Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER TELEFONA ALLA TRASMISSIONE DI “ALFONDO” SIGNORINI E SUONA IL SOLITO DISCO: “NON E’ UN CACHEMIRE CHE PUO’ CAMBIARE IL CERVELLO: I COMUNISTI HANNO CAMBIATO NOME AL PARTITO, MA SONO RIMASTI GLI STESSI DI PRIMA…”MISTIFICANO LA REALTA’ E VOGLIONO FARMI FUORI PER ARRIVARE AL POTERE”… MA LUI DOV’ERA?
“I comunisti ci sono, esistono eccome”. 
Per ribadire la sua innovativa convinzione, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è collegato telefonicamente con “Kalispera”, la trasmissione di “Alfondo” Signorini, durante la registrazione della puntata in onda stasera su Canale 5.
Signorini ha mostrato al premier una fotografia di Massimo D’Alema in vacanza con la moglie a Saint Moritz.
Commentando la foto, il conduttore ha chiesto a Berlusconi se, secondo lui, i comunisti esistono ancora, visto che politici ex Pci come D’Alema fanno le vacanze in località per vip, vestono cachemire e vanno in barca a vela.
Ecco la risposta di Berlusconi: “Non è un cachemire che può cambiare il cervello e il cuore della gente. I nostri post-comunisti fanno finta di avere abitato su marte e dicono anche di non essere mai stati comunisti, ma non hanno mai fatto i conti con il loro passato e con gli orrori di una ideologia spaventosa. Ricordiamo sempre che è stata l’ideologia più disumana e criminale della storia dell’uomo che ha prodotto solo miseria e disperazione e più di 100 milioni di morti”.
“I comunisti italiani – ha proseguito il premier – hanno sperato che bastasse cambiare il nome del partito per cancellare il passato. Hanno cambiato il nome più volte, ma il trucco non ha funzionato. Sono rimasti gli stessi di prima, con gli stessi pregiudizi e lo stesso modo di fare politica. E’ vero, si sono imborghesiti, indossano capi firmati, scarpe fatte su misura, pasteggiano a caviale e champagne. Una volta andavano nelle case del popolo, adesso frequentano i salotti più chic, ma non hanno perso il vecchio vizio di mistificare la realtà e di demonizzare l’avversario e calunniarlo cercando di farlo fuori, come fanno con me. Utilizzando per questo i magistrati a loro vicini, perchè mi considerano un ostacolo da eliminare assolutamente per arrivare al potere. Purtroppo, non sono cambiati e temo che non cambieranno mai”.
Vista la nota passione di Berlusconi per le donne, Signorini azzarda anche la domanda: tra i flirt del presidente del Consiglio, ci sono mai state donne di sinistra?
“Mai, posso giurarlo” replica deciso Berlusconi.
E quando Signorini gli fa notare che la sua ex moglie, Veronica Lario, è diventata un’icona della sinistra, Berlusconi svicola con un “mi astengo”.
A parte che a giudicare dalla facilità con cui le escort entravano a palazzo Grazioli senza controlli, portandosi pure il registratore, ci permettiamo di dubitare che il premier abbia mai chiesto l’ideologia politica a qualcuna delle sue disinteressate conquiste in fase preventiva, non possiamo non soffermarci sulle sue dichiarazioni “anticomuniste”.
E ci chiediamo:
1) Ma lui dov’era quando i ragazzi di destra rischiavano la pelle davanti alle scuole negli anni di piombo per combattere “il comunismo”?
Stava in piazza con noi o forse in qualche villa miliardaria protetto da Mangano?
2) Ma lui dov’era quando i ragazzi di destra si autotassavano delle poche monete che avevano in tasca per comprare una risma di carta da volantini e propagandare le proprie idee?
Forse era a finanziare a suon di miliardi il Psi di Craxi per avere spazi liberi per le sue Tv commerciali?
3) Ma lui dov’era quando a destra nessuno concedeva in affitto una sede agli “anticomunisti” per paura che la facessero saltare per aria?
Forse era a commercializzare gli appartamenti di MIlano2 ?
4) Ma lui dov’era quando morivano assassinati tanti giovani di destra e nessun giornale spendeva una parola per loro?
Dov’erano i duri e puri anticomunisti alla Feltri, alla Fede, alla Belpietro?
Quanti articoli hanno dedicato a quelle vittime?
E quanti che lavorano a Mediaset erano tra gli istigatori all’odio?
5) Ma lui dov’era quando qualcuno tentò di comprarsi diversi deputati del Msi, creando Democrazia nazionale?
Non era forse tra coloro che staccarono un assegno da 100 milioni per favorire l’operazione?
E allora eviti di darci lezioni non richieste, parli di altro, per cortesia.
