Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
NOMINE, INCARICHI, STRUTTURE E SEGRETERIE PER RIPARTIRE DA CAPO: DA UNA POSSIBILE RIVOLUZIONE ALLA ROUTINE DA POLITBURO…TRADITI GLI IDEALI INIZIALI DI CHI SOGNAVA UN NUOVO PROGETTO POLITICO DALLE SQUALLIDE STRATEGIE DEGLI ELETTI…SI PARLA DI ETICA E LEGALITA’ E POI SI CACCIA CHI LA PRATICA PER TENERSI I COLLUSI
Azzerare tutto: le nomine, gli incarichi, le strutture, le segreterie. Ripartire da capo.
Questo chiede la cosiddetta “base” di Futuro e libertà : rimettere tutto in discussione, eliminare la distinzione tra parlamentari e non parlamentari, stracciare presunti “pedigree” e curricula di partito, selezionare una classe dirigente nuova per davvero e non solo a parole.
Aprirsi. In una (brutta) parola: deparlamentarizzarsi.
Non ci sono “correnti”, tra chi ha scelto di intraprendere una lunga e difficile traversata del deserto.
Non ci sono divergenze sull’obiettivo da rincorrere, non ci sono dubbi sulla strada da percorrere: quella è roba che riguarda i “dirigenti”, gli uomini di potere e di palazzo affannati a salvaguardare la propria personalissima sopravvivenza politica.
Ecco la vera delusione che serpeggia nel mondo “finiano”.
Non la sconfitta ormai metabolizzata del 14 dicembre, ma lo spettacolo di una possibile rivoluzione trasformata in routine da politburo.
Lo dicono i sondaggi, se mai servisse un sigillo “scientifico” su quello che si respira e si sente a pelle.
E dunque l’unica via di fuga, prima che sia davvero troppo tardi, è un reset.
Ripartendo dall’onda emotiva che si raccolse attorno a quel dito alzato in faccia al Cavaliere, a quel cuneo infilato nel granito del potere berlusconiano.
Ed evitando di sovrapporre la battaglia “ideale” di Futuro e libertà con le personalissime strategie degli “eletti” che ne fanno parte.
È stato miope pensare di poter puntellare in Parlamento un movimento nato fuori dal palazzo, nelle profondità della società civile più che nelle sezioni, tra i giovani de-ideologizzati e gli intellettuali “eretici”, gli studenti e i professionisti, le donne offese dal velinismo e i delusi dalla politica.
A rileggere oggi gli eventi, si capisce che si sono sovrapposte due linee, nella storia breve ma intensa di Fli: da una parte le tattiche personali di deputati, senatori e funzionari di partito, le “conte”, i gruppi parlamentari, le nomine, le segreterie; e dall’altra la spinta emotiva, la rottura culturale prima ancora che politica, il coraggio oltre gli steccati di chi sognava un progetto politico nuovo, diverso da tutti, esterno al Palazzo ma non per questo antipolitico.
Sono esemplari, in questo senso, le vicende di chi raccolse – prima della conclusione di Gianfranco Fini – l’applauso più intenso a Bastia Umbra, quando Fli era nata da poco e i sondaggi veleggiavano verso percentuali più che lusinghiere: Adolfo Urso, Andrea Ronchi, Antonio Buonfiglio, Roberto Menia.
Con un boato le migliaia di persone arrivate lì da tutta Italia accolsero la notizia delle loro dimissioni dall’esecutivo.
Un gesto attraverso il quale la “rottura” con il sistema berlusconiano compiva un balzo di qualità , e Futuro e libertà si apprestava a diventare a tutti gli effetti una forza di opposizione.
Oggi di quei quattro “eroi dimissionari” ne è rimasto solo uno, Roberto Menia.
Gli altri tre hanno ceduto al richiamo della foresta, si sono fatti travolgere dalla nostalgia del “centrodestra”, oppure – come maligna qualcuno – non hanno ottenuto quel che volevano, e vanno altrove seguendo promesse migliori.
Prima Urso e Ronchi e ieri Antonio Buonfiglio, che ha lasciato Fli per unirsi al neonato movimento di Renata Polverini (una che, come Gianni Alemanno e Roberto Formigoni, ancora si illude che il Pdl sia un partito normale, in cui si possa “scendere in campo” per la leadership senza la benedizione del Cavaliere).
È una dimostrazione, questa, di come quelle due traiettorie (i parlamentari da una parte, e il “popolo finiano” dall’altra) siano sempre più divergenti.
Inutile dire che – soprattutto oggi – l’unica traiettoria vincente è la seconda.
E altrettanto inutile dire che episodi come quello di Buonfiglio – con tutta la comprensione e il rispetto per la sua scelta personale, beninteso – dimostrano che legare il destino di Fli a quello della sua (momentanea) rappresentanza parlamentare, rinchiudendosi in una sorta di ufficio politico permanente, mentre i cittadini demoliscono giorno dopo giorno la seconda repubblica – è il modo migliore per svuotare definitivamente quel sogno lanciato un anno fa, e farsi trascinare irrimediabilmente nelle stanche dinamiche di fine regime.
(da “Il Futurista”)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
ORMAI E’ TUTTO UN INCROCIARSI DI RICATTI, AVVERTIMENTI, MINACCE, MESSAGGI TRASVERSALI….”SE NON SEI RICATTABILE NON PUOI FARE POLITICA, PERCHE’ NON SEI DISPOSTO A FAR FRONTE COMUNE”
Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila”, cantava De Gregori nel 1989. 
Finalmente ci siamo. I politici di governo parlano come i mafiosi.
