Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
SI SCATENANO LE PROTESTE DEGLI AFFOGATORI DI PROFUGHI E DEGLI SFRUTTATORI DEL LAVORO NERO: PROPRIO PDL E LEGA PARLANO DI “ATTO CRIMINALE”… CI SI UNIFORMA SOLO AI PAESI CIVILI
Non chiamatela sanatoria. Al massimo “ravvedimento operoso”, ma soprattutto
“misura transitoria”.
E’ la legge che introduce sanzioni più severe per chi fa lavorare in nero gli immigrati senza permesso di soggiorno.
Bruxelles la chiede dal 2009 e, nel silenzio di questa estate a tutto spread, il ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi ha finalmente recepito il giro di vite.
Con un’eccezione però: dal 15 settembre al 15 ottobre chi impiega illegalmente i clandestini, siano badanti o muratori, può regolarizzare quei rapporti di lavoro senza incorrere nelle pesanti pene previste dall’Ue.
Apriti cielo, perchè una volta sistemato il contratto e pagato il dovuto allo Stato, al migrante verrà concesso anche l’agognato permesso di soggiorno.
Una sanatoria insomma, ancora più estesa di quella del 2009 destinata solo a colf e badanti.
Nonostante sia stata approvata dal governo Berlusconi-Bossi solo tre anni fa, oggi il centrodestra grida allo scandalo: non solo il provvedimento “è in contrasto con il reato di immigrazione clandestina”, ma si dimostra “razzista nei riguardi dei lavoratori italiani”.
Maurizio Gasparri tuona: “Su una cosa del genere il governo rischia la sopravvivenza”, Roberto Maroni (titolare del Viminale nel 2009) da Facebook invece dichiara “guerra totale” contro “un atto criminale”.
Parla da esperto.
Panico anche sui numeri. Riccardi, pur convinto che l’iniziativa varata da Palazzo Chigi “non sia una sanatoria”, annuncia 150mila regolarizzazioni.
La Lega si inventa che alla fine i migranti sanati saranno 800mila con perdite per la sanità pubblica nell’ordine di “43 milioni di euro nel 2012 e 130 negli anni successivi”. Abituati a dare i numeri. gli costa poco invertarseli.
Caritas e associazioni per i diritti dei migranti prevedono invece 3 o 400mila permessi.
Fatto sta che, seppur con mille distinguo e continuando a ripetere che “non si tratta di una sanatoria, ma di un’emersione individuale dal lavoro nero secondo precisi paletti”, ora mancano solo i decreti attuativi per chiarire gli ultimi dettagli della misura.
Ed ecco che “l’amnistia a pagamento”, come la definiscono Pdl e Lega, si dimostra tutt’altro che di manica larga: i clandestini devono dimostrare di essere ininterrottamente sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011 e con lo stesso lavoro da almeno tre mesi.
Se poi sono stati identificati dalle polizie di un paese dell’area Schengen non possono inoltrare domanda, ma il divieto decade se a decretare l’espulsione sono state le autorità italiane.
C’è di più: i datori di lavoro che intendono regolarizzare i dipendenti stranieri devono pagare una tassa (che in caso di diniego non viene restituita) di 1000 euro e versare allo Stato gli ultimi sei mesi di contributi.
Non uno scherzo perchè nel caso di lavoratori domestici si viaggia sui 4000 euro, cifra che però sale a 14mila per impieghi full time in altri settori, come edilizia o agricoltura.
Una bella boccata d’ossigeno per le casse pubbliche, ma anche un ginepraio di normative che rischia di costare molto caro a chi decide di mettersi in regola.
Ma cosa pensano della “sanatoria mascherata” le associazioni, laiche e cattoliche, che si occupano dei diritti dei migranti? Nulla di buono.
Lo ‘Sportello dei Diritti” chiede più coraggio a Riccardi e rilancia la proposta del monsignor Bruno Schettino – presidente della Commissione Cei per l’immigrazione e della Fondazione Migrantes – di rilasciare un permesso di soggiorno a tutti gli irregolari per un anno, “in modo di farli uscire dalla clandestinità ”.
Il Naga di Milano invece sottolinea le insidie nascoste in un provvedimento “che si è voluto mantenere il meno chiaro possibile per placare i mal di pancia di alcuni partiti della maggioranza”.
Primo fra tutti il rischio che alla fine chi dovrà sborsare il denaro sarà proprio il migrante bisognoso di un permesso di soggiorno e disposto ad affidare i propri risparmi a chi presenterà domanda.
Come accaduto nelle sanatorie precedenti, spesso l’imprenditore, o peggio l’intermediario di turno, sparisce con i soldi e lo straniero, dopo essersi autodenunciato come clandestino, rimane senza il becco di un quattrino.
Cose che capitano, anche in una “non sanatoria
Lorenzo Galeazzi e Mario Portanova
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
ELOGI AL PROGRAMMA DI RIFORME ITALIANE… FRENATA SUI POTERI DA ASSEGNARE AL MECCANISMO DI STABILITA’ EUROPEO
“Il presidente del Consiglio italiano Mario Monti mi ha confermato un impressionante agenda di riforme” e “sono convinta che porteranno buoni frutti”.
Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel nel corso della conferenza stampa convocata al termine della visita di Monti a Berlino.
