Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
LA COERENZA DELL’EX SOCIALE: ORA SI LAMENTA PER LA SCARCERAZIONE DEI FERMATI E VORREBBE SCHEDARE TUTTI… MA QUANDO VENNE ARRESTATO NEL 1989 PER RESISTENZA AGGRAVATA E MANIFESTAZIONE NON AUTORIZZATA PER AVER TENTATO DI BLOCCARE IL CORTEO PRESIDENZIALE DI BUSH, PERCHE’ ACCETTO’ DI ESSERE SCARCERATO DOPO POCHE ORE?
Che Gianni Alemanno protesti contro la scarcerazione di tutti i fermati durante i disordini di Roma del 14 dicembre è comprensibile.
È pur sempre il sindaco della città , e quei venti milioni di danni sono difficili da digerire.
Lui nel 1990, quando ai margini della “Pantera” prendeva parte da destra alla protesta studentesca contro la riforma Ruberti, si limitava a tuonare contro
“il portato tecnocratico e privatizzante della riforma sull’autonomia universitaria, che favorisce l’omologazione dei nostri atenei ai modelli economicistici pienamente funzionali al sistema neocapitalistico”.
Ma forse — chissà — gli saranno tornati in mente anni più lontani, quando uscire di galera non era mica così facile.
Nel maggio 1988 Alemanno fu eletto segretario nazionale del Fronte della Gioventù e ai cronisti tornarono subito in mente quegli otto mesi di carcere che il trentenne futuro sindaco di Roma si fece quando di anni ne aveva soltanto ventitrè.
Correva l’anno 1982, il Muro di Berlino era ancora ben saldo e l’allora giovane militante del Msi, avuta notizia del colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia, espresse tutta la sua indignazione lanciando una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma.
Sarà poi prosciolto, ma a nessun magistrato venne in mente di scarcerarlo immediatamente; forse per via di quel precedente dell’anno prima.
Il 21 novembre 1981 Alemanno fu bloccato da due carabinieri di fronte al bar “La Gazzella” nel rione Castro Pretorio, assieme all’allora segretario del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna Sergio Mariani, per aver partecipato all’aggressione dello studente Dario D’Andrea di 23 anni.
Incidenti di gioventù, figli di un’epoca in cui la violenza politica era pane quotidiano per una buona fetta di quella generazione.
Forse il sindaco ha a cuore che i giovani d’oggi non ripetano gli stessi errori. In fondo fu lui stesso, nel 1988, a dichiarare di aver imparato dal carcere “che la violenza deve essere assolutamente rigettata come mezzo di azione politica”.
Rinunciare alla violenza sicuramente, evitare di scontrarsi con le oggi tanto amate forze dell’ordine, forse.
Il 29 maggio 1989 Alemanno ci ricasca: assieme ad altri dodici militanti viene arrestato con l’accusa di “resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, e tentativo di blocco di corteo ufficiale”.
A Nettuno, infatti, è atteso il presidente degli Stati Uniti George Bush e al trentunenne segretario del Fronte della Gioventù, con il Muro di Berlino ancora in piedi seppur scricchiolante, gli Stati Uniti non vanno molto a genio.
I giovani missini intendono impedire che il corteo presidenziale raggiunga il cimitero americano di Nettuno, visita ritenuta offensiva “alla memoria di migliaia di caduti che si sono battuti per la dignità della patria, mentre altri pensavano solo a guadagnarsi i favori dei vincitori”.
A disperdere i manifestanti ci pensano polizia e carabinieri.
Questa volta Alemanno viene scarcerato dopo poche ore, non senza che l’organizzazione giovanile missina critichi con durezza l’operato delle forze dell’ordine, colpevoli di aver “aggredito brutalmente i manifestanti, colpendoli con calci e pugni, con la bandoliera usata come frusta fino a colpire alcuni giovani con le radio in dotazione”.
Il giorno dopo, a Milano, si tiene un comizio in piazza Oberdan per esprimere solidarietà ai tredici camerati arrestati.
Tra i relatori c’è il segretario regionale del Msi, Ignazio La Russa.
Una domanda ci sorge spontanea: perchè a suo tempo Alemanno non rifiutò di essere scarcerato subito, visto che ora vorrebbe che i fermati restassero in galera, per lo stesso identico reato?
D’accordo che si nasce rivoluzionari e si muore pompieri, ma un minimo di coerenza in questo mondo è bandita?
