Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
I DISTINGUO DI CROSETTO, GLI AMMICCAMENTI DI LA RUSSA E LE SFUFFATE DELLA MELONI NON BASTANO A NASCONDERE LA VERITA’: DOPO “LA DESTRA”, ECCO UN ALTRO PARTITO SEMPRE AL SERVIZIO DI BERLUSCONI
Quando vedete in Tv Crosetto quasi ci credete, quando ascoltate i distinguo morali della
Meloni quasi ci cascate, poi quando sentite la Russa già capite che è una gran presa per i fondelli.
La nascita pilotata di Fratelli d’Italia è una mera operazione di marketing: si diversifica l’offerta ma alla cassa chi incassa è sempre Berlusconi.
L’ex premier riuscirà così a liberarsi di un terzo degli ex An in un colpo solo, cosa che sarebbe avvenuta ugualmente nella composizione delle liste Pdl, ma che sarebbe stata più traumatica.
I pochi “fratelli” eletti con il recupero dei resti garantiranno la potrona giusto a otto-dieci notabili e amen.
Se fosse una cosa seria non sarebbe peraltro da Pdl, nelle cui sedi non a caso vengono ospitati tuttora gli scissionisti pilotati.
Lo dice lo stesso Alfano: ‘Sì dividiamo la nostra sede di via dell’Umilta’; del resto la nascita di ‘Fratelli d’Italia’ e’ stato un fatto politico determinato in qualche modo insieme, la nostra e’ un’alleanza solida, fondata anche sull’amicizia, non ci sono contrasti e anche in via dell’Umilta’ abbiamo fatto si’ che potessero continuare a lavorare nella fase di creazione del nuovo movimento alcuni esponenti del Pdl che nel frattempo erano fondatori di ‘Fratelli d’Italia”. ‘
Questo — aggiunge Alfano — non significa che non siamo ormai due partiti differenti, ma che nell’amicizia e nella funzionalita’ di un rapporto c’e’ anche questo aspetto che diciamo orgogliosamente in pubblico, perche’ testimonia un modo di fare politica che non e’ feroce’
Tradotto dal politichese: pronti a riaccogliere a braccia aperte i pochi superstiti quando la sceneggiata avrà termine.
Anche “sorella Giorgia” compresa.
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
SFIDA CARFAGNA-PALMA.. L’ESCLUSIONE DI COSENTINO METTE IN LIBERA USCITA VOTI UN TEMPO BLINDATI… NEL PD POLEMICA PER UNA PARACADUTATA
Volatilizzato dalle agende, ignorato dai leader, il Sud si riaccende nell’ultimo rush. 
La Campania in bilico infiamma la contesa. “Ma lo capite che ci giochiamo tutto in pochi giorni? Lo capite che se va male qui non salto solo io, ma salta tutto?”.
Dalla suite con vista sul golfo, Nitto Palma, coordinatore regionale del Pdl, oltrechè candidato numero 2 al Senato in Campania dopo Silvio Berlusconi, cerca invano di non alzare la voce quando affronta i suoi.
È la campagna più difficile dei berluscones, la sfida che li vede orfani di alcuni pezzi forti come Nicola Cosentino, fiaccati dalle guerre interne e insidiati dalle defezioni dei loro nomi storici, ora candidati con Fratelli d’Italia e Grande Sud.
Da quell’albergo, al telefono ufficiale, Palma si mostra solerte capitano: “A Napoli siamo in pareggio come nel 2006, anzi vinciamo”.
Eppure, ai piedi del panorama, è una città assai più indecifrabile – politicamente – quella che si prepara a ospitare l’ultimo duello.
Pierluigi Bersani torna il 21 febbraio nella piazza simbolo, il Plebiscito, dopo un’altra lunga tappa, mercoledì scorso.
Berlusconi arriva il 22 alla Mostra d’Oltremare per la “chiusura nazionale”, cartolina a suo modo storica, perchè l’ultimo comizio del Cavaliere alle politiche avrà lo sfondo del Vesuvio.
Stesso ring, tra il quartiere bene di Chiaia e le altre province, quello su cui si danno il cambio da giorni da Enrico Letta a Matteo Renzi, mentre lunedì piomba anche Angelino Alfano.
È la Campania che vale 29 seggi al Senato, di cui 16 alla coalizione che vince.
E che mai, come in questa stagione, presenta fattori di “rischio”: dall’exploit temuto del Movimento 5 Stelle a quello di Rivoluzione civile, nata proprio da una costola del movimento di Luigi de Magistris, agguerrito leader arancione ancorchè calato nei gradimenti, dopo un anno e mezzo da sindaco.
“Dobbiamo portare almeno 250 pullman per il Presidente, chiaro? Se mettemmo insieme 7mila militanti nel 2011, dobbiamo portarne 10 mila per il 22, chiaro?”.
Palma, già Guardasigilli e sottosegretario agli Interni, ha ripassato mestamente in queste ore gli exploit in Campania targati 2001 e 2006: undici anni fa, Forza Italia e An mettevano insieme il 48,06 per cento, il 48,66 nel 2006 come Pdl alla Camera.
