Febbraio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER HA CHIESTO LA SANATORIA PER L’APPARTAMENTO ROMANO DATO ALLA FIDANZATA, MA IL CONDOMINIO HA DETTO NO
Quando Silvio Berlusconi ha annunciato: “Se gli elettori danno la maggioranza a me farò subito un
condono edilizio”, è stato subito coperto da un coro di critiche per l’abitudine a solleticare gli appetiti del popolo degli abusivi.
Nessuno poteva immaginare che il Cavaliere pensasse anche al suo piccolo abuso personale, da sanare con la legge attuale o con un provvedimento post elettorale.
Più che di condono ad personam stavolta bisognerebbe però parlare di condono d’amore. L’abuso è stato realizzato nell’appartamento romano intestato a una società del leader del Pdl, ma offerto da molti anni in uso alla sua fidanzata napoletana, Francesca Pascale.
Per coronare il loro sogno d’amore Silvio, 76 anni, e Francesca, 28 anni, hanno pensato bene di presentare, con le norme attuali, una richiesta di condono.
Per colpa dell’opposizione dei soliti giustizialisti legalitari annidati anche nel lussuoso condominio di Roma nord, però, la manovra è saltata.
Il Fatto ha visionato una lettera del geometra di fiducia di Berlusconi, quel Francesco Magnano di Macherio, primo dei non eletti al consiglio regionale lombardo (sperava di subentrare a Nicole Minetti, non ce l’ha fatta), indagato a margine dell’inchiesta sui rimborsi regionali. Magnano scrive all’amministratore del condominio, a nome della Immobilare Dueville, società partecipata al 60 per cento dalla holding Prima e Ottava e al 40per cento dalla Immobiliare Drago, tutte riferibili a Berlusconi.
“Come già anticipatole telefonicamente — scrive Magnano all’amministratore condominiale — mi sto occupando dei lavori fatti dalla Signora Pascale Francesca inquilina dell’appartamento della scala … interno … Avendo contattato l’Ufficio Tecnico del Comune di Roma, al fine di valutare in quale tipo di abuso si configurassero i lavori fatti dalla Signora Pascale (non da Berlusconi, sia chiaro, sembra voler precisare Magnano, ndr) e avendo avuto risposta verbale che è un abuso sanabile in quanto non incide in termini di cubatura e aumento di superficie lorda di pavimento, con la presente sono a chiederle di portare in assemblea del condominio una formale richiesta della proprietà per ottenere l’autorizzazione al mantenimento della struttura in essere, anche formalizzando una piccola sanzione pecuniaria da quantificarsi di comune accordo”. L’assemblea però ha risposto picche.
Il Fatto aveva già raccontato la storia di questo appartamento vicino alla Camilluccia, il 9 settembre 2010, quando Francesca Pascale era solo una consigliera provinciale del Pdl, eletta nel 2009 e nota per il comitato ‘Silvio ci manchi’, per le comparsate televisive nel programma Telecafone al grido di: “Se mostri un po’ di coscia si alza l’auditel”, e per la trasferta nella villa sarda del Cavaliere con le sue compagne, nel novembre 2006.
Molto è cambiato da allora: Francesca vive a Palazzo Grazioli accanto al suo principe azzurro e figura nei servizi del settimanale della real casa: Chi.
Nell’appartamento dorme talvolta la sorella, che studia all’università .
Per ora il condominio ha detto no e l’abuso resta lì, senza sanatoria.
Nonostante nel palazzo Silvio potesse contare su un appoggio: Chiara Colosimo, ex capogruppo del Pdl post-Fiorito alla Regione Lazio, ha comprato una casa uguale a quella della Pascale per 600 mila euro, coperti con un mutuo e con l’aiuto del padre.
Non si sa se la 26enne consigliera abbia votato il condono di Silvio e Francesca nell’assemblea di dicembre.
