Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO TRE MESI DI DENUNCIA E DI CORAGGIOSA BATTAGLIA PER LA LEGALITA’ DA PARTE DELLA BASE LOCALE, ROMA COSTRETTA A PRENDERE ATTO CHE NAN NON POTEVA PIU’ RIMANERE AL SUO POSTO E LO RIDIMENSIONA… MA SCEGLIE DI NASCONDERE LA POLVERE SOTTO IL TAPPETO, NON DI FARE PULIZIA GLOBALE, PERDENDO L’OCCASIONE DI RECUPERARE I MILITANTI
Dopo tre mesi di duro confronto e di circostanziate denunce da parte dei dirigenti dell’ex coordinamento provinciale di Genova, dimessisi da Fli per una “questione etica”, l’ufficio politico nazionale del partito ha deciso ieri di commissariare, limitatamente alla provincia di Genova, Enrico Nan che conserva la giurisdizione sulle altre province.
Prende il suo posto la sen. Barbara Contini per “organizzare e strutturare” il partito in vista delle prossime elezioni comunali genovesi di primavera.
Per Nan la decisione rappresenta una sonora sconfitta, alla luce di quanto scriveva poche settimane in questo comunicato stampa:
“Enrico Nan, coordinatore regionale ligure, a Mirabello ha incontrato tutti i leader nazionali e in particolare Italo Bocchino e Gianfranco Fini, ricevendo una rinnovata fiducia. «Nei prossimi giorni metteremo a punto l’organizzazione per la campagna elettorale di Genova, presto penseremo al congresso di Genova, che si terrà per ottobre. Quella sarà un’occasione per stabilire le linee programmatiche e le regole precise affinchè non ci siano speculazioni demagogiche e propagandistiche».
Il riferimento è alle continue provocazioni di uno sparuto gruppo di ex iscritti ed ex dirigenti, commissariati in provincia di Genova”.
Altro che congresso patacca a ottobre, i vertici romani non solo glielo hanno negato, ma hanno commissariato lui.
Nonostante gli appoggi molto in alto di cui godeva, persino i suoi protettori hanno dovuto prendere atto che era diventato indifendibile, cercando solo di garantirgli una via di fuga verso le altre province liguri.
Una soluzione all’italiana, quella di non fare piazza pulita, ma di limitarsi a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Dato che una classe dirigente in grado di sostituire Nan in Liguria c’era, si è preferito ignorarla e trattare il caso tra notabili romani, commettendo un altro errore: non è certo così che si recuperano coloro che si erano allontanati, disgustati dall’andazzo.
Nominare come commissario una persona peraltro degna come la Contini è solo una operazione di immagine, ma non risolve i nodi politici della questione che sono:
1) la totale carenza di una politica locale in sintonia con il manifesto programmatico di Fli, ovvero la mancanza di “teste” che la sappiano interpretare e portare all’esterno.
2) le ambizioni personali che arrivano a privilegiare i propri interessi spiccioli a quelli del partito.
3) il problema non si risolve con un commissario che “pensi alla lista”, ma con uno che “pensi a fare politica vera” sul territorio, con uno staff adeguato: altrimenti il dibattito nel partito sarà sempre e solo limitato allo spazio che si contenderenno gli aspiranti alla elezione, tra chi vorrà una lista di Fli e chi preferirà la mimetizzazione in una lista civica.
4) il salto di qualità non c’è stato perchè si è scelta una soluzione al ribasso, mentre questa era l’occasione per un reale colpo d’ala.
Fli a Genova non aveva bisogno di un commissario “parlamentare” che ha dei chiari limiti temporali, ma di un gruppo dirigente locale che lavorasse senza fini personali per rilanciare in modo movimentista il partito con una strategia definita.
Fli non va anestetizzato per mettere la sordina alle polemiche interne, andava rianimato con forti scosse emotive, in modo da generare entusiasmo e militanza.
Non serve cambiare agenzia di pompe funebri, è meglio cercare di salvare il malato fin che si è in tempo.
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
CRESCE NEL PDL IL FRONTE DEI FAVOREVOLI ALL’ESECUTIVO DI TRANSIZIONE: “QUESTO NON E’ IN GRADO ADI AFFRONTARE LA CRISI”
“In questo momento c’è bisogno di mettere insieme le forze migliori”. 
E l’ora di pranzo quando il deputato del Pdl Claudio Scajola esce allo scoperto, spiegando il perchè degli incontri in corso tra i deputati della sua area.
La sera precedente, al ristorante della Galleria Alberto Sordi, è stato a cena con una quindicina di parlamentari della sua corrente.
Si dice che i fedelissimi dell’ex ministro dello Sviluppo siano pronti a scrivere un documento, da consegnare al Cavaliere. Forse non ancora per chiedergli un passo indietro, ma almeno per ottenere un Berlusconi bis, allargato ai centristi.
Che punti sul decreto sviluppo per recuperare i consensi.
Una fronda, comunque, guardata con sempre maggiore sospetto dal premier.
Gli scajoliani – secondo alcuni retroscena – si sono fatti i conti: il Pdl, in caso di voto anticipato, prenderebbe al massimo 120 deputati.
In quel caso – fanno sapere – sarebbero promossi quelli del cerchio magico, i vertici, i coordinatori regionali e qualcun altro dei fedelissimi.
Mentre a loro toccherebbero le briciole.
Ecco dunque la parola d’ordine: allargare la maggioranza alle altre forze moderate del centrodestra.
Passano poche ore e fa sentire la sua voce un altro autorevole malpancista del Pdl.
L’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, che dice: “Questo governo non è in grado di reggere il peso enorme della crisi che si è abbattuta sul nostro Paese”.
E poi auspica “la nascita di un nuovo governo che unisca gli italiani e ci porti a conclusione della legislatura. Perchè le elezioni anticipate sarebbero un male, nuocerebbero all’economia del paese”.
Non è la prima volta che Pisanu fa questi discorsi, più volte ha evocato un esecutivo di larghe intese con un nuovo premier.
Ora, però, nel palazzo si parla di manovre di avvicinamento tra i parlamentari della sua area e gli scajoliani. Insomma, una convergenza che comincia a diventare pericolosa per il Cavaliere.
Anche perchè c’è una terza fronda all’orizzonte.
