Aprile 1st, 2012 Riccardo Fucile
LE SUPERCAR SONO 600.000, GLI YACHT 1000, GLI ELICOTTERI PRIVATI 500…IL 10% DEGLI ITALIANI DETIENE IL 44% DELLA RICCHEZZA NAZIONALE, EPPURE MOLTI DI LORO DICHIARANO POCO E NULLA
Pochi pagano le tasse, molti ostentano il lusso. 
La ricchezza in Italia è un mostro a due teste: da una parte i 30 mila contribuenti onesti che dichiarano redditi sopra i 300 mila euro lordi annui, dall’altra i furbetti del Fisco.
Ovvero molti dei 600 mila italiani che hanno portafogli finanziari straboccanti, sopra i 500 mila euro, per un totale di oltre 800 miliardi di investimenti, fanno vacanze tutto l’anno su super yacht, sgommano a bordo di costosissimi bolidi, viaggiano in elicottero.
E dichiarano 20 mila euro lordi l’anno, il doppio della paga di un co. co. pro.
I conti non tornano e l’evasione delle tasse si conferma il vero nodo scorsoio dell’economia italiana.
Che punisce gli onesti e intoppa la crescita.
Più di 600 mila super-paperoni hanno patrimoni finanziari superiori al mezzo milione di euro. Eppure appena 30.590 italiani dichiarano di guadagnare sopra i 300 mila euro.
Venti volte meno.
Questa volta i conti proprio non tornano.
Ancora meno se consideriamo che in Italia la maggior parte dei proprietari di yacht, bolidi, aerei privati ha un reddito medio “ufficiale” di 20 mila euro.
A fronte di 100 mila barche di lusso, ovvero natanti lunghi almeno 10 metri, 595 mila supercar da 248 cavalli (185 kw), 518 elicotteri privati.
Com’è possibile se, come calcola la Banca d’Italia, il 10% più ricco della popolazione possiede ben il 44% della ricchezza nazionale?
I (POCHI) RICCHI SOPRA I 300 MILA
Invisibili al Fisco, visibili nei consumi e negli investimenti.
Puntuale, la contraddizione spunta come un fenomeno carsico.
I nuovi dati sulle dichiarazioni 2011, comunicati ieri dal Dipartimento delle finanze, per la prima volta isolano il numero di italiani più fortunati, ma anche onesti, che nel 2010 hanno guadagnato più di 300 mila euro, lo 0,07% di chi presenta Unico, 730 o 770 (la precedente classificazione conteggiava quelli sopra i 200 mila euro).
Si tratta di appena 30.590 contribuenti, un medio Comune italiano, e hanno versato al Fisco 7 miliardi di imposte su un totale di quasi 150 miliardi (il 4,7%).
n pratica, 18 mila lavoratori dipendenti, 6.300 autonomi, 7.800 pensionati, per lo più, che pagano, tra l’altro, anche il discusso e tormentato contributo di solidarietà , voluto dalla manovra di agosto di Tremonti (il 3% sulla parte eccedente i 300 mila euro).
I PATRIMONI MOBILIARI
Eppure qualcosa stona.
Secondo una ricerca dell’Associazione italiana private banking (confermata anche in analoghi studi, Uil, Bankitalia), circa 611 mila italiani posseggono corposi patrimoni mobiliari (fondi, titoli, azioni), sopra i 500 mila euro, per un totale di quasi 880 miliardi.
Una cifra enorme, non molto distante, per dire, dal trilione di euro, i 1.000 miliardi prestati dalla Bce di Mario Draghi alle banche europee negli ultimi tre mesi contro la crisi dei debiti sovrani.
Oltre 400 mila italiani hanno investimenti fino a un milione di euro. E quasi 8 mila super-super-ricchi oltre i 10 milioni.
IL LUSSO
Altra cartina di tornasole, i consumi di lusso.
Ben 42 mila dei 100 mila yacht dai 10 metri in su sono di proprietà di quasi nullatenenti che dichiarano 20 mila euro lordi annui, secondo un recente rapporto dell’Anagrafe tributaria, predisposto proprio per studiare gli effetti della “patrimoniale sul lusso” voluta dal Salva-Italia di Monti, la famosa tassa sullo stazionamento delle barche, presto riconvertita (viste le proteste e le presunte fughe all’estero dei natanti) in tassa sul possesso nel Cresci-Italia (liberalizzazioni).
