XI JINPING HA LANCIATO UN MESSAGGIO: L’ORDINE GLOBALE NON SI NEGOZIA PIÙ SOLO IN OCCIDENTE. TRUMP E L’EUROPA COME RISPONDONO?
L’AMBASCIATORE ETTORE SEQUI: “CON LA PARATA MILITARE LA CINA SI PROPONE COME ‘CUSTODE’ E SI OFFRE AL SUD GLOBALE COME ATTORE DI STABILITÀ”…L’UE DEVE DECIDERE SE APPIATTIRSI A WASHINGTON O COSTRUIRE UN’OFFERTA AUTONOMA VERSO IL SUD GLOBALE
Il Vertice SCO di Tianjin e la parata di Pechino sono un unico messaggio: diplomazia e potenza per dire che l’ordine globale non si negozia più solo in Occidente.
La dichiarazione finale della SCO rivendica un ordine “post-occidentale” basato su sovranità e non-ingerenza e dice in sostanza che il mondo può riorganizzarsi senza gli Stati Uniti e in parte contro di essi. La parata militare è il contrappunto, strumento cinese di comunicazione strategica: la Cina si propone come “custode” dell’ordine post-bellico, saldando memoria storica e legittimazione presente. Pechino si offre al Sud globale come attore di stabilità e, con il dittico vertice-parata, trasforma la vittoria sul Giappone in messaggio politico: la sovranità su Taiwan come prosecuzione dell’ordine del ’45.
Ciascuno ottiene ciò che gli serve. Pechino leadership, Mosca ossigeno e legittimazione, Nuova Delhi dà il messaggio che non accetta le imposizioni americane e che ha amici influenti.
Finora Pechino ha ottenuto un successo di comunicazione, utile a rafforzare la sua credibilità nel Sud globale e a giocare di sponda verso l’India. Più tattica che strategia: abbondano formule vaghe, come la banca di sviluppo SCO. Ma il messaggio più potente è l’immagine dei tre leader, Xi, Putin e Modi, che si stringono la mano, plastica rappresentazione di un’intesa di convenienza.
Il bilaterale Putin–Xi merita attenzione.
Pechino ha ridotto i timori, cresciuti dopo l’incontro Putin-Trump ad Anchorage, di un possibile “passo di tango” russo con Washington. Il prezzo è l’accordo sul gasdotto Power of Siberia 2: finora rimandato -Pechino non voleva accrescere la sua dipendenza energetica- ora vero ossigeno finanziario e legittimazione di un grande investimento per Mosca. In questo quadro, il rapporto russo-cinese è una convergenza funzionale: un matrimonio di convenienza.
L’India è il perno: colpita dai dazi americani, conserva energia russa scontata e segnala che non è vassallo di nessuno. Paese fondamentale per contenere la Cina è proprio Washington a spingerla verso Pechino. Per questo Nuova Delhi manifesta prudenza strategica: si avvicina senza allinearsi, mantenendo opzioni aperte.
L’Ucraina è la grande assente/presente. Paradossalmente la dichiarazione finale, approvata anche da Mosca, parla di integrità territoriale e rispetto della sovranità, ma non cita Kiev. L’assenza dice più di molte frasi: una parte del mondo ha normalizzato la guerra. Finché grandi acquirenti assorbono greggio e raffinati russi, la leva sanzionatoria non è decisiva.
Per l’Europa il dilemma è triplice. Primo: sanzioni. Senza consenso globale, la “massima pressione” sulla Russia è indebolita. Secondo: strumento diplomatico. Mentre Bruxelles insiste su “condanna + sostegno a Kiev”, altri Paesi costruiscono piattaforme che reinseriscono Mosca. Terzo: autonomia strategica.
Se Washington sceglie dazi e logica transazionale, l’UE deve decidere se appiattirsi o costruire un’offerta autonoma verso India e Sud Globale. L’Europa dispone ancora di tre asset decisivi- mercato, standard, affidabilità regolatoria -ma deve
smettere di proclamarli: vanno resi vantaggi concreti.
Con l’India significa investimenti e co-sviluppo; con Mediterraneo e Africa beni pubblici visibili -corridoi per grano, fertilizzanti, energia- invece di annunci. Solo così si risponde a Tianjin con una contro-tesi credibile: multipolarità ordinata, non antioccidentale.
Qui emerge il nodo americano. L’incertezza sparsa a piene mani dagli Stati Uniti -guerre tariffarie, oscillazioni diplomatiche e assenza di visione- permette alla Cina di federare le insoddisfazioni. Mentre Trump offre dazi e instabilità, Pechino propone governance globale, multilateralismo e stabilità.
La “Iniziativa per la Stabilità Globale”, lanciata a Tianjin, ancora generica ma affiancata ad altre iniziative cinesi su sicurezza, sviluppo e civiltà, mostra l’ambizione di Xi di costruire un quadro di multipolarità ordinata. È questa ambizione -contrapposta a una visione americana miope e tattica- che fa della Cina il catalizzatore delle frustrazioni altrui.
Tianjin e la parata del 3 settembre istituzionalizzano una multipolarità pragmatica che premia chi porta soluzioni e punisce chi esporta incertezza.
Tianjin ci dice che il mondo non è ancora multipolare per capacità, ma lo è già per opzioni. Cina e Russia usano la loro intesa per limitare il primato occidentale, e l’India sfrutta questa competizione per rafforzare la propria autonomia. Finché questi tre attori resteranno legati dall’interesse, l’Occidente non potrà più imporre da solo le regole del gioco.
Ettore Sequi
per “La Stampa”
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