Settembre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LE RELAZIONI PERICOLOSE DI LA RUSSA E CORSARO…CHE CI FA UN MINISTRO DELLA DIFESA E COORDINATORE DEL PDL IN SOCIETA’ CON UN ESTORSORE CONDANNATO A SEI ANNI DI RECLUSIONE?… FORSE DOVREBBE DIMETTERSI DALLA CARICA, COME HA CHIESTO PER FINI, PER NON AVER VIGILATO MEGLIO SULLE PROPRIE FREQUENTAZIONI ?
Mafia, soldi e brutti affari.
L’inciampo riguarda il ministro della Difesa Ignazio La Russa e uno dei suoi fedelissimi, il deputato Pdl, già assessore alla regione Lombardia, Massimo Corsaro, entrambi, ancora oggi, presenti in due società assieme a un imprenditore pizzicato a fare estorsioni con gli uomini della ‘Ndrangheta milanese.
Lo scenario emerge dalla requisitoria del pm Celestina Gravina che il 16 dicembre scorso, nell’ambito di un processo contro le cosche calabresi, per quell’imprenditore ha chiesto e ottenuto 6 anni di carcere aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso.
Facciamo un passo indietro.
È il 18 settembre 2007, quando per la prima volta il pentito Luigi Cicalese inizia a raccontare una storia: “Quella dei tre che truffarono un bar”.
Due anni dopo, durante la requisitoria, il pm prosegue, puntualizza.
Prima di tutto: “Si tratta del Gibson bar, un bellissimo locale nel centro di Milano in via Castel Morrone, angolo via Ristori”.
Bello, ma soprattutto ben frequentato.
“Dai primi anni 2000 è diventato il bar di elezione dell’avvocato, ma già onorevole Ignazio La Russa che lo frequentava con il suo entourage”.
Allora onorevole, oggi ministro della Difesa di Berlusconi e uomo forte all’interno del Pdl, dopo la svolta del predellino in piazza San Babila, anno 2007.
Questa storia inizia però nel 2002. Racconta di strani rapporti d’affari tra La Russa e alcuni usurai legati a un “padrino” della ‘Ndrangheta, Giuseppe Onorato da Reggio Calabria, con trentennale presenza sotto la Madonnina.
Mafia e politica.
Anche se, va detto, il ministro della Difesa e l’onorevole Corsaro con l’estorsione “a quei tre che truffarono il bar” non c’entrano, ma c’entrano con le società legate al mandante di quell’episodio, tale Sergio Conti imprenditore di Brugherio, ex titolare di garage, condannato per estorsione con l’aggravante dell’articolo 7.
In poche parole l’utilizzo del metodo mafioso, perchè per recuperare quel credito dai “tre che truffarono un bar”, circa 300.000 euro, lui si è rivolto a Onorato e ai suoi uomini.
Per i due notabili del Pdl, invece, nessuna responsabilità penale, ma certo molta distrazione nello stringere relazioni pericolose.
Di quel bar, il New Gibson, il titolare è un milanese brillante.
La Gibson due snc ne detiene le quote fino al luglio del 2003.
“Dall’onorevole La Russa — si legge nella requistoria del pm — deriva la vicenda che questo bar diventa un po’ il luogo di ritrovo di An e quindi ci sono feste e bella gente”.
Il titolare e La Russa entrano in confidenza. Poi, improvvisamente nel 2003, alla gestione societaria subentra una signora romena che cambia denominazione in New Gibson due.
Alla base dello strano passaggio di proprietà c’è “la parte oscura” di quel brillante titolare ormai entrato nelle confidenze dei notabili di An.
Il signore, infatti, è gravato da debiti e per questo da tempo è in mano agli usurai.
Sul suo libro paga l’elenco degli strozzini è lungo: l’ultimo della lista, nota il pm “è un tal Ciriello, che però, non è solo perchè nell’affare ha portato dentro Conti, il suo finanziatore” .
L’ormai ex titolare del Gibson, però, grazie “alla sua faccia illuminata” ottiene addirittura l’aiuto dallo stesso La Russa e da Corsaro.
I due notabili di An, infatti, si danno da fare per l’amico e lo aiutano ad aprire un’enoteca. Il locale si trova dalla parte opposta di via Ristori sempre all’angolo con Castel Morrone.
Posto elegante e clientela sofisticata, l’enoteca è di proprietà della Gibson vini srl, società costituita nel 2002.
Inizialmente le quote sono divise tra la moglie dell’ex titolare del Gibson, uno degli usurai e lo stesso Conti.
