TONY BLAIR SARA’ PROCONSOLE DI TRUMP PER GAZA:- L’EX PREMIER BRITANNICO È GIA’ STATO INVIATO SPECIALE ONU PER IL MEDIO ORIENTE. UNA NOMINA CHE SUSCITÒ PERPLESSITÀ
IN PATRIA BLAIR CADDE NELL’IGNOMINIA PER AVER TRASCINATO CON LE MENZOGNE LA GRAN BRETAGNA NELLA SECONDA GUERRA DEL GOLFO CONTRO SADDAM HUSSEIN … CON IL SUO “TONY BLAIR INSTITUTE” L’AVIDO “BIGLIET-TONY” E’ ENTRATO ANCHE NEL PROGETTO DELLA RIVIERA DI GAZA
Uomo dalle sette vite, Tony Blair: la sua ultima incarnazione sarà da «proconsole» di Donald Trump per Gaza. L’ex premier britannico è stato indicato fra i componenti di quel comitato che dovrà guidare la transizione post-bellica nella Striscia: non è quel «governatore di Gaza» che si era a un certo punto vagheggiato, ma il suo nome è l’unico che compare nero su bianco nella proposta di pace e dunque lui avrà senza dubbio un ruolo chiave nel disegnare il futuro della Striscia.
Blair ha una lunga frequentazione col Medio Oriente e non tutto – anzi ben poco – riverbera una luce positiva. Appena lasciata Downing Street, nel 2007, annunciò che avrebbe assunto l’incarico di inviato speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente: c’era da capirlo, non aveva voglia di stare con le mani in mano, aveva solo 54 anni ed era un po’ presto per andare in pensione.
Ma già quella nomina suscitò perplessità: in patria Blair era caduto nell’ignominia per aver trascinato con le menzogne la Gran Bretagna nella seconda guerra del Golfo contro Saddam Hussein, quella del 2003. Non un gran viatico per mettere le mani in pasta nel Medio Oriente.
Come inviato speciale Blair durò fino al 2015: un mandato inconcludente, che era consistito sostanzialmente nello scendere negli hotel di lusso della regione. Ma fu un’esperienza che gli procurò contatti ed entrature che gli sono tornati buoni quando ha lanciato il suo Tony Blair Institute, un business di consulenza soprannominato «la McKinsey dei governi»:
Fra i clienti cui si è legato con lucrosi contratti figurano gli sceicchi del Golfo e Paesi di dubbia reputazione che vanno dalla dittatura egiziana di Al-Sisi alle satrapie centro-asiatiche. Connessioni che hanno procurato a Blair non poche critiche, ma per lui pecunia non olet e il sentore del danaro è ciò che lo ha sempre attirato (fra conferenze, discorsi, libri e attività del suo istituto è diventato rapidamente multimilionario).
Che l’ex premier avesse il pallino del Medio Oriente lo si è visto confermato quando, qualche mese fa, si è scoperto che il suo Istituto, assieme all’Amministrazione americana e a uomini d’affari israeliani, stava lavorando al fantasmagorico progetto della Riviera di Gaza, che intendeva trasformare la Striscia in una nuova Dubai, con tanto di isole artificiali davanti alla costa: di fronte alla rivelazioni, l’Istituto si è prodotto in imbarazzate marce indietro, negando che il piano prevedesse la deportazione dei palestinesi.
Eppure le visioni di Blair devono aver colpito Trump, visto che ha messo l’ex premier britannico al centro della ricostruzione di Gaza. E non deve stupire troppo che un ex leader laburista vada a braccetto con un presidente espressione della destra populista: Blair è sempre stato un politico post-ideologico, che sosteneva che non è importante che una soluzione sia di destra o di sinistra, basta che funzioni
Blair fremeva dalla voglia di tornare sulla scena: per un buon decennio in patria era stato un «innominabile», travolto dalla débâcle irachena e disprezzato a destra come a sinistra, simbolo di una politica cinica e di un globalismo che aveva fatto il suo tempo. Eppure da qualche anno era cominciata una sua riabilitazione, nel deserto di idee che è il Labour
(da Corriere della Sera)
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