Ma ora è un’impresa quasi impossibile tenere insieme il “sorpasso”, i tentativi di fronda messi in piedi contro Palma da Mara Carfagna con il governatore Stefano Caldoro, e soprattutto il grande vuoto cosentiniano che drena consensi dalle aree un tempo inespugnabili dell’hinterland. Per non dire delle lotte intestine e degli insulti pubblici che continuano ad arrivare dagli altri esclusi eccellenti, come i parlamentari uscenti Mario Landolfi e Gennaro Coronella, al centro di un clamoroso caso di commissariamento a Mondragone, storico feudo dell’uscente e inquisito Landolfi.
“Ma è uno scherzo e vogliamo coprirci di ridicolo a dieci giorni di distanza dal voto? – tuona il senatore Coronella – Oppure, se non lo è, qualcuno impedisca a Nitto Palma di continuare a fare danni in una regione che non è la sua e della quale, benchè coordinatore, resta un ospite: non gradito”.
Replica Palma: “Il commissariamento del Pdl di Mondragone è stato disposto dal segretario Alfano. Non comprendo, poi, la ragione per la quale il senatore Coronella, che, a leggere i giornali, dichiara di sponsorizzare la lista Grande Sud, continui ad interessarsi del Pdl”. E lo invita a “un più dignitoso silenzio”.
È a questo quadretto che si è appena aggiunto il silenzio e la fuga (ai cronisti) del candidato Luigi Cesaro, su cui pende ormai una richiesta di arresto, al vaglio dell’Ufficio Gip di Napoli da un anno, legata a presunte connivenze camorristiche.
Come dire: depennato un Cosentino, si fa avanti un Cesaro.
Facili bersagli, per la campagna di Ingroia e di Rivoluzione civile. “Non credo che escluso Cosentino, siano finiti quegli interessi, anzi. Perciò dico che la nostra proposta sarà apprezzata – è il pronostico di de Magistris – Se andassimo sotto il 4 per cento sarebbe una sconfitta. Un ottimo risultato sarebbe il 6 per cento. Dal 4 al 6, sarà un buon risultato”.
Ma va da sè che in Campania, e anche per il raggiungimento del quorum dell’8 per cento al Senato, “siamo fiduciosi”. “Andate e moltiplicatevi. A me e a de Magistris non ci divide nessuno”, gli fa eco Ingroia, nel suo ultimo tour a Napoli.
Viene anche a sanare l’aspro scontro avvenuto sulle candidature.
Il sindaco si era pubblicamente irritato per l’esclusione di una stimata professionista calabrese, sua amica.
“Siamo noi la vera alternativa alla destra degli impresentabili e dei condoni tombali, ma anche a Monti con cui vuole andare a sedersi il Pd”, ha assicurato Ingroia nella visita a Scampia.
“De Magistris è un bravo amministratore che si sta dando da fare, sennò non starebbe con noi”, dice l’ex pm.
Che in Campania punta anche sulla battaglia di Pomigliano e contende a Sel il voto operaio, mettendo in lista Antonio Di Luca, uno dei 19 operai diventati simbolo della lotta contro le discriminazioni in Fiat.
Ma Vendola appare in risalita a Napoli e schiera quarantenni di profilato impegno.
Come Gennaro Migliore, capolista al Senato per Sel.
“La Campania è una regione in bilico, prima ancora che per il numero di senatori, per l’abisso che si è spalancato di fronte alla popolazione – osserva – Sono campani la maggior parte dei 60mila ragazzi che non si iscriveranno all’università , lo sono i giovani disoccupati. Grazie ai tagli di Tremonti e di Monti mancano servizi essenziali: i bus, i treni, la sanità .
Invece Monti si affida all’usato insicuro dell’Udc, che qui sta con il governatore Caldoro a (s)governare la Regione, e Ingroia e de Magistris invocano complotti invece di affrontare i seri problemi di una grande città “.
Contro Ingroia e il “voto inutile”, vengono a tuonare sia Matteo Renzi, sia Enrico Letta. “I voti qui li ha de Magistris, non Ingroia: è il sindaco che mi fa paura. Ma io vi chiedo il voto disgiunto”, dice Letta ai campani.
E Renzi: “Ingroia vuole far perdere il Pd. Mentre la Campania è la regione delle opportunità per tracciare un futuro di sviluppo”.
Dietro le quinte, c’è anche un Pd molto critico con alcuni nomi “incongrui” delle liste.
Un caso su tutti: la ri-catapultata Luciana Pedoto, 12esima nella lista al Senato, deputata uscente e mai vista in Campania negli ultimi cinque anni.
Persino il governatore Stefano Caldoro deve ammetterlo: “Il Sud manca nell’agenda Monti, non c’è nel centrosinistra e ne parla molto poco anche il Pdl”.