Quasi subito la proprietà passa in mano a La Russa, Corsaro e allo stesso Conti, neo condannato per estorsione e amico dei boss.
Attualmente l’impresa riporta il medesimo assetto societario. Di più: non è chiusa, nè fallita, ma semplicemente in liquidazione volontaria.
Da questi rapporti d’affari con il ministro, Conti sembra cavarci poco e quindi cerca altre strade per recuperare il credito.
Alla fine, la migliore porta agli uomini di Giuseppe Onorato.
I primi approcci avvengono tramite un notissimo commerciante di carne legato alla ‘Ndrangheta. Attraverso di lui, il messaggio viene recapitato al boss che dà mandato a Emilio Capone, — un napoletano molto elegante —, di iniziare il recupero credito. Assieme a lui ci sono i luogotenenti del boss, Vincenzo Pangallo, detto Jimmy e Tonino Ausilio.
Nel mirino della mafia ci finisce soprattutto l’ex brillante titolare del Gibson. Con i calabresi, Sergio Conti stabilisce che il 50% di quel denaro finirà nelle tasche di Onorato.
Nel frattempo l’ex patron del locale di via Castel Morrone sembra scomparso. È terrorizzato, tanto che per precauzione ha spedito la famiglia in una località segreta. Alla fine, siamo nel 2008, anche lui cadrà nella rete ordita da Conti.
L’incontro avviene vicino ai Navigli e lui che ben conosce quegli uomini si fa accompagnare da dodici amici.
Particolare che secondo il pm prova l’aggravante del metodo mafioso utilizzato da Conti. L’ex garagista così viene condannato.
Eppure non è finita perchè , nonostante questa condanna, ancora oggi La Russa e Corsaro risultano in società con Conti.
Lo sono nella Gibson vini, ma anche in una società immobiliare, la Gibson immobiliare, con sede in via Ciro Menotti 11, ad oggi semplicemente inattiva.
Visto come ha stigmatizzato la vicenda della casa di Montecarlo, pretendendo, in nome di nobili e antichi ideali, maggiore trasparenza e accortezza nella gestione degli affari, che ci fa un ministro della Difesa e un coordinatore del Pdl in società con un estorsore condannato a sei anni di reclusione?
Dovrebbe forse dimettersi anche lui come ha chiesto a Fini per una vicenda ben meno provata?
O dovremmo forse prenderlo ad esempio entrando in società con persone dedite al malaffare?
(dati tratti da il Fatto Quotidiano)
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Settembre 27th, 2010 Riccardo Fucile
MARCELLO, PERCHE’ NON RICORDIAMO I TEMPI DEL “NON E’ MAI STATO ISCRITTO AL PARTITO” O DI QUANDO I NOTABILI SI CONTENDEVANO LE BARE DEI RAGAZZI DI DESTRA?….REMUNERATI DALLE “CASE” EDITRICI DI SILVIO, ORA ACCUSANO FINI DI AVER SVENDUTO “I SACRIFICI DEI NOSTRI GIOVANI MARTIRI”
Abbiamo letto dalle colonne de “il Giornale” il pezzo di Marcello Veneziani, una delle tante
speranze della giovane cultura di destra degli anni ’80, passato dal denunciare “il male americano” alla fase senile del compiacimento nel potersi sedersi alla corte di un sovrano che notoriamente ama la cultura a stella e strisce più di ogni altra cosa (veline a parte).
Nessuno vieta di cambiare idea nella vita, come di farsi nominare, a suo tempo, in quota An nel non certo gratuito posto di consigliere di amministrazione della Rai.
Sono scelte personali.
Ma proprio per la stima che avevo (e che non ho più) per Marcello, avrei preferito che il suo passaggio tra i berluscones avvenisse senza che dovesse trovare ad ogni costo una giustificazione che non fosse l’italico “tengo famiglia”.
Avrei accettato persino che la sua abile penna dipingesse le forme e i colori delle gioiose feste a Palazzo Grazioli per renderle meno patetiche agli italiani, piuttosto che cercare una liaison con il nostro passato di “maledetti”.
Se uno sceglie di fare il pittore di corte non cerchi almeno alibi per rimpiangere i tempi in cui usava il pennello per tracciare la via dei sogni.
Si limiti a prendere atto che non ha più il tratto vitale, non accusi altri di essere ladri di sogni.
Scrive Marcello: ” lo confesso: il mandante delle accuse a Fini sono io. Io e tutti quei ragazzi che hanno creduto nella destra, investendoci la vita. Noi, che possiamo comprendere i trasformismi, ma che non gli perdoneremo mai di aver svenduto i nostri sacrifici al “cognato””
E via ai ricordi: “Quel ragazzo sognava un’Italia migliore, amava la tradizione quanto la ribellione, detestava l’arroganza dei contestatori almeno quanto la viltà dei moderati, e si sedette dalla parte del torto, per gusto aspro di libertà “.