E’ proprio necessario diventare forcaioli per convenienza, una volta che ci si è potuti sedere alla corte del sultano?
Un po’ di dignità sindaco, o la frequentazione del ciarpame senza pudore genera mostri?
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE OGGI VUOLE FARE ARRESTARE CHI E’ ACCUSATO DEL SUO STESSO REATO… ALLORA DIA L’ESEMPIO E SCONTI LA CONDANNA A 8 MESI … COME IL POTERE DA’ ALLA TESTA
C’è un filo d’autolesionismo, nelle ultime scelte di Roberto Maroni, leghista doc e ministro
dell’Interno.
Sdegnato per le violenze degli studenti contro la polizia durante la manifestazione del 14 dicembre, indignato per le scarcerazioni dei ragazzi fermati quel giorno, oggi chiede che i violenti siano tenuti in carcere.
A dargli retta, si otterrebbe un risultato curioso: in carcere dovrebbe finire, e restarci, lui stesso.
Per via delle violenze esercitate nei confronti dei poliziotti un pomeriggio del 1996.
Era il 18 settembre e Bobo Maroni era davanti alla sede della Lega Nord in via Bellerio, a Milano.
Alle 7 del mattino la polizia si era presentata a perquisire, a Verona, uffici e abitazioni di Corinto Marchini, il capo delle “camicie verdi”, e di due leghisti a lui vicini, Enzo Flego e Sandrino Speri.
Gli agenti erano stati mandati da Guido Papalia, procuratore della Repubblica di Verona, che stava indagando sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere “un’organizzazione paramilitare tesa ad attentare all’unità dello Stato”.
Marchini aveva un ufficio anche in via Bellerio, a Milano. Così due pattuglie della Digos veronese arrivano alle 11 alla sede della Lega e tentano di entrare.
Invano: i militanti leghisti impediscono l’accesso. Tornano il pomeriggio, con un provvedimento integrativo di perquisizione.
Riescono a fatica a entrare nell’androne, ma lì sono fermati da un cordone di leghisti, tra cui Maroni, che impedisce l’accesso alla scala. Spintoni, parapiglia.
Alla fine i poliziotti sfondano e riescono a salire.
Ma Bobo, che in gioventù era stato militante di Democrazia proletaria, non demorde: “Il primo vero e proprio episodio di violenza”, annotano le cronache, “è compiuto da Maroni che tenta di impedire la salita della rampa di scale, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu”.
I due si divincolano e salgono, con tutti i loro colleghi. Ma la squadra Maroni non si ferma: insegue gli agenti, li copre d’insulti, tenta di bloccarli con la forza.
I cori ingiuriosi sono diretti da Mario Borghezio , mentre “numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali” sono compiuti da Maroni, ma anche da Umberto Bossi e Roberto Calderoli: “Episodi tutti documentati dai filmati televisivi”.
Con fatica, gli agenti arrivano davanti all’ufficio di Marchini che devono perquisire. Lo trovano sbarrato. Sulla porta, un biglietto scritto a macchina: “Segreteria politica – Ufficio on.le Maroni”.
La porta è sfondata. “Operazione che tuttavia era ostacolata violentemente” da Maroni, Bossi, Borghezio, Calderoli e altri, “che aggredivano principalmente il dottor Pallauro e l’ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alla spalle”.
La guerriglia finisce con un malore : Maroni “viene disteso a terra dall’agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso, ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela”.
Fin qui la cronaca delle violenze contro la polizia del 18 settembre 1996. Segue inchiesta e processo penale per resistenza a pubblico ufficiale.
Il deputato Maroni nel processo mente: sostiene, come un black-bloc qualunque, di essere stato aggredito dai poliziotti.
Ma in dibattimento viene dimostrata “la non veridicità dell’assunto del Maroni”, poichè è “documentato che nell’ascesa della rampa delle scale, trovandosi a terra, e non per le percosse ricevute, tratteneva con la forza gli operanti afferrando la caviglia dell’ispettore Mastrostefano e poi le gambe dell’ispettore Amadu”.
E lo svenimento finale? Per i giudici è provato che Maroni “era caduto in terra per un improvviso malore, nella fase finale dell’accesso degli operanti nella stanza da perquisire, circostanza attendibilmente confermata dal teste Nuvoloni della Polizia, che lo aveva soccorso, e forse colpito anche involontariamente, in tale posizione, nella ressa creatasi sul luogo, o già raggiunto, presumibilmente, da spinte nel corso della vicenda che vedeva un accalcarsi incontrollato di persone, compresi giornalisti e simpatizzanti della Lega Nord”.