E che dire poi delle 180 mila Mercedes, Bmw e Audi di fascia superiore?
C’è da augurarsi che almeno i proprietari delle 620 Ferrari e le 151 Lamborghini siano tra i pochi ma onesti 30.590 contribuenti non evasori.
Poche speranze infine sul club più clamoroso di finti poveri da 20 mila euro.
Sono 518 italiani che dichiarano il doppio di quanto guadagna in un anno (lordi) un cocopro, ma hanno un vantaggio che il precario può solo sognare: un elicottero pronto all’uso, magari sul tetto o nella piazzola di casa.
Poveri, ma veloci.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Aprile 1st, 2012 Riccardo Fucile
L’ITALIANO MEDIO VIVE CON 19.250 EURO L’ANNO…UN PAESE CON TROPPI POVERI O CON TROPPI EVASORI… SOLO 30.000 DENUNCIANO OLTRE 300.000 EURO
Un Paese con molti poveri o con troppi evasori: dalle dichiarazioni dei redditi del 2011 sulle entrate del 2010 risulta che l’italiano medio vive con 19.250 euro l’anno.
Ma un reddito su tre è inferiore ai 10 mila euro e quasi il 50 per cento dei contribuenti non supera i 15 mila euro.
I datori di lavoro – secondo i dati del Dipartimento Finanze del ministero dell’Economia – dichiarano 18.170 euro l’anno, meno dei loro dipendenti (19.810).
Pochissimi i contribuenti che si possono considerare ricchi: solo l’1 per cento degli italiani che paga le tasse ammette di percepire entrate superiori ai 100 mila euro e solo lo 0,07 per cento confessa redditi dai 300 mila euro in su. Oltre dieci milioni d’italiani non versano nemmeno un euro di Irpef: il loro reddito risulta sotto la soglia esente.
In un anno dominato dalla crisi sono rimaste pesanti le divergenze fra Nord e Sud, ma le difficoltà economiche non hanno frenato la solidarietà : nel 2010 quasi un milione di contribuenti ha effettuato donazioni alle Onlus.
In calo invece del 3,5 per cento i versamenti a favore delle istituzioni religiose.
Le classi di reddito
Metà italiani sotto i 15 mila euro più di 10 milioni non pagano l’Irpef
Tutte le cifre del 2010 Imprenditori con 18.170 euro, dipendenti con 19.810Un italiano su quattro è troppo povero per pagare l’Irpef.
Nel Lazio l’addizionale più alta.
L’italiano medio vive con 19.250 euro l’anno, ma quasi uno su due (il 49 per cento) non arriva ai 15 mila e uno su tre si ferma sotto la soglia dei 10 mila. I dati arrivano dal Dipartimento Finanze del ministero dell’Economia e dalle elaborazione fatte dai tecnici sulle dichiarazioni presentate lo scorso anno sui redditi del 2010 (Unico, modello 730 e 770).
Numeri ufficiali dunque, talmente bassi da tracciare il ritratto di un Paese che vive, se non in povertà , sicuramente con grande modestia e profonde differenze sociali.
Evasione a parte, chiaramente.
Se ben il 90 per cento degli italiani dichiara un reddito che sta sotto i 35 mila euro, solo l’1 per cento può contare su entrate superiori ai 100 mila.
I ricchi – quelli che dichiarano più di 300 mila euro – sono solo lo 0,07 per cento della popolazione, 30.590 contribuenti appena su un totale di oltre 41 milioni.
Più numerosi quelli che, rientrando nella soglia di esenzione (7.500 euro cui vanno aggiunte le detrazioni), non versano un euro di Irpef: sono 10,6 milioni.
Le curiosita
Imprenditori sotto il reddito medio autonomi e professionisti a 42 mila euro Fare l’imprenditore – secondo di dati del Dipartimento Finanze – non conviene: tanti pensieri e pochi soldi.
Dalle dichiarazioni Irpef del 2011 risulta infatti che i lavoratori dipendenti guadagnano, in media, più dei loro datori di lavoro.
