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IN PRIMAVERA SCADONO I VERTICI DELLE GRANDI PARTECIPATE PUBBLICHE CHE DOVRANNO GARANTIRE FEDELTA’ E POTERE VERO NEI TRE ANNI A VENIRE: MELONI, MANTOVANO E IL KINGMAKER FAZZOLARI GIÀ PRONTI PER LA CONFERMA PER MOLTI AD E LA SOSTITUZIONE DI QUASI TUTTI I PRESIDENTI

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

A LEONARDO, SE CINGOLANI RESTA, PONTECORVO SALTA (ARRIVA IL GENERALE FIGLIUOLO?)… ALL’ENI DESCALZI È DESTINATO AL QUINTO MANDATO. IN BILICO ZAFARANA, “INGUAIATO” DAL CASO STRIANO, AL CUI POSTO MIRANO ALTRI DUE GENERALI DELLA FINANZA (L’EX CAPO DELL’AISE, LUCIANO CARTA, E L’USCENTE ANDREA DE GENNARO), A CUI SI AGGIUNGE LA GRANDE DISOCCUPATA ELISABETTA BELLONI –IN ENEL CATTANEO SAREBBE BLINDATO, MENTRE SCARONI SI TROVA ORFANO DI SPONSOR – CONFERMA PER L’AD DI POSTE, DEL FANTE (NEL CASO DI UN SUO IMPROBABILE TRASLOCO A GENERALI, GIUSEPPE LASCO PRENDEREBBE IL SUO POSTO) – IN APRILE SCADONO ANCHE I VERTICI DI MPS. ALLA PRESIDENZA SBARCA IL PREDESTINATO GRILLI MENTRE L’AD LOVAGLIO CON BUONE PROBABILITÀ NON VERRÀ RICONFERMATO. CALTAGIRONE E GIORGETTI STANNO CERCANDO UN PROFILO DIVERSO: I TRE NOMI CHE SI FANNO SONO L’EX AD MORELLI, DEL FANTE OGGI A POSTE E MICILLO DI INTESA

