Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
CRESCE IL TIMORE CHE LA BCE NON INTERVENGA PIU’ NELL’ACQUISTO DEI TITOLI DI STATO ITALIANI… E PALAZZO CHIGI TORNA A STUDIARE L’IPOTESI DI ALZARE L’IVA PER COPRIRE TUTTI I SALDI
“La verità è che Giulio ormai non è più una garanzia in Europa, non possiamo contare su di lui come lasciapassare per i palazzi di Bruxelles”.
Un Silvio Berlusconi sempre più assediato nel fortino di Arcore non nasconde, a chi gli ha parlato, tutta la sua preoccupazione.
Preoccupazione per i dubbi piovuti dalle autorità Ue sulla manovra salvaconti che il governo italiano sta faticosamente, confusamente portando avanti.
Sorpreso, raccontano, ancor prima che irritato, il Cavaliere lo è soprattutto perchè meno di 24 ore prima aveva tentato di rassicurare di persona i leader europei.
A margine del conferenza di Parigi sulla Libia.
“Io su questa manovra ci ho messo la faccia, ne ho parlato ancora con la Merkel, con Herman Van Rompuy, con Barroso, loro si fidano di me e ho promesso che faremo bene e in fretta” ripete il presidente del Consiglio.
A Palazzo Chigi, da un lato, sono portati a minimizzare l’uscita del portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn.
Ma quell’allarme sull’eccessivo ricorso alle misure antievasione per recuperare risorse è ponderato, nasce da consultazioni e briefing informali tra le autorità a Bruxelles.
D’altronde, andava in quella direzione anche l’avvertimento a “non annacquare le misure adottate ad agosto”, lanciato dal presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet nell’intervista di ieri al Sole24ore in cui si legge una chiara minaccia sulla possibilità che Francoforti non compri più i nostri bot.
In ogni caso, Berlusconi si ritiene responsabile fino a un certo punto della situazione di incertezza generata anche oltre confine.
Se c’è un “artefice” dei tentennamenti che hanno generato confusione, quello è il suo ministro dell’Economia.
È stato l’inquilino di via XX Settembre a fare della sterzata sulla lotta all’evasione il marchio di questa manovra.
Tanto più dopo le correzioni apportate proprio da Tremonti due giorni fa con i “suoi” emendamenti depositati in commissione al Senato.
“Non ha la bacchetta magica e lo hanno capito anche in Europa” è una delle considerazioni più amare che alti dirigenti Pdl hanno sentito pronunciare dal premier in queste ore.
E tanto basta a questo punto per convincere ancor più il presidente del Consiglio del fatto che non sia rinviabile oltre un intervento sull’Iva.
Aumentare di uno-due punti l’imposta con un blitz della presidenza del Consiglio, come lo stesso Berlusconi ha ipotizzato da Parigi.
Ma non nei prossimi mesi, come preferirebbe il responsabile dell’Economia. “Non c’è altra strada per recuperare risorse certe e in tempi rapidi per rassicurare l’Europa e i mercati”, va ripetendo il capo del governo ai ministri più fidati.
Tutto questo mentre non solo a Bruxelles maturano i primi dubbi sulle misure antievasione che pure – assicurano dal Tesoro – garantirebbero un gettito quantificato dalla Ragioneria.
Ma già il vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello invita per esempio a riflettere meglio sulla pubblicazione dei redditi dei contribuenti on line. Misura che sembra non abbia fatto esultare di gioia lo stesso Berlusconi.
Ma queste sono davvero ore di grande concitazione.
Lo scontro che poi in serata si fa frontale tra Roma e Bruxelles chiude un venerdì già di suo abbastanza nero.
Segnato dal nuovo tonfo di Piazza Affari, che perde quasi il 4 per cento, e dal differenziale tra i buoni del Tesoro i Bund tedeschi che torna a superare quota 330 punti, come nelle giornate d’agosto più infauste per la borsa italiana.
Mentre la maggioranza è già andata sotto in un’occasione sull’esame della manovra in commissione Bilancio.
Una situazione complessiva che il Quirinale tiene sotto controllo ora dopo ora, con una buona dose di preoccupazione.
I moniti lanciati dalle autorità comunitarie non sono stati presi affatto sotto gamba al Colle. Non fosse altro perchè il rigoroso rispetto dei saldi della manovra, l’obiettivo dell’azzeramento del deficit, le riforme per favorire la crescita sono i paletti che già il presidente Napolitano ha richiamato a più riprese nelle scorse settimane.