I primi superano addirittura la media nazionale e dichiarano 19.810 euro di reddito annuo. I loro datori di lavoro si fermano invece a 18.170 e non raggiungono il reddito medio.
I “padroni” dunque sarebbero più poveri degli “operai”: una lettura che la Cgia di Mestre contesta (fra i dipendenti, commentano, si considerano anche i magistrati, i dirigenti e i manager pubblici e privati).
Peggio dei datori di lavoro – restando ai dati forniti delle Finanze – stanno solo i pensionati che dichiarano un reddito di 14.980 euro annui: rappresentano quasi il 37 per cento dei contribuenti e vivono – in media – con una pensione di 1.200 euro lordi.
L'”exploit” arriva invece da lavoratori autonomi e professionisti, categoria che dichiara in media 41.320 euro l’anno.
Le regioni
La Lombardia prima, i poveri in Calabria ma è al Sud che si pagano più tasse Il reddito medio dei contribuenti risulta pari a 19.250 euro.
Nella categoria superiore lo 0,07% Nord e Sud: il divario si vede anche dai redditi.
Le dichiarazioni sulle entrate del 2010 ci dicono che in media i contribuenti più ricchi abitano nel Nord-Ovest e i più poveri nelle Isole.
La regione con il reddito medio più elevato è la Lombardia (22.710 euro) seguita dal Lazio (21.720); la Calabria registra invece il reddito più basso, fermandosi a 13.970 euro.
Eppure, secondo lo Svimez sono proprio le regioni meridionali a pagare, in proporzione, più tasse: «E’ così contrariamente alla vulgata corrente – sottolinea il loro rapporto –
Nel 2010 ogni cittadino del Sud ha versato 298 euro pro capite, contro i 385 del Centro e i 410 del Nord. In termini di peso sulla ricchezza le cifre però cambiano: il peso delle entrate tributarie sul Pil al Sud è dell’1,74 per cento, al Centro dell’1,34, al Nord dell’1,36 per cento».
Va detto che sul conteggio pesano gli automatismi fiscali previsti in caso di deficit sanitario.
Quanto alle addizionali regionali Irpef, in testa c’è il Lazio: 440 euro medi rispetto ai 280 nazionali.
I dati del Dipartimento Finanze
Quasi un milione finanzia le onlus in calo donazioni alla Chiesa e mutui In crisi, ma solidali.
Nonostante il 2010 non sia stato un buon anno per i redditi degli italiani, quasi un milione di contribuenti ha effettuato una donazione a favore delle Onlus. Hanno convinto di meno, invece, le istituzioni religiose: le «erogazioni» in loro favore sono risultate in calo rispetto all’anno precedente (meno 3,5 per cento).
Dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi risulta in diminuzione anche la spesa sostenuta per interessi passivi sui mutui: gli oneri relativi a quelli di recupero edilizio sono scesi del 28 per cento (un po’ a causa della stretta bancaria, un po’ per la sospensione del pagamento delle rate concessa in caso di difficoltà ).
E’ invece aumentata (o emersa dal nero) la spesa per addetti all’assistenza personale (le badanti): più 21,8 per cento.
Luisa Grion
(da “la Repubblica“)
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Aprile 1st, 2012 Riccardo Fucile
I COSTI DI GESTIONE DELL’INPS HANNO RAGGIUNTO LA SOGLIA DEI 4 MILIARDI DI EURO, 1,5 SOLTANTO PER L’ACQUISTO DI BENI E SERVIZI
La SuperInps sta nascendo un po ‘ per volta. 
Apparentemente senza un disegno preciso se non quello di risparmiare sui costi di gestione centralizzando fondi previdenziali storicamente separati.
L’effetto più immediato, però, è quello di realizzare un colosso previdenziale, la cui figura apicale gode di un potere enorme.
E’ stato il governo Berlusconi, nel 2010, a eliminare il Consiglio di amministrazione dell’Inps trasferendone i poteri al solo presidente, Antonio Mastrapasqua.
A renderlo ancora più potente ci ha poi pensato il decreto “Salva Italia” del dicembre scorso, che ha soppresso l’Inpdap e l’Enpals facendoli confluire nell’Inps dopo che nel 2010 era toccato anche all’ente delle Poste, Ipost.