Se vuole trovare qualche ex comunista, farebbe prima a cercarlo nel suo partito, magari al ministero della Cultura o in qualche suo viaggio a Mosca.
Se per lui tutti gli avversari, i magistrati e chi non la pensa come lui sono comunisti, il problema patologico è suo.
Persino Fini è diventato “comunista” solo perchè chiede il rispetto della Costituzione e dei diritti umani degli immigrati.
Qualcuno gli faccia sapere che comunisti e fascisti nno esistono più in Italia, cambi disco e speculazione.
Il problema vero dell’Italia è piuttosto che sono rimasti solo i pirla.
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
DAL PRIMO GENNAIO INTERROTTA L’ASSISTENZA AGLI UFFICI GIUDIZIARI… I MAGISTRATI PARLANO DI “COLPO FINALE” AL FUNZIONAMENTO DELLA GIUSTIZIA E ANNUNCIANO PROTESTE CLAMOROSE…E’ QUESTA LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA ANNUNCIATA DAL GOVERNO DEGLI ACCATTONI?
“Una paralisi complessiva del sistema”, con la “chiusura dei tribunali”, e l’impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi.
E’ quello che si rischia con il blocco dal primo gennaio scorso dell’assistenza informatica agli uffici giudiziari.
Per questo l’Associazione nazionale magistrati annuncia una “protesta forte e decisa” e parla di “colpo finale” del governo a una “macchina che ha già enormi difficoltà di funzionamento”.
“Altro che riforme, qui c’è il rischio che i tribunali chiudano. Da tempo chiediamo una seria politica che razionalizzi i costi ed eroghi risorse umane e materiali tali da consentire un efficace funzionamento della gisutizia” insiste il presidente del’Anm.
Il grido d’allarme dell’assocaizione trova conferma nelle parole del capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia Luigi Birritteri, che ammette le difficoltà .
Un intervento fatto dopo la riunione al ministero di via Arenula, alla quale hanno partecipato anche rappresentanti del Viminale per verificare le “possibile ricadute sull’attività di polizia”.
“L’allarme è più che giustificato”, scrive Birritteri. “Voglio, tuttavia, rassicurare
tutti sull’impegno del Ministro per la soluzione del problema in tempi assai brevi”.
Ma le toghe che annunciano la mobilitazione: “la politica del governo fatta di annunci e conferenze stampa mostra scarsa percezione dei veri problemi della giustizia. Il ministro non può parlare di processo breve e poi negare le risorse minime per i sistemi informativi automatizzati. Senza un provvedimento immediato di ripristino della assistenza informatica, torniamo indietro di vent’anni, con danni irreparabili alle indagini, ai rapporti tra polizia e procure e ai processi civili; diventa impossibile la ragionevole durata dei processi. A pagare il prezzo di tutto questo sono i cittadini. Senza rimedi urgenti sarebbe un fallimento per il paese”.
Il governo si riempie la bocca con promesse di modernizzazione della pubblica amministrazione e allo stesso tempo taglia i fondi sui servizi informatici”.
La promessa dell’era digitale, tante volte garantita dal Guardasigilli Alfano, è andata in frantumi.
E tutto non per colpa del ministro, ma del collega Tremonti e del drastico taglio dei fondi al ministero di via Arenula.
Erano 85 i milioni garantiti per le spese informatiche nel 2008.
Sono diventati 58 l’anno successivo.
E ancora sono calati a 45 in quello dopo. Per il 2011 il titolare di via XX settembre ne ha “postati” in bilancio solo poco più di 27.
La conseguenza sarà lo stop a qualsiasi forma di assistenza e manutenzione per l’intero sistema informatico che garantisce la vita della macchina giudiziaria in Italia.
Raccontano di un Alfano furioso con Tremonti per il taglio contro cui il Guardasigilli ha inutilmente protestato. I conti sono fatti: 60mila postazioni, 5mila server, 1.800 uffici in tremila edifici.
L’intera giustizia civile e penale si regge sull’informatica e sull’assistenza che ogni minuto deve essere garantita.
Se questa si ferma, se nessuno aiuta in singolo magistrato o il singolo cancelliere alle prese con un computer che fa le bizze le conseguenze sono irreparabili.
Denunciano gli addetti ai lavori: “i tribunali chiuderanno e se si blocca un ufficio essenziale per la vita del Paese le imprese non potranno più partecipare a una gara di appalto, perchè non avranno la certificazione necessaria. E non si potrà nemmeno iscrivere una causa a ruolo. Lo stesso problema si porrà per chi intende prender parte a un concorso pubblico».
E pensare che il governo degli accattoni aveva posto al primo posto delle priorità la riforma della giustizia.