Anche per questo Bersani e Berlusconi chiudono a Napoli. Un recupero in extremis.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
RAPPORTO OBIETTIVO CRESCITA: “RIFORMA MERCATO DEL LAVORO, ASSUNZIONI PIU’ FLESSIBILI, RETE DI PROITEZIONE SOCIALE, RIDURRE I TEMPI DELLA GIUSTIZIA”
Evitare condoni fiscali.
Ridurre, invece, le distorsioni e gli incentivi all’evasione diminuendo “le alte aliquote fiscali”.
La raccomandazione all’Italia viene dall Ocse, nel rapporto “Going for Growth 2013”, che esorta anche a proseguire la riforma del mercato del lavoro “rendendo più flessibili le assunzioni e i licenziamenti e accorciando i tempi dei procedimenti giudiziari, realizzando contemporaneamente la rete universale di protezione sociale già in programma”.
Nel rapporto Obiettivo crescita, il focus dedicato all’Italia da parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sottolinea che è necessario puntare a “migliorare l’efficienza del sistema tributario”, attraverso una riduzione delle distorsioni e degli incentivi all’evasione, diminuendo le alte aliquote fiscali nominali ed eliminando le spese fiscali.
Bisogna “tassare una più ampia gamma di esternalità ambientali e riaffermare la volontà di evitare i condoni fiscali”, aggiunge l’ente parigino.
Bisognerà anche “ridurre la tassazione diretta sul lavoro”, quando la situazione fiscale lo permetterà , visto che “il cuneo fiscale sui lavoratori a basso reddito è elevato, il codice fiscale è estremamente complicato e l’evasione è alta”.
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
FINMECCANICA, MONTEPASCHI, ENI-SAIPEM, MA NON SOLO: TUTTI I GRANDI GRUPPI SONO STRETTI FRA IL DISASTRO DEI CONTI E LE INDAGINI DEI MAGISTRATI SUL MALAFFARE
Ci vorrebbe troppa fantasia per attribuire il tetro spettacolo di questi mesi (il capitalismo italiano alla
sbarra) all’accanimento giudiziario.
E non solo perchè le due liste — i blasoni industriali e finanziari coinvolti e le Procure che indagano — sono troppo lunghe per far credere a un complotto di toghe.
Soprattutto è ormai evidente che arresti e rinvii a giudizio non sono causa delle difficoltà delle nostre maggiori aziende, ma il loro sintomo più sinistro.
Sono finiti i soldi
La grande crisi finanziaria iniziata nell’agosto 2007 ha semplicemente accelerato lo smottamento del decrepito capitalismo di relazione all’italiana, nel quale la forza dei capitali è stata surrogata dalle perversioni di un reticolo di alleanze, amicizie, favori.
Ma quando i soldi sono finiti veramente, ecco il ricorso quasi obbligato al reato, come unico strumento di mantenimento del potere.
Con i cosiddetti “salotti finanziari” di un tempo che si trasfigurano in decadente oligarchia cleptomane.
Partiamo dalla Fiat (noblesse oblige): la Corte d’appello di Torino sta processando per aggiotaggio informativo i due più fidati collaboratori dell’avvocato Gianni Agnelli, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens.
Una complicata storia processuale, destinata alla prescrizione, ma piena di significato. Nel settembre 2005 la Fiat non era in grado di pagare i suoi debiti con le maggiori banche italiane, e i debiti si sarebbero convertiti in azioni.
L’azienda sarebbe diventata delle banche, e la famiglia Agnelli ne avrebbe perso il controllo.
Con un gioco di prestigio ai confini della realtà , condotto a termine mentre la Consob si girava dall’altra parte, Gabetti e Grande Stevens salvarono la situazione, secondo l’accusa ingannando il mercato.
Anche se fossero riconosciuti innocenti, rimane il fatto che i due hanno salvato il controllo della Fiat in mano a una famiglia ormai priva dei capitali necessari.
Un tema ricorrente, continuare a comandare senza metterci i soldi.
Prendete il caso Fonsai.
L’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, è indagato per ostacolo alla vigilanza per il cosiddetto papello, il foglietto con il quale sarebbe stata promessa a Salvatore Ligresti la sontuosa buonuscita di 45 milioni.
Anche Ligresti è indagato, come i suoi figli e l’ex presidente dell’Isvap Giancarlo Giannini.
Mettiamo da parte lo specifico giudiziario e guardiamo alla sostanza della storia. Mediobanca è azionista di controllo della prima compagnia di assicurazioni italiana (le Generali) e dunque da sempre vigila sul destino della seconda, Fondiaria-Sai.
Dopo il crac Montedison c’era da sistemare la Fondiaria, e Mediobanca la affidò all’amico e protetto di sempre, Ligresti, che la fuse con la sua Sai.
Quando le cose sono andate male, Ligresti non aveva capitali per raddrizzare la barca.
Per non vedere la concorrente delle Generali finire in mani ostili, Mediobanca ha organizzato prestiti miliardari provenienti da tutto il sistema bancario.
Di suo ha dato a Ligresti oltre un miliardo. Il costruttore siciliano è accusato di anche di essersi fatto gli affari suoi a danno dell’azienda, ma i reati sono cominciati quando si è trattato di salvare Fonsai affidandola a nuove mani amiche, quella della a sua volta indebitatissima Unipol.