“Abbiamo contatti molto stretti fra Italia e Germania. Abbiamo parlato di tutta una gamma di argomenti e per fortuna abbiamo delle relazioni bilaterali eccellenti sulle questioni europee e di politica estera”.
Stop alla licenza bancaria per l’Esm.
La cancelliera è passata poi dalle difficoltà italiane a quelle dell’intera Unione.
“Siamo d’accordo sul fatto che abbiamo un’agenda ambiziosa. Ma abbiamo i mezzi necessari per stabilizzare l’eurozona”, aggiungendo che l’Esm “è fondamentale”.
Il Meccanismo europeo di stabilità però, avverte Merkel, non può avere licenza bancaria.
“Vorrei citare Mario Draghi – ha detto – è anche la mia convinzione che una licenza bancaria dell’Esm non è compatibile con trattati”.
Sforzi ripagati.
Monti dal canto suo ha ricordato che la licenza bancaria all’Esm va vista “con la prospettiva del mosaico: singole tessere che hanno come finalità il dare luogo e concretezza ad una governance soddisfacente”.
“Certe cose – ha aggiunto – che in questo momento non sono possibili potrebbero esserlo ad altre condizioni”. l’Italia, ha continuato, ha fatto “molti sforzi in questi mesi con generoso apporto delle forze politiche e dei cittadini”.
Sforzi che si vedono riflessi nelle aste del debito pubblico.
Ad ogno modo, ha proseguito il presidente del Consiglio, “non ci si può fermare quando c’è qualche parvenza di un qualche risultato, bisogna andare avanti con determinazione”. “Credo ci sia motivo di sperare – ha precisato ancora – non certo di allentare gli sforzi”.
Strada tracciata, anche con il voto.
Il premier si è voluto riferire quindi in particolare alla spending review.
“Per quel che riguarda l’Italia – ha osservato – siamo in una fase in cui, fatte importanti riforme strutturali, stiamo andando avanti risolutamente nella spending review per i tagli nel settore pubblico e per essere sicuri che” le misure decise “siano applicate”. Applicazione che secondo Monti andranno avanti anche dopo le elezioni.
“Sono molto fiducioso – ha detto – sul fatto che c’è una maturazione dei partiti politici” e ricordo che in tutti i paesi europei “le scelte dei Parlamenti e dei governi avvengono in un quadro europeo che dà precise linee guida per le politiche nazionali”.
Bce indipendente.
Al centro dei colloqui tra i due leader naturalmente anche il ruolo della Bce, al centro in questi giorni di feroci attacchi da parte dei “falchi” tedeschi.
“Abbiamo parlato del fatto che la Bce prepara le sue decisioni. La Bce è indipendente”, ha assicurato Merkel. Sulla possibilità che Roma debba ricorrere ad aiuti europei, Merkel ha quindi spiegato: “La cancelleria tedesca ha piena fiducia, e nessun dubbio, che il governo italiano possa prendere tutte le decisioni necessarie in base alle sue capacità e alle sue forze”.
(da “La Repubblica“)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
SCENDERE IN PROFONDITA’, AFFRONTARE TUTTI I GIORNI LA CARENZA D’ARIA, L’OSCURITA’ E LA PAURA RICHIEDE UNA GRANDE FORZA D’ANIMO
È vero, il lavoro in miniera non è più quello di un tempo. 
Sino a trent’anni or sono era un inferno. In quell’inferno si discendeva e se ne vedevano le viscere.
Eppure, i figli dei minatori, in tutto il mondo, dal Regno Unito agli Usa e all’America Latina, volevano fare il lavoro dei padri.
«Coal is my life», dicevano i minatori scozzesi, così come i fieri minatori antifranchisti che ho fatto in tempo a conoscere nelle Asturie.
Gli spagnoli dicevano anch’essi «El carbon es my vida», in una sorta di affermazione solenne dell’orgoglio per la professione più antica e più penosa del mondo.
Certo, oggi le tecnologie consentono di considerare il carbone, la sua estrazione e la sua ulteriore utilizzazione, non solo un processo assai meno faticoso di un tempo ma anche ecologicamente più sicuro e meno inquinante.
Tuttavia scendere nelle viscere della terra, affrontare la carenza d’aria, l’oscurità , la paura, implica un coraggio da primato per chiunque oggi viva della modernità e dei suoi agi.
E pensate che oggi abbiamo anche le donne che lavorano in miniera: un fatto un tempo impensabile.
Per questo la storia della miniera di Nuraxi Figus, in Sardegna, mi ha così colpito.
E colpisce, credo, chiunque paragoni questa realtà con la mancanza di saldatori, tornitori, operai, falegnami ed edili: da un lato perchè gli istituti tecnici sono disertati, dall’altro perchè i turni di lavoro sono troppo faticosi o ancora perchè – come mi raccontavano gli artigiani di Treviglio disperati per la carenza di manodopera – al colloquio di assunzione i giovani si presentano accompagnati da madri la cui prima preoccupazione è quella di non far faticare troppo i loro candidi angioletti.
In questa luce la vicenda del Sulcis è un esempio di riattualizzazione della tradizione della fierezza del mestiere e dell’orgoglio operaio che non può che far meditare e farci dire che quelle donne e quegli uomini sono degli eroi: gli ultimi interpreti di una civiltà del lavoro.