Invitando le forze politiche a un dialogo e a un confronto sui conti da risanare che invece non è mai decollato.
E rischia di non decollare mai, se è vero – come ipotizzavano ieri sera a Palazzo Madama – che un governo che vuol fare quanto più in fretta possibile si prepara a porre la fiducia al decreto non solo alla Camera, ma anche la settimana prossima in aula al Senato.
Fare in fretta d’altronde è il diktat imposto da Arcore da un presidente del Consiglio che ha già sulle spine per le sue faccende private.
Turbato e innervosito dall’inchiesta napoletana che ha portato in carcere Tarantini e schiaffato sui giornali le imbarazzanti intercettazioni sul caso escort.
Un motivo in più per premere sull’acceleratore del giro di vite, già previsto dal ddl approvato in Senato e in procinto di essere discusso alla Camera.
Non a caso berlusconiani di stretta osservanza come Cicchitto e Osvaldo Napoli preannunciano fin d’ora che il testo andrà “anticipato e messo in calendario subito dopo l’approvazione della manovra”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
UN TOMBINO SUL CONDONO, MA I PRECEDENTI NON DEPONGONO A FAVORE…IL PARTITO DEL CONDONO E’ GIA’ IN AZIONE DIETRO LE QUINTE
Giulio Tremonti ha precisato che nella manovra non ci saranno condoni «poichè si tratterebbe
di un intervento una tantum che genera introiti di cassa, ma che non modifica l’assetto della finanza pubblica».
Evviva. Niente di più condivisibile per chi, come noi, ha sempre criticato duramente la disastrosa politica delle sanatorie.
Ma qui, inutile nasconderlo, il problema della credibilità che sempre accompagna simili impegnative dichiarazioni è ancora più grande.
Da settimane si rincorrono le voci di un nuovo condono che potrebbe spuntare accanto al tremendissimo (forse) giro di vite sull’evasione fiscale con tintinnio di schiavettoni.
Non servono soldi, tanti e subito?
E poi, non fu così che andò anche all’inizio degli anni Ottanta, quando alla sanatoria tombale fu accoppiata la legge (pressochè inutile) sulle «manette agli evasori»?
La dichiarazione di Tremonti, semmai, desta anche una legittima preoccupazione: che il partito del condono, agguerritissimo in Parlamento, sia già al lavoro.
Convinto, magari, di non incontrare troppa resistenza.
I precedenti la dicono lunga.
Ricordiamo che cosa è successo otto anni fa, quando il governo Berlusconi, contrario a parole, si arrese immediatamente all’offensiva parlamentare sfociata non in una, ma in un diluvio di sanatorie.
E non possiamo non rammentare come lo stesso ministro dell’Economia, che in quella occasione aveva confessato di essersi dovuto piegare suo malgrado alla ferrea legge dei numeri e dei denari necessari a tenere a galla i conti pubblici, tornando nel 2008 al governo avesse garantito che l’epoca dei condoni era definitivamente sepolta.
Salvo poi varare un nuovo scudo fiscale consentendo a evasori che avevano illecitamente esportato capitali di regolarizzarli pagando un ventesimo di quanto versano i cittadini onesti.
Tante volte si è detto di come i condoni abbiano profondamente compromesso la tenuta morale di un Paese dove già le tasse non sono mai state troppo popolari.
L’hanno corrotta al punto che c’è chi li utilizza perfino per gabbarli, dimostrando che non sono credibili nemmeno le sanatorie.
Quanti hanno chiesto di aderire al condono fiscale per poi dichiararsi falliti e non pagare?
E quanti dopo aver pagato la prima rata, poi smettono di pagare, confidando magari in un’altra sanatoria, e poi in un’altra, e un’altra ancora?
Non è un caso che al gettito previsto per il benevolo perdono del 2002 manchino almeno 4 miliardi di euro.
Oggi, poi, c’è un dettaglio in più che chiama in causa la credibilità .
Ed è il modo con cui sta procedendo la manovra d’agosto, presentata in pompa magna in una conferenza stampa ufficiale a Palazzo Chigi, e smontata nel giro di due settimane (il contributo di solidarietà per i redditi più elevati? Abbiamo scherzato… Il taglio delle Province? Abbiamo scherzato… L’accorpamento dei Comuni più piccoli? Abbiamo scherzato…).
