Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
LA SEDE DEL PARTITO RESTITUITA DI CORSA E IN SEGRETO AL SUO CLIENTE ED EX SOCIO PLURI-INQUISITO NUCERA, I MOBILI SISTEMATI IN UN LOCALE, UNA NUOVA SEDE CHE NON C’E’, IL SUO VICE CHE NON NE SAPEVA NULLA: ECCO IL QUADRO CHE IL COORDINATORE REGIONALE DI FUTURO E LIBERTA’ DELLA LIGURIA HA OFFERTO A “IL GIORNALE” PER ATTACCARE LA SUA GESTIONE FALLIMENTARE DI FLI
Riportiamo l’articolo che “Il Giornale” ha dedicato stamane alla vicenda della “sparizione” improvvisa della sede di Fli a Genova
Le insegne sono sparite. La sede che tante polemiche aveva sollevato non c’è più, ora in quei
locali di via degli Operai ci sono gli uffici dell’Agenzia delle entrate.
Dov’è finito Futuro e Libertà ligure?
Se lo domandano coloro che da qualche giorno alla Fiumara non vedono più le insegne dei finiani.
Se lo domandano persino i dirigenti del partito, colti di sorpresa dalla decisione di traslocare.
L’unico che si mostra all corrente di tutto è Enrico Nan, coordinatore regionale di Fli, che però si stupisce dell’attenzione. «Siamo al piano di sopra», prova subito a farla semplice. Poi però precisa: «Stiamo cercando un’altra sede, magari in centro anche perchè ci sono le elezioni in vista».
Guai a chiedere se la decisione ha qualche legame con le polemiche sorte in base al contratto di comodato gratuito concesso da un imprenditore al partito di Fini.
«Ho già querelato chi ne ha scritto – replica stizzito – Non ammetto fango su chi fa dell’onestà e della limpidezza una ragione d’essere».
Non nega, il coordinatore regionale, che la sede fosse stata data gratis, nè che il partito abbia di corsa traslocato, anche se, al piano di sopra dove dovrebbe essere stato accolto da un locale «di proprietà dello stesso gruppo» non ci sono insegne, almeno visibili dall’esterno e quindi anche da chi volesse prendere contatti con Fli.
Ma reagisce Nan, quando si chiede qualche dettaglio in più: «Queste sono cose che riguardano il partito – ribatte – Sono cose interne che non devono interessare. Se c’è da parlare di politica sono a completa disposizione, però chissà come mai vengo sempre cercato per questioni diverse».
La nostra volontà , però, non è quella di gettare ombre. Anzi, semmai di fare luce sul nuovo indirizzo cui si deve rivolgere un simpatizzante o un cittadino desideroso di conoscere l’offerta politica dei finiani.
Un simpatizzante, un cittadino.
O addirittura un alto dirigente del partito, visto che appena si scende di un gradino , nessuno già sembra sapere più nulla del trasloco.
«Abbiamo cambiato sede? – si stupisce Giuseppe Murolo, coordinatore regionale vicario di Fli, di fatto il braccio destro di Nan – Non ne ero a conoscenza. Ma davvero? Non so cosa dire, aspetto che il coordinatore mi comunichi la novità , poi semmai risponderò alle domande volentieri».
Il nostro commento
1) Non è vero che Fli si sia trasferita al piano superiore, semplicemente i mobili (pagati a suo tempo da alcuni ex dirigenti che oggi pare faranno partire le raccomandate per la restituzione degli stessi, visto che li avevano destinati a un uso politico e non sono stati avvisati della chiusura improvvisa della sede) sono stati accatastati in un piccolo locale al piano superiore.
2) Se si trattasse di un semplice cambiamento di sede, prassi vuole che si faccia un trasloco e si cerchi quindi prima una nuova sede: lo stesso Nan ammette che non esiste, ma che “la stiamo cercando”.
Scommettiamo che la troverà solo se non verrà commissariato e se riuscirà a indire il congresso prov., facendola quindi pagare al suo successore?
3) Nan ha dichiarato a un dirigente di partito che ha dovuto lasciare i locali causa sfratto da parte del pluri-indagato Nucera, di cui lui è legale ed ex socio in affari.
Se esisteva un contratto di comodato d’uso gratuito per due anni, come è possibile accettare uno sfratto improvviso dopo solo un anno?
Di chi fa gli interessi Nan? Del partito o di Nucera?
4) “Queste sono cose che riguardano il partito” dichiara Nan al giornalista, facendo un clamoroso autogol.
Concordiamo, non sono suoi affari personali: perchè allora non ha informato i dirigenti liguri di Fli, visto che si trattava della sede regionale del partito?
Perchè non ha avvisato neppure il suo vice che è cascato dalle nuvole?
Di cosa aveva paura lunedi sera Nan quando, di fronte ai dirigenti di tutta la regione, proprio in quella sede che avrebbe sigillato il giorno successivo, non ha ritenuto di informarli della novità ?
5) Nan si lamenta perchè viene interpellato dai giornalisti solo per “queste vicende” e non per questioni politiche.
Perchè, forse sta esercitando un ruolo politico attivo in Liguria?
6) Ogni dichiarazione di Nan è preceduta dall’annuncio di querele quale arma di intimidazione preventiva.
Bene ci quereli, non aspettiamo altro: così produrremo decine di testimoni, documenti, preciseremo date, orari, collegamenti, luoghi e qualche sorpresa a supporto di quanto abbiamo scritto.
Anche perchè non ci siamo fatti intimidire in ben altri tempi e da ben altre persone.
Figurarsi da Nan.
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
GELIDA TELEFONATA TRA IL PREMIER E IL SUO MINISTRO…IL CAVALIERE: “VUOLE SPUTTANARMI, VA DICENDO IN GIRO CHE HO PEGGIORATO LA MANOVRA E CHE HO MINATO LA CREDIBILITA’ DELL’ITALIA”
Nel giorno in cui il Pdl e la Lega salvano dalla galera il suo ex braccio destro, è Silvio Berlusconi in persona a sfiduciare Giulio Tremonti.