Essa supera lo sfruttamento capitalistico e le differenze sociali perchè è un patrimonio etico universale.
Supera le stesse regole economiche anche se queste continuano tuttavia ad agire.
Il piano sino a oggi elaborato per salvare la miniera di Nuraxi Figus non è praticabile per gli alti costi e per le sue immense difficoltà tecniche, unitamente all’alto rischio di sfidare la regola della precauzione sul piano ambientale.
Infatti catturare e stoccare Co2, e su questa base, grazie alla legge 99 del 2009, realizzare una centrale termoelettrica basata appunto sul Carbon Captive and Storage, si può rilevare problematico.
Il rischio di ricadere in un nuovo disastro occupazionale ed economico è elevatissimo.
Oggi la miniera di Nuraxi Figus è l’ultima in Italia.
È stata teatro di gloriose lotte operarie condotte con intelligenza politica e straordinaria responsabilità .
Mai un grave incidente, mai un sabotaggio (eppure gli esplosivi son lì a portata di mano).
Oggi 463 lavoratori ricordano le lotte del lontano 1984 e quelle di un decennio dopo, nel 1993 e nel 1995, quando i minatori rimasero in fondo alla miniera per cento giorni.
Oggi si rischia di assistere nuovamente a questa prova di forza, perchè tutto il territorio del Sulcis-Iglesiente è a grave rischio, considerata anche la crisi dell’Alcoa. Un’alternativa più praticabile esiste ed è quella percorsa in Europa in tutte le aree ad antichissimo insediamento carbonifero: la trasformazione dei siti in complessi culturali ed espositivi secondo i canoni dell’archeologia industriale, disciplina in cui noi italiani siamo maestri.
La riconversione è generalmente riuscita.
L’occupazione salvaguardata attraverso l’azione formativa.
Ma si è perso per sempre lo straordinario coraggio e la esemplare – e non più contemporanea – volontà di ferro.
Quella dedizione al lavoro che trascende lo spirito classista e che la vicenda della miniera sarda oggi ci propone come etico esempio.
Un’ode va scritta in gloria dei minatori tanto esemplari quanto inattuali di Nuraxi Figus.
Giulio Sapelli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
ALLE FESTE DI REGGIO EMILIA, TORINO E BOLOGNA NON C’E’ LA FIOM… CI SONO PERO MARONI E SALLUSTI
La verità è che a questa festa i dibattiti non ci sono. Ci sono degli incontri, senza domande”.
Mentre mette a posto i gadget del suo stand, quello della Cgil, Vittorio, pensionato in forza alla Spi, con tono sommesso, senza polemica fa una fotografia tanto precisa quanto impietosa dell’andamento di questi primi giorni della Festa democratica di Reggio Emilia.
Pochissima gente agli incontri, sia quelli politici sia quelli di presentazioni dei libri, e pure piuttosto disinteressata.
L’area dibattiti principale, non solo è piccola, ma per la metà pure assolata: non proprio il massimo per accogliere le folle.
“Siamo venuti per mangiare”, confessa candidamente un’anziana signora, che si studia i menu fin dalle sei del pomeriggio.
E in effetti la sera Campovolo si anima.
Se per caso qualcuno fosse interessato davvero al confronto politico duro e puro, il programma ha fatto il resto.
“Sallusti? Io non c’ero qui quel giorno e comunque non ci sarei andato. Secondo me dovevano invitare tutti, anche la Fiom, anche Di Pietro, anche Grillo”, commenta Francesco, volontario, mentre racconta che lui ha contribuito “a mettere su la baracca”.
Passaggio trionfale l’altroieri per il direttore del Giornale, esclusione netta per gli operai.
Non male per quella che fu la festa dell’Unità .
La Fiom è esclusa non solo a Reggio Emilia, ma anche a Bologna dove ci sono undici dibattiti sul lavoro. E a Torino, la città della Fiat.
“Ero un simbolo e non mi hanno invitato a casa mia”, si è sfogato sul Giornale, Antonio Boccuzzi, operaio della Thyssen-Krupp portato in Parlamento da Veltroni.
“La Fiom bisognava invitarla”, dice Ugo, perentorio, mentre aspetta la presentazione di “Falce e tortello” nello spazio dove l’altroieri era Sallusti.
E in effetti, l’esclusione è di quelle che anche per i più fedeli alla linea è difficile da difendere.
Così lo sconcerto è tanto: chiacchierando qua e là tra la gente, in molti neanche vogliono rispondere. L’imbarazzo è palpabile.
Siamo in Emilia, vecchia terra comunista.
Il partito si ama e si segue, mica si discute.
“Sì, però, invece di dire fascista a Grillo e Di Pietro, Bersani poteva invitarli”, dice uno dei visitatori.
“Chi porta più valore al Pd, la Fiom o Sallusti? Secondo me la Fiom”, afferma rabbiosa una signora, pensionata, mentre ascolta l’incontro dei sindaci, De Magistris, Zedda, Fassino e Merola.
“Hanno sbagliato, dovevano invitare tutti”, nello stesso pubblico ha le idee chiare una ragazza.
Ma c’è anche chi taglia più netto. Come Simone: “Sallusti è stato un errore. Io infatti non ci sarei andato a sentirlo”.