Il malessere di tre deputati dei Cristiano popolari guidati da Mario Baccini: sulle intercettazioni, hanno suggerito al Pdl di evitare il ricorso alla fiducia.
Senza dimenticare che, nelle ultime ore, si parla di un drappello di 3-4 deputati pidiellini tentati dall’idea di lasciar il partito per iscriversi al gruppo misto sulla scia di Santo Versace.
Una serie di manovre che Francesco Storace, segretario nazionale della Destra, bolla senza appello: “Tornano a muoversi le truppe democristiane dentro il Pdl per far fuori Berlusconi. Dopo Fini, Pisanu e forse Scajola. Cavaliere, avevamo ragione o no alle politiche del 2008 ad avvisarti?”.
Ma c’è un altro segnale preoccupante per Berlusconi.
I dissidenti del centrodestra – a partire da Pisanu – oggi hanno ripetuto un nome evocato dal capo dello Stato: Giuseppe Pella.
“Il suo governo di tregua non durò molto ma servì”, ha detto Giorgio Napolitano durante la sua visita a Biella.
Ma chi era costui? Democristiano lontano dai giochi delle correnti, ministro degli Esteri e del Bilancio, ricevette l’incarico di formare il governo dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi nel 1953, dopo il flop della “legge truffa” voluta da De Gasperi.
La Dc, allora, era in grande difficoltà e il governo monocolore di Pella raccolse ampi consensi: lo votarono i partiti di centro e i monarchici, il movimento sociale si astenne.
I socialisti di Pietro Nenni, pur votandogli contro insieme al Pci, promisero che lo avrebbero giudicato volta per volta.
Toccò a Pella affrontare una crisi difficile come quella di Trieste.
Tutti coloro che guardano al governo di transizione – nel centrodestra e nell’opposizione – hanno recepito queste parole come un segnale.
O, almeno, hanno iniziato a far circolare questo nome come un mantra. E d’altra parte, al di là delle parole rassicuranti pronunciate dal premier in mattinata (“con Tremonti c’è concordia assoluta 2, siamo uniti, andiamo avanti”), dal vertice di maggioranza a palazzo Grazioli è arrivata un’altra altra indicazione negativa: il rinvio del decreto per lo sviluppo 3al 20 ottobre e della nomina del Governatore di Bankitalia addirittura a novembre.
Sintomi di una crescente debolezza: si tratta infatti di decisioni cruciali che – per una volta – competono direttamente alla responsabilità del premier.
Ma Berlusconi non riesce ad affrontarle a cause delle divisioni nella maggioranza.
Neppure Bossi, d’altra parte, sembra disposto più a fare sconti. “Durare fino al 2013 è obiettivamente complicato”, ha detto.
Si voterà l’anno prossimo, fa capire il Senatur.
Magari dopo aver varato una nuova legge elettorale.
Tiziana Testa
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
LE TRUPPE DI PISANU E SCAJOLA SI RIUNISCONO AL RISTORANTE… MENU’: COME PUGNALARE IL PREMIER E COSA FARE DOPO DI LUI
Diciassette congiurati.
Uno per ogni anno di berlusconismo da pugnalare e liquidare.
Diciassette commensali, riuniti dall’ex ministro Claudio Scajola l’altra sera, di mercoledì, nel ristorante della Galleria Colonna di fronte a Palazzo Chigi.
Una cena, stavolta, dopo il pranzo organizzato da Beppe Pisanu la scorsa settimana con una dozzina di parlamentari frondisti del Pdl.
Francesco Storace, leader della Destra, ha chiosato con efficacia: “Le truppe democristiane del Pdl tornano a muoversi per far fuori B.”.
Sarebbe una nemesi tristissima e forse ingiusta per Silvio Berlusconi.
La sua morte politica secondo l’antica consuetudine dei complotti dorotei a tavola, tra una pietanza e l’altra.
Una tradizione della Prima Repubblica.
Del resto il ligure Scajola, prima della casa acquistata a sua insaputa dalla cricca di Anemone, è stato un democristiano doroteo.
Pisanu, invece, era nella sinistra scudocrociata.
I due non si sono mai amati ma adesso sono uniti nelle manovre che più stanno creando turbolenze nella maggioranza.
Entrambi ministri dell’Interno con il Cavaliere premier, oggi lavorano apertamente per il cosidetto post-berlusconismo.
Il loro sogno è un governo di transizione o di decantazione che allontani le elezioni e prepari un nuovo quadro politico. I numeri sono appena sufficienti per far andare sotto il centrodestra nei due rami del Parlamento.
In tutto una ventina tra deputati (quindici convinti) e senatori (cinque).
Ma l’altra sera, al ristorante della Galleria Colonna, erano diciassette.
Mancava Pisanu. In compenso era presente il senatore Franco Orsi, uno dei partecipanti al pranzo dei “dodici” di Pisanu alla “Capricciosa”, ristorante vicino a piazza di Spagna.
Davanti a Scajola, i diciassette commensali-congiurati hanno intonato il De Profundis per il premier: “È finito, dobbiamo evitare che ci trascini insieme con lui nella rovina generale”.
Poi la fatidica richiesta: “Berlusconi deve fare il passo indietro”.
E giù minacce di non votare la fiducia sulla legge-bavaglio delle intercettazioni, oppure di affossare l’atteso decreto sviluppo. Parole, per il momento.
Che uno dei presenti riassume così, con schietta autoironia: “Il problema è che nessuno di noi va a dire a Berlusconi che deve fare il passo indietro. Andiamo a dirlo a Scajola e ci fermiamo lì”.
Capito la differenza? È la sindrome da “schiocco delle dita” che ha spiegato ieri sul Corriere della Sera la finiana Giulia Bongiorno.
In pratica, ancora oggi, in questo clima da fine impero e ultimi giorni di Pompei, se il Capo schiocca le dita tutti si zittiscono e obbediscono, a cominciare dal potenziale successore Angelino Alfano, democristiano doc di rito agrigentino.
In ogni caso, i parlamentari “scajoliani”, che a una cena di qualche mese fa erano addirittura sessanta, si sono dati “due settimane di tempo”.
Quelle “decisive”, raccontano. In fase di elaborazione c’è un documento in cui esternare dubbi e richieste: la “piattaforma per chiedere un governo nuovo con Alfano o al limite anche un Berlusconi bis”.