Drammatico ed esilarante insieme.
Comunque, “la resistenza” di Maroni e degli altri leghisti “non risultava motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto ad opera dei pubblici ufficiali”, i quali “erano comunque tenuti a portare a compimento l’ordine loro impartito”.
Così le azioni violente compiute da Bobo sono state ritenute, si legge nella sentenza della Cassazione, “inspiegabili episodi di resistenza attiva, e proprio per questo del tutto ingiustificabili”.
Condanna in primo grado a 8 mesi.
In appello a 4 mesi e 20 giorni, perchè nel frattempo era stato abrogato il reato di oltraggio.
La Cassazione conferma, commutando la condanna in una pena pecuniaria di 5.320 euro.
Forse Bobo, prima di pontificare sugli scontri di Roma, dovrebbe rileggere gli atti processuali e ripensare ai suoi comportamenti guerriglieri.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
IL CAPORALE DI GIORNATA, DEGRADATO A SERVO DEL SULTANO, SI SUPERA NELL’ACCATTONAGGIO MOLESTO: “OCCORRE SALVARE L’ITALIA DALLA STAGIONE DI TERRORE, BISOGNA ARRESTARE I CAPI COME NEL 1979″… IL PROBLEMA DI UNA GENERAZIONE SENZA FUTURO PER LUI SI RISOLVE CON LE RETATE DEI GIOVANI CHE MANIFESTANO IL LORO DISSENSO… SI FACCIA RICOVERARE CON URGENZA, NON SI RICORDA PIU’ DI QUANDO PARTECIPAVA AI CORTEI ANCHE LUI
“Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo”.
Così il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, in merito alle polemiche seguìte alla scarcerazione dei ragazzi fermati lo scorso 14 dicembre durante gli scontri a Roma.
Il 7 aprile del 1979 (e non 1978, come erroneamente ricorda Gasparri, ma è normale per lui confondersi) fu il giorno in cui, con un’enorme retata, le forze dell’ordine arrestarono diverse persone, prevalentemente legate a Autonomia operaia, accusate a vario titolo di appartenere alle frange dell’eversione.
Fra gli arrestati c’era anche Toni Negri, accusato di essere il capo delle Brigate rosse.
“Qui – osserva Gasparri – serve una vasta e decisa azione preventiva. Si sa chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città . La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico – conclude Gasparri – va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia”.
Venerdì l’Associazione nazionale magistrati aveva espresso preoccupazione per l’invio di ispettori da parte del ministro Alfano che ha chiesto accertamenti sulla scarcerazione dei 22 manifestanti arrestati.
«Siamo di fronte a un’indebita interferenza nello svolgimento dell’attività giudiziaria che rischia di pregiudicare il regolare accertamento dei fatti e delle responsabilità dei singoli – avevano scritto in una nota Luca Palamara e Giuseppe Cascini -. La nostra condanna degli episodi di violenza è ferma e netta e l’Anm esprime solidarietà agli appartenenti alle forze dell’ordine che sono rimasti feriti nello svolgimento delle loro funzioni. Ma abbiamo il dovere di ricordare che alla magistratura è affidato il delicatissimo compito di accertare responsabilità individuali, di verificare la fondatezza delle accuse e di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di misure cautelari»
Premesso che il diritto di manifestare è sancito dall Costituzione e che, in caso di disordini, la responsabilità è sempre individuale in merito agli eventuali reati commessi, Gasparri forse ormai si sente in pieno regime militare.
Non a caso era un “colonnello” (di quelli dei film con Alvaro Vitali), ora che è stato degradato a caporale di giornata per tradimento e cambio di campo, ogni giorno deve giustificare la sua presenza con manifestazioni di accattonaggio molesto per ingraziarsi il suo nuovo padrone.
Pensare che da “giovane vecchio” aveva partecipato a decine di manifestazioni anche non autorizzate: ora vuole mettere in galera ragazzi che sarbbero stati suoi coetanei allora.
Non ranmmenta che esiste la legge ordinaria per punire chi commette reati e, grazie alle forze dell’ordine e alla magistratura, quando i soggetti vengono individuati ne pagano le conseguenze, senza bisogno di leggi speciali da Komintern.
Ma, senza conoscere i fatti, invocare l’arresto preventivo di chi gli sta antipatico, dimostra solo che certi squilibri psicologici necessitano di un tratttamento sanitario, obbligatorio o meno veda lui.