Con lui c’è un’anziana signora, arrivata da Milano direttamente per sentire Fassino: “Questi qui dovevano dare più battaglia. Sono arrabbiata, mica lo so se li voto più”. Mentre il più realista del re, Maurizio, aria torva e cipiglio: “Invitare Landini? E perchè, c’è la Camusso”. “Dovevano portare qui uno di quei 400 che adesso sono sotto terra nel Sulcis. Questo sì che da parte di Bersani sarebbe stato un segnale forte”, dice Gilberto, uno che a 60 anni si definisce “esodato atipico”.
Nel senso che l’hanno licenziato a 57 e da allora lavora a partita Iva, “ovvero guadagno dei soldi, pago le tasse e poi non mi rimane più niente”, spiega non senza ironia.
“Certo la Fornero qui sarebbe stata un’interlocutrice, come ministro del Lavoro”.
Sì, in effetti non hanno invitato neanche lei.
Nonostante le pressioni dei liberal del partito. E dopo le spiegazioni tentennanti dell’organizzazione, la motivazione politica l’ha fornita da par suo il responsabile economico, Stefano Fassina: “Sugli esodati è mancato il dialogo”.
Alla faccia del confronto democratico, evocato da tutti, in primis dal responsabile della Festa, Lino Paganelli per spiegare la presenza di Sallusti.
Di certo la stessa che motiva la presenza di Roberto Maroni, segretario della Lega, in arrivo il 4. Giochi di equilibrio.
“Per me un dibattito deve avere un contraddittorio”, dice un’insegnante 43enne, una delle venti che sono sedute ad ascoltare il sottosegretario Marco Rossi Doria nell’incontro delle 18.
Ma per trovarlo il dibattito bisogna sedersi a un tavolino, vicino al palco principale, dove due vecchi amici discutono animatamente del segretario della Fiom, Maurizio Landini. Uno è il “Ferretti”, ex metalmeccanico, ex vicesindaco di Reggio, ex segretario della Camera territoriale di Reggio Emilia, ora in forze a Sel.
“Landini dovevano invitarlo: per i valori che rappresenta e per il peso politico che ha. La motivazione che hanno dato, che c’è la Cgil, non mi sembra credibile. C’è pure un incontro dove si parla di Marchionne: lì ci sarebbe stato bene”. “Landini non è un operaista, è un estremista”, ribatte l’amico.
Ma poi: “Veramente è venuto Sallusti? Il Giornale fa dei titoli talmente tanto volgari che io non riesco neanche a toccarlo”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
“IL FUTURISTA” ATTACCA LA RUSSA CHE AVEVA DEFINITO FINI “UTILE IDIOTA” E RIBATTE: “SONO VECCHI ARNESI DI UA DESTRA RIDOTTA A CARICATURA DI SE STESSA”
Scontro fra gli ex di Alleanza nazionale: da una parte ci sono i finiani e dall’altra Ignazio
La Russa.
L’oggetto della polemica è il Presidente della Camera.
L’ex ministro della Difesa, oggi coordinatore Pdl, in un’intervista al Giornale ha detto di Fini: “Ora fa comodo alla sinistra che lo accoglie nei suoi salotti”, perchè “quando servono li usano, a seconda della convenienza: utili idioti, anche quando non sono idioti”.
Dura la replica de Il Futurista, quotidiano di area finiana diretto da Filippo Rossi, che commenta così le parole di Ignazio La Russa: ”Vecchia storia, che si trascina ormai da tempo. Fini e i finiani venduti ai salotti di sinistra, traditori della destra, fascisti pentiti. Ecco come i vecchi arnesi di una destra ridotta a caricatura di se stessa continuano a raccontare quel che è accaduto nel centrodestra italiano negli ultimi anni”.
Il quotidiano online, poi, si rivolge all’ex ministro e scrive: “E a proposito — conclude il Futurista — anzichè pensare ai presunti utili idioti della sinistra, quando si accorgerà , il povero La Russa, di essere ormai diventato l’inutile idiota di Arcore?”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DE “IL GIORNALE” SUL PALCO DELLA KERMESSE DEMOCRATICA RICEVE CONSENSI EVOCANDO LE URNE E ATTACCANDO MONTI
“Ringrazio l’organizzazione per questo bizzarro invito”. Ebbene sì, alla festa del Pd di Reggio Emilia succede anche questo.
Succede anche che il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, un ultrà berlusconiano dei più convinti e mai pentiti possa salire, rilassato e abbronzato, su uno dei palchi dei dibattiti.
Quegli stessi palchi dai quali sono stati convintamente esclusi Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, la Fornero e la Fiom, il Fatto Quotidiano.
Si guarda intorno Sallusti, osserva la platea piuttosto nutrita: lo spazio è piccolo, ma pieno. “Sì, è la prima volta che partecipo. Perchè? Bisognerebbe chiederlo a chi mi ha invitato. Io sono contento, e penso che sono qui perchè amico dell’autore del libro, Fabrizio Rizzi”.
Sì, perchè Sallusti è arrivato per presentare un libro edito da Tullio Pironti e intitolato Finale di partita che racconta le ultime fasi di Berlusconi.
Un titolo senza punto interrogativo finale, “omissione” sulla quale si discetta, ma non si polemizza.