Comandare con il debito
Guardate Telecom Italia.
Il suo peccato originale è la scalata di RobertoColaninno, che nel 1999 ha lanciato l’Opa (offerta pubblica d’acquisto) attraverso l’Olivetti, che si indebitò per decine di miliardi di euro. I nuovi padroni fusero Telecom con Olivetti, così la società telefonica è rimasta con addosso i debiti fatti per comprarla, e da oltre dieci anni vivacchia, facendo dell’Italia uno dei Paesi più arretrati nelle reti di comunicazione.
Quando gli azionisti lavorano più per le proprie tasche che per l’azienda, i manager si adeguano.
Ed ecco che ai primi del 2010 il numero uno della potente controllata Telecom Italia Sparkle, Stefano Mazzitelli, viene arrestato con l’accusa di una gigantesca truffa sull’Iva attraverso false fatturazioni. Indagato con lui l’ex amministratore delegato Telecom, Riccardo Ruggiero.
Lo scherzo costa al gruppo, in prima approssimazione 500 milioni di euro.
Tutto si tiene, l’oligarchia cleptomane sembra fare riferimento a un drappello di abili ufficiali di collegamento.
Per lo scandalo Sparkle viene arrestato Lorenzo Cola, consulente dell’allora capo di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini.
Cola risulta in affari con Gennaro Mokbel, e insieme sono accusati di riciclaggio anche per un affare proprio con Finmeccanica, l’operazione Digint.
L’inchiesta avanza e acchiappa il sistema degli appalti Enav, l’ente del controllo di volo. Sui radar sembra sia stata intessuta una fitta ragnatela di tangenti: appalti pubblici che passano attraverso un gruppo pubblico (Selex, cioè Finmeccanica) e finiscono alle aziende amiche.
Alla politica solo briciole
Ecco che la delinquenza dell’impresa privata incrocia la politica. Ma attenzione: la politica non è più l’epicentro della ruberia.
La politica assiste, lascia fare, agevola, alle volte propizia il malaffare: ma per lei ci sono le briciole, qualche mancia, qualche favore, l’assunzione di un figlio o di un’amante.
Lo scandalo Banca Popolare di Milano, che vede pesantemente coinvolto l’ex presidente Massimo Ponzellini, gira soprattutto attorno ai prestiti di favore fatti alle aziende degli amici e degli amici degli amici.
Un fenomeno clamorosamente denunciato dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e che riguarda tutto il sistema del credito.
I signori delle banche, che sono in gran parte i signori delle Fondazioni, che si nominano tra loro e di nulla rispondono a nessuno, anche se gestiscono miliardi di capitali pubblici, spolpano i loro istituti facendo prestiti apparentemente inspiegabili.
Ma lo scandalo Mps è il vero volto del problema: quando nel novembre del 2007 si compra la Banca Antonveneta a 9,3 miliardi dal Santander che l’ha appena pagata 6,6 miliardi, non si può credere che i più potenti banchieri europei abbiano lavorato in perfetta intesa per apparecchiare un tangentone da 2-3 miliardi di euro per qualche politico italiano.
È evidente che il grosso del bottino resta a imprenditori e/o manager privati.
Esportare corruzione
E così apprendiamo dalla Procura di Busto Arsizio che Lorenzo Cola è più amico del numero uno di Finmeccanica Giuseppe Orsi che del suo predecessore Guarguaglini.
E che il malaffare Selex-Enav è la pagliuzza per dare guazza ai politici e ai loro sgarrupati clientes, ma la vera trave è la corruzione internazionale con cui Finmeccanica supporta il proprio business.
Orsi è stato arrestato per una tangente che avrebbe oliato la commessa da 563 milioni di euro per 12 elicotteri Agusta-Westland venduti al governo indiano.
Contemporaneamente l’azienda italiana più globale, l’Eni, vede il suo amministratore delegato Paolo Scaroni, indagato per corruzione internazionale: avrebbe oliato ministri e boiardi algerini per ottenere commesse per la controllata Saipem.
Vent’anni fa Scaroni patteggiò un anno e 4 mesi per uscire dall’inchiesta Mani Pulite, e l’accusa era di pagare tangenti a manager Enel per avere commesse per l’azienda impiantistica che guidava allora, la Techint.
Adesso è accusato (ma lui nega tutto) di corrompere l’algerina Sonatrach per avere commesse per l’azienda impiantistica Saipem.
Vedete il passaggio? Vent’anni fa scassinavi a colpi di mazzette le casse dello Stato italiano. Adesso i soldi si trovano più ad Algeri che a Roma.
Tentati dal crimine
Sono aziende messe in ginocchio dalla crisi quelle che macchiano il blasone con reati da strada. Il presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo, è indagato per frode fiscale: quando guidava Unicredit si sarebbe reso colpevole, secondo i “gravi indizi” rilevati dalla Cassazione, di “una complessa trama fraudolenta”, con operazioni fittizie su titoli finanziari all’estero, per far pagare alla banca meno tasse: 745 milioni di euro sottratti al fisco, secondo l’accusa.
Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera è indagato per un caso simile, riferito a quando guidava Intesa Sanpaolo: il fisco ha lamentato oltre un miliardo di evasione.
Nel recente Banchieri & compari, Gianni Dragoni calcola tra 4 e 5 miliardi le tasse non pagate dalle banche con questi sistemi: rapinano il fisco per aggiustare i bilanci.
O cercano altre scorciatoie per arrotondare: le storie della Seb, controllata lussemburghese di Intesa Sanpaolo, e del Banco Desio, che il Fatto ha raccontato nei giorni scorsi, sono accomunate dalla pratica del riciclaggio, che sembra entrato nel core business delle grandi banche.
Nostalgia per il passato
Al confronto, l’inchiesta sull’azienda di famiglia dell’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che verte su conti svizzeri dove si sarebbe accumulato per anni un bel po’ di nero, stando alle ipotesi dell’accusa, fa quasi tenerezza.
Suscita nostalgia per quel nebuloso passato in cui il gioco sporco era solo vizio laterale del capitalista, e non arma irrinunciabile per essere competitivi.
Giorgio Meletti).
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
TANTO PER RICORDARE AI VERTICI DI “FUTURO E LIBERTA'” DA CHE PARTE STANNO, NON SOLO A PAROLE, COLORO CHE FURONO CACCIATI DAL PARTITO PER AVER DENUNCIATO LA VISITA DI MAMONE ALLA SEDE DI FLI E CHI INVECE FECE FINTA DI NULLA PER CONVENIENZA.
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La demolizione delle Acciaierie, dell’altoforno, del gasometro o della cokeria, hanno avuto un costo aggiuntivo per lo Stato, quindi per le nostre tasche, causato dagli accordi sottobanco di un cartello di imprese specializzate.
È questa la tesi della procura di Genova che, nei giorni scorsi, ha chiuso le indagini di un’inchiesta iniziata nel 2009.
Tra i 17 destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta ai danni della società pubblico privata Sviluppo Genova, ci sono due nomi molto noti in Liguria: Gino Mamone, già al vertice della Ecoge e Aldo Dellepiane, savonese, uno degli industriali più importanti della Liguria, attualmente presidente del Savona Calcio e nel consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di Savona.
In una costola dell’inchiesta principale altri due indagati eccellenti, questa volta per truffa e falso. Si tratta del manager Alberto Ghio, già vicesindaco all’epoca della giunta di Giuseppe Pericu e amministratore delegato di Sviluppo Genova nel 2008, e con lui Salvatore Saffioti, nello stesso periodo direttore amministrativo della partecipata che gestì la bonifica delle aree ex Italsider-Ilva. Ghio e Saffioti, assieme ad un’impiegata, Barbara Rossi (le viene contestato solo il falso), avrebbero falsificato la documentazione relativa allo stato di un locale con annesso box nell’ex cartiera di Voltri in via Ovada, permettendo così all’imprenditore genovese Cosimo Quinto (anche per lui truffa e falso) di acquistarlo al prezzo di 536mila euro invece di 615 mila sostenendo, contrariamente al vero, che sarebbe stato consegnato con finiture grezze.
Saffioti è accusato anche per una serie di presunti abusi relativi ad incarichi affidati senza gara per l’allargamento di lungomare Canepa e per il nuovo polo produttivo di Isolabuona a Ronco Scrivia.
Tra i capi d’accusa anche la turbativa d’asta semplice ed il falso per aver fatto inserire tra le offerte, per un appalto per i lotti dell’Ilva-Italsider, quella di un’impresa (l’emiliana Sogemo) arrivata fuori tempo massimo.
Ma la situazione più pesante della maxi inchiesta, coordinata dal pm Francesco Pinto e affidata alla guardia di finanza, è quella che vede coinvolte alcune delle principali imprese italiane del settore bonifiche e demolizioni industriali: Ecoge, Demont, Ise, e Icostra per la Liguria, e poi la Baraldi spa di Modena, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, la veneziana Idea, la furia Holding di Fidenza, la Torino Scavi Manzone, la Despe di Bergamo, la M.S. Isolamenti di Seveso, la Agrideco di Follonica.
Per alcuni episodi in cui è contestata la turbativa solo in concorso, sono indagati anche rappresentanti delle imprese Pamoter, Nec e Sirce.
Secondo il pm Pinto e i finanzieri, il “cartello” si sarebbe accordato in modo tale da presentare offerte alle gare d’appalto, con ribassi concordati in modo da individuare fin dall’inizio il vincitore secondo una logica di suddivisione che non doveva lasciare scontento nessuno.
Sempre in base alle accuse degli inquirenti, i “furbetti” della bonifica garantivano allo sconfitto di turno la possibilità di partecipare ai lavori attraverso contratti si sub appalto.
Per la procura il promotore dell’associazione era Gino Mamone che in questo meccanismo che «falsava la libera concorrenza» si sarebbe aggiudicato, come vincitore o sub appaltatore, molti degli appalti delle acciaierie.