Non un atto formale, non ancora almeno, ma un giudizio durissimo contro il ministro dell’Economia, accusato senza mezzi termini di aver tradito la causa comune.
“È andato in giro in Europa a dire che ero stato io a peggiorare la manovra”, si è sfogato il premier con i suoi ministri, “e, se non ci fosse questa bufera sui mercati, avrei già fatto l’unica cosa da fare: chiedergli di andarsene”.
La rabbia esplode alle nove del mattino, prima che a Montecitorio inizi la seduta dedicata a salvare il soldato Milanese.
I ministri si trovano sul tavolo della sala verde di palazzo Chigi tante cartelline già pronte con dentro la nota di Aggiornamento del Def, il documento che certifica le nuove stime al ribasso sulla crescita.
Ma Tremonti non c’è.
“È dovuto volare a Washington – annuncia Gianni Letta – per la riunione del Fondo monetario e del G20”.
La protesta dei ministri monta, non ci stanno a votare a scatola chiusa “il compitino che ci ha preparato quello”. Sono irritati anche perchè il piano per lo sviluppo, ancora una volta, sta prendendo corpo nelle stanze di via XX Settembre, all’insaputa di tutti.
Reclamano “collegialità “. Alzano la voce Galan e Brunetta, Romani e Carfagna.
Ma stavolta il più arrabbiato di tutti è proprio lui, Berlusconi: “Avete ragione, stavolta non ha scuse. Noi siamo qui a lavorare e lui nemmeno si degna di venire. A questo punto come fa a restare al suo posto? Se ne dovrebbe andare via dal governo anche per un’altra ragione: ho saputo che va a dire in giro, erga omnes, che lui c’ha messo tre anni a conquistare una credibilità per questo governo e io in tre settimane ho sputtanato tutto”.
Il Cavaliere è un fiume in piena.
I ministri, anche i più critici con Tremonti, restano attoniti di fronte a quelle parole. capiscono che davvero sta per accadere qualcosa, che Tremonti ha le ore contate.
Quando poi, all’ora di pranzo, Montecitorio delibera per la salvezza di Milanese senza il voto del ministro dell’Economia, Berlusconi (in una riunione improvvisata nella sala del governo accanto all’aula) rincara la dose.
“Dal punto di vista umano, semplicemente u-ma-no, non essere venuto qui a votare per il suo amico, lasciando ad altri il compito di metterci la faccia, è una cosa indegna. Immorale”.
Ai presenti il Cavaliere racconta un episodio accaduto quella mattina. “Quando Letta mi ha riferito che Tremonti non sarebbe venuto in aula a votare, l’ho fatto subito chiamare a casa. Mi ha detto che aveva prenotato un volo della “United” per le undici. Allora gli ho risposto: ma scusa Giulio, perchè prendi un aereo di linea? Ti faccio preparare l’aereo di Stato, così vieni a votare e poi parti a mezzogiorno. Sapete cosa mi ha risposto? Mi ha mandato a quel paese!”.
In serata si diffondono da Washington voci di dimissioni di Tremonti, ma l’entourage del ministro dell’Economia smentisce seccamente.
E tuttavia il processo politico dentro al Pdl prosegue a Roma, a palazzo Grazioli, dove il premier convoca Alfano e lo stato maggiore del partito.
Ci si congratula per il voto su Milanese, anche se pesa quella pattuglia di franchi tiratori.
Ma è di nuovo il “problema” Tremonti a dominare.
Alla fine, con lo spread schizzato oltre quota 400 e la borsa a picco, tutti convengono che cacciare su due piedi il ministro è un’impresa molto rischiosa.
Intanto verrà commissariato, spostando a palazzo Chigi, sotto la direzione del premier e di Gianni Letta, la “cabina di regia” che dovrà mettere a punto le misure per rilanciare la crescita. Si accenna anche alle pensioni e torna in primo piano la questione dell’abolizione di quella d’anzianità , nonostante la contrarietà della Lega.
Ma è l’enorme stock di debito pubblico la montagna da aggredire.
Così, per la prima volta, fa capolino una parola finora mai pronunciata, “patrimoniale”.
Quasi un’eresia tra le mura di palazzo Grazioli. Ma forse necessaria, anche perchè con gli attuali livelli di mercato, spiega uno dei partecipanti al vertice, “privatizzare le aziende di Stato oggi vorrebbe dire darle via in saldo”. Berlusconi è comunque determinato ad agire, anche Napolitano lo ha messo con le spalle al muro nel colloquio di due giorni fa sul Colle.
“Abbiamo tre mesi, da qui a dicembre, per smuovere tutto, per dare una scossa all’economia”. Si parla anche della legge elettorale, visto che il referendum incombe e se tornasse il Mattarellum per il Pdl sarebbe la fine.
Così viene dato mandato a Denis Verdini si buttare giù una proposta sul modello spagnolo, un proporzionale con indicazione del premier e circoscrizioni piccole.
Un sistema che dovrebbe andare bene anche all’Udc, almeno così sperano a via del Plebiscito. Verdini dovrà poi mescolare questa proposta con quella già elaborata dal ministro Calderoli, per farne uscire qualcosa di coerente.
Infine le intercettazioni.
Il Cavaliere si lamenta di essere in “uno Stato di polizia”, protesta perchè “queste cose vengono diffuse anche all’estero e alla fine non fanno solo un danno personale a me ma a tutto il paese. Un altro al posto mio sarebbe morto”.
Alla fine si decide di procedere in fretta con la legge-bavaglio alla Camera, anche sfrondandola se servirà ad andare più veloci.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
L’ATTESA DEL VOTO SU MILANESE IERI ALLA CAMERA TRA PROTAGONISTI E CONVITATI DI PIETRA
Verde, verde, verde!”. 
Il tabellone lampeggia in attesa del voto, tutte le lucine sono accese, si sente un affollarsi di grida isolate: “Verde! Verde! Verde!”.
Sono quelli del Pdl, e vogliono dire: luce verde, Milanese assolto.
E poi c’è lui, l’onorevole Marco quello che davanti ai magistrati si era fantasticamente autodefinito così: “Io sono il postino”.