In questo improvviso amarcord, Marcello è in buona compagnia: da Storace in giù, giù in tutti i sensi, è un fiorire di ex intellettuali, ex autisti, ex militanti presunti, ex “duri e puri” che si indignano di fronte a una casa ereditata “grazie al sangue di tanti nostri giovani caduti”.
Forse si riferiscono ai tempi del Msi, quando molti di coloro che ora straparlano di valori e ideali traditi, stavano nel ruolo o dalla parte di chi, in caso di arresto di un nostro ragazzo, tiravano fuori, nelle federazioni, dal cappello a cilindro il famoso comunicato che “non era mai stato iscritto al partito” ?
Forse a coloro che appoggiarono la legge Reale?
Forse a coloro che in tante città d’Italia segnalavano alla polizia chi faceva legittimamente politica fuori dal partito?
O forse a quei notabili che, quando un ragazzo di destra veniva massacrato sotto casa, correvano a contendersi il trasporto della salma dopo averlo sputtanato da vivo?
Eh no, caro Marcello, sei troppo intelligente per cavartela così.
Quando i valori del Msi furono messi in soffitta o per molti “traditi” da tutta la classe dirigente di allora, come mai il giovane che era in te non si ribello’?
Come mai Storace gioiva, insieme a tanti altri portaborse?
Dov’erano i rivoluzionari duri e puri?
A fare la coda per la nuova tessera?
E quando da An si passò al Pdl, dimmi Marcello, quante mani si alzarono al congresso di scioglimento per votare contro?
Perchè anche allora il giovane che era in te non si ribellò e non scrisse parole di fuoco?
Alcuni fanno finta di scandalizzarsi adesso, ma per 20 anni hanno seguito Fini per interesse e convenienza, come prima seguivano Almirante per lo stesso motivo.
E infatti io e te non eravamo con Almirante, insieme a tanti altri.
Non discuto le scelte successive di tanti: ognuno è giusto che faccia quello che gli suggerisce la propria coscienza.
Ma non ci fare lezioni di coerenza: chi è rimasto con certe idee nel cuore e nel cervello non può stare con chi è ultraliberista, con chi è razzista, con chi nomina pure i deputati, con chi vuole ridurre la libera informazione, con chi vuole l’impunità dai processi.
Proprio noi che non avevamo neanche i mezzi per propagandare le nostre idee e respiravamo l’inchiostro dei ciclostili dovremmo diventare i “boia della libertà “?
Come si può stare con la casta, con i killer dell’infomazione, con chi vuole dividere gli italiani?
Lascia stare i ragazzi di allora, goditi il tuo posto a tavola, ma risparmiaci i tuoi sermoni da frate gaudente al banchetto dei potenti.
Vogliamo parlare di “case” o magari di “casa” editrice?
O vogliamo sottolineare che se un uomo è disposto a “svendersi” al potente, è probabile che non valgano nulla sia il potente che lui?
Per qualcuno la dignità è ancora un valore non commerciabile.
Buona vita Marcello, riposati nel lettone di Putin, ma lasciaci continuare a sognare in pace.
E quando esci spegni la luce.
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Settembre 27th, 2010 Riccardo Fucile
MENTRE BOSSI DA’ FUORI DI TESTA E CHIAMA “PORCI” I ROMANI E LA RUSSA GLI LECCA IL CULO, MONTEZEMOLO ATTACCA: “LA LEGA E’ CAPACE SOLO DI PROCLAMI: E’ CORRESPONSABILE DI 16 ANNI DI PROMESSE NON MANTENUTE”… “DUBITIAMO CHE GLI ELETTORI ABBIANO MANDATO BOSSI IN PARLAMENTO PER DIFENDERE COSENTINO E BRANCHER”
La Fondazione ItaliaFutura, vicina a Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente degli industriali, alza la voce.
Ieri il leader del Carroccio Umberto Bossi aveva replicato alle critiche mosse da Confindustria al governo, liquidandole con un “è facile parlare”.
Oggi ItaliaFutura contrattacca col testo che riproduciamo.
Ha ragione Bossi. È facile parlare e più difficile agire.
Bisogna ascoltarlo quando discetta sul valore dei proclami perchè si tratta di un vero esperto in materia.
Negli ultimi sedici anni ha costruito il successo della Lega sul lavoro di organizzazione del partito ma anche sulle provocazioni (e ultimamente su qualche gesto).