Mamone, nel 2012 è stato condannato per corruzione con i due ex amministratori comunali Paolo Striano e Massimo Casagrande per il tentativo di vendita dell’ex oleificio Gaslini.
I ribassi concordati per gli investigatori oscillavano in genere tra il 23 e il 25% con punte del 32%. Tra i lotti (2006-2009) per i quali sono ipotizzate le turbative ci sono i lavori per la sistemazione del “Ponte Basso”, lo smantellamento dell’area Gasometri, la demolizione del cosiddetto gasometro Afo (quello più grande, alto 98 metri); e ancora lo smantellamento e la demolizione della cokeria, delle aree A1 e A5 dell’Ilva, della cosiddetta zona Lanfranco, e ancora la demolizione dell’altoforno Afo 2 e dell’area A3 e della zona parcheggio.
Sarebbero stati truccati anche gli appalti per la gestione centralizzata dei rifiuti così come i lavori del primo sublotto di viabilità in sponda destra del torrente Polcevera.
Nei prossimi giorni tutti gli indagati, attraverso i loro legali potranno presentare memorie e chiedere di essere interrogati. In seguito, a meno di chiarimenti decisivi, è probabile che il pm Pinto presenti al gip le richieste di rinvio a giudizio.
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
GLI ELICOTTERI, ORMAI FERRIVECCHI, ERANO STATI VALUTATI DAGLI INDIANI 900.000 STERLINE
Gli indiani dovevano essere particolarmente felici di fare affari col gruppo Agusta — Finmeccanica. 
Dove lo trovano un altro partner che si accolla una flotta di vecchi elicotteri messi a terra e buoni ormai per il ferrivecchi, pagandola 18 volte il valore reale?
Eppure c’è anche questo episodio nell’ordinanza dei giudici di Busto Arsizio costata il carcere al numero uno di Finmeccanica Giuseppe Orsi e i domiciliari al capo di Agusta Bruno Spagnolini.
Tanta generosità non è frutto di dabbenaggine; i manager italiani, secondo il pm Eugenio Fusco, dovevano sempre confrontarsi con il medesimo problema: rendere presentabile il pagamento delle tangenti e il ricorso a intermediari internazionali, vietato dalla legge.
Orsi e Spagnolini sono stati arrestati per la “provvista” di oltre 20 milioni di euro messa a disposizione dei due mediatori di Lugano Guido Haschke e Carlo Gerosa (anch’essi colpiti da ordine di cattura, non eseguito in quanto cittadini stranieri).
Ma quella è solo la metà delle cifra che sarebbe stata pagata sottobanco nell’affare con l’India.
L’altra fetta, 30 milioni di euro, fu girata a un terzo mediatore, l’inglese Christian Michel, indagato a piede libero e ad essa fa riferimento lo strano caso dei “ferrivecchi” pagati a peso d’oro.
«Il consulente Michel – recita l’ordinanza dei giudici di Busto Arsizio – fu imposto da Orsi» quando la trattativa con l’India era già avviata.
Per la consulenza «viene stipulato un contratto con la Global Trade Service ltd (una società di Michel, ndr) del valore complessivo di euro 18.200.000 per il riacquisto dal governo indiano di 14 elicotteri WG fuori uso».
La natura fittizia del contratto viene svelata sempre dal pm Fusco: «La ricostruzione delle transazioni pone fondati dubbi sulla effettiva consistenza dei rapporti economici intercorsi tra Agusta e la società di Michel nonchè sul ruolo svolto da quest’ultimo.
In particolare, con riferimento al riacquisto dei 14 WG dall’India… informazioni raccolte parlano di termini economici (900.000 sterline per l’intera flotta) assolutamente discosti da quelli dei medesimi elicotteri venduti da Michel ad Agusta». Riassumendo: Michel avrebbe rifilato alla società italiana per 18 milioni di euro macchine che gli indiani avevano valutato 900 mila sterline, vale a dire poco più di un milione di euro.
Il colossale «bidone» si giustifica secondo i magistrati solo perchè la cifra doveva coprire pagamenti illeciti.
Ma ciò non esaurisce il mistero attorno a Michel, ritenuto fondamentale da Orsi al punto da ricoprirlo di euro.
«Le uniche attività di Michel effettivamente riscontrate – prosegue l’ordinanza – sono state la produzione di periodici report informativi, giudicati di qualità scadente dagli stessi auditor interni (di Agusta, ndr.), e da una rassegna della stampa indiana». Una pulce nell’orecchio dei magistrati la mette in realtà l’altro mediatore dell’affare Guido Haschke, divenuto per la Procura di Busto la fonte più affidabile: in un interrogatorio del novembre scorso, racconta che in seguito all’irruzione sulla scena di Michel lui si vide ridurre i compensi.
«Haschke ipotizzò – scrivono ancora i giudici di Busto – che ciò fosse necessario ad Orsi per disobbligarsi con alcuni esponenti politici che avevano appoggiato la sua candidatura alla presidenza di Finmeccanica, politici appartenenti al partito Lega Nord a cui egli faceva riferimento».