La scadenza dei vertici delle grandi partecipate pubbliche è tra cinque, sei mesi, ma a Roma e Milano nei salotti economici e politici non si parla d’altro già da settimane.
Quelle della primavera 2026 sono nomine decisive, perché saranno le ultime che farà il governo Meloni prima del voto del 2027: piazzare amministratori delegati, consiglieri e presidenti capaci (e fedeli) in Eni, Enel, Leonardo, Poste, Terna e Snam garantirà potere vero nei tre anni a venire, anche in caso – per ora remoto – di sconfitta elettorale alle politiche.
L’intreccio di manager e civil servant, poi, incrocerà con ogni probabilità la coda del risiko bancario appena terminato: in aprile scadono anche i vertici di Monte dei paschi di Siena, la banca controllata dalla famiglia Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone e (a meno del 5 per cento) dal Mef.
A Domani risulta che Luigi Lovaglio, l’ad che ha guidato la scalata vittoriosa a Mediobanca, con buone probabilità non verrà riconfermato. Caltagirone e Giancarlo Giorgetti stanno cercando un profilo diverso – i tre nomi che si fanno sono l’ex ad Marco Morelli, Matteo Del Fante oggi a Poste e Mauro Micillo di Intesa – che dovrà poi trattare la possibile uscita anticipata di Philippe Donnet da Generali.
Pontecorvo a rischio
I decisori saranno le sorelle Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano per FdI, Matteo Salvini e Giorgetti per la Lega, Antonio Tajani e la famiglia Berlusconi per Forza Italia, e la linea è semplice: conferma per molti amministratori delegati, sostituzione di quasi tutti i presidenti. Al colosso della difesa e degli armamenti Leonardo, l’ad Roberto Cingolani verrà confermato.
Non solo perché la patrimonializzazione è decollata (causa guerre), e pure nell’ultimo semestre sono in crescita tutti i
fondamentali (ordini, ricavi Ebitda), ma perché Cingolani si è conquistato, oltre la stima assoluta di Meloni (che l’ha voluto lì due anni e mezzo fa), anche quella del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in precedenza gli avrebbe preferito Lorenzo Mariani, eterno delfino che difficilmente riuscirà a breve a fare il salto.
Situazione diversa si profila per il presidente Stefano Pontecorvo, dato in uscita. FdI non ha apprezzato il recente attivismo verso aspirazioni politiche per altri partiti. Crosetto è rimasto infastidito da alcune sue presunte interlocuzioni con esponenti di Forza Italia (in primis l’eurodeputato Fulvio Martusciello) per ottenere un seggio in parlamento alle prossime politiche. Lui nega il fatto, ma la sua permanenza è assai improbabile.
Cercasi presidente
All’Eni Claudio Descalzi è destinato a un quinto e storico mandato al comando del colosso energetico. Il rapporto con il governo è solidissimo. Nessuno ha intenzione di spostarlo da una casella ritenuta centrale per l’economia nazionale e la geopolitica. Non tutti, però, remano a suo favore: contro l’ad di Eni da più di un anno è partita una guerriglia a base di disinformazione.
Era stata fatta circolare la voce (falsa) di gravi problemi di salute, per indebolire una sua nuova candidatura. Descalzi non ha presentato esposti in procura (alcuni amici gli avevano invece suggerito di farlo), ma investigazioni incrociate avrebbero individuato le manine che hanno propalato nelle stanze dei bottoni la fake news: «Soggetti – dicono fonti accreditate Domani – che ne vorrebbero prendere il posto. Meloni sa che è tutto falso».
In Eni è invece in bilico il presidente Giuseppa Zafarana, ex generale della Guardia di Finanza. Suo malgrado è finito da tempo nel tritacarne giudiziario e mediatico del caso-Striano. Il procuratore antimafia, Giovanni Melillo, con una nota al pm Raffaele Cantone (che ha coordinato le indagini in cui sono indagati anche tre cronisti di questo giornale) ha tirato in ballo l’ex comandante e il generale, Umberto Sirico, ricordando un pranzo a tre in cui gli fu sponsorizzato l’allora luogotenente della Dna, Striano.
Una lettera che ha scatenato i dubbi e i complottismi della maggioranza contro Zafarana (mai ovviamente indagato, ma Salvini lo vede comunque come fumo negli occhi) e che segnerà – se la procura di Roma non dovesse presto chiarire ogni aspetto della vicenda – la fine della sua esperienza in Eni.
In molti sanno che la ricca poltrona (stipendio da circa 700mila euro l’anno) si libererà presto. A preparare la propria candidatura è un altro generale della finanza, Luciano Carta, ex direttore dell’Aise ed ex presidente di Leonardo, dove ha però fatto un solo mandato.
La sua stella è caduta in disgrazia per i cattivi rapporti con Crosetto, né lo ha aiutato la scelta, del maggio 2023, di essere presentato da Vivendi come consigliere in Tim. Inaccettabile per i sovranisti che l’ex capo dei servizi italiani potesse lavorare con i francesi.
Negli ultimi mesi, dicono a Domani, Carta ha riallacciando i contatti con Fazzolari e ancora di più con Mantovano, che ha
voce in capitolo sulle nomine riguardanti equilibri di sicurezza e geopolitici. La sua promozione resta tra le più improbabili.
Qualcuno aveva pensato a Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise, ma la sua scadenza è ancora lontana. Mantovano e Meloni, poi, non intendono privarsi del suo expertise anzitempo.
Dunque, sono due i nomi in pole per l’Eni. In primis, il capo della Gdf Andrea De Gennaro, che scade dal suo incarico proprio nella primavera dell’anno prossimo, e che ha puntato da qualche mese sull’Eni ritenendo quasi impossibile la proroga di un anno. Altro nome è quello di Elisabetta Belloni, grand commis con un curriculum ad hoc per il Cane a sei zampe.
Ma arriva da un annus horribilis. Prima le dimissioni dalla direzione del Dis, per l’incrinatura dei rapporti con Palazzo Chigi, poi la breve parentesi al fianco della presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen: resta ancora un mistero il motivo dell’addio-lampo come consulente a Bruxelles.
Tuttavia, c’è chi valuta Belloni come una soluzione plausibile alla presidenza di Leonardo, anche se la sua vicinanza con Mario Draghi, in questa fase non in buoni rapporti con Meloni&co., ne rende difficile il “recupero” in qualsiasi partecipata.
Tra energia e banche Anche in Enel il presidente dovrebbe cambiare. Paolo Scaroni non dovrebbe essere confermato. I dante causa della sua candidatura sono stati, nel 2023, Silvio Berlusconi e Gianni Letta.
Oggi il Cavaliere non c’è più, difficilmente Letta e Tajani riusciranno a imporlo di nuovo. Ma FI ha fatto sapere che un presidente tocca al partito: nella spartizione non vuole prendere le briciole. A Enel (o Poste) infatti sta pensando Nicola Maione,
presidente di Mps espressione della Lega: non dovesse rimanere a Rocca Salimbeni, difficilmente Salvini – dopo l’operazione Mediobanca – lo lascerebbe appiedato. Anzi. Per lui è prevista una promozione.
A differenza di Scaroni, il ceo di Enel Flavio Cattaneo è in una botte di ferro. Arrivato con la targa di salviniano, Meloni e Giorgetti stanno apprezzando il lavoro sul ridimensionamento del debito monstre dell’azienda elettrica. Solo che Cattaneo, stimatissimo da Caltagirone, è in lizza per la sedia di Donnet in Generali.
Insieme ad altri due manager di peso come Fabrizio Palermo di Acea (anche lui amico di Caltagirone, che l’ha sponsorizzato con il sindaco di Roma ,Roberto Gualtieri) e, di nuovo, Del Fante. Solo in caso di salto in Generali, dunque, Cattaneo lascerà Enel. Un salto per cui tifa anche Stefano Donnarumma, ad di Fs che non è in scadenza, ma che punta già in primavera a muoversi o a Enel o in Leonardo, quest’ultima ambizione realizzabile solo con un mezzo miracolo.
I postini suonano due volte
Anche a Terna non sono previsti cambiamenti al timone: Giuseppina Di Foggia, nel 2023 scelta personalmente da Meloni e “bollinata” da Giorgetti, potrebbe spostarsi solo per un incarico prestigioso come contropartita: qualcuno sostiene che lei – che viene da Nokia –sogni la poltrona di ad di Tim, su cui oggi è seduto Pietro Labriola.
Il manager ha però salvato l’azienda da un quasi fallimento e portato a dama l’operazione della rete, sembra saldo al timone
almeno fino alla scadenza del 2027: i nuovi azionisti di
maggioranza di Poste, guidata dall’ad Del Fante e dal direttore generale Giuseppe Lasco, non hanno intenzione di privarsene.
La coppia guida Poste da nove anni: con buone probabilità verrà riconfermata anche nel 2026 per un quarto mandato. Il governo vuole che i due rilancino la compagnia appena scalata.
Solo se Del Fante andasse in Mps o Generali i due si dividerebbero. A quel punto potrebbe essere proprio Lasco, ex finanziere, a diventare il nuovo ad. Anche perché, come ha già detto a Palazzo Chigi, non accetterebbe di fare il secondo a nessuno.
(da “Domani”)

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“DOMANI” SOLLEVA DUBBI SUI 340 MILA EURO CHE “CONDOTTE 1880” DELL’IMPRENDITORE VALTER MAINETTI HA BONIFICATO AD APRILE ALLA SOCIETÀ DI BROKERAGGIO “EUROPEAN BROKERS”, DOVE HA LAVORATO FINO A LUGLIO PIETRO URSO, FIGLIO DEL MINISTRO DEL MADE IN ITALY