Di fatti invece se ne sono visti ben pochi. Se non la corresponsabilità della Lega in questi sedici anni di non scelte che hanno portato il paese ad impoverirsi materialmente e civilmente.
Anche sul fronte delle rivendicazioni specifiche del suo elettorato, Bossi ha combinato ben poco (guardare alle promesse sul federalismo per credere). Dubitiamo infatti che i suoi elettori l’abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher.
Ha ragione Bossi: in Italia (e in particolare nella sua Padania immaginaria) la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche.
In particolare quelli che lavorano e producono (e al convegno di Genova della Confindustria ce n’erano tanti). Quegli italiani che, a differenza di Bossi, tengono in piedi il paese con i fatti e non con le parole.
Il primo a correre a difendere il Senatur non è stato neanche un leghista, ma il lecchino coordinatore del Pdl La Russa: “Montezemolo si candidi e così potremo vedere qual è il suo consenso”.
Parla lui che aveva garantito: “Mi impegnerò personalmente in Veneto e vedrete che il Pdl alle regionali avrà più voti della Lega”.
E non ha avuto neanche la dignità di dimettersi dopo la figura che ha fatto.
Ieri sera poi Bossi è andato fuori di testa completamente.
Parlando in tarda serata, nel corso di un’iniziativa a Lazzate, il leader del Carroccio si è scagliato contro l’ipotesi di spostare il Gran Premio di Formula Uno da Monza nella capitale.
“I romani se lo possono dimenticare – ha detto – Monza non si tocca e a Roma possono correre con le bighe”.
Ma non è stato, questo, l’unico riferimento “storico” del leader leghista.
Che se l’è presa anche con la sigla SPQR, ovvero l’acronimo del latino Senatus Populusque Romanus, “il Senato e il popolo romano”.
“Basta con quella sigla, io dico ‘sono porci questi romani'”, ha detto Bossi fra gli applausi del pubblico.
Feccia sul palco e feccia sotto.
Mentre la destra italiana o dorme o è collusa, mentre il presidente del Consiglio riceve questi “segnati da Dio” alle cenette del lunedì con tutti gli onori, mentre la Lega è sommersa di scandali, ma nessuno a destra (a parte noi da anni e i finiani da poco) osa sollevare la questione morale della padagna ladrona.
Il partito affaristico leghista che governa l’Italia sta esalando l’ultimo rutto.
Gled aria nuova.
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Settembre 27th, 2010 Riccardo Fucile
NON SOLO: LE DUE SOCIETA’ NON SONO REGISTRATE A ST. LUCIA, DOVE HANNO SOLO LA CORPORATE AGENT, QUINDI ERA MATERIALMENTE IMPOSSIBILE INDAGARE DA PARTE DELLE AUTORITA’ LOCALI… L’OPPOSIZIONE AL GOVERNO CARAIBICO: “IL NOSTRO GOVERNO ORA DEVE CHIARIRE”
St. Lucia è un paradiso fiscale che rischia di diventare un inferno per le centinaia di
imprenditori e finanzieri, italiani e non, che hanno parcheggiato i loro beni in quest’isola fino a pochi giorni fa tranquilla e riservata.
Uno dei massimi esperti italiani di centri off-shore segnala la “procedura estremamente anomala” con cui il governo locale ha gestito il caso dell’appartamento ex An di Montecarlo.
Printemps e Timara sono state iscritte ai registri locali due anni fa: un’operazione semplicissima, seguita dalla sede di Castries dell’americana Corpag, specializzata nei servizi finanziari nei Paesi fiscali.
Secondo la norma, i fiduciari (legal owner) sono tenuti a identificare in un registro riservatissimo, con nome e cognome, il proprietario reale (beneficial owner) per poterne comunicare le generalità alle autorità , ma solo in caso di indagine penale.
In realtà questo nome e cognome non appare mai su alcun documento ufficiale, “tutte le attività vengono seguite dagli amministratori fiduciari cui sono intestati conti correnti, contratti, proprietà ed azioni, il cui business è fondato sulla riservatezza”.
Secondo l’esperto, la prima anomalia è che l’esecutivo si sia mosso in piena autonomia.
La legge prevede invece che le indagini possono essere rese pubbliche, solo su richieste motivate da un Paese terzo, in merito a crimini che hanno risvolti penali anche nell’isola.
L’altro aspetto sorprendente è la gestione operativa del caso.
“Le indagini sulle società off-shore sono eseguite dalla Financial services supervision unit che fa capo al ministero delle Finanze, mentre in questo caso il regista della verifica sarebbe stato il ministero della giustizia che non ne aveva titolo”.