Altro che casta, questa è una cosca.
L’altro giorno abbiamo segnalato il contributo del molto intelligente Ferrara alla mafiosizzazione del linguaggio politico, quando il tenutario di Radio Londra ha fatto un uso criminoso della tv pagata coi soldi di tutti per spiegare che B., versando centinaia di migliaia di euro a Tarantini e Lavitola, non ha pagato il pizzo al racket: si è solo garantito “la protezione”.
Gli ha subito fatto eco il suo padrone con tutta la corte, fulminando il ministro Tremonti, reo di non aver votato per salvare dal carcere il fido Milanese, accusato solo di associazione a delinquere e altre robette.
Ma come: la cosca si presenta compatta alla Camera per strappare un compare dalle grinfie degli sbirri, e uno dei boss se ne va all’estero?
E dire che lo stesso Milanese, secondo il Corriere (mai smentito), l’aveva avvertito: “Se vado in galera, non ci andrò da solo”.
Paniz era stato ancora più chiaro: “Se arrestano lui, domani potrebbe toccare a chiunque di noi”.
È tutto un incrociarsi di ricatti, avvertimenti, minacce, messaggi trasversali.
E non nelle intercettazioni, che al confronto sono roba da educande.
Ma nelle dichiarazioni pubbliche.
Del resto l’aveva detto il molto intelligente Ferrara a Micromega nel 2002: “Se non sei ricattabile, non puoi fare politica, perchè non sei disposto a fare fronte comune”.
Dunque il compito del ministro dell’Economia non è salvare il salvabile (ammesso che ci sia ancora qualcosa di salvabile) al Fmi, al G20 e in altri consessi internazionali: è fare il palo e tenere il sacco al compare di turno. “Meglio uno sbirro amico che un amico sbirro”, diceva Provenzano ai suoi picciotti secondo l’ultimo pentito di mafia.
Infatti ora Tremonti è visto con sospetto, come il padrino che diserta i summit e qualcuno insinua che stia diventando “sbirro”, che stia trescando con la polizia.
“Tremonti è immorale”, schiuma il boss del Consiglio: “Non essere venuto a votare per il suo amico, mentre noi ci mettevamo la faccia, è una cosa indegna”.
Milanese: “Mi ha nauseato, io sono qui sulla graticola al posto suo e lui scappa”.
La Santanchè: “Dobbiamo essere uniti nella buona e nella cattiva sorte”.
Gli house organ della banda esultano nella migliore tradizione mafiosa perchè un altro l’ha fatta franca.
Libero: “Manettari scornati”. Il Giornale: “La maggioranza tiene, niente carcere per Milanese”.
Poi mitragliano il traditore. “Tremonti scappa”, titola don Olindo.
E Giordano, degno allievo: “Il coniglio dei ministri va in fuga. Mentre la maggioranza fa quadrato per salvare il suo collaboratore, lui taglia la corda”. Anche la scelta dei vocaboli è illuminante.
Sono i manigoldi di tutte le risme che dicono “tagliare la corda”.
Del resto sono 17 anni che il Parlamento condivide le stesse preoccupazioni delle bande criminali: come fuggire alle manette, alle intercettazioni, ai magistrati, ai processi, alle indagini, alle perquisizioni, agli interrogatori, ai pentiti, ai testimoni.
E legifera di conseguenza. B. a Lavitola: “Te l’avevo detto che ci intercettavano”. B. al suo domestico Alfredo venuto a portagli tre telefonini peruviani appena omaggiati da Lavitola: “Ma guarda un po’, queste cose le fanno i mafiosi” (infatti cominciò subito a usarli).
Lavitola a Tarantini: “Lo mettiamo in ginocchio… con le spalle al muro… alle corde… e lui ci dà tutti i soldi che vogliamo”.
La D’Addario alla Montereale: “Mo’ voglio fare uscire fuori un po’ di cose”.
E l’altra: “Sì, puoi fargli il culo come ha fatto Noemi, quella puttana”.
A furia di frequentarle, il presidente del Consiglio ha rovinato anche le mignotte.
Alla prossima festa della Polizia, i membri del governo si daranno alla fuga di massa. “Arriva la Madama”. “Ci hanno beccati”. “Oddio, la Pula”, “Metti in moto”. “Passami il piede di porco”. “Tagliamo la corda”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN VISITA UFFICIALE A PANAMA SI PORTAVA DIETRO IL SUO COMPAGNI DI MERENDE, AFFARISTA, FABBRICATORE DI PATACCHE E OGGI LATITANTE… UNA PROVVIGIONE DI OTTO MILIONI DI EURO PER LAVITOLA…ANCHE DUE FANCIULLE PER ALLIETARE IL VIAGGIO
Visita di Stato di Silvio Berlusconi, primo ministro italiano e di Valter Lavitola, oggi latitante.
Amaro destino: ora Lavitola in Italia troverebbe un cellulare della polizia che l’attende.
Un anno fa viaggiava con tutti gli onori sull’Airbus della Presidenza del Consiglio.
Ogni dettaglio è immortalato nei video ufficiali del governo panamense del 29 e 30 giugno 2010.
Accanto a loro due dame: una bruna misteriosa e una bionda che somiglia tanto a Federica Gagliardi, collaboratrice di Renata Polverini, già avvistata sul volo presidenziale in Canada di due giorni prima.
Le immagini: il tricolore e la bandiera di Panama garriscono nel vento.
I notabili della Repubblica centroamericana attendono all’aeroporto con signore. S
ono tutti eleganti ed emozionati, non era mai successo che un primo ministro italiano visitasse Panama. Così i vip stringono bandierine, i soldati indossano l’alta uniforme, i bambini in costume offrono doni.