Più che arrestare gli studenti che lottano, a torto o ragione non spetta a lui o a noi stabilirlo, per garantirsi un futuro, sarebbe necessario “arrestare” e “fermare” quella deriva e quella pletora impiegatizia di cortigiani reazionari che ha gli occhi foderati di prosciutto.
E che non vede la disperazione di una intera generazione senza futuro, senza valori, punti di riferimento, certezze: dove solo la precarietà la fa da padrone, impossibilitati a costrursi una famiglia e anche solo a sognare una società diversa.
Il problema lo si risolve con la galera e le sprangate?
La disoccupazione giovanile che colpisce un ragazzo su quattro lo affrontiamo coi lacrimogeni e le cariche della polizia?
Ogni tensione sociale o protesta in Italia è solo un problema di ordine pubblico?
I giovani sono solo un ostacolo per gente nata vecchia dentro, capace solo di parlare di meritocrazia senza capire che questa si costruisce garantendo a tutti uguali punti di partenza?
I caporali che danno in escandescenze, urlando “basta coi bordelli, vogliamo i colonnelli”, di danni alla destra ne hanno già fatti fin troppi.
Si tolgano dai coglioni.
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
IL GOVERNO VUOLE FARE LE VECI DEL PARLAMENTO E DELLA MAGISTRATURA E CONSIDERA LA POLIZIA UN PRIVATO SERVIZIO D’ORDINE…IL FERMO DI POLIZIA ALMENO FA SEGUIRE L’ARBITRIO A UN REATO COMMESSO, CON IL DASPO AI CHI MANIFESTA, IL FERMO NE PRECEDE LA PRESUNZIONE…PERCHE’ ALLORA NON APPLICARE IL DASPO ANCHE AGLI ACCESSI DELLE AUTOSTRADE?… L’OPINIONE DI ADRIANO SOFRI
Il governo annuncia un pugno più duro con le manifestazioni politiche, a cominciare dalle
prossime degli studenti e degli universitari.
Il governo non si risparmia. Fa le veci del Parlamento. Fa le veci della magistratura, si impegna all’unisono, interni e giustizia, a spiegarle che i ragazzi fermati vanno tenuti in galera.
Si profonde in avvertimenti sul ritorno del Sessantotto e degli anni di piombo. Dal’45 al Sessantotto erano passati 23 anni. Dal Sessantotto a oggi 42.
I “ragazzi” di oggi, dai 41 anni in giù, sono nati dopo il Sessantotto, e dai 40 in giù dopo lo sbarco sulla luna.
Che studenti ricercatori operai vadano sui tetti al governo sembra seccante, ma fino a un certo punto.
Da lì possono solo scendere, o buttandosi di sotto, e non c’è problema, o dalle scale, e basta aspettarli e rimetterli al loro posto.
Che dai tetti scendano nelle strade e le riempiano e tornino ad avere insieme obiettivi definiti e un’ispirazione generale, che ripudino una presunta riforma e non ne possano più di un’intera idea del senso della vita, questo il governo non può sopportarlo.
Il governo ha tutto il potere, e lo venera come un sacramento, il Parlamento è un incidente sempre più superfluo, giustizia e stampa (non servili) cerimonie fastidiose, le polizie – quando non manifestano a loro volta contro il governo – un privato servizio d’ordine.
La cosa è culminata – per il momento – nell’invenzione del Viminale: l’estensione del Daspo alle manifestazioni politiche – cioè alla politica. Essendo le manifestazioni politiche appunto il modo di manifestarsi della politica, la proposta vale nè più nè meno all’esonero di polizia di un certo numero di cittadini – “ritenuti pericolosi” – dalla politica, e dunque, per completare il giro di parole e di fatti, dalla cittadinanza.
Ascoltare la trovata e sorridere – o ridere francamente – è fin troppo facile. “Li vogliamo vedere, a decidere chi può partecipare a un corteo o a un comizio, e poi a impedirglielo”.
Ma il bello delle trovate reazionarie sta proprio lì: che vengano sparate nonostante la loro enormità , anzi, grazie alla loro assurdità .
Gli anziani si ricorderanno le polemiche roventi sulle leggi d’eccezione e il fermo di polizia.
Ma il fermo di polizia, anche il più arbitrario per durata e modalità , pretende almeno di far seguire l’arbitrio a un reato commesso.