Ma di tali pagamenti fino a oggi non è stata trovata traccia.
Claudio Del Frate
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
LA TERZA VIA “AMPIAMENTE ACCETTABILE” SAREBBE QUELLA DI BERSANI PREMIER E MONTI SUPERMINISTRO ALL’ECONOMIA
“Chi può salvare l’Italia?”
È quanto scrive The Economist nel numero oggi in edicola dedicato, con tanto di copertina, alle prossime elezioni in Italia.
IL MIGLIOR RISULTATO
«Il miglior risultato sarebbe che Monti restasse come primo ministro», afferma il magazine inglese.
Sta correndo con un programma per le riforme sostenuto da una coalizione di partiti di centro, ricorda il settimanale sottolineando però che «purtroppo il Professore è più abile a governare che a fare campagna elettorale»: i sondaggi lo fotografano difficilmente sopra il 15%, al quarto posto tra le coalizioni in corsa.
IL PEGGIOR RISULTATO
Ma il «peggior risultato» della prossima tornata elettorale italiana sarebbe la «vittoria di Berlusconi», scrive The Economist, tenendo a precisare che «per una serie di ragioni personali e politiche, questo giornale continua a considerare il magnate dei media non adatto» a guidare l’Italia.
«Non è riuscito a riformare il paese in oltre otto anni al potere e il suo partito, a differenza dei suoi colleghi di centro-destra in altri paesi europei in crisi» conduce una campagna con un programma che «ignora le riforme».
da dove?
«È incredibile che gli italiani ancora lo sostengano», aggiunge il settimanale commentando i sondaggi che vedono ridursi il divario con il centro-sinistra in Pier Luigi Bersani.
IL RISULTATO ACCETTABILE
E parlando del leader del Pd, The Economist ricorda che «i suoi sostenitori sono ex comunisti e ha un partner di coalizione dall’estrema sinistra» ma anche un ruolo di «riformatore nei governi passati».
Se vincesse, ma senza la maggioranza al Senato, dovrebbe fare un’alleanza con Monti che – rileva il settimanale – potrebbe usare il suo potere contrattuale per chiedere un ruolo di super-ministro dell’economia.
Ed un governo «guidato da Bersani, con Monti responsabile dell’ economia, sarebbe un risultato accettabile per l’Italia» è la sintesi del ragionamento: «avrebbe la fiducia dei mercati e delle istituzioni internazionali» e «si potrebbe seriamente riformare un’economia che, se si procedesse invece come fatto sotto la premiership Berlusconi, finirà per crollare trascinando con sè l’euro».
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
“LE TANGENTI ESISTONO, MA CHE SIANO INEVITABILI LO RIFIUTO”…”DOPO ANNI CHE HA GOVERNATO IN ITALIA NON C’E’ UNA LEGGE ANTICORRUZIONE”
Cialtrone, provinciale e con il suo governo l’Italia è caduta nel ridicolo. 
Ad attaccare Silvio Berlusconi all’indomani delle dichiarazioni sulla “inevitabilità delle tangenti” non è un pasdaran della sinistra oltranzista, ma il presidente del Consiglio uscente che guida l’area dei “moderati riformisti”, Mario Monti.
“Dopo tanti anni di governo Berlusconi non c’è una legge anti-corruzione — ha spiegato il leader di Scelta Civica, intervenendo ad Agorà su Raitre — L’Italia è un paese importante, è un paese del G8, e certo può anche cadere nel ridicolo come è accaduto per l’atteggiamento ridicolo tenuto da qualcuno in passato”.
A Monti è stato chiesto se è possibile un paragone tra quanto succede in questi mesi con Tangentopoli: “Purtroppo sì — ha replicato — ma con una speranza minore. Nel 1993 ci fu un’azione liberatoria della magistratura e si pensava che l’azione della magistratura e la coscienza dei cittadini avrebbero posto fine a quel fenomeno. L’azione dei magistrati è andata avanti ma la coscienza degli italiani che guidano gli altri italiani si è seduta”.
Che le tangenti esistano in molti paesi, insomma, “è la realtà — aggiunge il candidato a Palazzo Chigi — ma che sia inevitabile lo rifiuto. Un Paese deve agire sul piano internazionale, mentre vedo nel dibattito in corso un certo provincialismo: uno che ha governato l’Italia come Berlusconi deve rendersi conto che un paese come l’Italia, che è nel G8, ha il dovere di combattere la corruzione anche a livello internazionale”.
Infine si lancia in un parallelo tra le critiche di Berlusconi e gli auspici di Obama: ””Sono molto più ferito quando dei cialtroni dicono di aver lasciato l’Italia in buone condizioni nel 2011 e che io l’avrei portata sul baratro, che non inorgoglito quando ricevo i complimenti di Obama“.
Monti ha ricordato come il suo governo “ha fatto fatica, a causa della resistenza del Pdl, a far approvare un’adeguata legge anti-corruzione”.