C’è addirittura chi espone uno striscione: “Benvenuto presidente Berlusconi”.
L’aereo della Presidenza del Consiglio atterra.
Lo sportello si apre ed ecco che scende Berlusconi. Subito dopo si affaccia il resto della delegazione italiana che ha viaggiato a spese dello Stato sull’Airbus presidenziale: accanto a Berlusconi… sembra proprio lui, anzi è lui, Valter Lavitola.
L’unico senza cravatta.
Si guarda intorno come uno che è di casa da quelle parti.
Il Cavaliere e Lavitola sono accolti dalla banda che suona l’inno.
Berlusconi stringe mani, Lavitola si scambia pacche sulle spalle con i notabili panamensi.
Nell’aria centinaia di palloncini bianchi, rossi e verdi: “Che meraviglia”, sorride il premier.
Il rapporto tra Italia e Panama è stretto come non mai.
Appena un mese prima era passato anche il responsabile della Farnesina: “È la prima volta per un ministro degli Esteri italiano in 106 anni”, aveva spiegato Franco Frattini sistemandosi i capelli e annunciando accordi anche in materia culturale e universitaria.
Ma a che cosa era dovuta la visita tanto attesa nel paese del canale?
Una spiegazione l’aveva data nel dicembre 2009 lo stesso Cavaliere durante la conferenza che aveva richiamato in Italia il presidente panamense Ricardo Martinelli: “Devo preparare le valigie per spostarmi a Panama. Mi mancheranno Repubblica, l’Unità , Annozero e i pm. Però cercherò di sopravvivere. Caro Ricardo, preparami un’accoglienza degna. Poi in privato ti prego di provvedere ad altre attrattive che mi stanno molto a cuore”.
I presenti l’avevano presa come una battuta.
È un altro video ufficiale di Panama, del 30 giugno 2010, a raccontare le altre ragioni della visita: “Panama e l’Italia sottoscrivono un accordo in materia di lotta all’evasione fiscale e di sicurezza”.
Panama non è il principale paradiso fiscale utilizzato dagli italiani, ma a Berlusconi e Lavitola sta particolarmente a cuore. Ed ecco la firma.
Le due delegazioni applaudono: dalla parte italiana si intravvedono ufficiali delle forze dell’ordine, poi l’immancabile Lavitola (stavolta con cravatta), vicino a Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Quindi le due dame, bruna e bionda.
Il trattato, senza che nessuno ci facesse troppo caso, è diventato operativo in due tranche, a febbraio e agosto di quest’anno, inserito nel decreto per il finanziamento delle missioni militari all’estero.
Quello che il video panamense non dice è il retroscena dell’accordo: l’Italia passa a Panama sei navi della Guardia Costiera.
Un dono che può essere stimato in 35-40 milioni.
Un “allegato” per un contratto Finmeccanica.
Sorridono tutti, e ne hanno ben donde: Lavitola perchè grazie a quella firma incassa una provvigione che potrebbe arrivare a 8 milioni di euro; Finmeccanica che ha intascato un contratto da 165 milioni per il pattugliamento elettronico delle coste contro i narcotrafficanti (interessate Selex, Agusta e Telespazio).
E sorride, ovviamente, Martinelli perchè si porta a casa sei imbarcazioni di prim’ordine: due pattugliatori di 52 metri (nuovi valgono 35 milioni l’uno, usati più di 10).
Più quattro motovedette da 25 metri, del tipo utilizzato per affrontare l’emergenza immigrati a Lampedusa.
L’Italia quindi in prima fila per il pattugliamento delle coste. Di Panama.
Forse a questo affare si riferisce un’intercettazione contenuta nelle carte dell’inchiesta di Napoli.
Al telefono Lavitola e Alessandro Picchio, consigliere militare di Berlusconi: “Sto aspettando di vedere la bozza (del decreto, ndr) che ancora non è stata pubblicata… Comunque lei non mi può far sapere se per caso sorgono problemi nel prossimo preconsiglio?”, chiede Lavitola. “Se uno insiste troppo si crea l’effetto contrario”, ribatte Picchio che, comunque, non manca di garantire il proprio interessamento.
Intanto Lavitola si è rifugiato proprio laggiù.
E lancia messaggi sibillini a Niccolò Ghedini, avvocato del premier e suo nemico dichiarato: Ghedini “dal rapporto con Berlusconi ha ottenuto fama, potere e laute parcelle. Io un mare di guai”.
E le minacce di prendere a bastonate Ghedini? “È vero che Ghedini e Letta si opposero alla mia candidatura alle elezioni. Avendola ritenuta una vigliaccata ero “infuriato”. Sarebbe, però, interessante se spiegassero perchè Berlusconi sosteneva la mia candidatura e loro posero il veto”.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER VUOLE CACCIARE IL MINISTRO DELL’ECONOMIA, MA NON PUO’ METTERE IL NASO FUORI DALL’ITALIA…RICEVE PERO’ LA “CONSIGLIERA” BEGAN A PALAZZO GRAZIOLI E MANDA AVANTI SCILIPOTI A CHIEDERE LE DIMISSIONI DI TREMONTI
Lezioni di etica a Giulio Tremonti. A cominciare da Domenico Scilipoti, il leader dei
Responsabili salva-premier.
Ormai non è più tempo di tappeti rossi per il superministro dell’Economia.
Nel corpaccione del Pdl la ferita causata dall’assenza del ministro al voto su Milanese sanguina sempre di più.