“Non mangiamo più i bambini”, commenta Ugo Sposetti, che sul palco si accompagna a Sallusti.
Un tentativo di rompere il ghiaccio che in realtà è già liquefatto. Proprio lui, un ex comunista, che si trova a sdoganare il berlusconismo più berlusconismo che c’è. “E che devo fare? Me l’hanno chiesto, e io ho detto di sì”.
Tra l’ex comunista Sposetti, l’ex democristiano Pierluigi Castagnetti (ora entrambi nel Pd) e il falco berlusconiano Sallusti è tutto uno scambio di cortesie e di amorosi sensi. Non disturbato neanche dalla platea, che ascolta intenta, non fa udire neanche l’ombra di un fischio e anzi applaude convintamente quando se la sente.
D’altra parte il tono all’incontro lo dà il libro.
Una cronaca epica, commossa, costruita come una sorta di monologo interiore di quello che fu il Caimano dall’autore, giornalista del Messaggero.
Ecco la salita al Colle di Berlusconi il 12 novembre per le dimissioni: “Guardava avanti quella sera, Silvio Berlusconi. Aveva il volto terreo. Era assorbito da un turbinio di immagini, di grida. Non scrutava quella muraglia umana che si era formata ai due lati di via Quattro novembre”.
L’empatia per il protagonista trasuda a ogni passo.
E allora Castagnetti quasi si giustifica nel dire che “il giudizio sul berlusconismo è negativo”: è “perchè è finito quel modo di intendere il governo del Paese”.
Si parla del Cavaliere al passato remoto, quasi come non fosse ancora ben presente nell’agone politico.
Sallusti poi fornisce la sua lettura della guerra alla Libia: “Era il 3 marzo quando Berlusconi si trovò a fare una sorta di gabinetto di guerra all’opera: la Francia stava mandando gli aerei per bombardarla. Era sconvolto: non poteva, non voleva firmare un decreto che dichiarava guerra a una persona alla quale aveva stretto la mano, di cui conosceva i figli, con il quale aveva stretto rapporti. Un amico”.
Già , l’amico Gheddafi. Nessuno fiata, nè dalla platea, nè tra i dibattenti.
Lui rincara: “Altro che la culona Merkel. Non sapete quante ne ha dette su Sarkozy. Gli saranno state sicuramente riportate”.
Ah, ecco perchè l’Europa ha preteso che si facesse da parte.
D’altra parte, Berlusconi è in maggioranza col Pd. La maggioranza è maggioranza. E Sallusti è sempre più a suo agio.
Arriva quasi al comizio: “Se c’è un errore che Berlusconi ha fatto è stato non andare subito al voto. Perchè, da chi vogliono essere governati i cittadini, glielo vogliamo chiedere?”, applausi convinti.
Ed è Sposetti che lo deve inseguire: “Sì, ma se noi andiamo al voto adesso vanifichiamo tutto il lavoro svolto finora. Ci sono i decreti attuativi che si devono fare”.
La platea è fredda, lo applaude per dovere.
Lui comunque porta fino in fondo il suo dovere di ospite: “Ringrazio Sallusti che è venuto alla festa dell’Unità … scusate non si chiama festa dell’Unità … (risate, applausi). Allora lo ringrazio perchè è venuto alla festa del Partito democratico. Ha capito che siamo persone che possono anche discutere, dissentire, trovarsi d’accordo”. Palla alzata per il direttore del Giornale: “Ringrazio ancora per l’invito. E ricordo a Sposetti che la gente non vuol sentir parlare di decreti attuativi: mica votano i cancellieri, ma i cittadini. Meglio un Bersani eletto dal popolo che un Monti insediato dall’alto”.
La platea sorride, applaude.
Ed è subito grande coalizione.
Wanda Marra |
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
FAIDA INTERNA CONTRO MUSUMECI… CON L’EX FEDELISSIMO DI SILVIO AUTONOMISTI, GRANDE SUD E FINIANI
Alla fine nel centrodestra hanno prevalso odi personali e veti incrociati. 
Il tentativo di formare la vecchia coalizione è fallito, così l’ex centrodestra in Sicilia si presenterà alle elezioni di ottobre con due candidati: Gianfranco Miccichè e Nello Musumeci. Ma c’è chi non esclude ulteriori colpi di scena, come i malpancisti del Pdl che spingono per una candidatura interna. Sarebbe la terza.
Musumeci però mette le mani avanti: «Ieri sera ho sentito Alfano, mi ha confermato l’appoggio del Pdl»; nessun contatto invece con Berlusconi.
Nel centrosinistra il cantiere rimane aperto.
Anche qui i candidati sono due, Rosario Crocetta (Pd, Udc e Api) e Claudio Fava (Sel).
Idv deve ancora decidere, lo farà venerdì quando Di Pietro volerà a Palermo per chiudere la partita. «Mai comunque con l’Udc», giura il coordinatore dei dipietristi nell’isola, Fabio Giambrone, che sul pm Antonino Ingroia dice: «Sarebbe una candidatura autorevole».
Il magistrato allarga le braccia: «Io candidato alla Regione? Non mi risulta».