Voleva dire: il postino del potere, l’uomo che trasmette messaggi e raccomandazioni dalle caselle della sottopolitica a quelle del paraStato, il postino delle promozioni e dei buoni affari.
Guardi Milanese dalla tribuna e lo vedi con le mani spalancate sul banco davanti a sè, che tambureggiano nervose.
Guardi Milanese e ti pare un pianista o un giocatore di poker. Verde è il colore del tavolo da gioco, ma verde è anche il colore del fallimento, quello che a Montecitorio arriva come un’onda, trascinato dalla quotazione disastrosa dello spread.
Il mondo di fuori. Anzi: il mondo vero, visto dalla luna.
Che strano paradosso, questo voto.
È il voto migliore del governo dalla crisi del 14 dicembre, quello che dovrebbe dare un segnale di fiducia e di solidità parlamentare, dire che una maggioranza c’è.
Eppure è un voto che non attenua il tormento della maggioranza.
È un voto che porta a 13 il vantaggio del governo sull’opposizione, ma quella cifra deve essere aumentata di altre 7 voti.
Sono 7 gli assenti nel Pdl, compreso Tremonti. Già , Tremonti, il convitato di pietra.
È lui il protettore di Milanese, è lui il beneficiato dell’affitto da 8 mila euro nella casa di via Campo Marzio.
Ma il suo nome, curiosamente, nello stenografico di Montecitorio, domani non apparirà .
Tutti sanno che questo è un voto su di lui, ma nessuno lo cita. E così c’è sconcerto, fra gli stessi deputati del Pd, per l’incredibile scelta del gruppo.
Non parla Pier Luigi Bersani, non parla Massimo D’Alema, non parla Dario Franceschini.
L’uomo che rappresenta il principale partito di opposizione in questo scontro che dovrebbe far tremare il governo è l’onorevole Ettore Rosato.
Persona degnissima, per carità , ma non è anche questo un segnale per dire che non si sta mica giocando la partita della vita?
Le parole più dure, in un interstizio di dibattito le sento da un’altra deputata del Pd, Anna Rossomando: “In questo voto i cittadini per voi diventano sudditi”.
Seguo per tutta la mattina, invece, gli arabeschi geometrici che Marco Milanese disegna nel Transatlantico.
Sembrano quei disegnini della Settimana Enigmistica, “Cosa apparirà ”? C’è sempre una lingua dei corpi che spiega meglio delle parole la lingua della politica.
Milanese, con il metodo del professionista, agguanta con passo imperioso i renitenti, i dubbiosi, i potenti.
Agguanta il relatore della Lega Nord, Luca Rodolfo Paolini, alla buvette: “Vedi, quello che tu devi dire…”.
Pensi che prima dell’estate, il povero Alfonso Papa (che ieri si rallegrava dalla cella) girava come un appestato tra i divanetti, con uno scatafascio di carte sotto il braccio, sudato, come un appestato.
Pensi a Papa che in aula citava la moglie (soavemente cornificata) e i figli, con la tipica prosa sottoterrona del piccolo notabile meridionale che si vuole far compatire.
E invece Milanese sembra un ufficiale che passa in rassegna le truppe prima della battaglia, con al fianco la scorta alata ed elegante di Melania Rizzoli, una delle deputate più carismatiche del Pdl, una che a metà del suo gruppo parlamentare prescrive persino il colore dei calzini.
Ecco, in questo Parlamento al verde, che diventa un tavolo da gioco, Milanese non sembra il maldestro avvocato di se stesso che fu Papa, ma piuttosto il croupier che distribuisce le fiches.
E mentre la pallina gira nella roulette — “verde, verde, verde!” — che grande spettacolo di teatranti, in quest’aula.
Che talento drammaturgico l’onorevole Maurizio Paniz: “Il 20 luglio abbiamo votato l’arresto di Alfonso Papa, il suo banco è qui a tre metri da me, vuoto!!!”.
Il Pdl si spella le mani, Paniz, dà il meglio di sè: “Dopo 63 giorni possiamo chiederci se quella magistratura inquirente, che ancora reclama un’altra vittima, ha fatto buon uso della nostra grave decisione!”.
Ma dove sono finiti gli 8 mila euro pagati per la casa di via Campo Marzio? Chi parla delle nomine e delle promozioni? Perchè nessuno cita le vanziniane vacanze di Natale a New York, nella stanza da 8 mila euro a notte?
Denis Verdini mi arpiona nel cortile con il suo sorriso ferrato da duro di Marsiglia, contestandomi un pezzo di due giorni fa: “Hai scritto che sono un ex macellaio ed è una bischerata! Io ho lavorato in una ditta che commercia carni, ma ‘un sono un beccaio, capito!?’”.
Il sorriso si chiude: “Potete sbracciarvi quanto volete, qui Silvio ha vinto un’altra volta. Qui non si passa. Il governo ‘un lo tira giù nessuno capito?’”.
E forse ha ragione lui, a Montecitorio, sul pianeta Marte, mentre i titoli di Stato italiani sulla terra vanno al tracollo, conta il sorriso radioso con cui Domenico Scilipoti irrompe eccitato nella buvette: “Che dite? Che dite?”.
Guido Crosetto, il sottosegretario extralarge mostra il suo miglior sorriso piemontese e sogna come se fosse anche lui marziano, ma nel senso di Flaiano: “Sapete che cosa accadrebbe se il congegno che garantisce il voto segreto si rompesse e ci facesse vedere la vera immagine di questa votazione? Uscirebbe la fotografia di un Parlamento a macchia di leopardo”.
Ecco, la recita si compie, e anche Silvio Berlusconi si adatta al teatrino: “Arrabbiato io? Io non sono mai arrabbiato. Anzi sono sereno, sono sempre sereno perchè non ho mai fatto niente di male in vita mia. Anzi, quando posso faccio il bene degli altri!”.
E sarà pure vero. Ma siccome anche su Marte arrivano notizie dal mondo reale, quando esce dall’aula la sua mascella pare pietrificata, e il suo sorriso di cipria pare colpito da paresi.
Gli chiedi cosa pensa del voto, e lo sguardo che ti regala, quando si gira, pare quello della Medusa.