E così ieri Scilipoti è arrivato a chiedere le dimissioni dell’ex Divo Giulio della Seconda Repubblica: “Sarebbe opportuno che il ministro pensasse a dimettersi e lasciasse il posto a persone che potrebbero avere maggiore sensibilità nel gestire meglio il dicastero dell’Economia. Così vuole l’etica politica. Non ci possiamo permettere ancora il lusso di lasciare al loro destino milioni di famiglie e imprese per tutelare gli interessi di pochi”.
L’ultimatum dell’icona dei Responsabili non è da sottovalutare.
Nel voto di giovedì scorso per l’arresto dell’ex consigliere tremontiano, lo scarto a favore della maggioranza è stato esiguo: appena sei voti.
Scilipoti ne dispone di tre: che cosa succederebbe se i mal di pancia dei salva-premier?
In ogni caso, dal suo provvisorio rifugio di Washington per la riunione del Fmi, Tremonti ha fatto recapitare al Cavaliere un messaggio chiaro: “Io non me ne vado, alle dimissioni non ci penso proprio. L’ho fatto già una volta, nel 2004, e non ripeterò mai più l’errore”.
Il processo intentato da Berlusconi in persona è come se fosse finito in un vicolo cieco, senza sbocchi.
Due bunker a distanza che si fronteggiano in una guerra di posizione.
Ma questo non scoraggia affatto i falchi che stanno conducendo lo scontro. L’obiettivo a breve gittata è accerchiare e isolare il ministro resistente. E logorarlo , facendogli saltare i nervi.
Ammette una fonte autorevole della prima cerchia berlusconiana: “Giulio è fragile psicologicamente, alla fine potrebbe anche cedere e andarsene”.
La prima provocazione sarà una cabina di regia per blindarlo.
Su Berlusconi, che ieri a Palazzo Grazioli ha incontrato nell’ordine Sabina Began, Angelino Alfano e Bruno Vespa, le pressioni per ingabbiare e de-potenziare in questo senso Tremonti sono fortissime.
Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, l’ha già detto pubblicamente: un gabinetto collegiale per gestire la fase sviluppista della crisi, presieduto dal premier e composto da altri ministri e tecnici esterni di grido.
Si parla anche di spacchettamento dell’Economia con apposita legge, lasciando solo i conti a Tremonti e affiancarlo con nomi come Lamberto Dini e Antonio Martino.
Il piano è questo e a quel punto Tremonti non potrà opporre la più classica delle sue minacce in questi anni: “O si fa come dico io oppure mi dimetto”. Quindi, convivenza feroce da separati in casa.
Nel Pdl, ieri, solo Alemanno e la Mussolini l’hanno difeso sull’assenza “immorale” di giovedì.
Il secondo step della guerra di logoramento riguarda le voci e le allusioni sul suo rapporto con Milanese, e in cui potrebbe inserirsi il Giornale di famiglia con il consueto trattamento Boffo (circostanza che Tremonti teme già da mesi, come dichiarò a dicembre ai magistrati napoletani dell’inchiesta P4).
Ed è stato lo stesso Milanese a spedire il primo pizzino in un’intervista a Klaus Davi.
La dichiarazione che ha provocato stupore in alcuni ambienti di Palazzo, dove si sottolinea anche “il passaggio di Milanese coi suoi segreti nel clan vincente della P4, quello di Letta e Bisignani”, è questa: “Certe dicerie sul rapporto tra me e Tremonti non mi hanno ferito assolutamente. Anche perchè non ci sarebbe nulla di male, se non fossero cose inventate di sana pianta. Se fosse vero, non avrei timore a dirlo. Ribadisco, anche se fosse vero, non avrei timore a dirlo”.
Ripetuto due volte: “Se fosse vero, non avrei timore a dirlo”.
Strano.
Su questo versante, si inseriscono le dichiarazioni della sorella di Tremonti, Angiola.
Ancora più esplicite, nel giorno in cui compare online una lista di dieci politici di centrodestra che sarebbero gay.
Angiola Tremonti definisce il fratello come Ponzio Pilato, gli suggerisce le dimissioni e osserva, stavolta al programma di Radio2 Un giorno da pecora di Sabelli Fioretti e Lauro: “Non dobbiamo dimenticarci che tra due individui, come Milanese e Giulio, nel corso degli anni si instaura un rapporto di profonda amicizia e fiducia. E quando sorge il dubbio che questa fiducia venga a mancare, si soffre molto, come nelle storie d’amore. Chi ha sofferto di più questa rottura tra Milanese e Tremonti? Non lo so, credo però che da parte di chi ha sensibilità ci possa essere anche del dolore”.
Questo stillicidio di allusioni come continuerà ?
A parte la difesa di Alemanno e forse di metà Lega (Bossi e Calderoli), la solitudine di Tremonti è davvero tanta.
Nel Pdl, con il passare delle ore, gli attacchi contro di lui non fanno più notizia. Semmai il contrario.
Nulla è più come un tempo. Nemmeno con l’opposizione.
Le frequentazioni bipartisan del ministro sono un ricordo antico.
Nel Pd, l’ordine di Bersani è di “attaccare, attaccare, attaccare Tremonti”.
Una direttiva che stride un po’ con lo spirito di “coesione nazionale” invocato ancora una volta dal capo dello Stato.
Da divo a bersaglio, dall’altare alla polvere nel giro di un’estate.
Al punto che pure Mario Monti, l’ex eurocommissario indicato in maniera stabile come premier o ministro tecnico all’Economia, dice con amarezza: “È stato molto sgradevole vedere come sono state voltate le spalle al ministro Tremonti dopo che ci si è messi in fila per omaggiarlo e riverirlo”.