La prima è quella che piace tanto a Casini e Maroni.
La seconda è frutto di un compromesso interno. E cioè offrire a Scajola una sponda per andare da Berlusconi ed esporre i mal di pancia “nelle forme che riterrà più opportune”. Alla cena della corrente frondista, che ufficialmente è una fondazione (la Cristoforo Colombo) secondo gli usi della Seconda Repubblica, tra gli altri c’erano: Ignazio Abrignani, Massimo Maria Berruti, Paolo Russo, Salvatore Cicu, Roberto Tortoli, il già citato Orsi, Guido Viceconte.
Non c’era, però, Gregorio Fontana, che di Scajola è un fedelissimo storico.
Segno, questo, che l’operazione viene giudicata da alcuni assenti come “scissionista e senza sbocchi, con l’obiettivo unico di staccare la spina al governo”.
Un salto nel buio che molti non vogliono fare.
Anche perchè c’è un rischio non secondario: “Se si va da Berlusconi a proporgli un governo Alfano, certo al segretario del Pdl non gli facciamo un favore”. Vere alchimie da teatrino della politica.
Davvero, quindi, il berlusconismo può morire con un complotto a cena con delitto, sconfessando il tragico epilogo del “Caimano” di Moretti, in cui i militanti berlusconiani assediano il palazzo di giustizia di Milano?
La possibilità , in teoria, c’è ed è in linea con una stagione che va avanti da un anno.
La stagione delle cene, appunto. Ma non “eleganti” come quelle di Berlusconi.
Cene di capicorrente e di capigruppo, di ministri e triumviri, di colonnelli e peones.
A inaugurarla sono stati i ministri della fondazione Liberamente, cui a fasi alterne ha partecipato Alfano non ancora segretario del partito: Frattini, Prestigiacomo, Fitto, Carfagna, Gelmini, Romani, Fazio.
L’ultima, segretissima ma non tanto, è stata al ristorante dell’Hotel Majestic in via Veneto, molto in voga nel centrodestra grazie allo chef Lamantia.
Di solito, però, il ritrovo prediletto di “Liberamente” è stato il ristorante “Strega”, sempre nel centro storico della Capitale.
Tre i nemici dichiarati a tavola: la Lega e Tremonti, gli ex an del Pdl a partire da Gasparri e La Russa.
La controffensiva di questi ultimi due, insieme con Cicchitto e Quagliariello, è stata in altre sale riservate di alberghi di lusso romani. In particolare, il Minerva e il De Russie. Una volta, poi, anche al Valadier.
Spesso si litiga a tavola, non si congiura soltanto.
Capitò nell’autunno del 2010 al De Russie tra Cicchitto e La Russa.
Ordine del giorno: la pace interna tra gli ex an e gli ex forzisti. Il ministro della Difesa, non invitato e avvisato da un sms, si precipitò al ristorante e urlò al capogruppo del Pdl alla Camera: “Berlusconi mi dica chiaramente che vuole farmi fuori. So che parla male di me in giro. Se le cose stanno così io me ne vado. Tra Camera e Senato posso contare su 54 parlamentari. Faccio i gruppi autonomi, come Fini”.
I contesti cambiano, ma le minacce restano sempre le stesse.
Fare i gruppi autonomi.
Allora li agitò La Russa, oggi stessa storia con Scajola e Pisanu.
Ma fuoriuscire dal berlusconismo grazie alle vongole è un po’ troppo, persino per il Cavaliere.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
MOLTI CHIEDONO “UN ATTO DI DISCONTINUITA'”…. SCAJOLA: “BOSSI SEMINA UNA PAURA CHE PUO’ PORTARE ALTRI VERSO DI NOI”
I contatti che erano quotidiani, sono diventati febbrili, incessanti, continui. 
Trenta deputati, quindici senatori della maggioranza. E un progetto comune.
Nelle ultime ore è maturata la scelta di uscire allo scoperto, alla luce del sole, con un documento, firme nero su bianco, da portare al Cavaliere invocando “discontinuità “.
“Non vogliamo fare i ribaltonisti”, bocciata l’idea di approfittare del prossimo voto segreto a Montecitorio, magari sulle intercettazioni, per mandare per aria il governo.
Invece no, niente “operazione Valkiria”.
Delle due opzioni si è discusso a lungo due sere fa in un ristorante romano, quando attorno a Claudio Scajola si sono ritrovati deputati (Da Berruti e ad Abrignani, da Cassinelli a Cicu, Scandroglio, Antonione, Gava) e senatori (Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza).
Hanno prevalso i moderati sui falchi.
Questo stesso giorno, mercoledì pomeriggio, sul da farsi ad horas si erano interrogati nello studio del presidente della Camera, con Gianfranco Fini, anche il senatore Pdl Beppe Pisanu, e gli altri leader del terzo polo Casini e Rutelli.
Il gabinetto di guerra è ormai permanente.
Non si è discusso d’altro anche ieri.
E l’uscita di Bossi sul voto anticipato al 2012, come commentava in serata Scajola con i suoi, diventa un’insperata mano d’aiuto per coinvolgere nel progetto le decine di deputati che non hanno alcuna intenzione di andare a casa un anno prima.
Le firme, nei loro auspici, potrebbero diventare 50 e più.
Dunque, un documento, per invitare il premier ad accettare la svolta, intestarsela perfino, indicando una figura di spessore in grado di guidare un nuovo esecutivo d’emergenza con due finalità : approvare misure anticrisi e una riforma elettorale, nello scorcio di legislatura.
E il tam tam tra Montecitorio e Palazzo Madama rimbalza con insistenza anche i nomi dei due candidati per l’operazione.
Figure di peso e soprattutto di massima fiducia per il Cavaliere. Il più autorevole, il presidente del Senato Renato Schifani, e il braccio destro di sempre Gianni Letta.
Una “svolta”, comunque, perchè questo esecutivo non è in grado di affrontare la crisi, dice ormai apertamente Pisanu.
Lo chiama “un governo dei migliori”, Scajola.
La settimana scorsa sedevano assieme a Casini e Roberto Formigoni nel salotto del banchiere ed economista cattolico Pellegrino Capaldo.
Anche lui tra gli invitati all’appuntamento che quella fetta dell’establishment cattolico si è già dato per il 17 ottobre a Todi, alla presenza del presidente della Cei Angelo Bagnasco.