La faccia di pietra di Berlusconi e il passo marziale di Milanese, che si alza dal tavolo da gioco di Montecitorio, come un pokerista con le tasche piene, si incontrano nella stanza dei ministri, sul lato dell’aula.
Verde, verde, verde.
Oggi Montecitorio ha il colore del bluff.
Luca Telese blog
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
SUL FORUM NON UFFICIALE DEI RAGAZZI DEL CARROCCIO PESANTI ACCUSE CONTRO BOSSI, MARONI E IL PORNOCLOWN BERLUSCONI… ”ANDASSERO ALTROVE A FONDARE UN’ALTRA REPUBBLICA DELLE BANANE”
Una bocciatura senza appello e argomentazioni simili a quelle del Popolo Viola che stamani protestava fuori da Montecitorio.
Sul forum dei giovani della Lega Nord non tira un’ottima aria nei confronti dei maggiorenti del partito, Bossi in primis, dopo il voto alla Camera che ha salvato il Pdl Marco Milanese dall’arresto.
E’ la famosa e costantemente evocata “base leghista”, che però stavolta ha potuto solo subire la decisione del Senatur, che ieri in serata aveva annunciato il voto salva-Milanese in aula.
E infatti sempre ieri era comparso un post dal cui titolo si capiva già tutto: “Domani Lega supina a Roma”. “Difenderemo l’ennesimo ladrone. Il prezzo da pagare sta diventando davvero troppo alto. Inizio ad avere un po’ vergogna”, scriveva un utente.
Subito dopo il voto, la reazione è stata ancor più veemente.
Con commenti conditi qua e là da insulti che non hanno risparmiato nessuno. Bossi il più colpito dalle invettive telematiche: “Il voto è un altro segnale che Umberto non ci rappresenta più. Ha a cuore solo i suoi interessi (soldi e favori) e come se fossimo dei pirla piazza lì pure un figlio ignorante. Pensa che siamo tutti come suo figlio? Pensa che noi lombardi siamo coglioni. da seguirlo fino alla sua morte? Io seguo un ideale, non un uomo… In questo momento lui non mi rappresenta, anzi, rappresenta la parte marcia della Lombardia, fatta di favori a imprenditori amici a discapito di imprenditori che si tirano su le maniche dalle 5 del mattino”, dice Stesoo.
I giovani si domandano poi come sia possibile che ancora Berlusconi resti al suo posto. L’analisi di Virgilio è che il premier “controlla le televisioni, quindi può manipolare una parte della popolazione, che segue i suoi programmi, non ha accesso ad Internet e quindi non riesce a cogliere la realtà delle cose. Quando anche i pensionati, suoi fedeli sostenitori, si accorgeranno della polpetta il castello verrà giù”.
Poi ironia sulla gallery pubblicata da Repubblica.it , dove Berlusconi accarrezza Bossi: “Ora gli arriva anche la polpetta….”, scrivono sempre riferendosi al Senatur.
Anche il gruppo vicino a Maroni, cioè l’anima più insofferente rispetto al patto di ferro della Lega con Berlusconi, viene preso di mira.
Come se avessero tradito le attese proprio nel momento decisivo. “Bossi ha ricevuto l’assegno dal suo padrone. Buono ora torna a cuccia con i suoi fedeli del cerchio magico. I maroniani hanno seguito compatti lo storpio”.
“Reguzzoni parla di popolo sovrano, quando lui e i suoi compagni di merende sono schiavi del volere del Berlusca, si vergogni e se ha un po’ di dignità se ne vada a….”.
Poi c’è chi invoca le monetine e chi posta foto di una ghigliottina.
Nei commenti dei giovani della Lega non c’è una dissociazione rispetto alle idee leghiste di fondo, cioè federalismo, lotta all’immigrazione, valorizzazione del territorio.
Anzi, viene costantemente rivendicata l’adesione a quei principi.
Ma l’allenza col Pdl e l’atteggiamento ultra-berlusconiano di Bossi e co., specie in un tema sensibile come quello della giustizia, è ormai fumo negli occhi.
Ancora di più alla luce della crisi economica incombente anche al nord.
Perchè come scrive un utente dal nickname evocativo (Tierra y Libertad) “mandare a casa un premier che assomiglia più ad un narcotrafficante sudamericano che ad un capo di stato europeo provocherebbe solo fiducia dai mercati”.
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
L’INIZIATIVA DI UN BLOG PIRATA: OGGI LA PUBBLICAZIONE DI UNA PRIMA LISTA DI DIECI NOMI
L’appuntamento è per stamane alle ore 10. 
Sul blog «listaouting» sarà pubblicata una lista di dieci nomi di politici gay, ma omofobi.
Sull’iniziativa la comunità di omosessuali italiani è divisa. Il progetto, spiega il sito “pirata”, «nasce per riportare un po’ di giustizia in un paese dove ci sono persone non hanno alcun tipo di difesa rispetto agli insulti e gli attacchi quotidiani da parte di una classe politica ipocrita e cattiva».
La lista è «uno strumento politico duro ma giusto» per «far comprendere chiaramente come nel Parlamento italiano» perduri «la regola dell’ipocrisia e della discriminazione», si legge sul blog.
A questi nomi, si annuncia su «listaouting» potrebbero seguirne altri di politici, ecclesiastici, personaggi dell’informazione.
Alcuni giorni fa Ivan Scalfarotto, vicepresidente dell’assemblea Pd si era dissociato dall’iniziativa e si era dimesso dal comitato d’onore di Equality Italia, il cui presidente Aurelio Mancuso veniva indicato da alcuni tra i promotori dell’iniziativa, anche se l’interessato ha seccamente smentito.
«Non mi dissocio dalla rivendicazione dei nostri diritti – ha spiegato Scalfarotto – ma questa pratica non contribuisce a costruire un paese più civile».
E anche Paola Concia, che in Parlamento ha cercato invano di far approvare una legge contro l’omofobia, ha detto di ritenere l’inziativa «un gesto estremo che io non farei mai, non è la mia cultura politica. Essere gay non è un’offesa o un insulto, io non mi offendo se mi dicono che sono lesbica».