Pur nella confusione che regna nei partiti, il quadro delle alleanze comincia a delinearsi. L’accordo nel centrodestra, a cui in pochi per le verità avevano creduto, è saltato dopo otto giorni di febbrili trattative.
Riunioni, colloqui a Palermo, a Catania e a Roma non sono serviti, Musumeci così ha alzato bandiera bianca.
«Mi sono accorto di muovermi in un terreno minato, reso insidioso da veleni e lividi prodotti dalle vicende politiche degli ultimi anni. Ho riscontrato un tasso di odio inimmaginabile», spiega l’ex eurodeputato di An, che malgrado Grande Sud e autonomisti lo abbiano «mollato» dopo averne lodato la caratura politica, conferma la propria candidatura.
«Il mio progetto sicilianista rimane integro e incontaminato», chiarisce, rispondendo così a chi tra gli ex alleati gli imputa di avere dato troppo spazio al Pdl, snaturando gli accordi iniziali. «Credo che le ragioni siano diverse e riconducibili ad altri tavoli, ad altri palazzi», accusa Musumeci che fino all’ultimo ha mandato segnali di pace «all’amico Miccichè» (era stato proprio Miccichè a candidarlo), provando a ricucire.
Tutto inutile.
A poche ore dalla rottura, Miccichè ha riunito i suoi e dopo avere discusso con i dirigenti del Partito dei siciliani-ex Mpa, Mps e Fli che lo avevano invitato a candidarsi, ha sciolto la riserva: «Prendo atto della determinazione dei soggetti politici che mi hanno chiesto di guidare il progetto di autonomia politica della Sicilia e di rappresentanza piena dei suoi interessi territoriali: da questo momento il mio impegno sarà lto all’allargamento ulteriore della base politica, già molto forte, che mi sostiene».
A far saltare il banco ha contribuito Fli, contrario fin dall’inizio a Musumeci, con un pezzo del partito, guidato dal vice presidente Fabio Granata, pronto a convergere sull’ex comunista, Rosario Crocetta, candidato di Pd e Udc.
Anche Musumeci è convinto sul ruolo avuto da Fini. «Non voglio aprire polemiche, credo che il telefono della presidenza della Camera, in questi giorni, sia stato impegnato in lunghe conversazioni con Palermo e Catania e questo la dice lunga sul reale interesse nei confronti della Sicilia», attacca l’ex missino che incassa il consenso degli ex colleghi di partito da La Russa a Gasparri, da Alemanno a Urso.
Come viene ventilata l’ipotesi di un appoggio a Miccichè, anche la base dei militanti finiani va in ebollizione.
La pagina personale su Fb di Fabio Granata viene inondata di proteste: dopo quasi 24 ore di silenzio il deputato pubblica questo comunicato che conferma l’accordo.
“Ho avuto un lungo colloquio politico con Gianfranco Fini sulle regionali in Sicilia e su questa operazione tendente a “sparigliare”le carte del vecchio centro destra, sottraendogli il determinante peso elettorale degli autonomisti e di Grande Sud:alla fine non ho potuto che convenire sulla portata “tattica”della manovra
Ho pero’ fatto rilevare la mia contrarietà strategica alla stessa poichè ero, e resto, convinto che poteva essere Fli l’elemento di novità delle regionali.
Purtroppo ho dovuto convenire con Fini che questo era un disegno al quale mancavano due essenziali condizioni:il coraggio e la generosità di alcuni nostri dirigenti,ad iniziare dai deputati regionali uscenti.
Se uno il coraggio non lo possiede, non può darselo:con Micciche’ hanno recuperato serenità e qualche dirigente giovanile la parola,anche sulle agenzie..
Nei prossimi giorni troveremo comunque parole e azioni per rilanciare il patrimonio da voi rappresentato,quello della Nuova Destra legalitaria e repubblicana.
Patrimonio che nessuno potrà mai far tacere o indebolire.”
Da quel momento sono stati centinaia i commenti e gli interventi contro la scelta dei vertici romani.
Il commento del ns. direttore
LA POLITICA DI DON ABBONDIO
Fabio Granata nel suo comunicato richiama, a proposito dei consiglieri regionali siciliani uscenti di Fli, il passo manzoniano “se uno il coraggio non l’ha, non se lo può dare”.
Se l’ipotesi fosse vera, sarebbe uno dei rari casi in politica dove la linea di un partito non viene decisa dal segretario nazionale, ma da quattro consiglieri che antepongono i propri interessi a quelli della comunità umana cui nessuno li ha obbligati ad aderire.
La decisione finale di Fli dimostra che i Don Abbondio proliferano anche a Roma, non solo in Sicilia, e che di tempre alla fra Cristoforo ai vertici del partito non ve ne sono.
Fini non ne azzecca una da tempo e nella fattispecie non ha fatto che confermare questa teoria.
Fli è passato in poche settimane dalla candidatura di Fabio Granata al ventilato appoggio a Crocetta (portato da Pd e Udc) per finire per fare la ruota di scorta a un personaggio le cui amicizie e frequentazioni sono inconciliabili con i principi stessi di Fli.
Per molti, dietro la presentazione di Miccichè, c’è una strategia chiara: il Pdl in Sicilia è spaccato tra chi appoggia Alfano, alleato con gli ex An, e la vecchia guardia di Dell’Utri .