Qui il fermo ne precede la presunzione, vagheggia una legislazione dei sospetti.
Alle manifestazioni politiche possono partecipare solo i buoni cittadini: i cattivi no. Chi sono i cattivi? Quelli che, se si permettesse loro di partecipare alle manifestazioni politiche, si comporterebbero male.
Logico, magnifico. Vengo anch’io. No tu no. E perchè? Perchè no.
Il Viminale non vuole. Per il nostro bene.
L’idea del Daspo politico è così genialmente ministeriale da lasciare ammirati e senza parole.
All’inizio; poi le parole vengono, altro che se vengono.
Una volta che vi siate informati su che cos’è (è il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, scritto così) perchè non applicare il Daspo anche agli accessi alle Autostrade Italiane?
Ho appena sentito dalle autorità preposte che la colpa di ieri è degli automobilisti sventati che sfidano la sorte senza attenersi alle raccomandazioni dei cartelloni stradali (“catene a bordo” eccetera: anche in treno?).
Dunque Daspo ai caselli.
Manifestanti o automobilisti, basterà dotare le polizie (e le forze armate, per la sinergia) di un elenco dei facinorosi, da compulsare al momento della loro discesa in strada.
Del resto, diciamocelo: elenchi così ci sono già , pubblici e privati.
Per le incombenti manifestazioni studentesche basterà disporre di un primo catalogo approssimativo: due o tre milioni di nomi e cognomi.
Del resto, avvenne già . Anzi, geniale com’è, l’idea ministeriale rischia di essere troppo modesta rispetto ai precedenti classici.
Fascismo o “socialismo reale” non sapevano forse assicurare l’ordine pubblico e lo svolgimento ordinato delle libere manifestazioni, piuttosto che con la bruta repressione, con una accurata azione preventiva (di igiene, vorrei dire, ora che questa sintomatica parola – “la guerra, igiene del mondo” – è stata rimessa all’onore del mondo stesso)?
Andando più per le spicce, quei regimi non si limitavano ad applicare un Daspo antemarcia ai sospetti dissidenti per le eventuali loro manifestazioni pubbliche, ma per le proprie.
Alla vigilia delle quali gli oppositori, meticolosamente schedati senza bisogno di computer, quando non fossero già al sicuro in galera o al confino, venivano arrestati o consegnati agli arresti a domicilio.
E la piazza delle manifestazioni di regime ne risultava sgombra dal rischio di incidenti: igiene, appunto, piazza pulita di rivoltosi, violenti e altri rifiuti organici.
Si applichi dunque il Daspo alle manifestazioni politiche, ma se ne escludano le manifestazioni di opposizione al governo – non occorre vietarle, basta abolirle – e lo si applichi rigorosamente a quelle del Pdl, della Lega e delle forze loro alleate, dai cui paraggi saranno allontanati i membri dell’Elenco Facinorosi, e concentrati per il tempo necessario alla sicurezza collettiva e all’ordinato esercizio del diritto di manifestazione – 36 ore minimo – fra Incisa Valdarno e Firenze Sud.
A bordo. In catene.
di Adriano Sofri
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
UNA MAMMA MILANESE RIFLETTE SUL FUTURO DELLA FIGLIA NEL GIORNO DEL TRENTESIMO COMPLEANNO… RIPENSA AI PRESAGI DI UN AVVENIRE FELICE E SI INTERROGA SU UN PRESENTE CHE SCONFORTA… LA LETTERA AL “CORRIERE DELLA SERA” DI UNA MAMMA ARRABBIATA
Caro direttore,
ieri mia figlia ha compiuto trent’anni.
Da diversi anni lavora nella stessa azienda con contratti «a progetto».
Subito dopo la sua nascita, in una gelida notte di luna piena, da un finestrone del reparto maternità dell’allora già vetusto ospedale Principessa Jolanda di Milano (oggi non c’è più) ho potuto ammirare la cupola di Santa Maria delle Grazie del Bramante incorniciata da un cielo terso, luminoso e azzurro che sembrava finto, nel quale, a far da contrappunto alla luna, brillava una stella solitaria.
Uno scenario di rara bellezza che mi era sembrato un ottimo auspicio per la mia bambina.
Oggi sono una madre molto arrabbiata.
Non è mia figlia che mi ha deluso. E non è di lei che voglio parlare, ma dell’indifferenza di chi assiste senza scomporsi al dramma della sua generazione.
Alla sua età io avevo già fatto molti sacrifici, ma avevo prospettive concrete di crescita professionale e di fare progetti per la vita.