Il risultato, patacca o non patacca, è ora il rischio di un fuggi- fuggi di capitali, non più garantiti dal principio di riservatezza di St. Lucia.
Ma vi sono due importanti novità a complicare la vicenda: il ministro della Giustizia Francis, avvocato fiscalista, ha il suo studio legale allo stesso indirizzo delle società Timara e Printemps.
Uno studio legale che vive sulle società offshore, incredibile.
Non solo: le due società non sono registate a St. Lucia, dove hanno solo la Corporate Agent come società registrata che agisce per loro, quindi non è materialmente possible indagare da parte delle autorità locali.
Gli intrecci diventano sempre più atipici e l’opposizione parlamentare di St. Lucia pretende ora “che il governo chiarisca e renda pubblici i documenti che avrebbe in mano, prima che questa vicenda crei seri problemi alla nostra economia”.
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Settembre 27th, 2010 Riccardo Fucile
SULLE VICENDE DI UN CONTO CANADESE E UNO SCANDALO AMERICANO, POCHI ANNI FA, NEGARONO OGNI INFORMAZIONE, NONOSTANTE RICHIESTE UFFICIALI…. STRANAMENTE PER LA PRIMA VOLTA IL GOVERNO DI ST.LUCIA FORNISCE UNA DICHIARAZIONE NON RICHIESTA, SENZA ALLEGARE LE PROVE PERALTRO
Rudolph Francis, ministro della Giustizia del paradiso fiscale caraibico, qualche giorno fa ha spiegato come tutta la gestione del dossier Tulliani-Printemps-Timara-casa di Montecarlo rientri “nella prassi normale isolana”.
In realtà , tutto questo interesse del governo di St. Lucia a scoprire chi si nasconda dietro le due società offshore proprietarie dell’appartamento in cui vive il Tulliani è una prassi inedita, così come la presunta fuga di notizia.
Lo dimostra la gestione di due scandali della storia recente di St.Lucia.
Il primo caso risale a maggio 2005 e il governo reagì ben diversamente.
Il vicepresidente di un’agenzia governativa canadese, Antonius Gibson, denunciò l’esistenza di un conto segreto della National Conservation Authority, l’ente per cui lavorava e che l’aveva appena licenziato.
Secondo Gibson, l’agenzia utilizzava un conto segreto presso la filiale di Santa Lucia della Royal Bank of Canada.
In quel caso il responsabile della Royal Bank ai Caraibi ha tempestivamente negato di essere a conoscenza di alcun particolare in merito.
E il governo di St. Lucia inquel caso non si preoccupò del “buon nome dell’isola”, ma fece muro intorno alla banca e nulla uscì: dall’esecutivo, disse l’allora premier Kenny Anderson, non sarebbe arivata alcun tipo di collaborazione.
Nessun scrupolo ebbe il governo neanche nel 2004 a difendere il proprio buon nome di fronte al duplice scandalo con al centro proprio due immobili. L’ambasciatore di St.Lucia a New York, Earl Huntley, trasferisce la proprietà di un immobile del governo a Brooklyn.
Il nuovo intestatario è l’organizzatore delle attività di una associazione culturale di St Lucia che lavora nel palazzo.
Una volta privatizzato l’immobile, viene usato come garanzia per ottenere da uan banca un prestito di 150.000 dollari, finiti nelle tasche dell’ambasciatore. L’indagine arrivò a dimostrare che aveva avuto complici nell’esecutivo, ma da St Lucia nessuna collaborazione anche in quel caso.
E ancora: sempre a New York, lo Stato ha contestato al governo di St.Lucia di aver evaso 30.000 euro di tasse in una compravendita immobiliare nel 2000.
Per inciso: l’attuale ministro degli esteri, una ventina di anni fa era stato pure arrestato per aver falsificato il passaporto.
Tutti precedenti che dimostrano come il presunto documento, senza prove allegate, del ministro della Giustizia rappresenta in ogni caso una eccezione.
Chissà , in questa occasione, cosa avrà fatto cambiare prassi al governo di St. Lucia …
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Settembre 27th, 2010 Riccardo Fucile
L’ESPERIMENTO SPACCIATO DAL MINISTRO COME LA SOLUZIONE AI PROBLEMI DI SICUREZZA NEGLI AEROPORTI E’ GIA’ FINITO DOPO SOLI SEI MESI…. BOCCIATI DAI TECNICI: NON SONO INFALLIBILI E I CONTROLLI SONO TROPPO LUNGHI
A sollecitare l’impiego delle apparecchiature che avrebbero risolto, molto in teoria, il problema
della sicurezza negli aeroporti era stato il ministro Maroni in persona.