Chissà se il riferimento è anche ai quotidiani della grande borghesia con cui lo stesso Monti collabora.
Chissà .
Fabrizio d’Esposito
(“Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO IL PRESUNTO SALVATAGGIO DEL 2009, LA COMPAGNIA FRANCESE NEL 2013 AVREBBE DOVUTO AUMENTARE LA PRESENZA AZIONARIA…LA CRISI DEI VOLI E QUELLA ECONOMICA STANNO INVECE ORMAI PIEGANDO L’EX COLOSSO DEI CIELI
Alitalia parlerà francese.
Il suo destino è ormai chiaro: Air France-Klm, che ne ha già acquisito il 25% (a basso prezzo, all’inizio del 2009: “Merci Silvio” titolò il quotidiano Les Echos), dovrebbe prendere il controllo della nostra compagnia aerea a partire dal 2013, quando gli azionisti potranno vendere liberamente a chi vogliono.
Ad Air France, il colosso dei cieli. Macinatore di utili. Salvatrice della malmessa compagnia di bandiera italica.
Ma dall’acquisto del 2009 a oggi la stabilità del gigante con le ali è cambiata.
Non poco.
Perchè il colosso franco-olandese, numero due del settore in Europa, è una delle vittime illustri dell’ultima tempesta finanziaria.
E’ sempre più traballante e preoccupata che alle bufere dei listini faccia seguito una recessione, con l’inevitabile calo del traffico aereo.
Sarebbe duro da sopportare per un gruppo già in difficoltà .
Nei giorni scorsi i vertici di Air France-Klm hanno messo le mani avanti: con ogni probabilità dovranno varare un piano per ridurre i costi (fra i 700 e gli 800 milioni di euro) e un nutrito pacchetto di licenziamenti (tra i 5 e i 10mila dipendenti sui 58mila totali).
Quindi nel 2013 il gruppo potrebbe non riuscire ad acquistare Alitalia.
Il titolo Air France-Klm ha perso il 53,4% rispetto al primo gennaio scorso.
In pochi mesi il gruppo ha ceduto oltre la metà della sua capitalizzazione, scivolata sotto i due miliardi di euro. Air France-Klm cade.
Il titolo nell’indice Sbf 120, che raccoglie le principali capitalizzazioni della Borsa di Parigi, è quello che ha registrato la peggiore performance dall’inizio dell’anno.
Anche le azioni dei maggiori rivali europei della compagnia sono andate giù, ma non così tanto (Lufthansa il 33% e Iag, dal 24 gennaio scorso, quando questa alleanza fra British Airways e Iberia è diventata operativa, il 46%).
A fine giugno l’indebitamento netto di Air France-Klm ammontava a sei miliardi di euro contro 1,4 per Lufthansa e 480 milioni per Iag.
Il gruppo franco-olandese non ha ancora pienamente digerito la crisi nel trasporto aereo del 2008 e del 2009.
Un mese fa i vertici del gruppo davano per scontato un bilancio 2011 in attivo. Ma a tale eventualità a Parigi ormai non crede più nessuno.
La compagnia, ancora più delle altre, ha subito i contraccolpi delle “primavere arabe”, lo sbocciare della democrazia in vari Paesi del Maghreb e del Vicino Oriente, che però ha avuto riflessi negativi sul traffico aereo: Air France-Klm non ha saputo riadattare sufficientemente i suoi programmi di volo verso destinazioni come l’Egitto e la Tunisia. Molti aerei, in sostanza, volano vuoti.
Altro problema: per ridurre i costi, soprattutto del personale (gli stipendi assorbono un terzo del fatturato rispetto a un quarto per Lufthansa e per Iag), già un anno fa Air France-Klm aveva annunciato una nuova organizzazione dei voli a breve-medio raggio, le cui basi logistiche saranno spostate in parte nelle città della provincia francese (si comincia da Marsiglia in ottobre).
Ma pure questo programma procede a rilento.
E Easyet e Ryanair, i principali rivali su tali rotte, hanno già avuto il tempo di reagire.
C’è poi la crisi finanziaria. Con possibile recessione.
Tra le compagnie aeree europee proprio Air France-Klm appare la più vulnerabile.
A riprova di tutto questo, un incontro lunedi’ scorso voluto dai vertici dell’azienda (che è controllata per il 15,7% dallo Stato francese e per il 9,8% dai dipendenti) con i sindacati per ventilare la possibilità di tagli su tutti i fronti. Air France-Klm salverà Alitalia?
Prima deve pensare a salvare se stessa.
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO LE POLEMICHE SUI PRANZI A PREZZI IRRISORI DI CUI GODEVANO I SENATORI, ORA UN PASTO E’ PASSATO A COSTARE 25-30 EURO…E I SENATORI VANNO A MONTECITORIO DOVE IL PREZZO E ANCORA MINIMO
«Sa cosa sta succedendo? La stessa cosa della barberia: finchè era gratis c’era chi ci
andava anche due volte al giorno, ora che si pagano 15 euro nessuno ha più bisogno di barba e capelli…», sospira il senatore dipietrista Stefano Pedica, prevedendo la sorte del ristorante di Palazzo Madama. Causa un’ondata di indignazione generale, da settembre il costo di un pasto tra stucchi e velluti è stato più o meno triplicato: per gli avventori del Palazzo è finito il tempo della scelta tra primi a un euro e sessanta o del pesce spada a 3 e 55.
Decisione tempestiva del Collegio dei questori, solerti ad arginare la rivolta anti-Casta: adesso per un primo piatto si sborsano sei euro, per gli spaghetti all’ astice anche 15-18, per un pasto completo tra i 25 e i 30.