Concia, deputata Pd, ha invitato però a riflettere «sul perchè qualcuno giunge a queste forme estreme»: «Invito tutti a interrogarci sul perchè – ha detto la Concia – in questo paese siamo arrivati a questo, perchè alcuni pensano di fare una battaglia politica in questo modo discutibile? Forse perchè siamo tra i paesi più omofobi, servirebbe una riflessione su questo».
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IN DUE ANNI TANTE CHIACCHIERE E COSTOSE CONSULENZE… DOVEVANO ASSUMERE 2.000 AGENTI PENITENZIARI, NE HANNO PRESI SOLO 150.. NON FUNZIONA NEPPURE L’UFFICIO STAMPA: PRIVO DI TELEFONO, NON RISPONDE NEPPURE ALLE MAIL
Il piano carceri del governo più volte annunciato è ancora in fase di faticosa realizzazione e in quasi due anni sono state prodotte solo intese con le regioni e una moltitudine di consulenze con compensi a commercialisti, architetti e ingegneri. E c’è persino un ufficio stampa (che non risponde)
Dopo un un anno e mezzo di chiacchiere, almeno un punto fermo c’è.
È il sito www.pianocarceri.it, l’indirizzo creato appositamente dal commissario straordinario per l’emergenza carceri, nonchè capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta.
Un luogo virtuale in cui i cittadini (compresi, immaginiamo, i parenti dei detenuti) dovrebbero essere messi al corrente degli avanzamenti del Piano tanto voluto dall’ormai ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel gennaio 2010: 47 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti penitenziari.
Soldi stanziati, 600 milioni di euro. Consegna lavori (più o meno), dicembre 2012.
Peccato che il sito è la dimostrazione evidente di come il Piano carceri sia stato l’ennesimo spot elettorale di un governo ben poco attento alla popolazione carceraria e alla polizia penitenziaria. Altro che costruzioni: le uniche cose fatte in quasi due anni sono alcune intese con le Regioni per l’individuazione delle aree su cui costruire le nuove strutture o per l’allargamento di quelle già esistenti.
L’ultima in ordine di tempo è quella siglata con la Regione Abruzzo, per la realizzazione di un nuovo padiglione (200 posti) nel carcere di Sulmona.
Oltre tutto il neo Guardasigilli, Francesco Nitto Palma (che oggi presenta in Senato una relazione sul sovraffollamento degli istituti) qualche giorno fa ha annunciato di voler virare su 11 penitenziari “a bassa sicurezza e costi minori” sul modello di quelli americani.
“Entro settembre — ha aggiunto — saranno bandite le gare dei primi venti padiglioni da 4500 posti-detenuti, che saranno conclusi a fine 2012”.
Sarà da vedere.
Nel frattempo, però, il Piano inesistente continua a spremere le casse dello Stato.
Sullo stesso sito c’è, infatti, quella che viene definita “operazione trasparenza”, cioè la pubblicazione dei compensi dei consulenti (esterni) chiamati da Ionta.
Apprendiamo dunque che, nel secondo semestre 2010, sono stati versati 40 mila euro ciascuno a quattro “soggetti attuatori” e 15 mila euro, sempre pro capite, a nove “contrattisti”.
Nella prima sezione si va dalla commercialista fiorentina Fiordalisa Bozzetti al “Prof. Avv. Andrea Gemma” dello studio legale e tributario Gemma&Partners (un giovane avvocato che insegna presso la scuola forense dell’Università Roma Tre).
A 40 mila euro troviamo anche Mauro Patti, un ingegnere siciliano amico di Alfano, e l’avvocato Massimo Ricchi, classe 1965, pratica forense nello studio del finiano Giuseppe Consolo.
Strano, ma vero, il Piano carceri ha anche un ufficio stampa, gestito — per 15 mila euro tra il primo settembre e il 31 dicembre 2010 — da Luigi Rossi.
Non esiste un numero di telefono da poter contattare per avere maggiori spiegazioni e il signor Rossi non risponde alle mail.
Stessa cifra anche per la consulenza di Daniela Saitta (tra l’altro, commissario straordinario di Eutelia), Carla Cappiello (consigliera dell’ordine degli ingegneri di Roma), i giovani avvocati Paolo Clarizia (classe 1982) e Francesco Sementilli (1978), l’ingegnere napoletano Andrea Prota (specializzato nelle emergenze post terremoti), gli architetti Salvatore Di Michele e Daniele Santucci, e la commercialista Nicoletta Mazzitelli. Totale: 295 mila euro in sei mesi.
Il sito si ferma qui e non dà i resoconti del 2011, che pure sta volgendo al termine.
Rispondendo a un’interrogazione della deputata radicale Rita Bernardini, l’amministrazione ha fatto sapere che “l’obbligo di pubblicazione sul sito web deve avvenire entro il 30 giugno di ciascun anno con riferimento a quelli assegnati al semestre dell’anno precedente”.
Però, ci tengono a precisare dal Dap, i compensi non sono stati modificati.
Quindi altri 295 mila euro per il primo semestre 2011 e, salvo modifiche in corso d’opera, altrettanti per questa fine anno.
Quasi 900 mila euro per siglare intese e pubblicare sul sito le relazioni di Ionta ai congressi.
Oggi, dicevamo, il ministro Nitto Palma riferirà al Senato: “Spiegherò nella sua interezza la questione del sovraffollamento carcerario — ha annunciato — indicherò le cause e spiegherò che queste cause devono essere risolte sempre e comunque nel rispetto della sicurezza dei cittadini”. Palma si è detto poi disponibile a portare, in un Consiglio dei ministri a metà ottobre, alcune proposte di depenalizzazione dei reati.
Il problema è che, se non cambia nulla nell’immediato, continueranno ad essere chiacchiere.
Anche per questo, proprio in occasione della sessione straordinaria di Palazzo Madama, i Radicali hanno organizzato una veglia per l’amnistia: oggi pomeriggio, in piazza Navona, arriveranno il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, Ilaria Cucchi, don Andrea Gallo, i Tetes de Bois e Dario Fo in collegamento telefonico.