Di questi poteri il presidente Inps, che ricopre la carica dal 2008, quando, fresco di elezioni, fu lo stesso Silvio Berlusconi a nominarlo, non ha dato grande prova nel corso dell’audizione di mercoledì scorso in Commissione Lavoro della Camera.
Ma i poteri esistono.
Il presidente, formalmente, è controllato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) composto da ventiquattro membri espressione dei sindacati e delle associazioni datoriali.
Il presidente, però, assiste alle riunioni dell’organismo di controllo che è comunque ampiamente “concertativo” come si desume dalla sua composizione.
Questo non ha impedito al suo presidente, Guido Abbadessa, lunga tradizione sindacale in Cgil, di sferrare a sorpresa un attacco a Mastrapasqua e alla possibilità di una sua proroga ai vertici dell’Istituto che, poichè “movimenta, tra entrate e uscite, circa 700 miliardi avrebbe bisogno di una nuova governance con la distribuzione delle responsabilità e una maggiore trasparenza del bilancio”.
La cifra di 700 miliardi è comprensiva anche di Inpdap e Enpals.
Stiamo parlando di strutture che gestiscono entrate per circa 350 miliardi e altrettante uscite, chiamate a governare grandi squilibri.
Si pensi, ad esempio, al rapporto distorto che esiste tra il Fondo lavoratori dipendenti, con un attivo patrimoniale di 58, 9 miliardi, la totalità dei fondi autonomi (Commercianti, Artigiani e Coltivatori diretti) che è invece è in passivo per 83, 8 miliardi e il Fondo parasubordinati con i suoi 64, 6 miliardi di attivo che consentono all’Istituto di perequare le risorse.
Uno squilibrio che, come nota la relazione 2010 del Consiglio di vigilanza, “è destinata a peggiorare ulteriormente”.
Stiamo parlando anche di una grande struttura produttiva che ha in organico 27. 640 dipendenti per i quali spende 2 miliardi di euro all’anno.
Un organico necessario ma in cui un dirigente percepisce in media 89 mila euro con punte di 164 mila per i direttori regionali.
Emolumenti in confronto ai quali lo stesso compenso del presidente Mastrapasqua sembra non troppo alto: 216. 261 euro a cui aggiunge 34. 135 euro di gettoni di presenza.
Un costo contenuto, rispetto a tanti stipendi dei manager pubblici, ma va anche considerato che il funzionamento degli organi dell’Istituto (Presidenza, Consiglio di vigilanza, Collegio dei sindaci, Comitati e commissioni) sfiora i 4 milioni di euro.
Poi ci sono le auto di servizio, le cosiddette auto blu, ben 40 a disposizione dei dirigenti, con 47 unità di personale a disposizione e un costo complessivo di 2, 2 milioni di euro.
Piccole gocce nel mare delle spese di gestione che, come fa notare ancora il Civ, sono aumentate considerevolmente tra il 2006 e il 2010, passando da 3, 6 a 4 miliardi.
A pesare sono state soprattutto le voci relative all’acquisto di beni e servizi superiori a 1, 5 miliardi e non è un caso che il Civ sottolinei che il ricorso “a prestazioni esterne caratterizzate da ampie quote di forme consulenziali e di impiego di risorse umane, possa comportare il rischio di modifiche di natura strutturale e di perdita di governo di alcune delle attività istituzionali dell’Ente”.
La stessa preoccupazione del sindacato Usb che con Luigi Romagnoli punta il dito proprio contro l’attività di esternalizzazione della gestione Mastrapasqua “che rischia di far perdere all’Inps le peculiarità dell’istituto”.
Senza contare le disfunzioni o le vere e proprie malversazioni.
Ad esempio è stato appaltata alla società Kpmg la ristrutturazione del modello organizzativo “che però è già fallito” dice Romagnoli, “visto che l’idea dei servizi solo in online è stata riveduta”.
Oppure il caso del presidente dell’Organismo di valutazione della performance, Francesco Varì, richiamato dalla pensione per presiedere l’organismo e ancora al suo posto nonostante l’indagine interna per le responsabilità nella gestione del patrimonio immobiliare.