Quindi rismontata nuovamente il giorno dopo un vertice politico «decisivo» dal quale il governo, che aveva promesso di non toccare le pensioni, ne era uscito con l’idea bislacca di colpire i riscatti previdenziali per la laurea e il servizio militare.
Perchè mai dovremmo credere proprio questa volta che non ci metteranno sotto il naso l’ennesimo maleodorante condono?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
PER OTTO FUNZIONARI VETTURE CHE VALGONO UN MILIONE DI EURO, MENTRE NEGLI UFFICI MANCA PERSINO LA CARTA
L’auto più “sfigata” è una Bmw 530: tremila di cilindrata, sei cilindri in linea, valore commerciale circa 53mila euro.
Quella meno potente, si fa per dire, una semplice Audi A6: 2.7 di cilindrata, sei valvole turbo, prezzo 71mila euro.
E poi c’è il top, le vetture che quasi ogni uomo sogna nella vita: la Jaguar XJ e la Maserati quattroporte, 100mila euro la prima, 125mila (almeno) la seconda.
Non sono i partecipanti a un gara, nè le vetture di lusso di un autosalone: sono le autoblu e i mezzi di scorta parcheggiati presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), guidato dal magistrato anti-terrorismo, Franco Ionta.
Diciassette auto, alcune delle quali blindate, che valgono oltre un milione di euro, a disposizione di otto alti dirigenti.
Qualcuna, come la Maserati che utilizza Ionta, è in comodato d’uso dalla presidenza del Consiglio; molte altre sono direttamente proprietà del Dap.
In ogni caso, pagano i cittadini.
Sono poi vetture che certo non consumano come le utilitarie: si va dagli 8 litri per 100 chilometri della Bmw ai 22 litri per 100 chilometri della Maserati.
E, a differenza di quanto accade per i normali mezzi di cui dispongono le forze di polizia, penitenziaria compresa, i soldi per la benzina in questi casi non mancano mai.
Franco Ionta, che è anche commissario straordinario per il Piano carceri voluto dall’ex ministro Alfano, per la sua storia precedente ha naturalmente diritto alla scorta.
Ha a disposizione sette auto: oltre alla Maserati blindata, una Bmw 550, tre Bmw 530 e due Land Rover Discovery cinquemila.
Mezzi che naturalmente non escono tutti insieme, ma che rimangono parcheggiati e pronti all’uso.
Il vice capo vicario, Emilio Di Somma, può contare su un’Audi A6 (4.2 di cilindrata) e su una Bmw 530.
Di Somma nel giugno 2010 ha ricevuto una lettera minatoria con due proiettili e da quel momento gli è stata riconosciuta la scorta.
L’altro vice capo si deve “accontentare” di una sola macchina, un’Audi A6.
Dal giugno scorso, il magistrato Santi Consolo, che ricopriva quell’incarico, è diventato procuratore generale di Catanzaro.
Lui è andato via, l’auto è rimasta a disposizione di chi prenderà il suo posto. Il direttore dell’Ufficio ispettivo, il magistrato Francesco Cascini (fratello del segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe), viaggia su una Volkswagen Phaeton cinquemila, del valore di almeno 75mila euro.
Stesso mezzo per il direttore generale del personale, Riccardo Turrini.
Fortunata è la dottoressa Luigia Mariotti Culla, direttore generale Esecuzione penale esterna, che può utilizzare la Jaguar XJ.
L’altro magistrato, Sebastiano Ardita, direttore generale Detenuti, si muove con una Bmw di scorta, ma dispone di un’altra Bmw e di un’Audi A6.
Federico Falzone, infine, direttore dell’Ufficio studi, viaggia su una Mercedes di cilindrata 4.3.
Nessuno di loro, a quanto risulta, rinuncia all’auto blu, nonostante la crisi e i sacrifici che vengono imposti alla categoria.
Eppure gli esempi positivi non mancherebbero: l’ex direttore generale del personale, Massimo De Pascalis, per un periodo rinunciò a viaggiare comodo per recarsi in ufficio con la sua vettura privata.
È vero anche che c’è stato di molto peggio: c’è chi giura di aver visto un ex direttore del Dap farsi appoggiare l’accappatoio sulle spalle da un uomo della scorta al termine di una partita di tennis.
A disposizione di questi alti funzionari, ad aprile scorso ci sono state 66 persone, tra uomini di scorta e autisti.