E il primo effetto dell’adeguamento al costo della vita dei comuni mortali si è fatto subito sentire: crollo delle presenze e degli incassi di circa il 50% rispetto a luglio, quando ancora si banchettava allegramente con pochi euro.
«Si parla di un centinaio di persone in meno al giorno», calcola il senatore questore Angelo Maria Cicolani, del Pdl. «Ma è troppo presto per fare un bilancio», predica, dall’innalzamento dei prezzi sono passati pochi giorni «ed è stata una settimana particolare, con il voto di fiducia e quindi l’attività delle Commissioni sospesa. Mi auguro che non ci sarà nessun calo».
Qualche senatore si è risentito per questo intervento sui prezzi, sentendosi poco tutelato: «Non hanno protetto i nostri diritti: il ristorante è un servizio, non un privilegio», sbuffa qualcuno.
«Il ristorante serve: è un luogo di aggregazione dove spesso si continua a lavorare in modo informale. E poi se ne servono ospiti in visita, ministri stranieri, personalità : è importante avere un posto decoroso dove accoglierli a pranzo», spiega Cicolani.
«In pochi giorni il ristorante s’è svuotato», valuta Pedica.
«Ho sentito colleghi cominciare a lamentarsi del cibo, del servizio. Ma è da paragonare a un buon ristorante: perchè lamentarsi se si pagano 25 o 30 euro quando fuori sono disposti a pagarne 50?».
La soluzione però c’è: intanto, il ristorante di Montecitorio, a pochi minuti a piedi, almeno per ora costa meno.
E poi ci sono già gruppi parlamentari che stanno cercando accordi e convenzioni con ristoranti esterni, per pagare 15 euro o giù di lì.
Francesca Scianchi
(da “La Stampa“)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
TRE MILIONI E MEZZO DI EURO L’ANNO PER PULIRE 44 ALLOGGI…409.000 EURO DI INDENNITA’ SPECIALI…PENSIONI D’ORO, BENEFIT E SCONTI: GLI SPRECHI CI SONO ANCHE NELLE FORZE ARMATE
Per tutti c’è la certezza di andare in pensione con il 50 per cento di soldi in più rispetto agli altri dipendenti pubblici.
E a fine carriera, cinque anni a pensione praticamente raddoppiata solo perchè esiste la (remota) possibilità di essere richiamati in servizio.
Per 44 generali c’è un appartamento di rappresentanza che può arrivare a 600 metri quadri per cui lo Stato paga tutto, anche le pulizie.
E per sei di loro c’è anche una “speciale indennità pensionabile” che si traduce in 409.349 euro l’anno a testa e che si somma alla pensione ordinaria.
Ecco quanto costa lo spirito di sacrificio delle forze armate italiane.
Qui non parliamo dei 41 soldati italiani mai rientrati dall’Afghanistan, nè dei carabinieri che si ritrovano a pattugliare le strade con auto vecchie e senza benzina. Parliamo di quella stretta cerchia di militari italiani che alle missioni all’estero preferisce un soggiorno tra le cime di Dobbiaco a 30 euro a notte in alta stagione.
Prendiamo i 44 generali e ammiragli delle Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri) che hanno diritto all’alloggio di servizio e rappresentanza, il cosiddetto ASIR.
Questi alloggi sono idealmente suddivisi in un’area di rappresentanza, i cui costi di gestione e mantenimento stanno a carico dell’amministrazione della difesa, e in un’area per così dire privata affidata alla gestione dell’alto ufficiale al quale l’alloggio è stato temporaneamente assegnato.
Nulla da eccepire se non che tra le spese a carico dell’amministrazione vi sono naturalmente anche quelle quotidiane di pulizia dei locali degli alloggi, di rifacimento letti.
Di che si tratti, lo spiega bene l’ultimo capitolato di gara disponibile: “Spazzatura e lavatura dei pavimenti delle camere, corridoi, scale, ballatoi, con idonei prodotti disinfettanti; spazzatura e lavatura dei bagni comprese le relative pareti piastrellate, (…) spolveratura di tutti i mobili; battitura di cuscini e divani; pulizia e battitura degli scendiletto e pulizia di tappeti e moquette con idoneo aspirapolvere e/o battitappeto; (…) spolveratura e lucidatura di argenteria, oggetti in rame ed ottone; battitura dei tappeti e delle guide; ceratura dei pavimenti in parquet con prodotti specifici; pulizia, esterna ed interna, con aspirapolvere dei mobiletti porta condizionatori; spolveratura e pulizia con prodotti specifici dei lampadari; lavaggio e lucidatura con idonei prodotti di tutta la posateria in alpacca argentata/argento, (…) lavaggio delle tende, con esclusione delle mantovane e sopratende”.
Il tutto alla modica cifra di 76.260 euro ogni anno per pulire un solo appartamento (fa 3 milioni e mezzo per tutti e 44).
La pensione media per chi ha lavorato nel comparto militare è di 32 mila euro l’anno: quella dei dipendenti dei ministeri “civili” si aggira invece sui 20 mila euro.
Oltre alla pensione ordinaria, al Capo di Stato maggiore della Difesa, ai tre Capi di Stato maggiore delle Forze Armate, al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e al Segretario generale della Difesa spetta una “speciale indennità pensionabile”: 409 mila 349 euro l’anno, che moltiplicati per sei sfiorano i due milioni e mezzo di euro annui.