In agenda non c’è la costituzione di un partito dei cattolici, che d’altronde nemmeno la Conferenza episcopale ha auspicato.
Quel che è certo è invece che dai rami secchi del Pdl sta per nascere qualcosa di nuovo.
Sotto la regia dei due pezzi da novanta Pisanu e Scajola – ex diccì e grandi catalizzatori di voti – starebbero lavorando a una nuova formazione “Liberal democratica” da lanciare a breve. Comunque alternativa a quel Pdl di Alfano, esordito come “partito degli onesti” e ormai quasi fagocitato dal “forza gnocca” berlusconiano.
Nelle intenzioni di chi è all’opera, dovrebbe essere una forza in grado di aggregare laici e cattolici e alla quale oltre ai due big e ai parlamentari a loro vicini guarderebbero con interesse in tanti, da Pera a Dini.
Un soggetto nuovo di zecca destinato fin dagli esordi a dialogare con Casini e Fini e dunque con il terzo polo già esistente.
Ma le elezioni sono lontane, nei disegni di chi si appresta intanto a invocare per iscritto una svolta in tre punti: no a “dannose elezioni anticipate”, un governo di larghe intese (fosse pure esteso al solo terzo polo) per gestire l’emergenza della crisi, legge elettorale con preferenze. Non solo Scajola e Pisanu, in fermento nella maggioranza.
Ieri il cristiano popolare Baccini (con lui Galati e Soglia) ha suggerito al premier di non ricorrere alla fiducia sulle intercettazioni.
Un invito a non rischiare.
Perfino l’ex generale Roberto Speciale si dichiara “a disagio”. Versace ha già lasciato, i “responsabili” Sardelli, Milo e Iannaccone chiedono “aperture”.
Per non dire di Miccichè coi suoi sudisti.
Berlusconi i tamburi di guerra li avverte eccome.
Continua a ripetere che i suoi, scajoliani compresi, non lo “tradiranno”.
Intanto, ieri mattina si è materializzato di buon’ora alla Camera nonostante ci fossero normali votazioni sul ddl intercettazioni.
Una presenza per “rassicurare”, spiegano dall’entourage.
“Per mettere in guardia chi cospira” a sentire chi lavora già al dopo-Cavaliere.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER CHIAMA A SUA DIFESA GIAMPAOLO TRAVERSI, UN UOMO CONDANNATO PER VIOLENZA CARNALE DI GRUPPO SU UNA QUINDICENNE
È testimone a difesa di Berlusconi nel processo Ruby.
Dovrebbe dimostrare che le serate di Arcore erano innocenti incontri a base di Coca Cola light e che il Cavaliere non è colpevole di prostituzione minorile. Invece ha una condanna definitiva per violenza sessuale a una minorenne.
La sua vittima, una modella di 15 anni, era stata imbottita di coca (non Cola) per indurla a un rapporto di gruppo.
Non solo: Giampaolo Traversi è il filo rosso che lega Tarantini con il caso Ruby. Il suo nome era nella rubrica del Cavaliere, come quello del Gianpi barese. Tarantini procurava escort per i festini romani, Traversi portava modelle ad Arcore.
Di qui l’equivoco del Cavaliere: “Ho dovuto cambiare telefono perchè come al solito me l’avevano messo sotto controllo…”, dice Berlusconi pensando di parlare con Traversi.
E invece al telefono c’è Tarantini. Intercettato. E comincia la storia dei due “Gianpi”.
La prossima udienza del processo Ruby (22 ottobre) per la difesa del Cavaliere sarà delicata: citandolo come testimone hanno dimostrato che Traversi, con il suo passato, è vicino al premier.
Traversi, un eterno ragazzo di 36 anni, è l’essenza del Berlusconi way of life. Una vita scintillante tra Montecarlo e il triangolo della moda di Milano.
Con un tavolo riservato nei privè delle discoteche più vip, Hollywood e Tocqueville.
Uomo dalle mille conoscenze, amico di calciatori, broker di Piazza Affari e starlette.
Le modelle sono la passione di Traversi.
Ancora oggi nei locali di corso Como si raccontano le sue gesta.
In particolare una conquista: la bellissima Nina Moric.
Traversi la conosce appena arrivata a Milano, già affermata modella, ma sconosciuta al pubblico tv. Ma ciò di cui va fiero Traversi oggi è l’averla frequentata prima di Fabrizio Corona.
È Traversi che la introduce nell’universo di Lele Mora. A
bordo della sua Porsche Carrera 4S targata Montecarlo, Traversi e Moric girano per quasi un anno.
Poi arriva la tv e Nina spicca il volo.
Lui ricomincia: nuove modelle, sempre bellissime.
Come Maja, quindicenne slovena. Ma la ragazza è minorenne e dopo un festino a base di alcol e droga viene violentata. Anche da Giampaolo.
La famiglia di Traversi aveva assicurato: “Giampaolo è stato assolto in Cassazione”.
Dalle carte in possesso del Fatto Quotidiano emerge una realtà diversa.
Traversi era stato condannato a 2 anni e 8 mesi. Condanna diventata definitiva dopo la pronuncia della Cassazione (725 del primo giugno 2011).
Maja in ospedale all’inizio raccontò di essere stata violentata da un americano. Poi emerse la verità : l’arrivo a Milano, le porte delle agenzie di moda che le si spalancano davanti. Maja finisce subito sulla Porsche di Traversi. Cena, discoteca e droga.
L’epilogo si trova negli atti e nella sentenza della Cassazione.
Maja dal suo legale Sergio Pacor – racconta di essersi fatta un intero joint di crack.
Poi gli accusati (tra cui Traversi) le procurano un grammo di cocaina.
La seconda dose, sostengono i magistrati, “era strumentalmente indirizzata a ottenere il rapporto sessuale”.
La ragazzina racconta: “Ero fatta”. Ecco la violenza.
Ricostruiscono i magistrati: “Traversi la faceva spogliare, poi la baciava, indi C. (amico di Traversi condannato, ndr) la baciava mentre Traversi la spogliava. Poi la minore veniva indotta a praticare un rapporto orale a Traversi e nel contempo a subire un rapporto vaginale da C.. E dopo qualche tempo a ripetere i rapporti con le medesime modalità ”.