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

“IL PAGAMENTO, SI LEGGE IN ALCUNE MAIL E CHAT, SAREBBE AVVENUTO SU ‘PRETESA’ DELL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DI CONDOTTE, CHE ERA STATA NOMINATA CON DECRETO DALLO STESSO URSO… COME HA FATTO EUROPEAN BROKERS, LA SOCIETÀ DOVE HA LAVORATO PIETRO URSO, A ENTRARE NELL’AFFARE? CHI L’HA PROPOSTA? ERA DAVVERO NECESSARIA LA SUA INTERMEDIAZIONE?”…LA VERSIONE DEL MINISTRO URSO: “MIO FIGLIO AVEVA SOLO UN CONTRATTO DA IMPIEGATO AMMINISTRATIVO”

Colossi del cemento, società di stato e compagnie di brokeraggio. Sullo sfondo commesse milionarie e conflitti di interessi. Questa è una storia che inizia nel 2018 e culmina nel 2025, con due ordini di bonifico.
Sette lunghi anni di una vicenda piena di ombre e stranezze che direttamente e indirettamente coinvolge il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, insieme a suo figlio Pietro, che fino a luglio ha lavorato per una srl, European Brokers, che tre mesi prima ha incassato 340mila euro da Condotte d’Acqua 1880.
Un’azienda acquisita e rilanciata dall’imprenditore Valter Mainetti dopo il fallimento del colosso a cui si devono opere come la Nuvola di Fuksas e il Mose di Venezia. L’operazione, si legge in alcune mail e chat visionate da Domani, sarebbe avvenuta su «pretesa» dell’amministrazione straordinaria di Condotte. Amministrazione straordinaria, ricordiamolo, nominata con decreto dallo stesso Urso.
Riavvolgiamo il nastro al tempo in cui Condotte d’Acqua è andata in crisi. Nel 2018 l’azienda è stata posta sotto amministrazione: la terna commissariale di allora (Giovanni Bruno, Matteo Ugetti e Gianluca Piredda) ha lavorato per salvare il salvabile della società che aveva fatto sì la storia delle infrastrutture in Italia, ma che era finita in profondo rosso, tanto che i vecchi proprietari rischiano un rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta.
Tra le azioni messe a punto dai vecchi commissari anche alcune transazioni finalizzate a salvaguardare un’importante commessa. Riguardante l’appalto dell’Alta velocità algerina, che Condotte ha vinto anni fa.
È proprio questo il progetto al centro della nostra storia. Le prime criticità tra ministero e commissari arrivano nel 2023, l’anno in cui si procede alla cessione dei vari rami aziendali, alcuni dei quali finiscono a Mainetti. È lui, due anni fa, ad acquisire la gran parte Condotte e a rilanciarla col nome di Condotte d’Acqua 1880.
Nel perimetro c’è anche la citata commessa algerina che ha un valore da centinaia di milioni di euro. Mainetti però ha presto, secondo quanto appreso da Domani, ad avere dei problemi di pagamenti con la stazione appaltante (algerina) del progetto sull’alta velocità.
Per sciogliere il nodo arriva in aiuto l’amministrazione straordinaria. Quest’ultima, con lo scopo dichiarato di consentire la continuità del cantiere in Africa, si sostituiscono di fatto a Condotte e ottengono il pagamento di alcune tranche per mandare avanti i lavori.
Nel 2024 – come raccontato già da questo giornale – i tre commissari vengono improvvisamente revocati dal ministro Urso, che perde fiducia nella gestione della terna. Che, come è noto, adisce alle vie legali e denuncia con un esposto il Mimit, allegando anche audio del capo di gabinetto di Urso, Federico Eichberg: i pm indagano da qualche mese sulla vicenda.
Intanto per Condotte arriva una nuova terna commissariale. Tra loro c’è pure un ex socio d’affari del ministro, il professionista Francesco Paolo Bello. I nuovi commissari con Mainetti hanno un approccio meno “dialogante”: decidono infatti di trattenere importi e interessi – per circa 20 milioni di euro liquidati dagli algerini – teoricamente spettanti a Condotte 1880.
Secondo alcuni documenti letti da Domani, però, i commissari lasciano una via d’uscita all’imprenditore che edita Il Foglio: per vedersi sbloccata la somma da parte dell’amministrazione, lui dovrà depositare una fideiussione di garanzia. È quello che avviene: Condotte 1880 paga sia 240mila euro a Sace spa, la società controllata dal Tesoro. E altri 340mila euro a un’azienda di brokeraggio, la European Brokers srl, per una polizza (numero 57480027) del 26 marzo 2025.
Per l’intermediazione European ottiene ad aprile da Mainetti un primo bonifico, da 260mila euro e un secondo, sempre a fine mese, di importo pari a 80mila euro.
Ma a cosa è servito il pagamento ad European Brokers? Non bastava pagare Sace? Lo abbiamo chiesto a Mainetti che ha detto di «non sapere di chi si tratta: l’operazione non è stata seguita direttamente da me».
Quello che è certo è che nella srl ha lavorato fino a tre mesi fa il figlio del numero uno di Palazzo Piacentini: Pietro Urso. Classe 1981, Urso jr oggi è socio unico e presidente del cda della Iws Italy World Services, società di consulenza e lobbing che fornisce supporto nel settore assicurativo.
Prima, lavorava proprio per la European Brokers, che fa capo a Carlo De Simone, il manager nominato dalla destra genovese e dall’ex sindaco Marco Bucci subcommissario per la ricostruzione di Genova. Una nomina che creò polemiche politiche, visto che De Simone era stato da poco rinviato a giudizio per turbativa d’asta a Trento nella vicenda della costruzione di un ospedale.
De Simone, oltre a essere stato datore di lavoro di Urso jr, ha rapporti anche col ministro: a guardare il suo Instagram, si è spesso trovato a partecipare a incontri ufficiali e ristretti al ministero delle Imprese e del Made in Italy, alla presenza di Urso in persona. Professionista rampante, dal curriculum folto, è in ascesa da tempo: solo nel 2022 la sua European Brokers ha fatturato oltre 5 milioni di euro, con un utile di quasi 390mila euro. Nel 2025, poi, sono arrivati i bonifici di Mainetti per l’operazione “Algeria”.
In una delle mail lette da Domani che descrive l’operazione, Condotte 1880 scrive: «L’amministrazione straordinaria non ha fatto nessun passo avanti sulla trattativa delle riserve e degli interessi spettanti alla società. Condotte 1880 avrebbe dovuto ricevere velocemente dall’Algeria 60 milioni di riserve e 20 milioni di interessi. Invece l’amministrazione straordinaria ha preteso una garanzia Sace pari a 580mila euro».
Nella somma è compresa anche la cifra bonificata alla srl di De Simone. Ma come ha fatto European Brokers, la società dove ha lavorato Pietro Urso, a entrare nell’affare? Chi l’ha proposta? Era davvero necessaria la sua intermediazione?
Se Mainetti ha detto a questo giornale di «non saperne niente» della srl, De Simone al contrario ha detto che «European Brokers, tramite un intermediario segnalatore, ha avuto rapporti con Mainetti sin dal 2018». Il ceo ha tenuto anche a specificare che la sua azienda è entrata in contatto con Mainetti «ben prima che Pietro Urso avesse rapporti con la società».
Aggiungendo che «Pietro Urso ha lavorato per un periodo di tempo nella società non occupandosi di attività commerciali o assicurative». Anche il ministro Urso ha risposto a Domani e ha affermato di non avere «alcuna conoscenza della vicenda perché attiene ai rapporti tra Condotte 1880 e Sace» e che suo figlio «da European Brokers aveva un contratto da impiegato amministrativo e non di natura commerciale o assicurativo».
Sarà, ma la vicenda dei bonifici fatti da Mainetti ha certamente un profilo di evidente conflitto di interessi. Come già accaduto per l’assunzione da parte di Urso di Mario Melillo a capo della segreteria. Non tanto perché era procuratore di Sace, ma perché azionista di Pietro Urso nella Next World Agency, società ora in liquidazione.