Salvatore Cannavo’
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 1st, 2012 Riccardo Fucile
ALLARME CGIA DI MESTRE: SITUAZIONE DRAMMATICA ANCHE PER I DIPENDENTI, ALMENO 50.000 HANNO PERSO IL POSTO DI LAVORO… SECONDO COLDIRETTI CHIUSE 50.000 AZIENDE AGRICOLE
Record di fallimenti per le aziende nel 2011: ben 11.615 imprese hanno chiuso i battenti, un dato mai toccato in questi ultimi 4 anni di crisi.
Lo afferma la Cgia di Mestre, precisando che “questo dramma non è stato vissuto solo dai datori di lavoro, ma anche dai dipendenti: secondo una prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro”.
Un record che ci segnala quanto siano in difficoltà le imprese italiane, soprattutto quelle di piccole dimensioni che, come ricorda la Cgia di Mestre, continuano a rimanere il motore occupazionale ed economico del Paese.
“La stretta creditizia, i ritardi nei pagamenti e il forte calo della domanda interna – segnala il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli a portare i libri in Tribunale.
Purtroppo, questo dramma non è stato vissuto solo da questi datori di lavoro, ma anche dai loro dipendenti che, secondo una nostra prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro”.
Ma, ricorda la Cgia, il fallimento di un imprenditore non è solo economico, spesso viene vissuto da queste persone come un fallimento personale che, in casi estremi, ha portato decine e decine di piccoli imprenditori a togliersi la vita.
“La sequenza di suicidi e di tentativi di suicidio avvenuta tra i piccoli imprenditori in questi ultimi mesi – prosegue Bortolussi – sembra non sia destinata a fermarsi. Solo in questa settimana, due artigiani, a Bologna e a Novara, hanno tentato di farla finita per ragioni economiche. Bisogna intervenire subito e dare una risposta emergenziale a questa situazione che rischia di esplodere. Per questo invitiamo il Governo ad istituire un fondo di solidarietà che corra in aiuto a chi si trova a corto di liquidità “.
Il segretario commenta poi i dati sui redditi resi noti ieri dal dipartimento delle Finanze del Tesoro.
“Attenti – dice – a dare queste chiavi interpretative fuorvianti e non corrispondenti alla realtà . Le comparazioni vanno fatte tra soggetti omogenei, ad esempio tra artigiani e i loro dipendenti. Ebbene, se confrontiamo il reddito di un dipendente metalmeccanico con quello del suo titolare artigiano, quest’ultimo dichiara oltre il 40% in più, con buona pace di chi vuole etichettare gli imprenditori come un popolo di evasori”.
Lombardia in testa.
Tra le regioni italiane è la Lombardia quella in cui si è verificato il maggior numero di fallimenti di aziende: secondo i dati forniti dalla Cgia di Mestre, nel 2011 sono stati oltre 2.600, quasi un quarto del totale nazionale.
Al secondo posto si piazza il Lazio, con 1.215 aziende fallite, mentre il terzo gradino è occupato dal Veneto (1.122).
Supera quota mille anche l’Emilia Romagna (1.008).
A chiudere la classifica la Valle d’Aosta, con appena 9 aziende fallite. Ecco la classifica:
Lombardia 2.613, Lazio 1.215, Veneto 1.122, Campania 1.008, Emilia Romagna 899, Piemonte 857, Toscana 843, Sicilia 601, Puglia 529, Marche 398, Friuli Venezia Giulia 250,
Calabria 249, Liguria 235, Sardegna 213, Umbria 185, Abruzzo 180, Trentino Alto Adige 122, Molise 49, Basilicata 38, Valle D’Aosta 9 .
Anche per le aziende agricole il bilancio è pesante: nel 2011, stando ai dati diffusi da Coldiretti, in Italia sono state chiuse oltre 50 mila aziende agricole.
Nel settore agricolo operano 829mila imprese iscritte al registro delle Camere di commercio. “A preoccupare per il 2012 oltre che gli effetti del maltempo e della crisi dei mercati, anche l’applicazione della nuova Imu che se non sarà adeguata alle specificità del settore sulla base delle conclusioni del tavolo fiscale rischia di avere – conclude la Coldiretti – un impatto insostenibile su terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino alle cascine e ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando a tassare quelli che sono, di fatto, mezzi di produzione per le imprese agricole”.