Per mia figlia e la grande maggioranza dei suoi coetanei i sacrifici non bastano: con questi giovani la realtà è stata, ed è, avara di occasioni e ladra di sogni.
Possono anche dimostrare di valere, ma non hanno la libertà di inventarsi il futuro.
Abbiamo perso il valore del lavoro, la sua dignità , il suo ruolo nella crescita individuale e nella società .
Non siamo stati capaci di difendere il futuro dei nostri figli. Abbiamo creduto che bastasse aver conquistato certi diritti per avere la certezza che sarebbero durati all’infinito.
Complice un diffuso benessere, amplificato in principio dal «riflusso» degli anni Ottanta, abbiamo un po’ dormito sugli allori.
Noi, che abbiamo potuto realizzarci grazie al lavoro, li abbiamo cresciuti nella certezza che il loro futuro sarebbe stato migliore.
Responsabilità ben maggiori hanno i governi degli ultimi vent’anni senza distinzione, la classe dirigente, le parti sociali, spesso l’inadeguatezza strutturale e formativa della scuola e dell’università .
Mi sembra che nessuno, tranne noi e i nostri figli, voglia la fine di questo scandalo. Sono troppi gli altri interessi in gioco.
Con che cuore e testa possiamo accettare che i nostri giovani (e smettiamola con i «bamboccioni»), non abbiano futuro?
Nonostante le lauree e i master all’estero, la loro vita sembra segnata irrimediabilmente dalla precarietà . Altro che meritocrazia. E non vale il discorso che sono pigri e viziati.
I fannulloni non sono una scoperta del ministro Brunetta, sono sempre esistiti. Per fortuna sono eccezioni.
Le attuali regole del mercato del lavoro, nel tentativo di favorire l’occupazione e combattere il lavoro nero, in molti casi hanno finito paradossalmente per legalizzare la precarietà .
Cos’altro si può dire quando, pur non ricorrendo le condizioni previste dalla legge, e in totale assenza di controlli, certe aziende impiegano in massa contratti «a progetto» rinnovabili all’infinito?
Perchè l’Inps, che da questa tipologia contrattuale riceve contributi irrisori, non controlla che siano veritieri e non degli abusi?
Meno male che c’è il welfare delle famiglie.
Però anche le famiglie si stanno impoverendo e non mi riferisco solo alle risorse economiche. L’infelicità dei tuoi figli, la loro impossibilità di pensare a domani con un minimo di stabilità , la loro sfiducia, frustrazione, quando non disperazione, fa soffrire anche te, ti condiziona, ti deprime, vivi male.
Si vive male tutti.
Basta con l’alibi della crisi globale che paralizza la crescita del Paese.
In tempi di crisi c0è anche chi si arricchisce.
Non si dica più che da noi però c’è più occupazione che in Spagna.
Si dica invece che ce n’è meno che in Germania e quella che c’è comprende qualche milione di lavoratori «atipici».
Credo che abbia ragione chi dice che è finito il tempo del posto fisso perchè il mercato del lavoro esige sempre più flessibilità , ma andare in questa direzione senza criterio nè tutele non è un passo avanti.
Il processo di trasformazione sociale in atto non dovrebbe essere solo un prezzo da pagare.
I giovani hanno capacità di adattamento, ma non vogliono e non devono essere ingiustamente penalizzati.
Un lavoro dignitoso e flessibile ma con garanzie graduali, fino a raggiungere una certa stabilità , è un elemento importante per ridare fiducia e contribuire al rilancio dell’economia. Non lo dico io, che sono solo una madre arrabbiata, l’hanno detto e lo dicono ripetutamente economisti e giuslavoristi importanti. Ultimamente anche Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia.
Sarebbe il modo migliore per dare contenuto a due principi costituzionali: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro» (art. 1) e «La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» (art. 4). Effettivo.
Valentina Strada
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
“ABBIAMO DIFESO ROMA DA UN’ORDA DI BARBARI”… “SE ARRESTASSERO MIO FIGLIO LO PICCHIEREI, AVEVANO PICCONI ED ACCETTE”…”SIAMO I SUPPLENTI DI UN GOVERNO CHE NON CI TUTELA”
«Dio non voglia che questi, un giorno, raggiungano il loro scopo: uccidere uno
di noi. Come gli ultrà hanno fatto con Raciti. Perchè allora non so proprio come andrebbe a finire. I politici, gli onorevoli come li chiamo io, devono capire che bisogna cambiare strada. Subito».