Problema risolto: i primi presentano Musumeci, i secondi appoggiano Miccichè, con facoltà successiva, in caso di vittoria, di ritrovarsi intorno al tavolo imbandito delle alleanze.
Altro che discontinuità , altro che “sparigliare” le carte, come sostiene Fini.
L’unica cosa che ha “scosso” è il sistema nervoso dei militanti di Fli, trovatisi sull’uscio di casa un ospite “irricevibile e impresentabile”.
Che senso ha parlare di Terzo Polo con l’Udc e poi collocarsi altrove solo per la paura fottuta di appoggiare un candidato del Pd (in questo caso pure credibile), perchè “una parte degli elettori non capirebbe”?
Che siete usciti a fare dal Pdl allora?
Poteva continuare a sopportare le “feste eleganti” e l’affogamento dei profughi, in nome della becero-destra che avete avallato per anni.
Che senso ha avere paura di presentarsi da soli con la candidatura di bandiera di un politico credibile come Granata?
Il timore di restare senza poltrone a Palazzo dei Normanni?
Magari vi avrebbe fatto anche bene, così si sarebbe fatta un po’ di quella pulizia che manca a Fli in tante parti d’Italia.
Per paura di andare da soli o di scegliere tra due candidati “puliti” come Crocetta e Musumeci, si è finiti per appoggiare la candidatura di un amico di Dell’Utri che riceveva spacciatori a Montecitorio.
Se questa è coerenza con il Manifesto dei valori di Fli, fate voi.
Ma è anche un’operazione pragmaticamente sbagliata: se vincerà Crocetta sarà un’occasione storica persa, mentre se vincerà Musumeci sarà in ogni caso la sconfitta per chi voleva “far perdere il Pdl”.
Fli poteva per una volta indossare i costumi da protagonista, ha scelto quelli della comparsa di terza fila.
Avanti con i don Abbondio…
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
TANTI STRANIERI AL CONCORSO DELLA ASL DI MILANO: 1 SU 5 ARRIVA DA RUSSIA, MOLDAVIA, ROMANIA O MAROCCO
Le graduatorie sono state pubblicate dall’Asl il 22 agosto scorso. Con un risultato ben poco incoraggiante.
Perchè se per la guardia medica di Milano servirebbero almeno 300 medici – un numero potenziale di posti, in base al rapporto di un dottore ogni 5mila abitanti stabilito dal ministero della Salute – all’ultimo concorso si sono presentati solo in 99.
Di questi, tre non sono stati ammessi nella graduatoria stilata da corso Italia. Risultato: solo 96 medici, alla fine, prenderanno servizio.
Di questi uno su cinque è straniero: Russia, Moldavia, Romania e Marocco i Paesi di provenienza di questi dottori, che spesso hanno ottenuto da poco il riconoscimento del proprio titolo di studio in Italia.
E che scelgono di lavorare nella continuità assistenziale per fare esperienza e aumentare il proprio punteggio in vista di futuri concorsi.
«Questa situazione – dicono i sindacati dei camici bianchi – va avanti da anni: i medici di continuità assistenziale lavorano molto e sono pagati con tariffe orarie ridotte. Di fatto, molti ritengono che non valga la pena seguire questa strada».
Ogni anno l’assessorato alla Sanità , calcolatrice alla mano, fa i conti di quanti medici di continuità assistenziale servano in Lombardia.
In pratica, mappa tutto il territorio e stabilisce il fabbisogno assistenziale di ciascuna provincia in base al numero dei residenti e dei medici già presenti.
Circa 300 quelli che servirebbero a Milano, dove oltre al milione e 200mila residenti da curare ci sono centinaia di migliaia di non residenti.
Da qui il numero di ore (più alto rispetto agli anni passati) messo a bando dall’ultimo concorso regionale, pubblicato il 26 aprile: 6.528 per Milano città , oltre 10mila in provincia.
Un terzo del fabbisogno regionale: in tutta la Lombardia sono quasi 30mila le ore oggetto del concorso.
«Ma a Milano le condizioni di lavoro sono molto pesanti – afferma Roberto Carlo Rossi, presidente regionale del sindacato Snami – Il rapporto tra medici e cittadinanza è molto alto e la quota standard di 5mila pazienti per ogni dottore difficilmente è mantenuta: è da molto tempo che ci battiamo perchè i livelli prescritti dalla legge siano rispettati».
Il servizio viene gestito da una centrale operativa che riceve le chiamate e invia il medico dal paziente: per ogni turno sono in servizio 15-20 dottori in tutta la città , contattati soprattutto dopo la mezzanotte (fino ad allora sono attivi tre ambulatori dell’Asl) e nei giorni festivi.
Non solo: in base alla delibera regionale 3.379 dello scorso 9 maggio, per ridurre il carico nei reparti di emergenza ospedalieri nei pronti soccorso con più di 50mila accessi l’anno sono stati attivati dall’inizio di giugno gli ambulatori per i “codici bianchi” (i malati non urgenti, curabili anche dai medici di famiglia). Ambulatori gestiti, appunto, dai camici bianchi di continuità assistenziale.
«È necessaria una maggiore integrazione tra i servizi – dice Vito Pappalepore, segretario cittadino del sindacato Fimmg – e soprattutto tra continuità assistenziale e medici di famiglia. Il territorio va riorganizzato anche in vista di un’ulteriore riduzione dei posti letto negli ospedali, ormai destinati sempre più ai pazienti con patologie acute».