Un mese dopo è passata a Fratelli d’Italia.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 16th, 2013 Riccardo Fucile
LETTA O BINDI ALLA GUIDA DEL PARTITO PER I PROSSIMI MESI…IL PROSSIMO SEGRETARIO POTREBBE ESSERE UN GIOVANE, ANDREA ORLANDO
«Se vinciamo, lascio la segreteria del Pd a un reggente, perchè Palazzo Chigi avrà bisogno di tutto il mio impegno». Nel colloquio ristrettissimo di qualche giorno fa a Largo del Nazareno, Bersani ha squadernato il problema.
Niente più rinvii, capannelli in privato, ipotesi che si rincorrono su un congresso democratico anticipato – ha detto – tanto vale parlarne subito.
Dario Franceschini, Enrico Letta, Vasco Errani erano dell’idea di soprassedere. «Per scaramanzia!», hanno osservato.
Ma il segretario è assai poco scaramantico (la mascotte della famiglia Bersani è una gatta nera – postata su Facebook dalla figlia Margherita).
E quindi, il leader ha indicato lo schema.
Passerà il testimone nell’Assemblea nazionale del Pd convocata entro fine marzo, ma in vista di un semestre di transizione fino al congresso, che è in calendario per ottobre.
Alla guida dei Democratici ci sarà perciò un reggente. Uno solo.
«Non ne voglio sapere di comitati allargati, triumvirati.
Penso a una figura “istituzionale” del partito, al vice segretario Enrico Letta o alla presidente Rosy Bindi, che lo regga mettendo in moto a giugno il complicato processo verso il congresso. Sarà questa la mia proposta », ha chiarito con i suoi collaboratori.
Pubblicamente, Bersani si limita a ripetere: «Facciamo il caso che si vinca, bisogna valutare insieme un percorso, perchè i nostri congressi sono macchine complesse… non mi piace fare due mestieri».
Vuole un cambiamento soft, senza traumi, il segretario.
Così ci sarà tutto il tempo per scaldare i motori e «fare girare la ruota», consentire il ricambio generazionale.
Matteo Renzi sarà della gara per la prossima segreteria?
A chiunque lo tiri per la giacca, il sindaco “rottamatore” risponde che è «pura fantascienza», che lui si sta impegnando perchè Bersani faccia il premier, «ma la partita della segreteria la giocheranno altri».
Non nasconde che la sfida delle primarie di novembre scorso per la premiership del centrosinistra gli è piaciuta, nonostante sia stato sconfitto da Bersani, e che sarebbe pronto a riprovarci.
«Tra cinque anni, non credo che la prossima sarà una legislatura breve e mi sto battendo perchè vinciamo, e bene».
Sono i “giovani turchi” invece in lizza.
Andrea Orlando, il responsabile Giustizia, capolista in Liguria alla Camera, è ritenuto uno dei papabili. «Non ne parlo, anzi tocco le chiavi… prima vinciamo».
Di certo però lui, Matteo Orfini, Alessandra Moretti, Stefano Fassina si pongono il problema di come sarà gestita la corsa per la segreteria in autunno.
Con primarie aperte o riservate agli iscritti? Nel Pd già c’è stato un cambiamento, voluto da Bersani stesso, e cioè che il segretario non è più automaticamente il candidato premier.
A ottobre passato, in vista delle primarie per la premiership, fu infatti approvata una norma transitoria, grazie alla quale alla sfida hanno potuto partecipare anche Renzi e Laura Puppato, oltre a Bersani, Vendola e Tabacci.
Osserva Orlando: «Sarebbe forse da evitare quel che accadde nel centrosinistra nel 2007, cioè Prodi premier eletto con le primarie e Veltroni segretario del Pd eletto con altre primarie. Però è davvero una discussione prematura ».
«Se ne parla dopo il 25», taglia corto Franceschini.
Franceschini è stato segretario del Pd dopo le dimissioni improvvise di Veltroni, nel febbraio del 2009. Fu eletto dall’Assemblea, vista l’emergenza. Poi si candidò alla primarie dell’ottobre 2009, in cui vinse Bersani.
Si rifa di nuovo il suo nome per la segreteria, ma lui ritiene sia tempo di passare la mano. Potrebbe invece spuntare un outsider, e cioè Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale del governo Monti.