«Drago» è una montagna. Lo è nell’aspetto, ma anche dentro. Due lauree brevi, una famiglia da mantenere.
Gianluca Salvatori («Ma se non dite Luca Drago nessuno mi riconosce», ci tiene a sottolineare) ha 43 anni, è un assistente capo della polizia. E un punto di riferimento per gli agenti del Reparto mobile di Roma. Un celerino, insomma. Di quelli che martedì scorso si sono ritrovati a fronteggiare centinaia di teppisti scatenati.
«Da soli, in 25, abbiamo respinto 5 mila energumeni armati di “male e peggio”, picconi, accette: ma quando ci daranno qualcosa di meglio di uno scudo e un manganello? Dove sono gli idranti e i “capsulum” (un potente lancia-peperoncino)?», chiede «Drago», che a piazza del Popolo ha preso colpi al petto e a una spalla, ed è finito in ospedale.
Luca è un giellista (dal Gl40, piccolo fucile usato per sparare lacrimogeni) e guida i blindati.
È anche impegnato nei sindacati, come segretario provinciale della Consap. Ma la sua casa è la caserma di Ponte Galeria. Sulla carta oltre 500 uomini, «ma alla fine siamo 250.
Un gruppo unito, legato da affetto fraterno, una squadra più simile a una famiglia». Con una vita in prima linea.
«Per 1.200 euro al mese, più 13 di indennità nei giorni di ordine pubblico – svela l’agente -. Quanto guadagniamo all’ora nemmeno ve lo dico perchè è ridicolo. I nostri colleghi spagnoli prendono quasi il triplo, gli altri anche di più. Ce la battiamo solo con i greci, ma lì è un’altra storia».
Quasi tutti i giorni con casco, scudo e mimetica imbottita.
Nelle manifestazioni e allo stadio.
Gli insulti nemmeno li sente più: «Di quelli non mi preoccupo – aggiunge il poliziotto – non mi offendo, anzi non ci offendiamo, noi del Reparto: li guardi in faccia, questi ragazzini, anche loro con i caschi e gli scudi. A qualcuno gliel’ho anche detto: “Ma lo capisci che con un arresto ti rovino il futuro?” C’è chi ti sta a sentire, chi ti ringrazia, come uno di Pisa che ho incontrato in ospedale. Ma tanti se ne fregano. E magari un giorno te li ritrovi a fare politica».
«Drago» c’era anche a largo Goldoni, durante l’aggressione al finanziere.
Con i suoi («Compagni, camerati, colleghi? Come li devo chiamare per non essere etichettato?») è fra coloro che sono corsi in aiuto del militare. «C’erano tutte le condizioni perchè usasse la pistola che volevano portargli via – spiega l’assistente capo – ma lui non l’ha fatto. Immaginate cosa sarebbe successo se un manifestante fosse riuscito a prenderla? Nell’ordine pubblico non si può sbagliare, non è come fare le indagini, dove c’è il tempo di fare correzioni. Da noi no. Quello che si prevede non è mai quello che accade. E in piazza non siamo solo poliziotti: siamo i supplenti di un governo, come anche ha detto il capo della polizia, di destra o di sinistra che sia, che invece non ci tutela come dovrebbe. I politici promettono aiuti che non arrivano mai e noi sacrifichiamo le nostre vite, privato compreso».
Essere un celerino vuol dire anche questo: «Certo, crediamo in quello che facciamo, per me è una vocazione. Martedì, come le altre volte, siamo stati i difensori di Roma contro un’orda di barbari. Ma anche noi abbiamo il diritto di tornare a casa tutti interi. Abbiamo madri, mogli e figli che ci aspettano. Proprio come i teppisti che fermiamo. Invece ci lapidano e ci ordinano di stare fermi, immobili. A subire di tutto. Non dico che le “teste calde” che ci sono fra noi facciano bene a sfogarsi. È chiaro che sbagliano, ma dopo 12 ore di questa storia…».
Alcuni fra i 53 feriti delle forze dell’ordine vogliono costituirsi parte civile contro chi li ha fatti finire in ospedale negli scontri a via del Corso e piazza del Popolo.