Maja, raccontano i giudici, dopo quelle sere milanesi ha dovuto sottoporsi “a un anno di disintossicazione, anche psicologica, per uscire da una situazione che si era determinata in appena due settimane”.
Il giudice Claudio Castelli condannò a 10 anni il capo del gruppo (scappato in Brasile) e a 3 anni il suo amico (poi arrestato in Sudamerica con 2 chili di coca). Per Traversi 2 anni e 8 mesi.
Intanto, però, è emersa la stretta amicizia tra il premier e Traversi.
Secondo Mora sarebbe stato Traversi ad accompagnare Ruby: “L’ho conosciuta ad Arcore nel 2009. Ruby arrivò con due ragazzi, uno di cognome Traversi”. Giampaolo nega: “Non conosco Ruby”.
Ma Traversi è anche uno dei protagonisti delle intercettazioni del premier. I contatti tra il Cavaliere e Traversi (che non è indagato nelle inchieste di Bari e Milano) erano frequenti.
Come appare dalle chiacchierate Berlusconi-Tarantini: “L’altro giorno sono arrivato a mezzanotte da Parigi, ho telefonato a quel Traversi e gli ho detto. “Senti, io sto un po’ carico perchè…”.
La Procura di Bari copre con omissis il resoconto della conversazione Berlusconi-Traversi e delle notti brave del Cavaliere.
Tarantini e l’amico Peter Faraone si lamentano delle serate milanesi organizzate da Traversi: “La prossima volta che lui lo fa a Milano io mi faccio invitare… poi quel c… di Traversi che secondo me è un c… che non ha capito niente, perchè gli porta sempre queste cazzo di modelle alte due metri che a lui (Berlusconi, ndr) gli fanno cagare”.
I due Gianpi, confusi dal premier, alla fine si trovano faccia a faccia.
Tarantini racconta: “C’era un ragazzo che si chiama come me, Giampaolo di Milano, che fa l’immobiliare… tu immagina che ha lo studio di 700 metri quadri in via Montenapoleone”.
Ma il teste chiamato dalla difesa rischia di segnare un punto decisivo per l’accusa.
Ferruccio Sansa e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
L’ALTRA ITALIA, QUELLA CHE SILVIO AVEVA PROMESSO DI NON LASCIARE INDIETRO… IN CAMPANIA 60.000 RAGAZZI SFUGGONO ALLL’ISTRUZIONE…LA STORIA DI UN RAGAZZINO CHE LAVORA DI NOTTE
«La scuola? È p”e criature». Geppino “testa calda” ti sfida con gli occhi. 
Certo, è affare di bambini la scuola cui guarda questo Pinocchio al contrario, che ha dato via i sussidiari in cambio di giornate più dure e non crede nei campi dei miracoli.
«Che cosa so fare di mestiere? Uno ‘e tutto. Il lavoro è lavoro».
L’aria giocosa di chi sfoggia sguardi da adulto. E quella difesa che spunta coma seconda pelle: la risata. Nervosa, indagatrice.
Nome Giuseppe, lo chiamano Geppino, ha 11 anni, è uno dei sessantamila dispersi della scuola in Campania.
Pelle olivastra, mani sottili. Una casella tra i cold case dell’istruzione.
“Apprendista” in una tipografia dell’hinterland. Sneaker arancio della Nike, jeans firmati Cavalli. «Solo la maglia è cinese, quella buona si sporca di fatica e quindi me la metto il sabato».
La paga di Geppino, 150 euro a settimana. «Più qualche mancia, se vado per consegne».
I compagni, l’unica famiglia.
Di sua madre non vuole raccontare, suo padre è detenuto per truffa, un tempo era camionista.
E c’è un viaggio che il figlio ricorda di avere fatto con lui, dall’Asse mediano di Napoli al lungomare di Riccione.
«Era divertente fermarci alle piazzole col panino. Anche dormire sul furgone mi piaceva. Quando arrivammo fino a là , vidi per la prima volta tanti alberghi vicini. E pure le file di ombrelloni uguali, ordinati. Non come sulle spiagge nostre dove ognuno va con le sedie sue». Ora Geppino vive con i nonni a Casalnuovo, un posto dove anni fa qualcuno riuscì ad erigere e perfino a vendere ben 29 palazzi abusivi, oggi in parte demoliti.
Geppino il tipografo somiglia a quei palazzi.
Oggetto di una dimenticanza collettiva, segno di complicità rimossa.
Quanti sono gli “onesti” che le famiglie lasciano andare e lo Stato finge di non vedere?
Un esercito. Napoli se ne conferma capitale.
Quarantamila solo nell’area metropolitana, come ricorda spesso la Fondazione Banconapoli. Ma i dati incrociati – l’ex anagrafe scolastica regionale e il welfare precario che assiste le famiglie disagiate – tracciano uno scenario più articolato.
«I dispersi al di sopra dei 14 anni sono circa 52.000 in Campania», racconta Amelia Cozzolino, dell’ex progetto Suaris, Supporto all’attività di inclusione scolastica, cancellato in Regione da un anno.
Continua Amelia: «A Napoli e provincia c’è il picco di abbandono per fascia d’età più bassa: 80 casi accertati nel centro della città , e oltre 50 tra i 6 e i 7 anni. E molti di questi bambini hanno a loro carico situazioni di disabilità fisiche o psichiche. Oggi? Può solo peggiorare. Avevo spinto una mia vicina al corso di parrucchiera. Poi il progetto è saltato. Lei è tornata a fare la shampista in nero. Ha 14 anni».
Si rischia di parlarne solo nella “Giornata mondiale dello sfruttamento”.
Con il divampare della crisi, e i tagli agli enti locali, quale posto occupano gli “operai” invisibili? Cesare Moreno, fondatore della scuola di strada con Marco Rossi-Doria, detesta le classifiche che confinano con il colore.
«Non cercate bimbi di 8 anni che fanno i baristi. Cercate l’enorme pattuglione dei 12enni o 16enni che alla scuola voltano le spalle e stanno nella fabbrica del sommerso o in quella del crimine, purchè si sentano considerati».
In un’altra trincea, tra Castellammare e Pompei, i baby lavoratori passano qualche ora di svago e formazione a “La voce d”e criature” di don Luigi Merola, fondazione dell’ex parroco del rione Forcella.