Ah già , era solo riferita ai processi del premier…
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
UN UOMO TENTA UN’ESTORSIONE A FINI MILLANTANDO FOTO OSE’, POI UNA ESCORT DA’ UN’INTERVISTA AL SITO DI UN EDITORE GIA’ LEGATO AL PDL…E LA STORIA DELLE CIMICI IN CASA BOSSI SI SEMPRE PIU’ TORBIDA
La responsabile dell’ufficio stampa del ministro Umberto Bossi, Nicoletta Maggi, scopre
un bel giorno che troppe persone conoscono i segreti del Senatur.
Quelle conversazioni riservate tra lei e il capo su argomenti delicati sono uscite fuori dalla cerchia ristretta.
Ne parla al Senatur e questi, invece di alzare le spalle e sorridere, chiama una società specializzata che scova due cimici nascoste da mani esperte: “una vicino al tavolo nella presa di corrente, una nascosta nel frigorifero”.
A quel punto Bossi chiama una ditta privata che invia i suoi uomini a bonificare anche l’abitazione romana.
Saltano fuori cimici ovunque: “Ne hanno trovate un bel po’ dove ci sono i bocchettoni dell’aria calda”, spiega l’Umberto.
La Lega ha nelle mani il ministero dell’Interno, ma Bossi aspetta qualche giorno prima di chiamare Roberto Maroni.
Il quale poi sguinzaglia una squadretta di funzionari della Polizia scientifica. La differenza tra la società privata e la Polizia (pubblica) è impercettibile, agli occhi di Bossi, che chiama gli agenti “gli uomini di Maroni”.
Comunque i superesperti in guanti bianchi non trovano assolutamente nulla. Chi ha messo le cimici le ha fatte sparire in tutta fretta, sfruttando i giorni di vantaggio concessi dal ministro.
Cosa fanno a questo punto Bossi e Maroni di fronte a un reato compiuto nell’abitazione e nell’ufficio del numero due della maggioranza?
Il responsabile della sicurezza del nostro Paese e il ministro delle Riforme non denunciano nulla alla Procura di Roma e probabilmente inducono la Scientifica, che conosce l’esistenza delle cimici prima dell’intervento, a non fare rapporto.
Cosa spinge i due ministri e la Polizia a rischiare il reato di omessa denuncia? La sfiducia di Bossi negli apparati guidati da Maroni: “Ho temuto che chiunque fosse venuto a fare la bonifica avrebbe potuto mettere le altre cimici”.
Chiunque, dice Bossi: anche i servizi diretti da Berlusconi, anche la Polizia diretta da Maroni, potrebbero spiarlo.
Intanto ieri la Procura di Roma ha aperto l’ennesima indagine sull’ennesimo tentato ricatto ai danni di un politico.
È stato Gianfranco Fini a denunciare un episodio inquietante: un signore ha telefonato al suo entourage, raccontando di possedere foto imbarazzanti sul suo conto.
Secondo gli avvocati del presidente della Camera, l’episodio potrebbe essere collegato alla storia, lanciata da Maurizio Belpietro sulla prima pagina di Libero, della escort che racconta presunte prestazioni sessuali pagate dalla terza carica dello Stato.
E poi si fa intervistare dal sito di un editore che voleva candidarsi col Pdl e pubblica un quotidiano in abbinamento al Giornale della famiglia Berlusconi.
2011, benvenuti a Ricattopoli.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
C’E’ CHI DICE CHE VOGLIA TENERSI I SOLDI PER GLI ALTI COSTI DEL FEDERALISMO, D’INTESA CON BOSSI, MA TREMONTI CONTINUA A NEGARE QUATTRINI A TUTTI…E BERLUSCONI VEDE SVANIRE LO SPOTTONE SULLA RIFORMA FISCALE E SUGLI AIUTI ALLE FAMIGLIE CHE GLI AVREBBERO PERMESSO DI VENIRE INCONTRO ALL’UDC
Berlusconi sogna di intercettare la ripresa, di irrobustirla, ripete che la Confindustria ha le sue ragioni, che bisogna dare ossigeno alle imprese, e anche alle famiglie, a tutti insomma, perchè oggi finalmente si può fare, il peggio della crisi è alle nostre spalle e si scorgono i primi segnali di una stabilizzazione verso l’altro delle curve dei prodotti interni.
Berlusconi compulsa i dati economici e sofferma l’attenzione su quelli positivi. Tremonti no. O non solo.
Riconosce i segnali ma sottolinea anche quelli negativi: l’occhio puntato dei mercati internazionali, la nostra condizione di eterno osservato speciale, l’impossibilità di dare alibi a chi può giocare brutti scherzi al nostro Paese.
Il Cavaliere definisce «chiacchiere» dei media le indiscrezioni sulle frizioni con il suo ministro.