(da “Domani”)

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OGGI IN ARGENTINA SI TENGONO LE ELEZIONI DI METÀ MANDATO. E POSSONO TRASFORMARSI IN UNA DEBACLE PER IL PRESIDENTE ULTRALIBERISTA, CHE AVEVA PROMESSO DI CAMBIARE IL PAESE A COLPI DI “MOTOSEGA”

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

I CONSENSI DI MILEI SONO CROLLATI, MENTRE IL PAESE CONTINUA A VIVERE IN CRISI COSTANTE. PESANO L’INFLAZIONE GALOPPANTE E I CASI DI CORRUZIONE NEL SUO GOVERNO. E TRUMP HA VINCOLATO L’AIUTO DI 20 MILIARDI DI DOLLARI ALLA VITTORIA DI MILEI

«Ho votato per Javier Milei perché ero stufa dell’inflazione alle stelle e della corruzione. Ma stavolta non sceglierò il suo partito», dice Vera, chimica argentina di 34 anni che vive e lavora a Buenos Aires. Oggi in Argentina si tengono le elezioni di metà mandato, con cui si rinnova metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato. Il risultato è fondamentale per il futuro dell’attuale presidente, l’ultraliberista Javier Milei, che aveva promesso di cambiare il Paese a colpi di “motosega”.
Queste elezioni infatti sembrano essersi trasformate in una votazione popolare per valutare la gestione del governo di estrema destra e perfino Donald Trump si è espresso in merito, vincolando l’aiuto economico Usa all’esito del voto.
Purtroppo per il partito di Milei sono però sempre di più gli argentini che, come Vera, si dichiarano pentiti del sostegno del 2023. La popolarità del presidente, che si è sempre mantenuta alta e stabile, è in calo. Secondo i sondaggi il suo partito, La Libertad Avanza, dovrebbe ottenere il 36,7% dei voti, contro il 34,8% della coalizione peronista, Fuerza Patria, principale opposizione.
Davanti a una delle centinaia di Casas de cambio che convertono il peso argentino in altre valute straniere, i cartelli mostrano il dollaro in crescita e il peso in caduta.
Milei arriva al voto in una situazione difficilissima. Nel giro di pochi mesi ha richiesto due aiuti finanziari per sostenere il valore del peso argentino e contenere l’inflazione – sei mesi fa un prestito da 20 miliardi di dollari al Fondo monetario internazionale, e due settimane fa l’avvio, annunciato da Trump, di un piano economico di altri 20 miliardi di dollari destinato a sostenere il peso attraverso massicci acquisti di valuta.
Trump lo ha vincolato alla vittoria di questa domenica
A testimoniare la crescita dei cittadini pentiti c’è anche il profilo “Arrepentidos de Milei”, seguito da centinaia di migliaia di persone su Twitter e Instagram, che raccoglie i messaggi di chi si dice deluso dall’attuale governo. Tra le principali cause della perdita di fiducia c’è la corruzione, che era stato un tema cardine della campagna elettorale di Milei ma che ora gli si è rivoltato contro.
Quest’anno infatti il governo è stato travolto da tre scandali: una truffa legata a una criptovaluta crollata di valore, le accuse di tangenti alla potentissima sorella del presidente, Karina, e le dimissioni a inizio ottobre di José Luis Espert, il principale candidato di Milei a Buenos Aires, dopo aver ammesso di aver ricevuto 200mila dollari da un narcotrafficante. Ma non solo: a pochi giorni dal voto si sono dimessi due ministri importanti, quello della Giustizia, Mariano Cúneo Libarona, e quello degli Esteri, Gerardo Werthein.
Secondo la Fundación para el Desarrollo Humano Integral, da quando Milei è al potere oltre 170mila persone hanno perso il lavoro, due terzi nel settore privato. Le sue politiche hanno ridotto l’inflazione, ma i tagli hanno colpito duramente la classe
media e quella bassa. La spesa nei supermercati è calata del 9%, la richiesta è raddoppiata e l’uso delle carte di credito triplicato. Il 70% delle famiglie esaurisce lo stipendio già a metà mese.