Dopo la pensione, per cinque anni, ufficiali e sottufficiali restano a disposizione della Difesa: per esempio, capita che in un lustro, per un paio di giorni vengano richiamati per partecipare a qualche commissione di concorso.
Ecco, l’ausiliaria, il disturbo per intenderci, nel 2011 pesa 326 milioni di euro.
Senza contare quanto vale in aumento del costo delle pensioni, ricalcolate alla fine dei 5 anni con l’anzianità maturata in più.
Villa Irma, a Dobbiaco, era un albergo: oggi è considerata un Centro di addestramento alla sopravvivenza in montagna.
Eppure, sempre albergo è: con 30 euro a persona, militari e famiglia possono soggiornare tra le cime delle Alpi.
Nel Mar Ligure, all’isola Palmaria bastano 22,22 euro (le tariffe sono del 2005), al Terminillo 28, mentre “trascorrere periodi di riposo e di recupero psico-fisico” ad Alghero costa 27 euro per notte.
Anche qui la domanda è semplice: perchè devono essere colonnelli (con quello che costano) a gestire strutture del genere
Le spese per il personale costituiscono il 65 per cento dei costi per la Difesa.
Se al totale aggiungiamo le uscite non contemplate dal bilancio “ufficiale” (per esempio le pensioni) si superano i 23 miliardi di euro l’anno: l’1,44 per cento del Pil nazionale dicono i dati Nato, molto più dello 0,8 raccontato dalla “vulgata” governativa.
E mentre in Gran Bretagna il governo Cameron, tra le proteste dei generali, “rottama” 200 mezzi corazzati e 100 caccia F35, noi “abbiamo ancora centinaia di carri armati come se domani dovessimo affrontare i carri sovietici sulla soglia di Gorizia”, dice Toni De Marchi, giornalista a lungo consulente parlamentare in commissione Difesa. “Ma le scelte di politica militare dell’Italia sono molto spesso dettate dalla naturale tendenza di un corpo burocratico di perpetuare se stesso e i propri privilegi: preparandosi a una guerra che non si farà mai, si difende un potere che non esiste più”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
ALCUNE INTERCETTAZIONI FAREBBERO RIFERIMENTO A MINACCE AGGRAVATE DALL’AVER AGEVOLATO UN CLAN DELLA CAMORRA
Furono le primarie dei brogli, veri o presunti, chissà , il comitato dei Garanti si sciolse senza
emettere un verdetto.
Furono le primarie dell’affluenza record, di seggi con un voto espresso ogni ventinove secondi.
Furono le primarie della vittoria di Pirro del bassoliniano europarlamentare Andrea Cozzolino.
Una vittoria mai riconosciuta dal Pd che decise di annullare tutto, di individuare nel segretario provinciale Nicola Tremante il capro espiatorio, commissariando il partito con l’invio del deputato Andrea Orlando, e di candidare a sindaco per il partito di Bersani il prefetto Mario Morcone, esponendolo al massacro.
Furono anche le primarie della camorra?
La Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha aperto un’inchiesta per dare una risposta a questa domanda, ed ha acquisito nella sede democratica di via Toledo gli elenchi dei circa 44.000 votanti che il 23 gennaio scorso versarono un euro per partecipare alle consultazioni più inutili della storia.
Il pm Pierpaolo Filippelli indaga sull’ipotesi di reato di minacce aggravate dall’aver favorito un clan.
Le presunte irregolarità si sarebbero verificate nel quartiere ad alta densità malavitosa di Secondigliano, dove Cozzolino prevalse sul superfavorito Umberto Ranieri di 364 preferenze.
Alla fine l’ex assessore di Bassolino ebbe la meglio su Ranieri di circa 1200 voti.
Seguì una coda infinita di polemiche e di accuse reciproche su chi aveva barato di più e peggio, nei quartieri poveri come in quelli agiati del capoluogo partenopeo.
Ne fecero le spese Cozzolino e la credibilità del Pd napoletano, che subì un durissimo colpo, l’ennesimo.
E Morcone non riuscì nemmeno a raggiungere il ballottaggio, stritolato nella morsa tra l’arancione Luigi de Magistris e l’azzurro Gianni Lettieri.
L’inchiesta giudiziaria sulle primarie napoletane del Pd e di buona parte del centrosinistra è nata per caso.
Il pm l’ha avviata tramite alcune intercettazioni telefoniche relative ad un altro fascicolo aperto da tempo, e relativo a presunti brogli elettorali alle amministrative del Comune di Gragnano, a guida Pdl.
Sui presunti brogli di quelle consultazioni c’è chi ha scritto un libro: “Emozioni primarie”, di Lucio Iaccarino e Massimo Cerulo, due esponenti dello staff elettorale di Oddati, secondo i quali mentre si stava profilando la vittoria di Cozzolino sarebbe avvenuta una telefonata tra Oddati e Ranieri per concordare un ‘travaso’ di consensi dal primo verso il secondo, riscrivendo i verbali e le schede.
Circostanza smentita con decisione da Oddati, che all’uscita del volume ha annunciato azioni legali.
Ora c’è una indagine.
Che non punta sui presunti brogli a tavolino, ma sulla compravendita camorristica dei consensi fuori ai seggi, sulle pressioni, sulle intimidazioni, sul giro di denaro che potrebbe aver accompagnato le votazioni del 23 gennaio.
La Procura sta rileggendo a uno a uno i nomi e i cognomi dei votanti per appurare se tra loro ci sono esponenti di grido della camorra, o affiliati.