E magari anche di questo avranno parlato ieri pomeriggio, in una telefonata che è parsa agli staff conciliante, eppure nessuno dei due fa mistero di pensarla in modo opposto sulle capacità della nostra finanza pubblica, su quello che Palazzo Chigi può fare per sostenere il Pil, per immettere maggiori risorse in circolazione, stimolare i consumi.
Non ne fanno mistero in privato, sono obbligati a negarlo in pubblico.
Si diceva mesi fa che il Cavaliere e Fini fossero destinati a fare la pace, ad essere alleati nonostante tutto; sembra oggi, dopo il divorzio con il leader di An, che l’unica relazione che il capo del governo non può abbandonare sia quella con il suo ministro più accreditato fuori confine.
Può immaginarlo forse, ma non può farlo, è il concetto che ogni tanto si ascolta anche fra le osservazioni del secondo, convinto di non avere sostituti, se mai l’argomento fosse all’ordine del giorno, almeno adatti a farci fare bella figura in Europa, a presentare i nostri conti all’estero.
Anche sulla riforma fiscale la pensano in modo diverso: per il premier dovrebbe portare ad un alleggerimento del carico tributario, ma i primi conti fatti al dicastero dell’Economia sembrano lasciare gettito e pressione invariati, si cambiano i fattori ma non la somma finale, si semplifica ma non si alleggerisce, non c’è spazio al momento per il quoziente familiare e nemmeno per la vagheggiata riduzione delle tasse.
Il sogno del Cavaliere resta tale.
Non solo: negli ultimi giorni il ministro dell’Economia ha cominciato anche a mettere in dubbio la grande riforma del fisco.
Da lui immaginata epocale, bipartisan, concertativa; pensata come il fiore all’occhiello della sua azione politica; oggi invece al centro di uno sconforto, perchè convinto che i numeri in Parlamento, che sono e resteranno a suo dire precari, anche in caso di slalom intorno al voto anticipato, mettono seriamente a rischio un lavoro di così ampio respiro; pensato, nei suoi aspetti salienti, anche come frutto del dialogo con l’opposizione e con le parti sociali. E se uno vede nero e l’altro vede rosa c’è ben poco da aggiungere.
Il nero si declina, senza reticenze, in privato, con l’analisi sulla reale forza di Palazzo Chigi dopo l’uscita di Fini: molto bassa, incapace di sostenere le riforme che servono al Paese, di regalare all’esecutivo quella serenità che serve per governare senza galleggiare.
Sono riflessioni meno telegrafiche, più raffinate, ma simili a quelle che ogni tanto si ascoltano in bocca al leader della Lega.
L’approdo è uno solo, il voto anticipato.
Il rosa invece vede per fine gennaio l’arrivo di una nuova pattuglia di deputati alla Camera, vede un nuovo gruppo a Montecitorio che cambia gli equilibri nelle commissioni, vede la ripresa economica e persino la fine della legislatura.
Se non hanno litigato, come assicura il presidente del Consiglio, comunque lui e il suo ministro sono e restano, al momento, due centri di analisi diversa.
Marco Galluzzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
“ATTENTO UMBERTO, NON ASCOLTARE GIULIO”: DOPO FINI, ORA IL PREMIER HA TROVATO UN NUOVO NEMICO CHE “VUOLE PORTARGLI VIA IL POSTO”… MA LA CAMPAGNA ACQUISTI LANGUE
Il Cavaliere si tiene stretta la sua poltrona e cerca di convincere il Senatùr che il
ministro dell’Economia stia giocando una partita tutta sua per arrivare a Palazzo Chigi.
«Tremonti pensa solo a se stesso», confida un ministro di rango che avverte il pericolo di un Carroccio trascinato alle urne senza il consenso del premier. Il quale nei colloqui telefonici di questi giorni ha chiesto al leader leghista di stare alla larga da certe tentazioni. «Dimmi se la pensi come Giulio, ma ricordati che se si va al voto te ne assumi la responsabilità ».
Il tutto ovviamente condito dall’assicurazione che il federalismo fiscale verrà approvato, che i numeri ci sono.
Ci sono 10 deputati pronti al salto della quaglia nella maggioranza. A questi se ne potrebbero aggiungere altri 10 che sarebbero i subentranti a quei ministri-deputati che si dovrebbero dimettere dalla Camera.
Operazione complicata, quest’ultima, alla quale Bossi non crede.
E dei nuovi arrivi da Fli e Udc non c’è ancora traccia anche se ieri il premier ha detto di essere «sicuro che entro la fine di gennaio in Parlamento ci saranno le condizioni per portare a termine la legislatura.