(da agenzie)

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NETANYAHU CROLLA NEI SONDAGGI TRA GLI ELETTORI ISRAELIANI: LA TREGUA NON HA PLACATO GLI ANIMI DI CHI VOLEVA GLI OSTAGGI IN FRETTA A CASA E GLI ELETTORI DI ULTRA DESTRA NON GLI PERDONANO DI ESSERSI FATTO IMBRIGLIARE DA TRUMP, CHE IMPEDIRÀ L’ANNESSIONE DELLA CISGIORDANIA

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

“THE DONALD” NON HA INTENZIONE DI FAR SALTARE L’ACCORDO, NON SI FIDA DEL LEADER ISRAELIANO E INVIA SU GAZA DRONI CHE TENGANO D’OCCHIO GLI ISRAELIANI

I sondaggi restano incerti e in questi vent’anni al potere nessun politico è stato più disinvolto di Benjamin Netanyahu nel muoversi tra gli umori degli elettori. Eppure due scenari sembrano definirsi: la coalizione del primo ministro perderebbe la maggioranza, anche se il suo Likud non verrebbe punito quanto sarebbe prevedibile dopo il disastro del 7 ottobre del 2023.
Mentre Benny Gantz — l’ex capo di stato maggiore entrato in parlamento come la speranza del centro — resterebbe fuori: pagherebbe le troppe volte in cui ha dato il suo appoggio a Bibi, lui che avrebbe dovuto esserne la nemesi. Favorevole all’opposizione è la ricerca presentata da Canale 12 : prevede più seggi per il ritorno di Natfali Bennett e un balzo dei Democratici di Yair Golan, di fatto il nuovo partito laburista.
Il più popolare nel Paese è ormai però Donald Trump, che continua a presentarsi in Medio Oriente
«La forza internazionale entrerà presto a Gaza», annuncia. Ma poi minaccia: «Hamas dovrà iniziare a restituire rapidamente i corpi degli ostaggi deceduti, compresi due americani, altrimenti gli altri Paesi coinvolti in questa grande pace interverranno». Comunque l’andirivieni dei suoi consiglieri per tutta la settimana ha confermato quello che gli israeliani già immaginavano: la Casa Bianca non si fida di Netanyahu.
Così dal centro di coordinamento allestito poco lontano dalla Striscia i soldati americani lanciano in volo i droni sopra la Striscia per monitorare il rispetto della tregua, sempre instabile: Tsahal — annunciano i portavoce — ha eliminato un miliziano della Jihad Islamica «che preparava attacchi». Il Pentagono punta gli occhi elettronici soprattutto su Hamas, sulle spedizioni punitive — con esecuzioni sommarie — contro rivali e oppositori. Nella base a Kyriat Gat operano militari di diverse nazioni e da qualche giorno anche un generale italiano. Sempre
più instabile è pure la situazione in Cisgiordania dove i coloni continuano ad assaltare i palestinesi durante il periodo della raccolta delle olive: hanno dato fuoco a case e auto, sparato contro chi fuggiva.
A rendere più complesso lo sgombero delle macerie è la presenza di migliaia di ordigni: le organizzazioni umanitarie avvertono che ci vorranno «20-30 anni per ripulire». Israel Katz, il ministro della Difesa di Israele, calcola che «il 60% dei tunnel» scavati dai jihadisti è intatto e «la loro distruzione è una priorità».
La pressione americana ha spinto Netanyahu a dare il via libera all’ingresso nella Striscia per un gruppo di egiziani che assisterà nella ricerca dei corpi degli ostaggi israeliani.
Ne restano 13: Hamas ha segnalato che ne avrebbe individuati altri 2, all’inizio della tregua erano 28. Gli egiziani devono compiere anche le prime stime per la ricostruzione, l’Onu avverte che gli aiuti non sono ancora sufficienti per sfamare la popolazione, in due anni di guerra sono stati uccisi 68 mila palestinesi.

(da Corriere della Sera)

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LA LEGA AL CONTRARIO: SALVINI AVEVA ASSICURATO CHE I MEMBRI DEI TEAM DI VANNACCI NON SAREBBERO ENTRATI NELLE LISTE DEL CARROCCIO PER LE REGIONALI. MA IN VENETO È ACCADUTO CHE QUATTRO CANDIDATI LEGHISTI SI SONO ISCRITTI ALL’ASSOCIAZIONE “IL MONDO AL CONTRARIO”, AGGIRANDO COSÌ IL DIVIETO DEL SEGRETARIO

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

SI TRATTA DI GIULIO CENTENARO, STEFANO VALDEGAMBERI, MILENA CECCHETTO E SILVIA SUSANNA… “IL FOGLIO”: “MENTRE A ROMA LA LEGA DISCUTE DI COME CONTENERE IL FENOMENO VANNACCI, IN VENETO LO ABBRACCIA PER OSMOSI. E’ FORSE LA NUOVA FORMA DELL’AUTONOMIA: NON PIÙ FISCALE O AMMINISTRATIVA, MA SPIRITUALE. L’AUTONOMIA DALLO STESSO SALVINI”

I vannacciani non possono candidarsi nelle liste della Lega? Ecco allora che i leghisti si iscrivono all’associazione di Roberto Vannacci. Dove il generale fonda un’associazione, i candidati della Lega fanno la tessera.
In Veneto, raccontava ieri il Gazzettino, sono quattro: Giulio Centenaro, Stefano Valdegamberi, Milena Cecchetto e Silvia Susanna. Tutti regolarmente candidati della Lega alle regionali venete, tutti leghisti tesserati, e tutti neosoci di “Il mondo al contrario”, la creatura culturale (e potenzialmente politica) del generale più discusso del partito padano […]
Il paradosso è evidente: Matteo Salvini aveva giurato che i “vannacciani” non sarebbero entrati nelle liste, e invece le liste entrano nei team. Il generale, che pure aveva promesso di non fare il “partito nel partito”, adesso lo ritrova già fatto.
Zeppo di amministratori locali, sindaci, consiglieri e militanti della Lega pronti a spiegare che “non c’è incompatibilità”, che “è solo un’associazione culturale”, che “condividono alcune idee ma non tutte”.
Mentre a Roma la Lega discute di come contenere il fenomeno Vannacci, in Veneto lo abbraccia per osmosi. E’ forse la nuova forma dell’autonomia: non più fiscale o amministrativa, ma spirituale. L’autonomia dallo stesso Salvini.