Fedele alla linea della politica non della sicurezza, ma degli spot sulla sicurezza, aveva assicurato che con i body scanner gli italiani sarebbero stati al sicuro dal rischio attentati.
Preso dalla parte, si era anche fatto fotografare il 15 marzo scorso alla Malpensa in camicia bianca e cravattina d’ordinanza verde , mentre veniva “radiografato dallo scanner” tra scene di giubilo degli astanti.
Tutto aveva avuto origine dal fallito attentato di Natale sul volo Amsterdam-Detroit della Delta Airlines, quando un nigeriano beffò i controlli dell’aeroporto di Schiphol portando con sè un rudimentale ordigno nascosto nei pantaloni. Un episodio che aveva allarmato gli apparati di sicurezza di tutta Europa, accelerando le procedure per l’installazione dei controlli .
La decisione di installare gli scanner in Italia doveva rappresentare una svolta, ma dopo appena sei mesi di prova e uno stanziamento di 2 milioni di euro, ecco che vanno già in rottamazione.
Niente più scanner negli aeroporti: lo hanno confermato i tecnici del Comitato interministeriale sulla sicurezza.
Un verdetto formale che prende atto in realtà di una situazione già esistente. A Venezia il macchinario è già stato spento, così come a Palermo dove è stato addirittura sostituito.
Si è deciso di fermarsi anche a Roma e tra breve toccherà a Milano.
Una delle principali cause della bocciatura sono stati i disagi causati ai passeggeri, ma non solo.
In questi mesi si è accertato quello che peraltro era noto anche prima, ovvero come alcune parti del corpo che devono essere rese “non visibili”, per rispetto della privacy, potrebbero essere proprio i punti dove nascondere armi o materiale esplosivo.
Già la Federal Aviation Administration aveva ammesso a suo tempo come i body scanner a raggi X non possono escludere il rischio attentati in quanto il sistema non è infallibile.
Una settimana fa, il Comitato ha confermato: sugli scanner i risultati non sono buoni, ci vuole più tempo a esaminare una persona che attraverso un’ispezione manuale.
Finito lo spottone: nel frattempo milioni di italiani che non viaggiano mai in aereo continueranno a pensare, dopo aver visto la silhouette di Maroni al Tg1, che il nostro governo tuteli i cittadini negli aeroporti con l’infallibile body scanner.
Parola di Maroni.
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
NEL SUO DISCORSO TATTICO FINI HA RIPASSATO IL CERINO A BERLUSCONI SENZA RINUNCIARE A CHIARIRE… POSTA LA QUESTIONE DELLA LEGALITA’ E DELLA DEMOCRAZIA NEL NOSTRO PAESE
Riportiamo l’analisi di Paolo Flores D’Arcais, pubblicata oggi sul Fatto Quotidiano, in merito al discorso di Gianfranco Fini.
Gianfranco Fini ha passato di nuovo il cerino della crisi a Berlusconi, ma lo ha fatto con un discorso che stabilisce alcuni punti definitivi.
Primo: sulla casa di Montecarlo ha chiarito con accenti di sincerità , arrivando a garantire le dimissioni (cui non sarebbe tenuto) se venisse fuori con certezza che il proprietario è suo cognato e che la sua colpa (di Fini) è solo quella di avergli creduto.
Una scelta di moralità che da oggi potrà pretendere da qualsiasi altro dirigente di centro-destra (luogo di malaffare dove circolano montagne di crimini penali, compresi crimini mafiosi, non leggerezze familiari).
Secondo: lo scontro è sulla questione della legalità , della legge eguale per tutti, dell’autonomia della magistratura, principi che Berlusconi non riesce neppure a capire.
Terzo: qualcuno ha montato un “affaire” utilizzando faccendieri di ogni risma, investendo denari evidentemente ingenti, arrivando a far muovere ministri di Stati sovrani (benchè più “off-shore” ed equivoci di qualsiasi “Stato libero di Bananas”), piegando la libertà di stampa — in tre o quattro paesi! — a scopi abietti. Insomma, mettendo a repentaglio la democrazia stessa.
Quarto: … E a questo punto Fini ha passato di nuovo il cerino a Berlusconi.
Non ha voluto pronunciare la frase e il nome che di tutte le parole precedenti erano il logico corollario.