L’Italia ha bisogno di tutto, tranne che di elezioni anticipate». Ha bisogno di «stabilità che ci viene richiesta da tutti i protagonisti più importanti della nostra società , dall’industria alla Chiesa cattolica».
Tensioni, contrasti con Bossi e Tremonti? Macchè: «Solo chiacchiere al vento, non c’è nulla di vero».
Intanto, per dimostrare che solo di chiacchiere si tratti il Cavaliere avrebbe dovuto accettare l’invito alla «cena degli ossi».
Un invito calibrato proprio per svelenire il clima e far vedere che si va d’amore e d’accordo. Cosa per niente vera.
Berlusconi ha un problema grande come una casa con la Lega e soprattutto con Tremonti che, a suo dire, sparge veleno e cerca di convincere Bossi a staccare la spina perchè con una maggioranza raccogliticcia non si può andare avanti.
La tesi non peregrina dell’inquilino di via XX Settembre è che «tirare a campare costa».
Costa perchè i nuovi arrivi nella maggioranza di Noi Sud, i siciliani di Romano e Mannino e quant’altri parlamentari meridionali chiedono maggiori spese.
Lo stesso decreto Milleproroghe rischia di uscire da Camera e Senato con un fardello di milioni in più.
Per non parlare dell’Udc. Secondo Tremonti la trattativa con Casini, che insiste sul quoziente familiari (costa una decina di miliardi), finirebbe per cambiare veramente gli equilibri della coalizione a scapito non solo delle casse dello Stato ma anche del Carroccio.
Argomento al quale Bossi è molto sensibile, ovviamente.
C’è un altro argomento che Tremonti mette in campo per convincere il Senatùr a mollare Berlusconi.
Ed è il «Patto Romano». Il ministro dell’Economia sostiene che ci sia un accordo sotterraneo che lega Gianni Letta, Pierferdinando Casini, ambienti papalini, finanziari, editoriali e imprenditoriali romani. Il loro obiettivo sarebbe portare Casini a Palazzo Chigi e Letta al Quirinale.
A farne le spese sarebbe Berlusconi. «Veleni, solo veleni di Tremonti – sostengono i presunti “congiurati romani” – che ce l’ha a morte con Letta. Figuriamoci se Gianni tradisce Silvio».
Ecco perchè Berlusconi ripete a Bossi «non ascoltare Giulio».
Ecco perchè ieri sera non poteva salire sul Cadore.
Ora il Senatùr frena, dice di essere ottimista, che a marzo non ci saranno elezioni. E che mai Tremonti farebbe «uno sgarbo» al Cavaliere. Al quale concede tempo.
Gli dà fiducia, mostra di credere nei numeri di Silvio («non ha mai detto balle»).
Ma lo avverte: mai l’Udc al governo. «Allargare sarebbe una continuazione della palude». È questo il paletto che Bossi condivide pienamente con Tremonti: è l’argine al «Patto romano», vero o presunto che sia.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
SI CHIAMA MARCO MILANESI, E’ IL CONSIGLIERE POLITICO E L’UOMO DI FIDUCIA DEL MINISTRO: UNA CARRIERA ILLUMINATA DA PROMOZIONI ALL’OMBRA DI TREMONTI… DEPUTATO E VICECOORDINATORE DELLA CAMPANIA, ACCANTO A COSENTINO, ORA E’ FINITO INDAGATO PER CORRUZIONE
Brillante, affidabile, capace di difendere le sue opinioni anche di fronte ai superiori.
Chi ha conosciuto Marco Milanese quando era ufficiale della Guardia di Finanza, lo ricorda così.
Se per far colpo sul comandante era necessario un taglio di capelli scolpito, il più militaresco possibile, lui non si sentiva obbligato ad andare dal barbiere.
“Non era un tipo servile e questo le persone intelligenti lo apprezzavano”, raccontano.
A dispetto delle qualità che gli vengono attribuite da chi ha lavorato insieme a lui, Milanese, 51 anni, è l’uomo che oggi mette in imbarazzo Giulio Tremonti. Giovedì 23 dicembre il ministro dell’Economia è stato ascoltato a Roma come testimone dai magistrati napoletani che indagano su una truffa da decine di milioni di euro, che ha già portato a dodici arresti.
E che ha coinvolto Milanese, consigliere politico e uomo di fiducia del ministro, indagato per corruzione per una serie di sontuosi regali che avrebbe ricevuto – ma che lui nega – da Paolo Viscione, 68 anni, l’avvocato accusato di aver organizzato la truffa, assieme al figlio Vincenzo.
Poco conosciuto al grande pubblico, Milanese è uno dei rari personaggi capaci di ritagliarsi un ruolo da protagonista al fianco di Tremonti.