(da Il Foglio)

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INTERVISTA ALL’EX PROCURATORE MENDITTO: “VIOLENZA SULLE DONNE E’ COME LA MAFIA, SERVE INTRODURRE UN NUOVO REATO”

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

“IN COMUNE IL POTERE DI INTIMIDAZIONE E L’OMERTA’ DELLA VITTIMA”

“Il problema di oggi in Italia è che non abbiamo un vero delitto di violenza domestica”. Francesco Menditto, fino allo scorso settembre procuratore di Tivoli, a Fanpage.it spiega la necessità
di dover introdurre questo nuovo reato nel codice penale. L’ex procuratore – che si occupa di beni confiscati alla mafia – sottolinea inoltre come l’uomo della criminalità organizzata e quello responsabile di violenza domestica siano molto simili. Ecco perché.
Propone il reato di violenza domestica: come lo descriverebbe? E secondo lei perché è necessario?
Il delitto di violenza domestica viene sollecitato dalla Convenzione di Istanbul del 2011 che definisce la violenza contro le donne un ‘fenomeno strutturale’ e si occupa di definire e contrastare la violenza ai danni delle donne e la loro discriminazione, imponendo la loro prioritaria tutela. C’è un organismo che controlla l’attuazione della Convenzione di Istanbul nei vari Stati che si chiama Grevio: nell’ultimo suo rapporto del 2021 propone di introdurre il delitto di violenza domestica. In Italia non lo abbiamo. Abbiamo il delitto di maltrattamenti, col quale vengono puniti gli episodi di violenza domestica.
Questo reato, che è stato introdotto nel 1930, faceva riferimento solo a maltrattamenti nei confronti dei familiari. Nel 2012 poi è stato modificato inserendo ‘contro familiari e conviventi’, introducendo quindi questo ultimo termine. Non c’è però una descrizione di cosa sono i maltrattamenti.
È stato definito dalla Corte di Cassazione: l’elemento certo sul quale la giurisprudenza non fa passi indietro è che questo reato viene considerato abituale. Ovvero che la persona accusata viene punita solo se è responsabile di più episodi. Questo vuol dire che i processi diventano complessi perché bisogna dimostrare che la donna è stata vittima di diversi episodi di violenza, violenza definita dalla convenzione di Istanbul e dalla cassazione come psicologica, fisica ma anche economica. Ecco perché sarebbe giusto introdurre il reato della violenza domestica.
Quali sarebbero quindi le caratteristiche del reato della violenza domestica?
Basta un solo episodio, una sola minaccia, una sola percossa, una sola lesione, una sola offesa al partner. Questo semplifica enormemente la prova e consente di dare subito tutela e andare rapidamente a processo. Quindi non costringiamo la donna a raccontare tutta la sua vita, a dettagliarla. La tuteliamo subito.
Le leggi che sono in vigore adesso sono sbagliate? Non sono sufficienti quindi?
Le leggi ci sono, ma devono essere però rese più facilmente attuabili. Sia chiaro, anche oggi condanniamo per i reati di maltrattamento, ma è molto complesso. Bisogna semplificare. Ovviamente occorre sempre preparazione e professionalità in questo settore da parte di tutti gli operatori. Ancora, è naturale che le leggi si possono sempre migliorare come sta venendo ora con la proposta di introdurre il delitto di femminicidio.
L’altro problema che bisogna porsi è: ma il reato di violenza domestica deve essere punibile a querela o deve essere punibile d’ufficio? Il singolo episodio deve essere perseguibile a querela perché dobbiamo lasciare alla persona offesa la decisione di rivolgersi o meno al un giudice penale. Vanno però, previste delle aggravanti: come se è commesso o percepito dal minore oppure se ci sono più episodi, allora va prevista una pena più elevata e procedere d’ufficio.
Secondo lei funziona il braccialetto elettronico?
Il braccialetto elettronico per i reati di violenza di genere e ai danni delle donne era facoltativo dal 2013 e veniva applicato poco. Circa 25 in un mese. Dopo la legge Roccella del 2023 è diventato obbligatorio e ha imposto la distanza delle divieto di avvicinamento minima di 500 metri. Siamo passati così ad attivarne 600 al mese. Il problema è che, una volta che sono aumentati, occorreva anche maggior numero, monitoraggio e
software più efficaci. Tutto questo ha comportato numerose criticità: spesso erano un numero non sufficiente (per contratto andavano applicati entro 4 giorni, ma si attendeva anche 20 giorni), suonavano inutilmente gli allarmi oppure gli apparecchi, forse poiché erano stati procurati velocemente, erano difettosi o la batteria si scaricava in poche ore. Con il tempo le criticità sono diminuite. Sono indispensabili.
Lei ha paragonato il responsabile delle violenze criminali all’uomo di mafia, cosa hanno in comune questi due criminali?
L’associazione di tipo mafioso si basa principalmente sul potere di intimidazione e sull’omertà della vittima e delle persone che le stanno intorno.
È esattamente quello che accade per la violenza domestica: c’è l’intimidazione da parte dell’uomo perché mette paura alla donna e al contesto che le sta intorno. E c’è anche omertà. La donna infatti ha paura di denunciare, così come tutto l’ambiente circostante non denuncia. Si ha paura. È un’omertà strutturale perché si tende comunque a tutelare l’uomo o a pensare che bisogna tutelare la famiglia. Quindi questa omertà e questo potere di intimidazione corrisponde esattamente a quello mafioso.
L’altro elemento comune è l’altissimo tasso di recidiva. Nelle associazioni mafiose c’è un tasso di recidiva di oltre il 90 cento. Me ne sono occupato per tanto tempo, in particolare nella confisca dei patrimoni criminali: se viene arrestato il capoclan, questo dal carcere cercherà di fare i famosi pizzini e controllare lo stesso il territorio. Il clan sarà governato dal figlio, dal nipote e continuerà l’attività criminale. Quando il capoclan sarà scarcerato continuerà la sua attività criminosa.
Nel settore della violenza ai danni delle donne c’è un tasso di recidiva – calcolato da una relazione della commissione femminicidio della passata legislatura, quindi qualcosa di
concreto – dell’85 per cento.
Quindi questo è l’altro elemento che ci fa capire che, come nella criminalità organizzata, c’è bisogno di un’attenzione continua per evitare che sia reiterato il crimine, anche dopo il carcere. La stessa cosa deve accadere per la violenza domestica.
La nostra esperienza ci dimostra che anche dopo il carcere gli stessi uomini tentano nuovamente di esercitare violenza nei confronti della stessa donna oppure verso un’altra donna esercitano ugualmente altra violenza.
Come succede nei casi che riguardano mafiosi, lei suggerisce di togliere il patrimonio agli uomini responsabili di violenza domestica….
Va precisato che se un uomo picchia una donna non è che gli possiamo togliere il patrimonio. Come prevede il disegno di legge sul femminicidio, si potrebbero però confiscare tutti gli strumenti che ha utilizzato per commettere la violenza: per esempio il computer, il cellulare, la macchina con cui ha tentato di investire la donna o con cui faceva gli appostamenti. Quindi in questo senso diciamo anche il patrimonio lo possiamo toccare.
Bisognerebbe anche pensare di intervenire sul patrimonio degli uomini che non pagano gli alimenti alle mogli e ai figli quando invece il giudice lo ha stabilito nella separazione. Noi siamo invasi dalle denunce delle donne, siamo invasi di casi di uomini che fanno di tutto per non pagare: al più vogliono dare i soldi direttamente ai figli e non alla madre perché pensano che la donna non li debba avere. Allora io suggerisco di prevedere la confisca obbligatoria: ogni volta che un uomo non paga un alimento bisogna fare delle indagini patrimoniali obbligatorie da parte della Guardia di Finanza, in grado di scoprire le molteplici attività di occultamento del patrimonio, e prevedere il sequestro obbligatorio.