Invitato da Bersani a tenersi a disposizione se il centrosinistra sarà al governo, ha fatto capire che gli piacerebbe di più guidare il Pd.
Ma prima, ci sarà appunto da affidare la reggenza.
Con l’intesa che chi regge il partito, non ha incarichi di governo.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 16th, 2013 Riccardo Fucile
LETTERA A BERNABE’: QUALCHE SETTIMANA PER L’OFFERTA
Diego Della Valle scende in campo per La7. Il fondatore della Tod’s dovrebbe far arrivare entro oggi al
presidente di Telecom Italia Franco Bernabè e a tutti i consiglieri una lettera in cui si dice pronto a presentare un’offerta concorrenziale per rilevare la tv controllata da Ti Media.
Della Valle ha già firmato l’impegno di riservatezza per accedere alle carte messe a disposizione dalla società all’advisor, ha messo i legali al lavoro e ingaggiato una banca d’affari internazionale che lo assiste.
Ha bisogno però di qualche settimana (non mesi) per mettere a punto un’offerta interessante insieme ad alcuni imprenditori del made in Italy (tra 5 e 7) che sono disposti a seguirlo.
E cercando di coinvolgere anche chi lavora a La7: dunque non si può escludere una partecipazione alla cordata di alcuni dei volti noti della tv, da Enrico Mentana a Michele Santoro, considerati da tutti i contendenti come inamovibili.
Lo schema dell’offerta di Della Valle dovrebbe essere simile a quello della Cairo Communication, puntando solo su una tv (La7 senza Mtv) e lasciando a Telecom Italia il business delle infrastrutture, i multiplex, che comunque generano dai 35 ai 50 milioni all’anno di margine lordo.
Anzi, nella visione di Della Valle nessuno impedirebbe a Telecom di mantenere una quota di minoranza per avvantaggiarsi di una eventuale rivalutazione successiva dell’asset televisivo.
Magari evitando di dover sovvenzionare con una dote pecuniaria il nuovo acquirente.
La lettera di Della Valle potrebbe dunque far slittare di qualche settimana la vendita di Ti Media, essendo il cda convocato per lunedì e le offerte vincolanti di Clessidra e Cairo depositate ieri sera.
Ma sicuramente vi sarà battaglia in Consiglio poichè un gruppo di consiglieri spingerà sicuramente per finalizzare la vendita.
Si tratta di Gaetano Miccichè (in conflitto poichè Intesa è advisor di Clessidra), Elio Catania (indipendente espresso da Intesa), Tarak Ben Ammar (indicato da Mediobanca) e Gabriele Galateri (indicato da Generali).
Del plotone faceva parte anche Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, ma alcune indiscrezioni riferiscono che nei giorni scorsi l’amministratore delegato Alberto Nagel, in qualità di advisor di Telecom, ha supportato Della Valle nell’analisi dell’oggetto Ti Media.
Dunque la posizione di Mediobanca in cda potrebbe cambiare e diventare più attendista di fronte alla possibilità di un’offerta più allettante rispetto a quelle già pervenute.
Sarà importante anche valutare le considerazioni di Bernabè, che si è sempre opposto a una svendita: le due offerte pervenute sembrano approfittare molto della difficile congiuntura del mercato editoriale e della complicata situazione debitoria di tutto il gruppo Telecom.
A sorpresa, dunque, il cda potrebbe prendere qualche settimana di tempo per leggere anche l’offerta di Della Valle oppure decidere di accantonare la vendita per un paio d’anni in modo da vedere i frutti della ristrutturazione avviata dopo l’uscita di Giovanni Stella.
Insomma la partita è tutta da giocare.
Giovanni Pons
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 16th, 2013 Riccardo Fucile
IL COLPO DI MANO CONTRO LA7
Questo potrebbe essere l’ultimo weekend di libertà per La7, la tv di Enrico Mentana, Lilli Gruber, Gad Lerner, Michele Santoro, Marco Travaglio e di tanti altri professionisti della televisione: come Serena Dandini, Corrado Formigli, Myrta Merlino, Tiziana Panella ed Enrico Vaime.
E di conseguenza, anche per il pubblico dei suoi telespettatori.