Secondo nella squadra del ministro solo al capo di gabinetto Vincenzo Fortunato, nel giro di pochi anni ha saputo passare dai ranghi della Guardia di Finanza al parlamento, dov’è deputato dal 2008.
Inanellando poi una serie di incarichi assegnati da Tremonti, alla Rai e nella nascitura Banca del Sud, ma anche alla Camera e nel Popolo della Libertà , dov’è arrivato a fare da vice coordinatore per la Campania, al fianco del discusso ex sottosegretario Nicola Cosentino, nei confronti del quale lui non ha mai fatto mancare parole di sostegno: “Esprimo incondizionata solidarietà all’amico Nicola”, disse nel settembre 2008, quando infuriavano le polemiche sulle accuse di contiguità con la malavita.
Un politico in ascesa, insomma, sicuro di sè, la cui vicinanza a Tremonti trasforma l’inchiesta napoletana in un affare delicato: se nell’operato di Milanese venissero trovate ombre, a tradire il ministro sarebbe stato uno dei suoi; se invece le accuse si rivelassero vuote, sarebbe forte il sospetto che dietro la fuga di notizie – a oggi la posizione di Milanese è coperta dal massimo riserbo da parte della magistratura – ci sia un regolamento di conti.
Per intuire chi è l’uomo capace di dare del tu a Tremonti e, nel contempo, di intrattenere rapporti con Paolo Viscione – “un mio compaesano di Cervinara, provincia di Avellino”, come l’ha definito lui – bisogna tornare all’inizio della parabola di Milanese.
Da Cervinara, al confine fra Irpinia e beneventano, vengono i genitori.
Le cronache dicono che papà Raffaele avrebbe costruito mezzo paese. Stando alle carte, però, l’impresa di cui era titolare – la Appia Shopping Center Immobiliare – naviga in brutte acque da tempo, avendo traversato varie procedure fallimentari.
Milanese figlio, nato lontano dai luoghi di famiglia, a Milano, trova invece la sua strada all’Accademia della Guardia di Finanza, dove nei primi anni Ottanta è compagno di Dario Romagnoli, che diventerà poi socio dello studio di commercialisti fondato da Tremonti.
Romagnoli è uno studente capace, alla fine del corso si classifica al primo posto su 67 partecipanti. Milanese termina al 27esimo posto.
La svolta nella carriera arriva a fine 2001, quando Tremonti è ministro dell’Economia e cerca un ufficiale per fargli da aiutante di campo, una specie di segretario particolare.
Serve discrezione, occorre uno in grado di tenere la bocca chiusa sugli incontri riservati del ministro. Ed è lecito immaginare che, per valutare o magari per segnalare la candidatura di Milanese, Tremonti abbia chiesto un parere al suo vecchio compagno di studi Romagnoli.
Fatto sta che l’ufficiale ottiene il prezioso posto e dà il via alla scalata.
Già nel 2003 diventa capo della segreteria del ministro, dove sembra in grado nel giro di pochissimo tempo di far pesare la sua posizione: l’eterno antagonista di Tremonti, Vincenzo Visco del Pd, lo accusa di aver favorito la nomina di un parente, Alessio Vaccariello, prima come direttore aggiunto dell’Agenzia delle Entrate in Lombardia, poi direttore in Veneto.
Fatto sta che, messo a riposo dal governo Prodi, Vaccariello rientra in pista nel 2008, quando – tornati Tremonti e Milanese – ottiene la presidenza di tre società di Equitalia.
La sua personalissima miniera d’oro, però, Milanese sembra averla trovata alla Scuola di Formazione del ministero delle Finanze, dove comincia a insegnare con Tremonti ministro.
Un ruolo che gli frutterà in seguito alcune critiche ma anche, proprio quando l’Università taglia a tutto spiano, di strappare per legge un titolo accademico.
Le critiche arrivano dalla Corte dei Conti che, nel 2008, in un’analisi sulla gestione negli anni dal 2001 al 2006, accusa la scuola di aver assegnato troppi incarichi ai collaboratori più stretti del ministro, prestando “scarsa attenzione ai profili di incompatibilità dei docenti”, causando un’eccessiva “lievitazione dei compensi” e assegnando “obiettivi tanto indeterminati quanto improbabili”.
Il titolo accademico, invece, gli giunge grazie a una legge dell’agosto 2008, che permette a lui e ad altri uomini di fiducia di Tremonti – tutti docenti alla Scuola – di acquisire il titolo di professore ordinario, che Milanese esibisce nella sua biografia.
In effetti, nelle pieghe delle normative tremontiane, qualche dettaglio utile a Milanese ogni tanto scappa.
È il caso, ad esempio, del decreto Milleproroghe 2009, che concede ai docenti militari distaccati presso la Scuola che decidono di rientrare nel corpo militare di ottenere le stesse promozioni attribuite “al primo dei militari promossi che lo seguiva nel ruolo di provenienza”.