Domani sarà invece la volta delle organizzazioni sindacali Osapp, Sinappe, Ugl, Cgil, Fp e Cnpp. Alfano aveva annunciato l’assunzione di 2000 nuovi agenti (che non sarebbero stati comunque sufficienti), ne sono stati assunti — secondo Nitto Palma — appena 150.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
ALLARME E IRONIA SULLA STAMPA INTERNAZIONALE, VIGNETTE SARACASTICHE E ANALISI IMPIETOSE…”PIU’ VICINI AL MEDIOEVO CHE ALL’EUROPA”
“L’effetto Italia”. Lo chiama così, ormai, il Financial Times, e poi spiega quali conseguenze può
mettere in atto: “il declassamento del rating solleva timori per l’eurozona”.
In altre parole, l’instabilità italiana rischia di affondare l’euro.
Una preoccuazione che un altro grande quotidiano inglese mette in prima pagina, accoppiando il titolo, “In zona pericolosa”, con una foto di Berlusconi a occhi chiusi e mani giunte, l’immagine di un leader sconfitto.
Tutta la stampa e i netowrk televisivi internazionali battono su questo tasto, segnalando i nuovi rischi creati dal taglio del rating di Standard & Poor’s, rischi per l’Italia e per l’Europa.
E i media stranieri ironizzano anche sulla reazione del presidente del Consiglio secondo cui l’abbassamento del rating sarebbe solo “colpa dei giornali”, anzichè della crisi e della sua scarsa leadership, distratta da processi e prostitute.
Se un’immagine vale più di mille parole, in proposito la dicono lunga due vignette sulla stampa britannica.
Una dell’Independent ritrae Berlusconi, con il suo solito sorriso, intento a suonare
una viola che ha il corpo di una donna nuda inginocchiata ai suoi piedi: lo spartito della musica s’intitola “Fai il bunga bunga”, e intanto alle spalle del premier sta bruciando il Colosseo.
Anche la seconda vignetta, sul Sun, allude a Nerone che suonava la cetra mentre bruciava Roma: in questo caso Berlusconi, accompagnato da due giovani donne in abiti discinti, viene affrontato da un centurione con la scritta Fondo Monetario Internazionale sul mantello, a cui dice, “Crisi? Quale crisi?”, mentre dietro di lui brucia il Colosseo e crolla il Pantheon.
Non è solo questione di battute, tuttavia.
In una lunga analisi del caso italiano, il corrispondente da Roma del Financial Times, Guy Dinmore, spiega quale sia la ragione del taglio del rating: “La riluttanza dell’Italia a fare i cambiamenti necessari alla crescita dell’economia ha spinto Standard & Poor’s ad agire”. Altro che “tutta colpa dei giornali”.
Il quotidiano della City nota che alla base di tutto c’è il fallimento da parte di Berlusconi di mantenere quello che aveva promesso, cioè una “rivoluzione liberale” in grado di risvegliare il paese.
A questo punto, conclude il Ft, “i commentatori dei media in pubblico, e alti funzionari di governo in privato, parlano perfino con speranza di un altro ’25 luglio’, riferendosi al giorno del 1943 in cui re Vittorio Emanuele arrestò Mussolini dopo che gli alleati del Duce nel Gran Consiglio del fascismo si erano rivoltati contro di lui”.
Un altro commentatore, Nils Pratley sul Guardian, osserva che c’è una differenza tra la crisi economica in Spagna e quella italiana: “Non si sentono tanti industriali spagnoli fare commenti” negativi sulle misure d’emergenza del proprio paese, del tipo di quelli fatti da Sergio Marchionne quando si è lamentato recentemente che “il tempo degli impegni nebulosi, non speciicati e non dettagliati è finito”.
In un altro articolo, il Guardian cita anche le aspre critiche mosse al governo dal presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, secondo cui gli italiani sono “stufi di essere uno zimbello internazionale”.
Il Wall Street Journal e la Bbc mettono l’accento sulla poco convincente difesa del nostro premier, a proposito delle “colpe dei giornali” come motivazione del declassamento del rating italiano.
Mentre un tabloid popolare londinese, il Daily Express, preferisce oggi dedicare un paginone al “mondo vizioso di cortigiane da 10 mila sterline a notte” che circonda il capo del governo italiano.
Il tedesco Der Spiegel è il più duro di tutti: “L’economia italiana è in declino – scrive – e potrebbe trascinare tutta l’Eurozona con sè. Ma il primo ministro Berlusconi ha problemi più importanti per cui essere preoccupato: ha quattro processi sul collo, ogni giorno qualcosa di nuovo che rivela la sua stravagante vita privata. Rimane poco tempo per la politica”. E ogni mattina, quando si alza e si guarda allo specchio “ripete ‘mi piaccio, mi piaccio, mi piaccio'”.
Questo è il ritratto del nostro primo ministro dato dal Der Spiegel, che ricostruisce gli ultimi scandali che hanno coinvolto l’uomo da cui tutti si aspetterebbero una presa di posizione sui rischi per l’economia italiana preventivati da Standard and Poor’s.
“Tutti contro Berlusconi” intitola invece il Die Welt di Berlino.
“Il primo ministro ha risposto con rabbia – scrive il quotidiano – al declassamento di Standard and Poor’s: ‘è una scelta politica’, e minaccia una querela”.
La reazione furiosa del capo di governo è al centro anche dell’analisi sulla situazione italiana del Berliner Morgenpost: “Il primo ministro italiano Berlusconi – scrivono – ha reagito con rabbia al downgrade dei titoli di stato italiani. Ma la decisione dell’agenzia di rating è basata sul volto realistico dei piani di riforma varati dal governo”.
Il Kleine Zeitung riprende il governo: “Declassamento dei titoli, Berlusconi dice ‘non ho alcuna colpa’. Ma si fida di lui solo un quarto del Paese”.
La stampa francese incalza. “L’Italia è un bordello”, “Berlusconi sul filo del rasoio”, “L’Italia è in un coma berlusconiano”.