Naturalmente tutti appartenenti al corpo di polizia penitenziaria e tutti con un monte ore di straordinari da far impallidire qualsiasi poliziotto comune.
“Nonostante i proclami dei ministri Brunetta e Tremonti, al Dipartimento fanno sfoggio dell’auto blu anche coloro che non ne hanno diritto — commenta il segretario nazionale del sindacato Sappe, Donato Capece — sottraendo carburante e uomini agli istituti. Non vogliamo mettere in discussione il diritto alla scorta, ma denunciare gli sprechi”.
Tutto questo stride ancora di più se si fa il paragone con i mezzi che i poliziotti penitenziari hanno a disposizione per fare il loro lavoro.
Sul sito del Sappe, un “coordinatore avvilito” racconta di un Ducato fermo “perchè mancano 128 euro per far riparare le ‘frecce’”.
O un “assistente capo che si vergogna” denuncia il fatto che “a Bologna è ferma un’auto perchè non ci sono 30 euro per uno specchietto”.
“Dalle parti mie non c’è nemmeno la carta per scrivere i rapporti, i servizi… Qualcuno ha fatto la colletta per comprare un pacco di carta”, scrive “il cinico”.
Cifre che, pure messe insieme, basterebbero a malapena a riempire il serbatoio della Jaguar.
Consumazioni escluse, s’intende.
Silvia d’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
NEL PAESE DELLA PRESCRIZIONE RIUSCIAMO A PARLARE DI CARCERE PER CHI FRODA IL FISCO?….UN IMPUTATO PER FRODE FISCALE ANNUNCIA NUOVE NORME CONTRO GLI EVASORI: SIAMO AL GROTTESCO
Le nuove norme contro gli evasori, quelle che dovrebbero coprire i buchi della terza (o
quarta?) versione della manovra, sono state partorite da un governo presieduto da un imputato per frode fiscale.
Insomma, una garanzia.
Anche perchè Silvio Berlusconi, sotto processo a Milano per le presunte truffe all’Erario della sua Mediaset, è lo stesso che in passato ha definito l’evasione “un diritto naturale nel cuore degli uomini” quando un cittadino deve dare allo Stato più di un terzo di quanto guadagna.
Siamo quindi di fronte a una vera conversione.
Il Berlusconi imputato di frode fiscale, l’imprenditore comprensivo verso i suoi colleghi oppressi dalle tasse, adesso prova a fare la faccia feroce con gli evasori.
L’ingrato compito è stato affidato al ministro Giulio Tremonti, l’inventore di scudi e condoni che negli anni scorsi hanno sostanzialmente indebolito efficacia e credibilità delle norme che adesso si vorrebbero inasprire.
“Carcere a chi evade più di tre milioni”, annuncia il governo con la grancassa di qualche giornale.
Lo slogan può anche avere una certa efficacia propagandistica, ma provoca per lo più commenti ironici tra gli addetti ai lavori.
Carcere? Non esageriamo.
La nuova norma modifica alcuni articoli della legge 74 del 2000, quella sui reati tributari, la stessa che Berlusconi è accusato di aver violato.
In pratica il testo dell’emendamento alla manovra prevede che in caso di omessa o falsa dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti o altre truffe simili, non scatta la sospensione condizionale della pena quando “l’imposta evasa o non versata sia superiore ai tre milioni di euro”.
L’annuncio di questa novità ha messo in moto la macchina della propaganda sul carcere agli evasori.
In realtà , è molto probabile che, semmai l’emendamento dovesse tradursi in legge, le cose andranno diversamente.
Perchè per condannare gli evasori, e quindi mandarli in galera, si dovranno istruire i processi.
Impresa sempre più complicata per una macchina della giustizia che è stata resa ancora più inefficiente dallo stesso governo che adesso annuncia di voler combattere i furboni del fisco con le armi del codice penale.
Il compito più difficile per i magistrati sarà , tanto per cambiare, quello di arrivare a sentenza prima della prescrizione, che nel caso dei reati tributari più gravi scatta al sesto anno successivo all’avviso di accertamento fiscale.
E chi ha ridotto i termini di prescrizione, rendendo la vita più facile, tra gli altri, anche agli evasori fiscali?
Risposta semplice semplice: lo stesso governo Berlusconi-Tremonti che adesso annuncia sfracelli nella lotta ai criminali del fisco.