Il colonnello in congedo Milanese, dunque, se volesse indossare ancora la divisa, potrebbe diventare generale, a dispetto degli anni passati sui banchi parlamentari in servizio per il Pdl.
A patto che, da Napoli, non giungano cattive notizie.
Claudio Pappaianni e Luca Piana
(da “L’Espresso“)
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
CROLLO DELLE DOMANDE, TAGLIO AI FINANZIAMENTI, MANCANZA DI UNA LEGGE ORGANICA IN MATERIA A TUTELA DEI DIRITTI SANCITI DALLA COSTITUZIONE…SONO CIRCA 26.000 I RICHIEDENTI, MA ABBIAMO CREATO SOLO 3.000 POSTI….IN GERMANIA SONO OSPITATI 580.000 RIFUGIATI, IN INGHILTERRA 290.000, IN FRANCIA 160.000… LA CIVILTA’ DI UN PAESE SI MISURA ANCHE DA QUESTI ELEMENTI
L’Italia è sempre meno un Paese per rifugiati. 
L’odissea dei 140 somali, accampati da anni nell’ex ambasciata di via dei Villini a Roma, denuncia le carenze di un sistema di accoglienza, che comincia a scricchiolare: crollo delle domande di protezione, taglio ai finanziamenti, mancanza di una legge organica sull’asilo.
In Italia, il diritto di asilo è garantito dall’articolo 10 comma 3 della Costituzione: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Il richiedente asilo è dunque una persona che ha presentato domanda ed è in attesa della risposta dello Stato in merito alla concessione dello status di rifugiato.
“In base a una direttiva europea lo Stato deve garantire l’assistenza e l’accoglienza ai richiedenti asilo”.
Qual è allora il problema? “E’ che una volta concesso lo status di rifugiato (solitamente in 3/4 mesi), lo Stato italiano non ha sulla carta più alcun dovere di accoglienza verso il cittadino straniero, che deve camminare ormai con le proprie gambe”.
Ma come funziona l’accoglienza dei richiedenti asilo?
Il sistema avviato in via del tutto sperimentale nel luglio del 2001 è stato istituzionalizzato dalla legge 189 del 2002, con la costituzione del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR).
Le risorse vengono assegnate dal ministero dell’Interno, mentre la struttura di coordinamento del Sistema è affidata all’ANCI: l’associazione dei comuni italiani.
Tra il 2002 e il 2009 sono stati accolti nella rete SPRAR 26.432 richiedenti e titolari di protezione internazionale, per il 74% uomini e per il 26% donne.
529 sono i bambini e le bambine che, dal 2005 al 2009, sono nati in Italia da una mamma accolta nei progetti SPRAR.
I Paesi maggiormente rappresentati nel Sistema di Protezione sono Eritrea, Somalia, Afghanistan, Etiopia, Nigeria e Turchia.
E’ poi aumentata la presenza dei minori non accompagnati richiedenti asilo: nel 2006 gli accolti erano 31, mentre nel 2009 sono stati ben 320. Un sistema, dunque che funziona, ma non senza falle.
Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo oggi ha a disposizione 3.000 posti, organizzati in piccole strutture disseminate in 130 Comuni in tutta Italia. Il problema è che è sottodimensionato.
Abbiamo liste d’attesa molto lunghe, circa 1.000 persone l’anno scorso non sono riuscite ad accedere al Sistema” e quindi ai progetti d’accoglienza sul territorio.
Le falle del sistema e il fatto che lo Stato italiano non ha doveri formali verso chi è stato riconosciuto oramai come rifugiato, spiegano la difficile situazione del nostro Paese.
E questo, nonostante i rifugiati siano solo 55mila.
A titolo di comparazione, la Germania ospita circa 580mila rifugiati, il Regno Unito 290mila, i Paesi Bassi e la Francia ne ospitano 80mila e i 160mila ciascuno.
Non solo. Secondo i dati UNHCR, nel 2009 il numero delle nuove istanze di asilo presentate alle Commissioni territoriali sono state 17.603: quasi la metà in meno rispetto al 2008 (- 42,3 per cento).
Un crollo dovuto agli effetti del Trattato con la Libia e dei respingimenti in mare di tutti i migranti, profughi o meno senza distinzione di sorta.
Nonostante i numeri contenuti, la vita di molti rifugiati in Italia resta comunque drammatica.
Secondo il CIR, solo a Roma vivono 1.500 rifugiati in condizioni abitative di drammatico degrado. Veri e propri ghetti, come quello di via Arrigo Cavaglieri (Romanina), quello di via Collatina, quello di via dei Villini, la baraccopoli di Ponte Mammolo o il binario 15 della Stazione Ostiense.