Ergan, 15 anni, origini slave, lavora da un fioraio per 160 euro a settimana. Sveglia alle 2 di notte.
Solo quando può, frequenta la terza media. «Ho perso due anni a ripetere la quarta elementare. Ci andavo, e dormivo. Presi pure a cazzotti una prof».
Vive con i nonni: sfondo consueto, i minori aggrappati alla pazienza degli anziani.
«Ho un buon principale. Quando serve che lavoro di notte, io monto alle 3 e finisco alle 7.
Che cosa me ne faccio dei soldi? Porto la fidanzata il sabato a ballare ai locali di Sorrento, mi vesto».
Di tanti fiori, Ergan non ha trattenuto che un nome. «Le rose, solo quelle mi piacciono».
Altra location. Scampia, via Fratelli Cervi.
Nella curva dietro l’insediamento delle Vele, oltre una ditta di nettezza urbana, c’è sempre stato un porto per questi ragazzi.
Dal nome austero: “Educativa territoriale”. Dentro, cento iscritti, oltre la metà «casi delicati». Significa: con parenti detenuti. Antonio ha 11 anni.
Corpulento, mani grandi, che spesso picchiavano. Ha assaggiato molti lavori. «Il panettiere, lo scaricante, il barista e il ragazzo che controlla la merce esposta, sennò se la fottono. Farei tutto, tranne lo schiattamuorto», il fossatore.
Le educatrici spendono ogni energia. Uno ribatte: «Se lavoro perchè nascondermi? Non è meglio che spacciare?».
Martellante il richiamo all'”altro” lavoro, il Sistema, la camorra.
Chi fa il “palo”, cioè avvisare dell’arrivo della polizia, qui prende 150 euro al giorno.
Ma tanti si accontentano di un (sotto)lavoro.
Come Geppino, sembrano sereni. «Se uno lavora, campa», ridono.
Anche del loro futuro.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
DEI PADRI DELLA PATRIA SONO RIMASTI IN TRE: MARONI LA SCAMPO’ DI POCO
Miracolosamente sopravvissuto all’auto-espulsione, decisa quando sentenziò con solennità su La Padania del 26 luglio 1999 che «chi farà accordi con l’Ulivo e con Berlusconi sarà espulso dalla Lega», il Senatur è indeciso: cosa fare di ogni traditùr che emerge giorno dopo giorno?
In altri tempi, non ci avrebbe pensato un minuto: raus!
Ma le cose, oggi, si sono fatte più complicate…
Come la pensi Bossi si sa.
Lo ha ribadito mille volte: «La Lega è il partito più democratico di tutti».
Salvo precisare: «Io sono un segretario semplice, che si comporta semplicemente. Se uno pianta casino, vedo che non ha interesse per il federalismo e la Padania, lo mando via, non perdo tempo».
Tesi ribadita con un riferimento trasparente a Roberto Maroni, al sindaco di Verona Flavio Tosi e a quello di Varese Attilio Fontana, rei di avere posizioni non sempre allineate: «Ci metto due secondi a chiedere al Consiglio federale l’espulsione di chi si mette di traverso, anche se ci sono persone importanti».
Dialettica brezneviana in salsa verde.
Assai apprezzata da diversi «federali» sparsi per il territorio.
Come il segretario provinciale di Treviso Gianantonio Da Re che, appena Giancarlo Gentilini ha osato dire la sua («È inutile fare il sogno della Padania e della secessione: l’Italia è una, quando noi della Lega avremo il 50% più uno dei consensi ne riparleremo») ha intimato: «Se dice ancora una sola parola contro la Padania e la secessione è fuori del partito».
Epurazione sostenuta anche dal senatore Piergiorgio Stiffoni, il quale, famoso per una sparata su certi immigrati rimasti senza tetto a Treviso («peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto») ha liquidato lo storico sindaco-sceriffo in due parole che sarebbero state bene in bocca a un funzionario di Lavrentiy Beria: «È un virus da estirpare».
È una storia lunga, quella delle epurazioni nel Carroccio.
Lo sa bene lo stesso ministro degli Interni, che nel 1994, illuso da un sondaggio di Famiglia Cristiana che lo dava più popolare del Senatur, osò ribellarsi alla decisione di buttare giù il governo Berlusconi: «Può uno come me assistere allo squagliamento del partito perchè il suo leader ha sbagliato tutto?».
Finì con una fischiata al congresso, una selva di insulti (fra i tanti, quello di Erminio Boso: «È uno scimmiotto ammaestrato ad Arcore»), uno striscione che diceva: «La Lega ce l’ha duro e i Maroni ce li ha sotto».
L’epilogo: dovendo scegliere tra tornare a fare il dipendente della Avon o andare a Canossa, «Bobo» si cosparse il capo di cenere: «Bossi ha sempre ragione». Cosa che gli tirò addosso le ironie di Irene Pivetti: «Pare un rieducato di Pol Pot».
Fu l’unico, a scamparla, Maroni.
«Dovevo ancora risarcirlo per il bidone di vernice che una volta gli avevo rovesciato nella macchina nuova», avrebbe ridacchiato mesi dopo l’Umberto.
A tutti gli altri dissidenti è andata in maniera diversa.
Basti ricordare la lista di quanti, nello studio del notaio Giovanni Battista Anselmo di Bergamo, diedero vita nel 1989 alla Lega Nord: pochi anni dopo i superstiti sarebbero stati solo tre: Umberto Bossi, Francesco Speroni e Gipo Farassino.
Tutti gli altri, uno ad uno, erano stati espulsi o costretti ad andarsene.
È andata così fin dall’inizio, dai tempi della Liga veneta.
Espulso Achille Tramarin, il primo parlamentare a parlare in dialetto alla Camera. Espulso Graziano Girardi, che vendeva mutande e flanelle nei mercati ed era finito per primo a Palazzo Madama.
Espulso Franco Castellazzi, padrone di una discoteca con striptease maschili, presidente del movimento e primo capogruppo leghista alla Regione Lombardia: «Bossi diceva che me la facevo con Craxi, la Cia e il Kgb».
E poi espulsi, tra i fondatori, il ligure Bruno Ravera e gli emiliani Giorgio Conca e Carla Uccelli e il toscano Riccardo Fragassi e il piemontese Roberto Gremmo, liquidato a sentire Castellazzi «con una storia tutta inventata di film porno, fellatio e marocchini».