Del resto se andiamo indietro nel tempo fino al 1982, l’anno della legge soprannominata “manette agli evasori” si scopre che quelle norme si rivelarono di efficacia di gran lunga inferiore alle attese.
Franco Reviglio, il ministro socialista che s’inventò quella legge, poteva contare su un giovane e brillante assistente.
Il suo nome? Giulio Tremonti, che a trent’anni di distanza torna sui suoi passi.
Anche allora, dopo tante chiacchiere ed annunci roboanti, l’erario raccolse un pugno di mosche.
Si ingolfarono i tribunali con una miriade di procedimenti, ma gli evasori grandi e piccoli continuarono a fare i loro comodi.
A meno di non considerare un colpo decisivo all’evasione l’arresto (17 giorni di carcere nel 1982) di Sophia Loren per una questione di quasi vent’anni prima.
Morale della storia: la minaccia delle manette non porta di per sè a una repressione efficace del fenomeno dell’evasione.
Fare la faccia feroce non serve a niente se la macchina amministrativa è lenta e i processi penali si trascinano per anni e spesso finiscono per schiantarsi contro il muro della prescrizione.
Lo insegna l’esperienza del passato.
Con buona pace di Tremonti, il quale si dice sicuro che il frutto della lotta all’evasione coprirà i buchi provocati dalle correzioni in corsa dei precedenti annunci.
Auguri.
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO LA DIGOS, GRAZIE ALL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE, IL DEPUTATO DEL PDL AVREBBE TOLTO DI MEZZO IN TEMPO INDIZI IMBARAZZANTI…PER POI FAR CONCEDERE DALLA CAMERA IL VIA LIBERA ALL’ESAME DELLE CASSETTE DI SICUREZZA
Un’informativa della Digos, raccontata dal “Corriere della Sera”, spiega come il deputato del Pdl avrebbe approfittato dell’immunità parlamentare per togliere di mezzo indizi imbarazzanti. Il 7 settembre la giunta della Camera valuterà la richiesta d’arresto per corruzione
Appariva molto tranquillo Marco Milanese, parlamentare del Pdl sotto inchiesta per corruzione e altri reati, quando esortava la Camera ad autorizzare senza problemi la perquisizione delle sue cassette di sicurezza.
Perchè tanto le aveva già ripulite, di persona, da ogni possibile indizio imbarazzante.
Lo sostiene un’informativa della Digos, raccontata oggi dal Corriere della Sera in un articolo di Fiorenza Sarzanini: “Nell’informativa sono annotate tutte le volte che Milanese si è recato nei caveau degli istituti di credito”, si legge sul Corriere.
“E si evidenzia come una delle ‘visite’ sia avvenuta il giorno successivo all’arresto di Paolo Viscione, l’imprenditore che poi si è trasformato nel principale accusatore del deputato Pdl raccontando di avergli consegnato soldi e gioielli”.
In quell’occasione, sospettano gli investigatori, “Milanese potrebbe aver portato via denaro contante, ma anche documenti che avrebbero potuto dimostrare lo stretto legame finanziario che aveva proprio con Viscione”.
La Digos ha incrociato le date in cui l’ex braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha messo mano alle cassette di sicurezza con quelle delle presunte consegne di mazzette emerse dalle indagini.
Il sospetto, scrive ancora il Corriere, è “che quei forzieri servissero proprio a nascondere i soldi ottenuti illecitamente e che siano stati ‘ripuliti’ poco dopo l’avvio delle indagini”. Tutto in forza dell’incarico parlamentare: Milanese era perfettamente consapevole che nessun investigatore avrebbe potuto mettere il naso nelle cassette senza essere preventivamente autorizzato da un voto parlamentare.
Il deputato avrebbe operato sulle cassette di sicurezza “almeno tre o quattro volte al mese”, si legge ancora sul Corriere, e in quelle occasioni “potrebbe aver movimentato soldi in contanti oltre ad aver occultato alcuni documenti che riguardavano gli accertamenti avviati sulla sua attività ”.
Il 7 settembre la giunta per le autorizzazioni della Camera si pronuncerà sulla richiesta d’arresto di Milanese arrivata dalla Procura di Napoli.
I membri della giunta presieduta da Pierluigi Castagnetti del Pd potranno così leggere nuovi verbali di interrogatorio, compreso quello dell’ex comandante della Guardia di Finaza Cosimo D’Arrigo.