Molti somali che si trovano accampati nell’ex ambasciata nel gergo burocratese vengono chiamati “casi Dublino.
Si tratta di persone che sono arrivate in Italia e qui hanno chiesto asilo ma che, non potendo sopravvivere senza alcuna assistenza e senza un lavoro, si sono successivamente spostate in altri paesi dell’Unione Europea dove hanno poi avanzato una nuova domanda, in contrasto con il Regolamento di Dublino il quale stabilisce che nei paesi dell’Ue si può richiedere asilo una sola volta e che è il primo paese europeo in cui si entra a dover vagliare la domanda.
Insomma, chi è entrato in Italia, qui deve rimanere, anche senza lavoro o alloggio..
Oltre alla carenza di fondi, l’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea senza una legge organica in materia di asilo, che riconosca dei diritti di assistenza anche a chi ha ottenuto lo status di rifugiato.
Vogliamo essere un Paese civile, europeo e occidentale, ma non sappiamo neanche garantire i diritti elementari che in altri Paesi vengono assicurati.
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Gennaio 5th, 2011 Riccardo Fucile
NELLA COMMISSIONE SULLA RIFORMA FEDERALISTA E IN QUELLA SUL BILANCIO MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE SONO ALLA PARI, IL GOVERNO NON HA I NUMERI… LA LEGA CHIEDE IL VOTO PERCHE’ LA MAGGIORANZA NON E’ PIU’ TALE E LA RIFORMA PATACCA RISCHIA DI FERMARSI
Federalismo o voto?
Berlusconi si trova “in trappola”, stretto tra i numeri risicati della sua maggioranza e l’ultimatum della Lega.
Anche ieri sera ha rassicurato Bossi che “tutto andrà bene”, che “non ci saranno problemi, soprattutto sui tempi”, ma neppure lui ormai lo può garantire.
Perchè l’iter del federalismo rischia la paralisi almeno in due delle tre commissioni chiamate a esprimere un parere se l’opposizione dovesse fare fronte comune.
Nella commissione bicamerale per l’Attuazione del federalismo fiscale c’è una situazione di sostanziale parità tra gli schieramenti.
Il Pdl può contare su 11 parlamentari, la Lega su tre.
Con loro si potrebbe schierare Helga Thaler dell’Svp, per un totale di 15 voti su trenta.
Altrettanti voti avrebbe sulla carta il fronte anti Berlusconi.
Fino ad oggi i partiti dell’opposizione non hanno avuto una posizione comune. Per esempio sul federalismo demaniale , l’Idv aveva votato a favore, mentre il Pd si era astenuto.
Contro si erano espressi Udc e Api.
Se l’opposizione si unisse, sul federalismo municipale si arriverebbe all’impasse.
Stessa situazione alla commissione Bilancio della Camera.
La maggioranza può contare su 24 deputati (17 del Pdl, 5 della Lega più Giampiero Catone e Bruno Cesario del gruppo misto che il 14 dicembre hanno votato la fiducia al governo).
E 24 sono anche i rappresentanti delle opposizioni: 15 del Pd e 2 dell’Idv, più 7 del terzo Polo (3 di Fli, 2 dell’Udc, 1 dell’Mpa e 1 di Api).
Nessun problema ha invece la maggioranza alla commissione Bilancio del Senato. Il Pdl ha 11 senatori e la Lega 2 per un totale di 13. Dodici invece sono i rappresentanti delle opposizioni.
In base alla legge 42 del 2009, che ha dato la delega al governo per l’attuazione del federalismo, tecnicamente l’esecutivo può comunque adottare i decreti attuativi (e la legge delega non decade anche in caso di elezioni anticipate) se le tre commissioni non si esprimono entro i 60 giorni previsti. Ma si tratta di un’estrema ratio che farebbe mettere di traverso forse anche Napolitano.
Una situazione traballante.
Che ha visto i finiani uscire allo scoperto e proporre al Cavaliere un “patto di legislatura”: “Metta a punto 3 o 4 riforme fondamentali”, ha proposto Italo Bocchino, ma l’offerta è come se fosse caduta nel silenzio.
Il Cavaliere sa che i numeri che gli chiede Bossi non ci saranno (40 deputati in più). E per ora prende tempo.
Ma quando si tratterà si votare i provvedimenti in commissione, se l’opposizione sarà compatta, il federalismo patacca rischierà di arenarsi.
La Lega ha due possibilità : o riuscire a far passare un federalismo farlocco per poterlo spendere nella futura campagna o reclamare il voto contro chi ha bloccato la madre di tutte le patacche.
E’ la sceneggiata già scritta cui si assisterà nelle prossime settimane.
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