«Drago» protesta: «Se un agente sbaglia paga tre volte rispetto a un cittadino normale, ma i danni fatti da questi teppisti a chi li chiediamo? Ai genitori? Tanto nemmeno loro capiscono: sempre martedì, in commissariato, ne ho incontrati alcuni – racconta l’agente -. Volevano notizie dei figli fermati. Per loro era come se fosse stato normale. “Dobbiamo aspettare che ste’ m…. decidono se carcerarlo oppure no”, diceva uno. Ma che scherziamo? Se succedesse a mio figlio il primo a picchiarlo sarei io».
«Ormai si sentono legittimati a fare tutto. Legittimati dalla giustizia che li mette fuori dopo tutto quel casino. E a ripresentarsi in piazza la settimana prossima. Ma ci saremo anche noi, come sempre».
Rinaldo Frignani
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 19th, 2010 Riccardo Fucile
AVVIATE LE PROCEDURE DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI … E’ IL PREZZO POLITICO PAGATO PER L’ACQUISIZIONE DEI DUE DEPUTATI ALTOATESINI CHE ALTRIMENTI AVREBBERO VOTATO LA SFIDUCIA
Il premier ribadisce che non c’è stata alcuna compravendita di deputati, intanto il Consiglio dei ministri ha approvato una serie di provvedimenti a favore delle province autonome di Trento e Bolzano.
Tra cui la (richiesta) gestione del parco.
La gestione del parco nazionale dello Stelvio finirà nelle mani delle province autonome di Trento e Bolzano.
Il Consiglio dei ministri ha compiuto il primo passo, approvando una serie di provvedimenti a favore del Trentino Alto Adige ed ha avviato “l’esame delle questioni connesse alle norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige che riguardano le funzioni esercitate dalle Province di Trento e Bolzano relative al Parco dello Stelvio”.
Rispettando dunque gli accordi raggiunti con i deputati della Svp prima del foto di fiducia per l’astensione in aula.
Un incontro successivo tra i due e il ministro Fitto è poi servito a entrare nel dettaglio.
“Oggi il Consiglio dei ministri ha cominciato a prendere in esame le questioni, mostrando una “maggiore sensibilità ”, scrivono le stesse agenzie di stampa, “alle Regioni autonome, in particolare Trentino Alto Adige e Val d’Aosta”. Scrive l’Adnkronos: “Così le decisioni assunte oggi dal Consiglio dei ministri destano il plauso dei rappresentanti in parlamento”.
Sul fronte fiscale, il capogruppo della Svp alla Camera Siegried Brugger (astenutosi durante il voto della mozione di sfiducia) saluta il via libera alla determinazione della quota nazionale spettante alle province autonome di Trento e Bolzano spiegando che “è l’attuazione dell’impegno preso a Milano un anno fa” con i ministri Roberto Calderoli e Giulio Tremonti.
Brugger cerca di spiegare che “l’impegno ad attuare tale intesa era fissato già da un anno al 31 dicembre 2010, quindi non è che il nostro orientamento nei confronti dell’esecutivo sia stato in funzione di questa decisione”.
Forse dimentica che l’impegno era finito nel dimenticatoio ed è stato rispolverato per l’occasione.
Detto questo, il Cdm ha approvato anche una norma relativa al Parco nazionale dello Stelvio:
“Non è – precisa Brugger- una cessione dello Stelvio alle Province autonome e alla Lombardia (con Sondrio, ndr.). Il Parco resta nazionale — sottolinea — avrà sempre un rappresentante del ministero dell’Ambiente e la gestione più autonoma consentirà risparmi per sette milioni con cui il ministro Prestigiacomo forse potrà scongiurare la paventata chiusura di altri parchi”.
Sarà interessante verificare tra qualche tempo se questo presunto risparmio vi sarà realmente o se si tratta di chiacchiere.
Anche il rappresentante al Senato dell’Union Valdotaine, Antonio Fosson, si dice “soddisfatto” per la “decisione assunta dal governo dopo un percorso positivo nel metodo e nel merito”.
La Val d’Aosta alla Camera è rappresentata da un esponente dell’opposizione, Roberto Nicco, che siede nelle Minoranze linguistiche per ‘Autonomie libertè democratiè, e che, invece, non è affatto soddisfatto della decisione del Cdm.
“C’è un taglio di risorse nel 2017 per 211 milioni di euro. Dicono che sia il male minore, però il mio giudizio resta negativo. Senza contare – conclude il senatore che il 14 ha votato per la sfiducia all’esecutivo – che è ferma in commissione la nostra proposta per la revisione dello Statuto e della riforma del Senato come Camera delle Regioni non si è fatto nulla”.
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