D’Arrigo è il testimone d’accusa che ha confermato ai magistrati come il ministro Tremonti avesse completamente delegato a Milanese, ufficiale della Finanza fino al 2002, tutti i rapporti con le Fiamme gialle.
Un “errore”, una “distorsione” secondo D’Arrigo, un potere enorme di cui Milanese avrebbe approfittato per ottenere vantaggi personali e informazioni riservate.
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Settembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
L’EX COMMISSARIO UE A CERNOBBIO: “IL GOVERNO FACCIA CHIAREZZA, ALTRIMENTI SI PERDE LA FIDUCIA”…IL CARD. BERTONE: “I DIRITTI SOCIALI NON DIPENDONO DAI MERCATI”…FISCHI A SACCONI
Sulla manovra finanziaria c’è troppa confusione e ciò rischia di alimentare la diffidenza in
Europa.
E’ urgente, invece, che il governo comunichi “chiaramente” le decisioni adottate nella manovra correttiva.
Il messaggio all’esecutivo arriva da Mario Monti, che spiega: “Mi sembra molto importante e urgente che vengano comunicate le decisioni in maniera chiara, a differenza di quanto avvenuto dagli ultimi giorni”.
“Io – ha proseguito l’ex commissario europeo a margine del workshop Ambrosetti a Cernobbio – ho espresso un parere sostanzialmente positivo sulla versione di metà agosto della manovra”.
Monti ha poi aggiunto: “la grande confusione e mancanza di chiari messaggi di questi ultimi giorni temo che possano far risorgere in Europa un senso di diffidenza nei confronti dell’Italia di andare su una strada definita, capace di portarla verso una maggiore crescita e verso l’equilibrio finanziario”.
“La cosa peggiore – ha concluso l’economista – sarebbe rinfocolare queste diffidenze dell’Ue e mettere in imbarazzo la Bce, che ha fatto nei confronti di Italia e Spagna il massimo di quello che poteva fare”.
Confindustria sconcertata dalle misure sulla lotta all’evasione fiscale.
Mentre il ministro Tremonti assicura che nella manovra non ci saranno condoni, una netta bocciatura arriva da Confindustria sulle misure per la lotta all’evasione fiscale, delusa da quello che è parso come un voltafaccia rispetto ai segnali giunti nei mesi scorsi.
“Siamo sconcertati per le misure di contrasto all’evasione fiscale previste nell’emendamento presentato dal Governo”, dice l’associazione degli industriali.
Che condivide l’obiettivo di “una sere ed efficacia lotta” ma, rileva, “le misure presentate ieri risentono però della fretta e dell’approssimazione con cui è stato predisposto l’emendamento”.
Per l’associazione le norme al momento previste “sono poco efficaci rispetto all’obiettivo di una seria lotta all’evasione e rischiano di penalizzare le imprese corrette nel rapporto con il fisco”.
Della crisi e della necessità di un’economia civile, ha parlato anche il segretario di Stato vaticano.
“I diritti sociali sono parte integrante della democrazia sostanziale e l’impegno a rispettarli non può dipendere meramente dall’andamento delle borse e dei mercati”, è il monito lanciato oggi il cardinale Tarcisio Bertone, intervenuto all’incontro nazionale di studi delle Acli a Castel Gandolfo.
Bertone ha parlato di “civilizzazione dell’economia in contrapposizione alla forte tendenza speculativa”.
“Un’economia civile – ha spiegato – non può trascurare la valenza sociale dell’impresa e la corrispettiva responsabilità nei confronti delle famiglie dei lavoratori, della società e dell’ambiente”.
Nel suo intervento, Bertone ha avuto parole di elogio per il mondo delle cooperative colpito dalla manovra economica del governo.
“Mi sembra – ha detto il cardinale – che questo mondo, da apprezzare perchè in tempi di crisi ha dato lavoro e solidarietà straordinaria, meriti un trattamento migliore di quello che gli è stato riservato nella recente manovra”.
Citando l’enciclica ‘Caritas in Veritate’ di Benedetto XVI, Bertone ha posto l’attenzione sulla dignità della persona e le esigenze della giustizia che richiedono, con rinnovata urgenza, “che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti”.
All’incontro di Castel Gandolfo ha partecipato anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, contestato dalla platea delle Acli alla richiesta del riconoscimento dei meriti del governo.
Mentre parlava della disoccupazione e delle sue conseguenze sociali durante un seminario sul “Lavoro scomposto”, Sacconi è stato interrotto due volte dai delegati e fischiato.
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