Le Monde intitola “L’Italia paga il prezzo della decandenza” ricostruendo, in uno zapping televisivo, le informazioni date dai media francesi sul declino economico, politico, e morale del Bel Paese.
“La notizia del declassamento, per gli italiani, più che uno schock è il calvario che continua, il prezzo da pagare per la decandenza morale del Paese” conclude la giornalista. “Berlusconi sul filo del rasoio”, intitola Le Figaro, ripercorrendo le divisioni interne alla maggioranza.
France Soir riprende lo stesso refrain: “L’instabilità politica e la debolezza della crescita aumentano i dubbi sul futuro del Paese”.
La scelta di Standard&Poor’s sarebbe un allarme contro un governo debole e attraversato da scandali.
Il Courier International insiste: “Berlusconi, detto il degradante”, intitola, spiegando:”Se l’agenzia di rating Standard and Poor’s ha declassato l’Italia, la colpa è in particolar modo del presidente del consiglio, le cui azioni scandalose e l’assenza dai problemi del Paese lasciano la popolazione nel caos”.
Dalle testate americane la situazione italiana è ritenuta più che grave. In un reportage di ieri sul New York Times, la corrispondente Rachel Donadio ricostruisce un’Italia più vicina al Medioevo che all’Europa: “Per un numero sempre maggiore di critici – scrive – i dettagli scabrosi sui party del primo ministro, così come l’attitudine cospirativa con cui ogni critica è vista come una mancanza di lealtà , non sono che le ultime prove del fatto che il governo Berlusconi, benchè eletto democraticamente, è evoluto in qualcosa di un’altra epoca: una corte reale, dove ognuno, dai membri della coalizione alle giovani ospiti delle feste, serve solo al piacere del principe”.
Un sistema di corte regge così il governo, cui importano più i problemi di politica interna che non la crisi finanziaria che arriva a colpire anche l’Italia.
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Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
TARDIVO ALLARME DEL VIMINALE: PORTI SENZA CONTROLLO….LA CONSEGUENZA DI UNA POLITICA MIOPE FATTA SOLO DI REPRESSIONE…CON TRENTA RIMPATRI AL GIORNO,PER FAR RITORNARE 900 PERSONE NON BASTA UN MESE, QUESTA E’ LA VERITA’ NASCOSTA
Salta il tappo della Tunisia: chiusa una falla, se ne apre un’altra.
Se con l’ingresso dei ribelli a Tripoli i flussi di migranti dalla Libia hanno rallentato fino quasi ad arrestarsi, è la rotta tunisina che torna a far paura.
A non girare a pieno regime è sia la macchina delle espulsioni che quella dei respingimenti e del controllo alle frontiere: i due capisaldi dell’accordo Italia-Tunisia del 6 aprile scorso.
«La crisi economica e l’instabilità politica di Tunisi – spiega una fonte qualificata del Viminale – stanno facendo traballare l’intesa».
Il rischio? «L’accordo ridotto a carta straccia e una nuova imponente ondata di sbarchi».
Le testimonianze dei migranti lo confermano: «Stando ai loro racconti – sostiene Flavio Di Giacomo, portavoce in Italia dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) – nei porti tunisini e sulla rotta per l’Italia non c’è più alcun controllo».
Un passo indietro.
A Lampedusa sono arrivati dall’inizio dell’anno 50.403 migranti, più della metà dalla Tunisia e il resto dalle regioni sub-sahariane, via Libia.
«Oltre ventimila tunisini – ricorda Di Giacomo – sono arrivati da metà febbraio ad aprile, poi il flusso si è arrestato in seguito all’accordo con il governo italiano. A inizio agosto gli sbarchi di tunisini sono però ripresi: più di duemila fino a oggi».
Sul tavolo degli imputati è proprio l’accordo in base al quale l’Italia ha donato al Paese nordafricano 6 motovedette, 4 pattugliatori e un centinaio di fuoristrada e la Tunisia si è impegnata a «rafforzare i controlli per evitare nuove partenze e accettare la riammissione rapida degli sbarcati».
«La sensazione – sostiene Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana – è che gli accordi fra i due governi sul controllo dei flussi di immigrati in questo momento non funzionino».
Ad incidere è anche l’instabile quadro politico tunisino, in vista delle elezioni dell’assemblea costituente fissate per il prossimo 23 ottobre.
«Quanto sta succedendo – dichiara il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein – è la conseguenza di una politica miope. Gli accordi fatti dal governo italiano non hanno considerato la particolare condizione socio-economica della Tunisia».
E così, nonostante la visita di Maroni a Tunisi il 12 settembre, tanto i controlli ai porti d’imbarco da parte dei militari tunisini, che le intercettazioni in mare supportate dalla marina militare italiana rischiano di saltare.
Non è tutto.
I tunisini presenti a Lampedusa sono destinati al rimpatrio forzato.
Non rientrano infatti tra i potenziali richiedenti asilo (a differenza di quanti partono dalle coste libiche), nè tra quanti hanno diritto a un permesso di soggiorno temporaneo.
Lo ribadisce il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli: «Il problema di Lampedusa riguarda cittadini tunisini che non possono essere inseriti nel circuito dell’accoglienza come stabilito dall’accordo del 6 aprile».
L’accordo prevede infatti la concessione di un permesso speciale solo a chi è sbarcato “dall’1° gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile”.
Per tutti gli altri “viene disposto respingimento o espulsione”.
Ma anche qui la macchina va a rilento, nonostante la promessa di passare da 30 rimpatri al giorno a 100: «Un ritmo – fanno sapere le fonti del Viminale – che finora difficilmente è stato mantenuto, anche perchè non sempre Tunisi autorizza i trasferimenti».
Sul caso Lampedusa si riaccende lo scontro politico.
Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia, governo, Immigrazione, Politica | Commenta »
Settembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IL GUERRIERO DEI TRIBUNALI E DEI CAVILLI SI SGANCIA DA SILVIO
Mai, avremmo pensato di dover celebrare il de profundis del memorabile “Mavalà ” ghediniano,
nello spazio angusto di questo squarcio di inizio secolo.
Mai su queste pagine.