(da Fanpage)

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VIOLENZA SULLE DONNE, NEI GUAI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI BOLZANO DI FRATELLI D’ITALIA

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

LE LITI CON LA MOGLIE, LE URLA E LE DENUNCE PER VIOLENZA CHE LO HANNO SBATTUTO FUORI DI CASA: ORA RISCHIA IL BRACCIALETTO ELETTRONICO

È scattato il Codice Rosso per il presidente del Consiglio comunale di Bolzano, Carlo Vettori. Il 43enne è stato denunciato dalla moglie per violenza domestica, come riporta il Corriere dell’Alto Adige. L’esponente di Fratelli d’Italia, uscito dalla Lega in contestazione con Matteo Salvini, ha il divieto di avvicinarsi a sua moglie e ha dovuto lasciare la casa in cui vivevano, così come previsto dalle norme a tutela delle donne vittima di violenza o maltrattamenti. La sua posizione potrebbe aggravare, con l’introduzione del braccialetto elettronico. A carico di Vettori, infatti, ci sarebbero altre denunce oltre a quella partita dalla moglie nei giorni scorsi.
Lo scorso lunedì ci sarebbe stata l’ennesima lite nella coppia, in
fase di separazione. Discussione nata perché la moglie di Vettori avrebbe passato il fine settimana fuori di casa. I vicini hanno sentito urlare dalla casa, hanno quindi chiamato la polizia nel timore che la lite potesse degenerare in violenza.
La moglie di Vettori si è fatta visitare in ospedale, dove le è stata data una prognosi di un solo giorno. Il referto non aveva dato riscontri a lesioni particolari da far partire una denuncia d’ufficio. È stata lei stessa a presentare querela alla polizia. In commissariato, la donna ha detto che a inizio settimana aveva subìto una violenza da parte del marito. Quella denuncia si andava ad aggiungere all’episodio già segnalato alle forze dell’ordine nel 2020.
Da parte sua, Vettori non ha voluto commentare la vicenda. Assistito dagli avvocati Gabriele Repetto e Loredana Pistoia, il politico avrebbe confidato a chi lo conosce bene che la discussione non è mai degenerata in violenza fisica. Alla questura però sono bastate le parole della donna, così da far scattare i provvedimenti del Codice Rosso nei confronti di Vettori.

(da agenzie)

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BEATRICE VENEZI, IL TEATRO COLON DI BUENOS AIRES NON RINNOVA IL SUO INCARICO A DIRETTRICE OSPITE