Questa norma è arrivata dopo che, “dopo tanti anni di governo Berlusconi”, non ne era stata approvata ancora una. Queste normative sul piano interno, ha spiegato ancora Monti, vanno accompagnate con azioni a livello internazionale: “Uno che ha governato tanti anni come Berlusconi doveva fare qualcosa a livello internazionale. L’Italia è un Paese importante, è nel G8, e certo può anche cadere nel ridicolo come è accaduto per l’atteggiamento ridicolo tenuto da qualcuno in passato”.
E’ stato quindi chiesto a Monti a chi si riferisse: “Non ho bisogno di ricordare — ha replicato — le pressioni ricevute in questi giorni”.
Sul piano politico, poi, Monti sembra solleticare Berlusconi proprio su uno dei punti chiave storici delle sue campagne elettorali: “So benissimo — chiarisce — che il Pd è nato nell’ottobre, forse il 14 ottobre 2007. Da quella indignazione seguita alla pronuncia della data del 1921, deduco che è nato da zero. E’ ridicolo Berlusconi quando si presenta come la diga al comunismo ci sono elementi culturali importanti nel centrosinistra che derivano da una azione molto illustre di politica antecedente al 2007″.
In definitiva: “Se vincesse il centrodestra l’Italia tornerebbe a rischio come nel novembre 2011 e si fermerebbero le riforme in grado di far crescere il Paese. Se vincesse il Pd con Vendola, invece, i conti sarebbero più al sicuro, ma non si proseguirebbe sulla strada delle riforme strutturali”.
Monti rivela che gli è stato “offerto il Quirinale o anche posizioni di quasi vertice o di vertice al governo in cambio alla mia non candidatura”.
A chi gli chiedeva se fosse stato Pierluigi Bersani a fare l’offerta, tuttavia, Monti ha risposto: “Esiste anche uno spazio privato nelle conversazioni politiche”.
Monti ha affermato di sperare in un successo elettorale di Scelta civica: “Molti elettori del centrodestra — ha spiegato — desiderano la realizzazione di riforme e liberalizzazioni, ma non le troveranno in quello schieramento, per cui spero che continui quella frana che c’è stata prima del brillante e imperioso ritorno di Berlusconi”.
Se invece Scelta civica non otterrà la maggioranza, è stato chiesto a Monti, si deve considerare “scontata” l’alleanza con il centrosinistra?
Il leader di Scelta civica ha risposto negativamente, dicendo che “le chance di un’alleanza con il centrosinistra sono identiche a quella di un’alleanza con il centrodestra”, anche se quest’ultimo dovrebbe rinunciare alla presenza di Berlusconi che ha attaccato anche in queste ore lo stesso Monti.
E’ stato quindi mostrato un video in cui Berlusconi sosteneva che Monti “non capisce niente di economia”: “Sono opinioni interessanti — ha replicato il premier — io rispetto le opinioni altrui comprese quelle di Berlusconi. Ci sono molte forze nel centrodestra — ha concluso — con cui si possono fare insieme riforme, un pò meno con Berlusconi, anche perchè con lui ho difficoltà a vedere la coerenza del pensiero nel tempo”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 15th, 2013 Riccardo Fucile
LA SOLUZIONE CONTRO LA CRISI DELL’ECONOMISTA ITALO-HAWAIANO
Mentre gli esperti si arrovellano alla ricerca di una soluzione della crisi, qualcuno sembra averla già trovata e ne ha mostrato l’efficacia con la testimonianza personale.
Questo qualcuno è un autodidatta appassionato di giacche a fiori, Roberto Formigoni.
Secondo gli atti dell’inchiesta che lo riguarda (istruita, immagino, dalla commissione del Nobel), l’economista italo-hawaiano ha scoperto un sistema per ovviare alla ormai cronica carenza di denaro.
Non pagare.
Come diceva Einstein, le idee geniali sono sempre le più semplici.
Al pari di tanti suoi connazionali, Formigoni si è posto il problema di mettere insieme il pranzo con la cena.
E lo ha risolto individuando un ristorante di lusso di Milano come sede dei suoi esperimenti.
Lo studioso vi si è recato per anni, talvolta da solo, più spesso in comitiva.
Ordinava ostriche e champagne, mangiava con appetito, ringraziava il cuoco e i camerieri, poi infilava il soprabito sopra i bermuda e andava a digerire altrove.
E il conto?, direte voi.
Ma il conto è una convenzione.
Io ti pago perchè tu coi miei soldi possa pagare qualcun altro.
Mentre qui è la premessa a venire messa in discussione.
Se il proprietario del ristorante avesse saputo portarla alle logiche conseguenze, per esempio andando al cinema e limitandosi a salutare calorosamente la bigliettaia, il sistema capitalistico sarebbe stato terremotato dalle fondamenta.
Perchè poi la bigliettaia del cinema avrebbe fatto la spesa al supermercato uscendo col carrello senza pagare, fra gli olè delle cassiere.
E alla fine della catena ci si sarebbe ritrovati tutti nel ristorante di lusso a ordinare ostriche e champagne in compagnia di Formigoni.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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