E poi espulsi il fondatore della Liga Franco Rocchetta e la moglie Marilena Marin, colpevoli di contestare la guerriglia bossiana contro il primo governo del Cavaliere: «Traditori! Cospiravano per fare il partito unico berlusconiano».
E ancora espulsi tutti i parlamentari contrari alla decisione del Senatur di abbattere l’esecutivo Berlusconi.
A partire da Luigi Negri, fratello della moglie di Calderoli, Sabina, la quale avrebbe raccontato in una irresistibile intervista a Claudio Sabelli Fioretti del cataclisma familiare di cui fece le spese, a Natale del 2004, anche un cappone (che restò sulla tavola senza che alcuno avesse voglia di mangiarlo) e della spietatezza del marito contro i parenti-serpenti che chiamava «I coniugi Ceausescu».
Una dedizione al capo che l’attuale ministro per la Semplificazione aveva totale: «Roberto espellerebbe anche me se glielo chiedesse Bossi».
Tra le vittime dell’epurazione, oltre alla moglie di Luigi Negri, Elena Gazzola, allora presidente leghista del Consiglio comunale milanese, finì perfino la loro cagnetta Gilda, rea di scodinzolare in modo anti-bossiano ed espulsa da Palazzo Marino con una insuperabile disposizione «ad-canem» dell’allora sindaco Marco Formentini, che a sua volta sarebbe stato successivamente convinto ad andarsene per passare al centrosinistra.
E via così.
Fuori, con un gran sbattere di porte, il primo ministro leghista al Bilancio, Mimmo Pagliarini.
Fuori il primo ministro all’Industria, Vito Gnutti, bollato da Bossi come «il nano della Val Sabbia».
Fuori il fedele autista Pino Babbini: «L’Umberto mi accusò d’avergli rubato una macchina fotografica, ma anche che gli insidiavo la moglie. Tutte balle. Qualcuno nella Lega non voleva che gli dicessi quello che non andava».
Fuori, prima di una successiva riconciliazione, l’ideologo Gianfranco Miglio, liquidato dal Senatur come «una scorreggia nello spazio».
E poi fuori Elisabetta Bertotti, la «miss Camera» che aveva osato dire che alle comunali di Trento il candidato leghista era così razzista che avrebbe votato il candidato dell’Ulivo. Fuori il primo capogruppo Luigi Petrini.
Fuori il segretario della Liga veneta Fabrizio Comencini.
E fuori Irene Pivetti, la prima presidente leghista di Montecitorio, che per aver ricordato come la secessione non fosse nello statuto nè fosse stata «decisa da alcun congresso» fu espulsa con un sovraccarico di insulti: «L’eretico sarei io? Ma digh de andà a da via el cu..».
E fuori ancora Domenico Comino, già capogruppo alla Camera, colpevole di avere teorizzato l’alleanza con la destra due mesi troppo presto rispetto al «contrordine, padani» del segretario.
Tutti fuori.
Inseguiti da invettive che ricordano l’espulsione di Baruch Spinoza dalla comunità ebraica di Amsterdam: «Che la collera e l’indignazione del Signore lo circondino e fumino per sempre sul suo capo».
E meno male che non esiste una Siberia padana coi campi di rieducazione…
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
“NON LASCEREMO NESSUNO INDIETRO” PROMETTEVA BERLUSCONI: INFATTI IL GOVERNO LI LASCIA SOTTO UN PONTE…BRESCIA, VICENZA E MODENA GUIDANO LA CLASSIFICA E IL FONDO SOCIALE E’ RIDOTTO AL LUMICINO
Non solo è difficile arrivare a fine mese, ma per molte famiglie è pesante anche pagare
puntualmente il fitto di casa.
I ritardi negli ultimi mesi si sono moltiplicati tanto da far raddoppiare in 10 anni gli sfratti per morosità : erano poco più di 25 mila nel 2000 sono schizzati a oltre 56 mila l’anno scorso. In sostanza si è arrivati a uno sfratto ogni 380 famiglie, rispetto ad uno ogni 539 famiglie nel 2001 e a uno sfratto ogni 401 famiglie nel 2009.
Se nel 1983 gli sfratti per morosità rappresentavano il 13% dei provvedimenti di rilascio forzoso emessi, nel 2000 sono saliti al 64,5% per attestarsi lo scorso anno a quota 85,7%.
Le cifre evidenziano una situazione allarmante che emerge da uno studio del Sunia, il sindacato degli inquilini che ha fotografato anche le realtà locali.
A livello provinciale, è Brescia che guida la classifica con un vistoso 94,96%, seguita da Vicenza con il 94,55%, Modena con il 93,87% e da Torino con il 92,09%.
Il peso delle ingiunzioni si sente soprattutto nelle realtà industriali e nelle aree metropolitano dove hanno influito le crisi industriali e il precariato.
La crescita così forte degli sfratti è stata determinata anche da canoni di locazione mediamente alti: molte famiglie, pur di trovare una soluzione abitativa, hanno firmato contratti di locazione che non sono in grado di onorare.
Così scatta lo sfratto per morosità che porta, in molti casi, a soluzioni precarie come andare ad abitare presso familiari rafforzando, così, il fenomeno della coabitazione.
Ad aggravare ulteriormente la posizione degli inquilini con redditi bassi si è aggiunto lo “svuotamento” del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione che ha il preciso scopo di agevolare gli inquilini con reddito basso a pagare l’affitto.
L’integrazione poteva essere richiesta quando il reddito complessivo annuo imponibile del nucleo familiare non era superiore a due pensione minime Inps rispetto al quale l’incidenza dell’affitto non doveva essere inferiore al 14%.
Per i nuclei familiari con un reddito non superiore a quello fissato dalle regioni per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, l’incidenza dell’affitto doveva risultare non inferiore al 24%.
Da dati pubblicati sul sito lavoce.info emerge che nel 1999 era previsto uno stanziamento di 388 milioni e 778 mila euro.
Queste risorse si sono lentamente prosciugate: nel 2010 erano scese a 143 milioni e 826 mila euro.
Ma il crollo è avvenuto con il varo della legge di stabilità che ha drasticamente ridotto gli stanziamenti a oltre 33 milioni di euro per il 2011 e il 2012, per fissarli per il 2013 al lumicino: 14 milioni e 313 mila euro.