Mai con il Cavaliere ancora epicamente impegnato a far danni.
Sarebbe come se Mariastella Gelmini si spingesse a dire che le sta a cuore la scuola pubblica, come se Renato Brunetta carezzasse un precario, come se Sabina Began — l’arma letale del Cavaliere — con la sua splendida vocetta flautata, chiamasse Italo Bocchino e gli dicesse: “Sei un ragazzo sensibile, ho letto il tuo sms, e mi ha colpito profondamente. Voglio stare con te perchè mi desideri!”. Bestemmia.
L’uomo che riusci a tramutarsi in un innocente Rasputin del berlusconismo, il Cavaliere templare di Arcore nell’arena teatrale e sbarrata di Annozero, il bardo legislatore capace di riscrivere ogni cavillo del codice civile con la leggerezza di un bulldozer e la precisione chirurgica di un killer sentimentale, pur di salvare anche un solo processo del suo cliente, improvvisamente getta lo spadone e l’armatura, si straccia la toga di primo difensore e davanti ai magistrati dice: “Faccio una vita molto ritirata, sto moltissimo con il Presidente, ma nelle ore di lavoro”.
Dopo cena? “Dopo cena no”.
Sarebbe come se Noemi Letizia gettasse i suoi zigomi in titanio, le sue labbra lipopneumatiche e le sue protesi siliconate quarta C (coppa larga), come se Pietro Lunardi facesse una vibrante dichiarazione antimafia, come se mentre scoppia una catastrofe mondiale, Franco Frattini non si facesse sorprendere in settimana bianca.
Mai mai mai. Anzi, impossibile.
Ecco perchè occorre dire che il “Mavalà ” fu davvero l’epigrafe di un’epoca, l’icona di una stagione di teleguerriglia, uno stendardo azzurro.
Ed era stata proprio la china alata del nostro The Hand (subito raccolta e celebrata dalla penna di Marco Travaglio) a fare di quell’intercalare un sistema di pensiero.
Quando Ghedini gridava “Mavalà ” ad Annozero, nel paese si fermavano gli orologi, i bimbi insonni cessavano il pianto. In quel volto opalescente e crisantemico si riassumeva qualcosa di più di un grumo di berlusconismo avvocatizio: c’era il senso di sdegno della grande borghesia produttiva e anti-intellettuale del Nord, in quel moto di sdegno appena filtrato dalle lenti a goccia di vetro, c’era il riverbero di un blocco sociale che il centrodestra seppe catalizzare prima che i sogni finissero.
Adesso Ghedini va dai magistrati con tono dimesso, non si avvale nemmeno del segreto professionale, ci tiene a segnare la differenza fra se stesso e il presidente del Consiglio. Sono una donna/ non sono una santa, sono il suo difensore, non sono mica un suo amico, un frequentatore di “cene eleganti”.
Leggere per capire: “Non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”.
E anche “Il presidente ha una straordinaria capacità di comprensione delle debolezze umane, io non ce l’ho”.
Notare la perfida ironia dell’aggettivo “umane” riferito a Tarantini.
Insomma, alla stessa velocità implacabile in cui la luce sgretola il regno dell’ombra nel finale epico della trilogia tolkieniana, il crepuscolo del berlusconismo annichilisce le trasfigurazioni che costituirono lo scudo del Cavaliere.
Ghedini non parla.
Ghedini adesso si dissocia: “Il presidente mi pare che abbia detto: ‘A Tarantini gli ho fatto avere 500 mila euro’. E io gli ho detto: ‘Quando, come, perchè?’ Quando ho saputo questa cosa non ho reagito entusiasticamente, soprattutto quando ho saputo che la dazione era avvenuta tramite Lavitola”.
Adesso, per cortesia, pesate le parole, perchè Ghedini con le parole ci vive, ci produce reddito.
Ghedini è pagato all’ora, come gli avvocati americani, mille euro all’ora, mille euro per tremila parole, quando noi diciamo “mavalà , mavalà , mavalà ” prendiamo fiato, quando lo dice Ghedini ha già guadagnato un euro.
Ghedini era discepolo e profeta del Berlusconi che schioccava tre volte le dita davanti alla stampa estera e diceva: “In questi tre secondi ho già guadagnato tremila euro”.
Ed è per questo che Ghedini non può dire “dazione”, e associare questa parola contundente a Berlusconi.
Perchè “dazione” è il vocabolo dipietrese con cui l’ex pm più famoso d’Italia ha battezzato le tangenti di Mani Pulite.
Quando dice “dazione” davanti ai magistrati è come se Ghedini stesse dando a Berlusconi del corrotto davanti ai giudici che lo indagano, è come se fosse diventato per il Pdl quello che Roberto Peci è stato per le Br.
E dire che Ghedini era l’uomo che con le parole costruiva giochi di prestigio, quello che nascondeva il concetto di puttaniere dietro la meravigliosa invenzione burocratica dell’“utilizzatore finale”.
Che poi non voleva dire un benamato cavolo, ma sempre meglio di quello che voleva nascondere, era. Ghedini che dice “Sì, d’accordo, no, faccio l’avvocato penalista da non pochissimi anni, posso aver espresso giudizi non collimanti con i suoi, sia su Tarantini, sia su Lavitola, non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”.
È il proclama di una resa.
È come se Mara Carfagna avesse davvero letto la letteratura francese che raccontava di aver divorato da ragazza in una sdegnata replica a Filippo Facci, è come se Susanna Petruni pensasse davvero che la farfalla è un insetto, è come se Augusto Minzolini facesse uno dei suoi video-editoriali sul processo Mills, e si ricordasse di dire che non è stato assolto.
Di fronte a questa metamorfosi del “Mavalà ”, non si può che applaudire il primo pentito del berlusconismo, esattamente come il generale Alberto Dalla Chiesa considerò Peci un eroe dell’anti-terrorismo.
Quando si arriverà al 25 aprile, per cortesia, facciamogli avere un salvacondotto speciale e una medaglia.
Ormai è un nostro infiltrato.
Ghedini è il Donnie Brasco ad Arcore di questo iridescente fine regime.
Luca Telese blog
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