Non ha voluto dichiarare che il mandante di questo aggressione alla Costituzione e alle libertà democratiche è Berlusconi, e che i giorni che si aprono, e che al massimo potranno durare pochi mesi, e che si concluderanno con le elezioni, vedranno per l’Italia una scelta senza possibilità di mediazioni, “a somma zero”: o Berlusconi uscirà ignominiosamente di scena, travolto dalla rivolta morale degli italiani, o inizierà la sua dittatura “senza prigionieri”, sulle macerie di una Costituzione assassinata e di un paese degradato a livelli premoderni sotto ogni aspetto: sociale, culturale, istituzionale, economico.
Gianfranco Fini tutto questo lo sa perfettamente. Lo ha fatto intuire in filigrana nei primi sette minuti del suo discorso, ma negli ultimi due ha voluto fingere che Berlusconi possa desistere dal suo progetto di regime totalitario-proprietario, e dalla sua natura di Caimano. Se prima di parlare avesse riletto l’antica favola della rana e dello scorpione avrebbe concluso diversamente. Speriamo che una conclusione comprensibile solo “tatticamente” non si riveli tragica per la democrazia.
Paolo Flores D’Arcais
(da il Fatto Quotidiano)
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
I SERVI DI CORTE SI SCANDALIZZANO SE LA CASA DI MONTECARLO VIENE VENDUTA AD UNA SOCIETA’ OFFSHORE, MA FANNO FINTA DI NON RICORDARE CHI NE APERTE DECINE PER BEN ALTRI AFFARI….I “MORALIZZATORI” CHE NON SI SONO INDIGNATI PER IL PAGAMENTO DI MAZZETTE E PER LE EVASIONI FISCALI CONFERMATE DAI GIUDICI
“Sia ben chiaro: personalmente non ho nè denaro, nè barche, nè ville intestate a
società offshore, a differenza di altri che hanno usato e usano queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e pagare meno tasse”: sono le parole pronunciate ieri da Gianfranco Fini nel corso del suo intervento televisivo sulla vicenda Montecarlo.
Chiaro il riferimento a Silvio Berlusconi, il re dei fondi neri all’estero, come hanno accertato sentenze definitive.
Ci riferiamo a quella prescritta dell’avvocato Mills, a quella del processo All Iberian 2 che ha accertato una evasione fiscale di 1.500 miliardi di lire, ma che non potuto decretare la condanna del premier semplicemente perchè, attraverso una legge ad hoc, quella sulla depenalizzazione del falso in bilancio, il fatto non costituisce più reato.
Per non parlare delle sei ville di cui il premier è proprietario tra Antigua e Bermuda, intestate ad offshore.
Per non parlare di una barca di 48 metri e del valore di 13 milioni di euro intestata alla Morning Glory Yachting Limited con sede alle Bermuda.
Fu proprio Mills a metà degli anni ’90 a dare l’indirizzo della nuova strategia permettendo al premier di accantonare centinaia di miliardi di lire, di evadere il fisco, di pagare mazzette come i 21 miliardi a Craxi, di eludere la legge Mammì che impediva a un editore di possedere più di tre televisioni.
Sappiamo che al processo Al Iberian per dichiarazioni taroccate a suo favore il premier è ancora sotto processo.
Ai magistrati milanesi, Mills ha pure nascosto i reali beneficiari di “Century One” e di “Universal One”, le due offshore nell’isola di Guarnsey.
I falsi in bilancio, conseguenza delle società offshore, hanno portato a un altro processo, quello per la compravendita dei diritti Tv.
Ma grazie a una legge ad personam, la ex Cirielli, che ha accorciato la prescrizione, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l’appropriazione indebita per 276 milioni di dollari fino al 1999.
Restano in piedi quelle fino al 2003.
C’è poi il processo Mediatrade-Rti, con l’accusa di appropriazione indebita e frode fiscale: anche qui i soldi (100 milioni di dollari) sarebbero transitati su banche estere e poi confluiti su conti riconducibili a Berlusconi e ad alcuni suoi manager.
Non vogliamo dilungarci su fatti noti, ma ci limitiamo a una semplice osservazione: c’è chi accusa Fini per la vendita di una casa in cui non c’è alcun indagato (neanche Tulliani) e dove in ogni caso il ruolo di Fini è irrilevante.
Secondo questa corte dei miracolati, Fini dovrebbe dimettersi da presidente della Camera.
Dall’altra parte emerge la figura di uno che di società offshore se ne intende, essendone il proprietario di decine, con procedimenti penali in corso e altri archiviati con leggi ad hoc da lui promulgate e che si permette pure di fare morale agli altri invece che guardarsi allo specchio.