Alessandra Corica
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Agosto 29th, 2012 Riccardo Fucile
BOOM DEI PRODOTTI CON IL MARCHIO DEL SUPERMERCATO… DALLE PROMOZIONI AL SOCIAL SHOPPING, DALLA CARTA FEDELTA’ AL SOTTOCOSTO
Persino morire costa di meno, almeno a Venezia dove l’agenzia Rossi di Cannaregio
offre il servizio funebre «chiavi in mano» a 1.380 euro.
«La gente stringe la cinghia e lo fa anche per l’ultimo saluto» spiega con lugubre efficacia il titolare, Andrea Coin.
Senza arrivare all’estrema unzione gli ultimi weekend di mare offrono un campionario di rara inventiva italiana nel tagliare i prezzi senza perdere in qualità .
Dal prendere l’ombrellone in duplex con parenti o amici (a Viareggio) agli albergatori campani che offrono ai turisti il traghetto per le isole; dal bagnino genovese che si è inventato un corso di inglese gratuito in riva al mare al collega di Ostia che, per gli aficionados in bolletta, ha escogitato nientemeno che il pagamento a rate.
Ovviamente colossi come Unilever stanno trasformando la «neo povertà » europea in occasione di business, esplorando filosofie di marketing e di prodotto per alleviare il consumatore senza perdere troppi ricavi.
La via italiana alla «decrescita felice» per ora sta soprattutto nell’arte di aggiustarsi al ribasso.
Il caso lampante è il boom dei prodotti a marchio proprio delle grandi catene distributive (Esselunga, Coop, Carrefour, Auchan), strada maestra per tamponare il taglio dei consumi alimentari che, a fine 2014, potrebbe segnare un pesante -10% sul 2007.
Basta girare tra gli scaffali per accorgersi del trionfo di pannoloni, yogurt, formaggi, pasta, salumi e confetture che finiscono nei carrelli a prezzi modici (-20/30%) rispetto ai listini dei brand tradizionali.
Altro sfogatoio è il successo travolgente dei portali di «social shopping» tipo Groupon che vanno oltre il last minute per le vacanze esotiche.
Qui siamo alla istituzionalizzazione della vita sottoprezzo.
Sei milioni di italiani (giro di affari 7,6 miliardi) che ogni giorno orientano la scelta di ristoranti, viaggi, corsi di lingua, cinema, teatri, abbigliamento e prodotti di largo consumo su offerte irresistibili (sconti dal 70 al 90%) acquistabili in rete tramite coupon.
Passando, sul territorio, per i più tradizionali panini salva euro di Mcdonald’s, i pranzi domenicali a 0,99 centesimi (piatto di pasta, succo di frutta e yogurt) proposti da alcuni negozi Ikea tipo Padova (qualche settimana fa hanno servito 2.200 pasti/giorno), il microcredito «mille euro all’uno per cento per mille famiglie» lanciato dalla Bcc di Treviglio fino al recente accordo siglato da Confindustria Verona con il gruppo «Iper» per massimizzare il potere di acquisto dei 63mila lavoratori impiegati nelle 1.600 imprese associate. In pratica attraverso una speciale card possono accedere a sconti e promozioni su qualsiasi genere merceologico che offre Iper: alimentari, prodotti per l’infanzia, accessori e complementi per la casa.
Insomma sotto la sferza della crisi tutti s’ingegnano, tutto sta diventando «corto». «Sotto i 10 euro nel cliente non scattano apprensioni» teorizzano i guru del marketing. Anche se abbassando la soglia psicologica del prezzo si è portati a comprare di più. Non a caso si torna a fare la mini spesa più volte la settimana invece della grande del sabato mattina con cui si riempiva il freezer.
Spirito dei tempi, in rete impazza il blog «Come vivere in 5 con 5 euro» della mamma bresciana Stefania Rossini, casalinga tuttofare che racconta sul web come fabbricarsi in casa creme viso idratanti, il detersivo o il dentifricio.
D’altronde il mercato è quello che è. Secondo i dati Assolowcost il 63% degli italiani nel 2012 ha speso meno in nuovi abiti; il 60% ha ridotto le spese per l’intrattenimento e i pasti fuori casa; il 54% è passato a prodotti più economici nel largo consumo e il 44% usa meno l’auto.
Non basta.
Per il professor Luigi Campiglio dell’Università Cattolica di Milano, nei prossimi anni ci saranno 13-15 milioni di famiglie italiane che disporranno di un reddito mensile di circa 1.500 euro.
Si tratta di consumatori orientati ad acquistare prodotti e servizi di qualità italiana, ma a prezzi mini.
Per questo l’aggiustamento non basta. «Low cost non significa solo prezzi bassi, bensì ottimizzazione dei processi industriali e distributivi», spiega il manager di una importante multinazionale. «È tutta la catena del valore che deve riorganizzarsi sui nuovi budget degli italiani».
Ecco la sfida del made in Italy: più modello Unilever e Ikea (i margini si fanno con i volumi anche ai tempi della decrescita) e meno artigianalità …
Marco Alfieri
(da “La Stampa“)
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