E potrebbe presto decidere di sentire i quattro candidati: Cozzolino, Ranieri, l’ex assessore comunale Nicola Oddati e Libero Mancuso, l’unico della rosa estraneo ai democratici, messo in pista dalla sinistra e da Nichi Vendola.
argomento: Bersani, criminalità, denuncia, Giustizia, PD, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
DAL FURTO IN CASA DELLA D’ADDARIO ALL’SMS PER LA GALASI: “ATTENTA ESCORT”…SCOPPIA LO SCANDALO BARESE E LE VARIE PROTAGONISTE SUBISCONO ATTENTATI E INTIMIDAZIONI
Mani e manine di andreottiana memoria che cercano di convincere le ragazze del Cavaliere a tacere. Con le buone o con le cattive.
Quando esplode lo scandalo (l’intervista di Patrizia D’Addario al Corsera è del 17 giugno 2009) e le promesse di comparsate tv, presenze a talk-show, fattorie e grandi fratelli non bastano più, allora si passa alle minacce.
Più o meno esplicite. Subliminali, se occorre.
E allora va a fuoco la macchina di Barbara Montereale, la escort barese, fidanzata di un rampollo di mafia che si fa fotografare nel bagno di Palazzo Grazioli.
E viene svaligiato l’appartamento di Patrizia D’Addario. Le rubano tutto.
“Anche le mutande — si confida la donna che inguaiò Berlusconi — e quei cd, hanno frugato dovunque”.
A Francesca Garasi, invece, arrivò un sms esplicito: “Venerdì attenta a te, escort”. Testo in maiuscolo.
Francesca Garasi, di professione modella e fotomodella, è la ragazza romana che partecipa alla cena di Palazzo Grazioli del 23 settembre 2008.
È la fidanzata di Marco Vignola, avvocato barese difensore di Alessandro Mannarini, ragazzo della Lecce bene, uno del team di Gianpi Tarantini, settore cocaina.
Fu l’avvocato, finito anche lui nei guai per una storia di peculati e truffe legati al fallimento di alcune società , a presentare la sua fidanzata a Tarantini nel 2008 durante una serata al Billionaire di Briatore.
“Poi — fa mettere a verbale la ragazza il 18 settembre 2009 — lo incontrai casualmente a Milano e mi invitò a partecipare a una cena a Palazzo Grazioli, all’incirca a metà settembre”.
“Dopo le pubblicazioni giornalistiche inerenti le vicende giudiziarie di Tarantini — le chiede il pm Scelsi — ha ricevuto pressioni, o è stata contattata da alcuno che le ha chiesto di alterare la realtà dei fatti in caso di convocazione da parte della Guardia di Finanza ?”.
Una domanda che riletta oggi dopo il fascicolo aperto dalla Procura di Lecce e l’intervento del Csm sui ritardi imposti all’inchiesta sulle escort baresi, acquista nuovi significati.
Allarmante la risposta di Francesca Garasi: “Voglio precisare che come comunicatovi telefonicamente, in data 15 settembre 2009 ho ricevuto un sms dal numero 06-77209 riportante il seguente messaggio: “Venerdì attenta a te, escort”.
Tre giorni prima di essere interrogata la ragazza riceve una minaccia.
Ma chi sapeva che doveva essere interrogata? “Il mio fidanzato Marco Vignola, Daniele Taddei, dirigente degli studios, tale Gennaro, e Flavio, colonnello della Guardia di Finanza in servizio a Firenze”.
Daniele Taddei è un notissimo imprenditore televisivo, ha rilevato gli stabilimenti De Paolis e fondato gli “Studios”.
Molto amico di Berlusconi, a maggio scorso ha festeggiato i suoi 45 anni alla presenza di vari vip romani, i principi Giovannelli, il mago Eddie, detto il mago dei potenti, e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini.
Non si sa chi sia Gennaro, del quale la ragazza non ricorda il cognome, e chi Flavio, misterioso colonnello della Finanza di stanza a Firenze.
Quando nel 2009 uscirono le prime indiscrezioni sulle minacce indirizzate alla ragazza, il suo fidanzato Marco Vignola rispose così ai giornalisti: “Chi può averla minacciata? Da avvocato dico cercate tra i presenti di quella serata”.
Quella del 23 settembre, Berlusconi la chiama “la cena dei vecchietti”.
Assieme a lui ci sono infatti Fabrizio Del Noce e Carlo Rossella. “Così le ragazze sentono che lì c’è qualcuno che ha il potere di farle lavorare”.
Ed è anche la prima serata che Gianpi Tarantini organizza senza l’aiuto di Sabina Began.
Vuole far colpo, il lenone al servizio del Cavaliere, e per questo dice a Geraldin Semenghini che “dobbiamo trovare una troiona”.
La sera prima Berlusconi si informa se Francesca Garasi parteciperà alla cena col fidanzato. “No, no, viene da solo”, lo tranquillizza Gianpi. È la notte in cui Terry De Nicolò si ferma a Palazzo Grazioli, “eravamo io, queste due ragazze e Berlusconi”, la Garasi ha il compito di contattare altre ragazze per invitarle all’evento.
Ma è la minaccia, quel sms forse partito da una cabina telefonica, a rendere ancora più torbida la storia.
Perchè non è l’unica rivolta alle ragazze del Cavaliere.
A Barbara Montereale incendiano la macchina parcheggiata sotto casa il 24 giugno 2009. Cinque giorni prima è stata interrogata sulle cene a Palazzo Grazioli. In quegli stessi giorni viene svaligiata la casa di Patrizia D’Addario, l’escort che registrò gli incontri con Berlusconi.
Rubano tutto, anche la biancheria intima, i cd e un computer, ma lasciano un televisore nuovo e costoso.
Strani ladri, abilissime manine.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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