Con contorno di servi che si scandalizzano che una casa di 45 mq sia stata venduta a una società offshore, ma tacciono su chi ha utilizzato le offshore a ivello industriale per i suoi affari planetari.
E’ come paragonare uno che fa un complimento colorito a una ragazza per strada a un maniaco seriale.
Che pattume ipocrita.
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Settembre 26th, 2010 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA DI ST. LUCIA CON NORMALI VOLI DI LINEA NON AVREBBE MAI POTUTO COPRIRE LA DISTANZA IN 18 ORE…. A ST. LUCIA LA DIVULGAZIONE DI DATI SULLE SOCIETA’ OFFSHORE E’ UN REATO PUNITO CON IL CARCERE… COSA AVRA’ CONVINTO FRANCIS A VIOLARE LE LEGGI?
Riproduciamo un interessante articolo del “Secolo XIX”, a firma Francesco Bonazzi, in merito alle “presunte” conferme del governo di St. Lucia sulla proprietà della casa ex An di Montecarlo
Un governo che viola il proprio codice penale e svela i nomi dei cittadini stranieri nascosti dietro lo schermo di una fiduciaria.
Un ministro capace di rimbalzare tra la Svizzera e i Caraibi con una velocità sconosciuta ai voli di linea.
Una conferenza stampa anticipata improvvisamente di qualche giorno, appena viene fuori che Fini sta a sua volta preparando un video messaggio sullo scandalo della casa di Montecarlo.
Benvenuti a St. Lucia, il paradiso offshore più pazzo del mondo.
L’unica piazza finanziaria, tra quelle presenti nella lista grigia dell’Ocse, capace di rispondere ai giornalisti stranieri addirittura prima che alle rogatorie della magistratura.
Le 18 ore più incredibili nella storia dei santuari mondiali del segreto finanziario iniziano alle 20.30 di giovedi sera.
Marco Lillo, cronista del Fatto Quotidiano, riesce a parlare al telefono con Lorenzo Rudolph Francis, ministro della Giustizia del piccolo Stato caraibico. Francis, che fino a pochi mesi fa era un avvocato di affari, racconta di essere in Svizzera.
E alla domanda se il documento che indica in Giancarlo Tulliani il vero proprietario delle due fiduciarie di St. Lucia sia vero o falso, risponde senza esitazioni: “E’ vero”.
Poi rimanda a un comunicato ufficiale nelle prossime settimane.
Ma torniamo per un attimo a St. Lucia.
Sull’ex colonia britannica vivono 160.000 persone in carne e ossa.
E una miriade di persone giuridiche estere, attirate dalla granitica riservatezza dei registri societari: nell’isoletta caraibica vanno forte i trust e le fiduciarie.
Tra Roma e Milano, tanto per andare al sodo, ci sono almeno una ventina di studi professionali perfettamente in grado di aprire delle società nelle British Virgin Islands.
A che servono? A nascondere la vera identità dei proprietari di un immobile o di un’azienda.
“In trent’anni che faccio il commercialista, non avevo mai visto, non dico un ministro, ma neanche solo un pubblico ufficiale di un centro offshore che si mette a collaborare alle indagini dei giornalisti stranieri” osserva un professionista romano con studio in Prati.
Un gestore milanese di patrimoni è più diretto: “Da domani che fanno a St. Lucia? Campano sulle noci di cocco?”.
Poi si fa più serio e ci allunga la legislazione locale a tutela della riservatezza societaria: “a St. Lucia la divulgazione di dati personali, relativi a società offshore, è un reato punibile con la multa e la reclusione”.
Insomma mister Francis per le leggi del suo Paese rischia la galera.
Non solo, ma si è distinto per tempestività e rapidità di azione: come Fini ha annunciato il suo messaggio video, ecco Francis cambiare la sua agenda, convocando una conferenza stampa su due piedi.
A questo punto, per arrivare al degno finale di questa inedita 18 ore della trasparenza finanziaria, non resta che provare a stare dietro a Super-Francis, il ministro dei Due Mondi.
Giovedi sera alle 20.30 era in Svizzera per chissà quale delicata missione privata.
Venerdi a metà giornata (ore 13 locali, ore 18 italiane) incontrava i cronisti italiani nell’ufficio del suo primo ministro.
Se avesse preso voli di linea, anche partendo alle 9 di sera da Zurigo e dormendo a Londra, non sarebbe tornato prima delle 3 del pomeriggio ora locale. Avrà preso un superjet privato.
Oppure qualcuno gli ha dato un passaggio.
Francesco Bonazzi
(da “il Secolo XIX”)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, emergenza, Fini, Giustizia, governo, Politica, Stampa | 1 Commento »