Se lunedì prossimo il Consiglio di amministrazione di Telecom deciderà di svendere al peggior offerente Ti Media, la società che controlla l’emittente televisiva e le infrastrutture di trasmissione, farà un grosso regalo agli alleati occulti di Mediaset. La7 rischierà , allora, di diventare la quarta rete dell’impero del Biscione, oltre a Canale 5, Retequattro e Italia 1.
O peggio ancora, di essere messa in liquidazione, smantellata, chiusa.
La fretta più che sospetta con cui è stata chiesta la convocazione d’urgenza del Cda, se l’amministratore delegato Franco Bernabè e la maggioranza dei consiglieri non riusciranno a respingere questo colpo di mano, induce a temere il peggio.
E cioè che le “quinte colonne” di Telecom, tutte più o meno in conflitto di interessi, vogliano cedere l’intero “pacchetto” ai sodali berlusconiani.
Magari anche a costo di arrecare un danno patrimoniale all’azienda, esponendosi così a un’eventuale azione di responsabilità .
Il tentativo è evidentemente quello di concludere tutto prima del voto di fine febbraio, per anticipare un responso elettorale e una svolta politica che potrebbero essere sfavorevoli al partito-azienda di Silvio Berlusconi.
È assai improbabile, infatti, che nel prossimo Parlamento Mediaset possa ancora beneficiare dei favori, delle coperture e delle complicità , anche trasversali, di cui ha goduto finora.
Tanto più che sulla necessità di abolire la famigerata legge Gasparri e varare una riforma televisiva convergono i programmi del centrosinistra, come ha ribadito anche ieri Pierluigi Bersani nel videoforum di Repubblica Tv; del Centro di Mario Monti e perfino del Movimento 5 Stelle.
E, anzi, nella nuova legislatura potrebbe non essere questo l’unico terreno d’incontro con i “grillini”.
Vittima e simbolo del duopolio televisivo, costituito dalla Rai e da Mediaset, La7 rappresenta l’impossibilità di realizzare un “terzo polo” in grado di conquistarsi uno spazio nel sistema attuale.
Non basta insomma fare una tv di qualità per sopravvivere nel mercato televisivo e pubblicitario italiano.
Al più, si può riuscire a fare il “terzo incomodo”.
E l’esempio di Sky, con un modello di business completamente diverso imperniato sugli abbonamenti più che sugli spot, lo conferma “al contrario”.
È dunque un approccio di sistema quello che occorre per affrontare la questione televisiva, al cui interno si colloca il caso La7.
Il punto fondamentale è che l’emittente di Telecom non può finire nelle mani della congrega berlusconiana. Nè può diventare uno sleeping competiror di Mediaset. O addirittura, venire soppressa per azzerare la concorrenza.
Nella desertificazione culturale prodotta dalla tv commerciale, questa è comunque un’isola da tutelare e salvaguardare.
Non si fa fatica a riconoscere che una rete televisiva non appartiene al core business di una compagnia telefonica come Telecom che ha ben altri problemi da affrontare e risolvere.
E perciò può essere opportuno venderla, senza tuttavia svendere a prezzi di favore i tre “multiplex” che comprendono le frequenze televisive ottenute in concessione per vent’anni dallo Stato e costituiscono perciò un cespite rilevante.
È proprio questo il bene pubblico, la risorsa demaniale scarsa, da regolamentare in forza di un’efficace normativa anti-trust.
Con ciò si dimostra una volta di più il fallimento totale della legge Gasparri, imposta dal regime televisivo per difendere gli interessi dell’aziendapartito che fa capo tuttora al Cavaliere.
Avevamo segnalato ripetutamente negli anni scorsi il pericolo di passare dal vecchio duopolio analogico a un nuovo duopolio digitale.
E la vicenda di La7 certifica ora che l’allarme non era infondato.
Ora, alla vigilia delle elezioni, Telecom non può liquidare la sua rete televisiva prima di un riassetto dell’intero settore.
Sarebbe un atto di sfida contro la futura maggioranza e il futuro governo, quali che siano. E ancor più, contro il pluralismo dell’informazione e la libera concorrenza.