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

PIOVONO INSULTI SUI SOCIAL, IL TEATRO LA FENICE CHIUDE I COMMENTI CRITICI ALLA VENEZI

Il Teatro La Fenice di Venezia prova a mettere un argine alla bufera che da giorni accompagna il nome di Beatrice Venezi, nominata direttrice musicale della Fondazione. Dopo settimane di polemiche e insulti, la direzione ha deciso di limitare i commenti sui social. Saranno cancellati tutti quelli «offensivi, volgari o non attinenti ai post pubblicati», come riporta il Corriere. La misura è stata adottata dopo che, sotto i post dedicati alle attività del teatro, erano comparsi centinaia di messaggi denigratori, compresi insulti personali e bestemmie rivolte alla musicista.
«Non si tratta di censura – spiegano dalla Fenice – ma di un modo per evitare che la discussione degeneri». I commenti più pesanti, fanno sapere, sono stati fotografati e segnalati prima della rimozione.
Il conflitto interno
Le tensioni attorno al nome di Venezi non si limitano al web. All’interno del teatro resta aperto lo scontro tra le maestranze e la direzione. Dopo lo sciopero del 17 ottobre, i lavoratori hanno rinnovato la richiesta di dimissioni del sovrintendente Nicola Colabianchi. Le accuse si intrecciano con il duro confronto tra i sindacati e il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, presidente della Fondazione. Il primo cittadino aveva definito la protesta «irrispettosa verso il pubblico e violenta nei confronti di Venezi». I musicisti erano stati invitati a collaborare e a «non opporsi ai concerti all’aperto di Natale». La replica non si è fatta attendere. In una nota, la Rsu del teatro ha criticato le parole di Brugnaro. Il sindaco avrebbe ridotto la cultura «a colonna sonora dello shopping natalizio» e sottovaluterebbe le richieste dei lavoratori. «Se pensa che manifestare sia una gentilezza e non un diritto, si commenta da sé», scrivono i rappresentanti.
Il caso del Teatro Colón di Bueno Aires
Intanto, dall’Argentina, arrivano novità sul fronte artistico. Il
Teatro Colón di Buenos Aires ha nominato Alejo Pérez nuovo direttore musicale, mentre, secondo alcune testate locali, Beatrice Venezi dovrebbe concludere a fine anno il suo incarico come direttrice ospite. Un articolo del quotidiano La Nación ha ricostruito la sua presenza al Colón come una nomina favorita dall’ambasciata italiana, anche grazie ai contatti con ambienti vicini al governo di Giorgia Meloni.
Il caso Venezi oggetto di un’interrogazione parlamentare
La vicenda è ora oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata dal deputato del Movimento 5 Stelle Gaetano Amato. Le opposizioni, intanto, attaccano la gestione del caso. «Mentre orchestra e personale chiedono ascolto – ha detto Monica Sambo del Pd – il sindaco sembra più interessato a garantire posti ai suoi in Fratelli d’Italia che a risolvere i problemi del teatro». Per Giovanni Andrea Martini di Tutta la Città Insieme, la vicenda pone un interrogativo politico più ampio: «Brugnaro parla da sindaco o da esecutore di decisioni prese a Roma?».

(da agenzie)

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GENOVA, 40 ESTREMISTI ASSALTANO NELLA NOTTE IL LICEO LEONARDO GRIDANDO “VIVA IL DUCE”, SPRANGHE E SVASTICHE SUI MURI, STUDENTI AGGREDITI DURANTE L’OCCUPAZIONE

Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile

ACCUSE ALLA POLIZIA INTERVENUTA DOPO UN’ORA E MEZZA DALL’ALLARME.. LA CONDANNA DELLA SINDACA SALIS… MOBILITAZIONE ANTIFASCISTA IN CITTA’, DANNI PER MIGLIAIA DI EURO

Gli studenti del liceo Leonardo da Vinci del capoluogo ligure hanno riferito questa mattina che nella serata di sabato, “durante l’occupazione pacifica della scuola, approvata dall’assemblea d’istituto e organizzata con finalità culturali, sociali e formative, abbiamo subìto un episodio gravissimo e inaccettabile”.
Secondo quanto riferito, “un gruppo composto da decine di individui estranei alla scuola” avrebbe “sfondato con violenza l’ingresso dell’edificio, aggredendo verbalmente e fisicamente gli studenti presenti, vandalizzando locali e arredi e generando una situazione di forte pericolo e terrore”.
Non solo: “Nonostante le nostre ripetute e immediate chiamate al 112, le forze dell’ordine sono intervenute solo dopo oltre un’ora e mezza, lasciando per lungo tempo gli studenti alla mercé” degli aggressori.
Svastiche e “viva il duce”
Il raid vandalico sarebbe andato in scena intorno alla mezzanotte nella sede di via Arecco, nella zona di piazza Manin: mentre la scuola era occupata e si stavano svolgendo alcuni laboratori, una decina di teppisti ha fatto irruzione nell’istituto. Secondo quanto ricostruito ci sono stati danni alle porte, alle vetrate e ad alcuni arredi con l’utilizzo di spranghe e bastoni.
All’interno della scuola sono state trovate e fotografate svastiche su alcuni muri, circostanza per cui si ipotizza che dietro al raid ci sia una matrice politica di estrema destra. In una nota diffusa su Instagram, il collettivo studentesco del Leonardo Da Vinci, creato appositamente per l’occupazione, racconta di come i teppisti che hanno fatto irruzione all’interno dell’istituto scolastico urlassero “viva il duce”.
Le spranghe prese in un cantiere
Sul posto, dopo la segnalazione degli stessi studenti, è intervenuta la polizia con Digos e Scientifica: all’arrivo degli agenti i teppisti si erano già allontanati. S’indaga sulla matrice del gesto: al momento non risulta che ci sia stata un colluttazione
tra le due fazioni e non ci sono feriti medicati in ospedale. La questura ha riferito che i teppisti avrebbero prelevato alcune aste metalliche da un vicino cantiere edile e dopo aver danneggiato arredi e altro avrebbero scaricato gli estintori.
La Digos ha sequestrato le immagini delle telecamere della zona per risalire agli autori del raid. La scuola è al momento chiusa: ci sono due collaboratrici scolastiche che non permettono l’ingresso in attesa di alcuni accertamenti della forze dell’ordine.
Gli studenti del Leonardo hanno aggiunto che “condanniamo fermamente questo attacco vile e vigliacco che ha colpito una mobilitazione democratica e costruttiva, pensata per aprire la scuola alla città e offrire momenti di confronto e partecipazione” e che “chiediamo che venga fatta luce sull’accaduto, che siano individuati i responsabili e che si garantisca la sicurezza degli studenti e il rispetto delle forme di partecipazione democratica”.
Salis: “Schiaffo ai valori della democrazia”
La sindaca di Genova, Silvia Salis, ha riferito che “da questa mattina sono in costante contatto con le forze dell’ordine per chiarire quanto accaduto nella notte al liceo Leonardo da Vinci”, parlando di “un episodio di estrema gravità sul quale occorre far luce e per il quale esprimo la più ferma condanna da parte mia e dell’amministrazione”.
Salis ha ricordato che “la violenza non è tollerabile in alcuna sua forma” e che “vedere una svastica sul muro di una scuola è uno schiaffo ai valori fondanti della nostra democrazia: auspichiamo che si possa fare chiarezza in tempi rapidi sull’accaduto e che siano al più presto identificati gli autori”.

(da agenzie)

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