guerra finita senza vincitori né vinti. È falso: l’hanno persa gli americani. Per vincere avrebbero dovuto usare l’atomica come chiedeva Mc Arthur. Non ne hanno avuto, per fortuna il coraggio.
Allora la guerra che Putin ha avviato nel 2014 con gli Stati Uniti marciando sul corpo dell’Ucraina usata come pretesto, palcoscenico e oggetto da calpestare non può finire in pareggio. A questo punto, dopo quattro anni, l’uomo del Cremlino ritene di aver messo in piedi con la sua spietata risolutezza, e soprattutto per la mediocrità del nemico, una ragionevole possibilità di vittoria. Ha resistito alla coalizione delle «invincibili’» democrazie, avanza sul campo. Doveva restare isolato come un appestato. Danza pubblici minuetti con potenze come l’India, la Cina che ha inventato un neologismo «baizuo» per deridere il progressismo ipocrita degli ex padroni del mondo. Che altro? Ha una sola via da seguire, guadagnare tempo, lasciare che i suoi metodici generali rosicchino con feroce pazienza sempre più il corpo vivo della Ucraina e la resistenza dei sostenitori di Volodymyr Zelensky.
Sul fronte dei cosiddetti Volenterosi, in questa dolorosa guerra per procura, fatta di sanzioni, materiali e chiacchiere, è maturato un linguaggio tutto loro. In ogni convegno o vertice, nei post diB varie Eccellenze compaiono frasi come «pace giusta» (non ho mai scoperto chi ha coniato questa espressione vuota), «riavviare la diplomazia», «garanzie per la sicurezza futura dell’Ucraina», «moralità e necessità del riarmo», «soldati Nato in Ucraina come peacekeeper».
Il linguaggio, l’uso delle parole dovrebbe liberarci. Ma nel caso dell’Ucraina, come del vicino Oriente, servono ai politici occidentali per trasformare avvenimenti complessi della Storia in favolette facili e semplici da digerire per opinioni pubbliche purtroppo distratte, con tanto di buoni e cattivi scelti per conto nostro dai governi, in un assortimento di valori morali, civiltà europea, imperialismi ovviamente altrui, che sembrano tirati giù dagli scaffali di un supermercato. Al Cremlino Putin avrà certo una parete dedicata ai ritratti dei politici occidentali di cui ha collezionato lo scalpo: Joe Biden, Boris Johnson, Justin Trudeau… Avrà tenuto spazio per i prossimi; Emmanuel Macron, Keir Starmer, Ursula von der Leyen… Guadagnar tempo, attendere… Dopo Anchorage e Pechino, dove verrà srotolato il prossimo tappeto rosso per il «criminale»?
Domenico Quirico
(da lastampa.it)
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