Giovanni Valentini
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Febbraio 16th, 2013 Riccardo Fucile
INVECE CHE RIDURNE L’USO, IL PISTOLERO POCO FUTURISTA VUOLE “AIUTARE LA BERETTA A CRESCERE”… DOPO AVER APPOGGIATO GLI INTERESSI DEI VIVISETTORI ORA PASSA ALLE “ECCELLENZE INDUSTRIALI” NEL CAMPO DELLE ARMI… UN CONSIGLIO A FINI: REGALA A RAISI UNA PISTOLA AD ACQUA, FAREBBE MENO DANNI
Meno burocrazia per chi vuole avere una pistola o un fucile. 
Mentre negli Stati Uniti si discute un piano per limitare la diffusione di modelli d’assalto e caricatori ad alta capacità di munizioni, in Italia, Futuro e libertà sceglie la strada opposta, e lancia una serie di proposte che strizza l’occhio ai cacciatori e ai colossi nostrani della produzione di armi da fuoco.
Guidati dal bolognese Enzo Raisi, in corsa per un posto alla Camera nelle file dei finiani, alcuni candidati in Emilia Romagna hanno firmato un manifesto programmatico, che punta a semplificare le pratiche necessarie ad avere la licenza, e a combattere i “pregiudizi che investono le aziende che fabbricano armi”.
Tra i punti sottoscritti, quello che prevede la promozione del “diritto alla legittima difesa, a protezione della vita, e della libertà di autodeterminazione”, e quello che tutela “l’esercizio responsabile e sostenibile delle attività venatorie” e di tutte le discipline sportive con l’uso delle armi.
Ma non manca l’impegno a favore delle aziende italiane, leader del settore: “Devono essere messe in condizione di poter proporre un prodotto competitivo a livello internazionale e nazionale a un prezzo sostenibile per il cliente finale”.
Insomma, a dieci giorni dalle elezioni, Fli promette di portare in Parlamento le istanze dei cacciatori, e di rendere la vita più facile ai possessori di armi e ai produttori, mettendo nero su bianco una serie di impegni.
L’obiettivo è spianare la strada a chi desidera avere in casa, per sport o per difesa personale, un fucile o una pistola, semplificando tutti quei passaggi legali obbligatori per avere la licenza.
E insieme spalancare il mercato ai giganti italiani delle armi, come la bresciana Beretta, gruppo che nell’ultimo anno ha chiuso con 481 milioni di euro di fatturato.
“Il nostro — ha spiegato Roberto Flaiani, anche lui candidato alla Camera nel partito di Fini — è un impegno formale nel prendere in considerazione il diritto a portare armi legalmente e responsabilmente”
Secondo Flaiani, “un normale cittadino è vessato da burocrazia e da sensi di colpa”. Pregiudizi, continua, che “colpiscono anche le aziende produttrici, con regole e regoline che impediscono a queste nostre eccellenze di crescere nei mercati internazionali”.
Proposta, quella lanciata dai finani, che incontra per prima la bocciatura del Movimento 5 stelle dell’Emilia Romagna. “La cronaca di tutti i giorni — replica in una nota il consigliere regionale Andrea Defranceschi — ci insegna che il possesso privato di armi, che la proposta Fli vuole favorire, non aumenta affatto la sicurezza ma, all’opposto, incrementa la conflittualità e la violenza, causando ancora più morti”.
Ma non è la prima volta che Raisi si spende in prima persona per incoraggiare il possesso e la vendita delle armi.
Nel 2001, arriva a proporre alla Camera un emendamento, per concedere a tutti i deputati e i senatori la possibilità di tenere un fucile o una pistola nella valigetta senza l’obbligo della licenza, in quanto “a causa dell’attività svolta, il parlamentare è classificabile come persona esposta a rischio”.
Appena due anni dopo, l’allora parlamentare di Alleanza nazionale torna alla carica, con un’interrogazione al ministero dell’Interno, per chiedere la concessione del porto d’armi anche alle guardie giurate, impegnate nei parchi naturali.
Giulia Zaccariello
(da “il Fatto Quotidiano“)
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