«Siamo di fronte alla dismissione da parte governo – spiega Claudio Fantoni, assessore alla casa del comune di Firenze e delegato Anci alle politiche abitative – degli interventi a sostegno della fascia di popolazione più a disagio, quella che non ha risorse per assicurarsi un’abitazione. Di fronte ad una necessità quantificata in un miliardo e mezzo all’anno non restano che una manciata di milioni di euro».
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Ottobre 7th, 2011 Riccardo Fucile
PARMA L’ATENEO PIU’ CARO D’ITALIA, AL NORD SI SPENDE DI PIU’…MENO FONDI PER LE BORSE DI STUDIO DA DESTINARE AGLI STUDENTI DI FASCIA BASSA DI REDDITO
Università del nord più care, aumento dell’evasione fiscale e meno fondi per le borse di studio da destinare agli studenti di fascia di reddito più bassa.
Questi i dati emersi dal rapporto annuale presentato dall’Osservatorio di Federconsumatori, che anche quest’anno ha condotto uno studio su un campione di 18 università , scelte in tutta Italia tra quelle con il più alto numero di studenti.
L’ateneo più costoso della penisola è, anche per il 2011, quello di Parma, con una retta che parte da 890 euro per le facoltà umanistiche e da 1005,87 euro per quelle scientifiche.
Tasse che pesano soprattutto sulle spalle degli studenti meno abbienti che, rispetto a coloro che provengono da famiglie benestanti, spendono annualmente solo pochi euro di meno.
Nell’ordine dei 300 euro.
Inoltre, mentre i ragazzi entro i 6000 euro di reddito Isee saranno aiutati dall’Ente regionale per il diritto allo studio, tutti coloro che supereranno anche di poco quella soglia si troveranno soli a dover fronteggiare le spese universitarie.
Al secondo posto è tornata Verona, che annualmente ha un costo che va dai 642 euro, fino ad arrivare, per i più ricchi, a circa 1800 euro.
Seguita a ruota dall’Università Statale di Milano.
Bologna invece ha sorprendentemente trionfato, classificandosi al secondo posto tra le università meno care di Italia.
L’Alma Mater della Dotta, infatti, nonostante la qualità dei suoi insegnamenti, classificatisi molto meglio delle sorelle italiane nel ranking internazionale, esige dagli studenti tasse accessibili.
A fronte di ragazzi appartenenti a una fascia di reddito Isee inferiore a 20.000 euro, ad esempio, ha applicato una tassazione che, rispetto alla media nazionale, è stata inferiore del 35%.
Ma come sempre, gli Atenei più economici sono quelli del sud, con la vistosa eccezione delle università pugliesi che hanno adottato un sistema meritocratico che relaziona il costo della retta al profitto negli studi: quanto più i voti dello studente saranno alti, meno care saranno le tasse da pagare annualmente.
“Complessivamente” ha evidenziato l’analisi dell’Osservatorio di Federconsumatori “rispetto al 2010 si registra una lievissima contrazione dei costi a carico degli studenti appartenenti alle fasce di reddito più basse, e un incremento a carico, invece, delle fasce più alte.
Nel dettaglio per gli studenti appartenenti alla 1 ed alla 2 fascia di reddito Isee i costi sono diminuiti, rispettivamente, del -1% e del -4%. I costi relativi alla 3 fascia rimangono pressochè invariati, mentre aumentano rispettivamente del +4% e del +10% le tasse per gli studenti appartenenti alla 4 e la 5 fascia”.
Il divario — tasse sancito così tra Nord e Sud per il 2011 è stato pari a una differenza di spesa del 28,3% per gli studenti più poveri e del 68% per i più ricchi.
Tuttavia il quadro relativo ai costi universitari peggiora sensibilmente per le famiglie italiane se si considerano gli altri due importanti fattori emersi dallo studio.
In primo luogo, infatti, a fronte della riforma Gelmini quest’anno saranno disponibili ben 70.000 borse di studio in meno (su un totale di 184.043), che non verranno concesse nemmeno a chi i requisiti per riceverle li ha tutti, con buona pace del principio secondo cui tutti dovrebbero avere la libertà e la possibilità di farsi un’istruzione.
.Il calcolo è stato tra l’altro effettuato solo sulla base della diminuzione del fondo statale per il diritto allo studio, cioè meno 144.000.000 di euro in due anni, e senza calcolare i tagli che subiranno i fondi regionali a seguito della manovra finanziaria.
In secondo luogo, a dimostrazione di come il sistema scolastico italiano sia una miniatura fedelissima del paese, l’evasione fiscale, o meglio la falsa dichiarazione dei redditi, sta intaccando lentamente ma inesorabilmente le risorse destinate agli studenti più poveri. Federconsumatori ha segnalato, infatti, una situazione di diffusa disonestà che cercherebbe di allineare le disponibilità economiche di professionalità evidentemente diversamente abbienti.
Per comprendere la relazione tra dichiarazione dei redditi e costo dell’università , spiega Federconsumatori, è sufficiente prendere come riferimento una data tipologia di nucleo famigliare, ad esempio quella monoreddito, composta di tre persone.
Dai dati elaborati dai Caf, i Centri di Assistenza Fiscale, risulterebbe che circa un terzo di questi particolari contribuenti disporrebbe di un reddito medio inferiore ai 15.000 euro.
Ma tra queste famiglie ‘povere’, stando al Ministero dell’Economia, vi sarebbero molti lavoratori autonomi come ristoratori, gioiellieri, albergatori: tutte categorie che vanno a pagare per i figli una tassa universitaria media annuale di 515,82 euro.
Cioè la stessa cifra sborsata da una famiglia ugualmente monoreddito in cui il genitore che lavora è un operaio non specializzato.
“Questi dati”, prosegue Federconsumatori, “se affiancati a quelli della crescente evasione fiscale e della diminuzione degli investimenti sulla pubblica istruzione, fanno emergere un quadro drammatico: infatti si andrà sempre più verso un aumento degli studenti che appartengono o dichiarano di appartenere alle prime fasce, e quindi una diminuzione delle risorse da distribuire agli studenti che realmente ne hanno bisogno”.
Annalisa Dall’Oca
argomento: radici e valori, Università | Commenta »