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Aprile 1st, 2012 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE ANNUNCIA L’ADDIO ALLA CAMERA
Da venerdì scorso, il faccione boccoluto di Massimo Calearo è l`icona della Casta che si fa paracula e
sprezzante: “Non vado più alla Camera, ma non mi dimetto perchè ho il mutuo della casa da pagare”.
Industriale veneto sotto la sessantina, fu scelto nel 2008 da Walter Veltroni per dare sostanza al “ma-anchismo” del nascente Pd.
Poi se n`è andato. Prima con Francesco Rutelli nell`Api, poi con i famigerati Responsabili di Domenico Scilipoti.
Un titolo più che una domanda:”Calearo deputato per niente onorevole”.
Io dico sempre quello che penso. Però quella uscita non è tutta la verità .
I soliti giornalisti.
No, sono stato io a tacere qualcosa, per una questione di pudore.
Può dirlo adesso.
Le mie assenze alla Camera sono cominciate alla vigilia di Natale. In quei giorni mia moglie si è ammalata seriamente.
E poi?
Ho scelto di rimanerle vicino. È morta il 19 marzo scorso. Nel frattempo ho ripreso a lavorare nella mia azienda.
Così Montecitorio le dà la nausea.
Quando sono ritornato in aula sono stato male, ho provato un grandissimo disagio e ho cominciato a schifare una classe politica che è sempre la stessa.
Dimettendosi, mutuo permettendo, potrebbe tenersi lontano dallo schifo.
Lo sa che le dico? Basta, mi dimetto, così la finiamo con le polemiche.
Una data.
Aspetto solo che quegli sciocchini del Pd la smettano di spararmi addosso, poi scrivo la lettera per Fini.
Non hanno tutti i torti gli “sciocchini”: lei non è stato un grande acquisto per il Pd.
Li avevo avvisati.
Di che cosa?
Che non ero di sinistra. Sono un moderato, al massimo posso essere un laburista.
Aveva avvisato anche Veltroni?
Lo ringrazierò sempre Veltroni. Mi ha fatto fare un`esperienza straordinaria. Ma questo non è il mio mestiere. Troppi politici di professione, che schifo.
Però Veltroni è uno di questi.
Almeno lui ha fatto il sindaco di Roma, ha compiuto un percorso concreto. Gli altri stanno in Parlamento da vent`anni senza aver mai lavorato in vita loro.
Per esempio?
Casini, D `Alema, La Malfa. L`elenco va da alla “a” alla zeta. Toglierei solo Berlusconi.
Ovviamente: il Cavaliere la fece consulente di Palazzo Chigi dopo il I 4 dicembre 2010.
Berlusconi è come me, in Parlamento dovrebbero esserci solo persone come noi.
Lei fu “Responsabile” insieme con Scilipoti.
Però a me Berlusconi non ha offerto soldi.
Il tariffario per la compravendita dei deputati variava dai 350 ai 500 mila euro. Lo rivelò lei.
C`erano colleghi che mi dicevano: “Ah, a me hanno offerto 500 mila euro”.
Chi sono?
I nomi non sono mai usciti e non li farò io, può chiedermelo fino a domani. Sono parlamentari di lungo corso che quando vedono i giornalisti non hanno il coraggio di parlare. Sta alla loro coscienza ammetterlo.
Dunque, addio Camera.
Sì perchè continuerò a non andarci, meglio dimettersi. Eppoi il mio voto non fa più la differenza.
Prima i numeri erano contati, adesso la maggioranza è ampia.
Effetti dell`inciucione.
Il governo Monti sta facendo le riforme. Spero possa avviare la crescita. Così non pagheranno sempre i soliti, quelli che hanno lo stipendio fisso e non hanno modo di evadere.
Lei ha la Porsche con targa slovacca per “scaricarla” in quel Paese.
Io faccio parte di quelli che non hanno mai evaso. Dichiaro 280 mila euro e pago tutto. Chiaro?
Fabrizio d`Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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