Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
LA DECISIONE DI PUNTARE SU UN NOME FORTE DEL PARTITO COME TRAGHETTATORE
Guglielmo Epifani traghettatore fino al congresso che a ottobre eleggerà il nuovo, vero segretario del Pd.
La candidatura unica dell’ex segretario nazionale Cgil dovrebbe essere cosa fatta. Dopo l’ipotesi Gianni Cuperlo e il tentativo (vano) di convincere il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, i democratici puntano su un nome forte del partito.
Una sorta di terza via: non un giovane che dia l’idea del rinnovamento, non un ‘padre nobile’ (si erano fatti i nomi di Fassino, Chiti e Finocchiaro), ma una personalità di spicco capace di fare sintesi tra le varie (troppe) anime democratiche.
E i commenti dei vari esponenti Pd sembrano per una volta andar tutti nella stessa direzione.
A conferma di ciò, basta leggere la nota del partito: “Il gruppo indicato dal coordinamento per preparare l’Assemblea nazionale, al termine di due giorni di consultazione e di confronto, ha registrato un’ampia convergenza sulla figura di Guglielmo Epifani”.
La convergenza su Epifani, spiega il comunicato, dipende dal fatto che il suo “profilo risulta il più idoneo a condurre il Pd verso la stagione congressuale e nelle nuove e impegnative responsabilità che spettano al Partito democratico nella difficile fase politica del Paese”.
Parola (e relative firme) del comitato dei cosiddetti facilitatori, ovvero i vicepresidenti dell’Assemblea, Marina Sereni e Ivan Scalfarotto, i capigruppo Roberto Speranza, Luigi Zanda e David Sassoli e il coordinatore dei segretari regionali Enzo Amendola.
Allineatissimi i pezzi da novanta del partito: dal ministro Franceschini (“Con lui sostegno a governo e unità del Pd”) a Roberto Speranza (“Persona giusta, ha il mio sostegno”), fino ai renziani, con Simona Bonafè, parlamentare vicina al sindaco di Firenze che non ha dubbi sulla bontà della candidatura.
“Non abbiamo mai posto alcun problema sui nomi. Va bene Epifani, va bene questa fase di reggenza verso il congresso — ha detto la Bonafè — Ora l’importante è che si apra un dibattito su quale idea di Pd, quale identità del Partito democratico”.
E mentre il diretto interessato ha preferito scherzare (“Io segretario, aspettiamo domani” ha detto Epifani), nei suoi confronti è arrivato anche una sorta di endorsement da Pier Luigi Bersani, che per molti è il vero vincitore di questa battaglia nonchè colui che avrebbe ideato la candidatura.
Il segretario uscente non parla della persona, ma del metodo: “Abbiate fiducia nel Pd. Non è così caotico come lo descrivete voi. Vedrete…”.
L’unico a bocciare l’ex sindacalista è il deputato lombardo Pippo Civati: “Se c’è la candidatura di Guglielmo Epifani, ci sarà una epifania di candidati” ha detto Civati a margine di un incontro con i ragazzi di Occupay Pd (che hanno contestato i parlamentari giovani del partito e litigato con David Sassoli).
“Domani potrebbe essere la puntata finale del Pd se continuano a fare quello che stanno facendo — ha continuato — L’importante adesso è chiarirsi sul fatto che vogliamo sapere la data del Congresso”.
E a chi gli ha domandato se il Partito Democratico morirà ‘democristiano’, Civati ha risposto: “Moriremo e basta, magari morissimo democristiani, almeno avremmo un destino”.
In attesa dell’ufficializzazione della candidatura di Epifani, l’attenzione è tutta per l’assemblea nazionale di domani, che inizierà alle 10 e si terrà presso la Nuova Fiera di Roma.
All’apertura la presidenza sottoporrà all’Assemblea l’ordine dei lavori per l’approvazione.
La presentazione delle candidature a segretario dovrà essere sottoscritta da 95 delegati (pari al 10% degli aventi diritto al voto) e dovrà avvenire entro le 13.
Le votazioni procederanno a scrutinio segreto dalle 14 alle 16.
L’assemblea dovrà inoltre nominare, su proposta della presidenza, gli scrutatori e i presidenti dei seggi.
Qualora nessuno dei candidati abbia ottenuto il 50% più 1 dei voti validamente espressi, si procederà al ballottaggio tra i primi due.
Dopo gli adempimenti richiamati — comunica il gruppo per l’organizzazione nominato dal coordinamento del Pd — introdurrà i lavori il presidente del gruppo alla Camera dei deputati, Roberto Speranza.
La conclusione del dibattito è prevista intorno alle 16.
A seguire il nome del nuovo segretario ‘traghettatore’.
Ma su questo, a quanto pare, non dovrebbero esserci dubbi: sarà Guglielmo Epifani.
Almeno stasera pare sia così…
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
CIVATI ORGANIZZA I GIOVANI RIBELLI
«Se andiamo avanti così rischiamo che sabato finisca il Pd…». 
Sabato è domani, manca un giorno all’assemblea nazionale e Pippo Civati, punto di riferimento per tanti giovani ribelli, quasi spera nel big bang.
Dal caos può venir fuori di tutto. Anche un segretario a sorpresa, frutto di una conta sanguinosa. Un nome come lo stesso Civati, persino?
Lui dice che «è presto per parlarne», ma teme che il Pd possa non reggere un nome in continuità con la vecchia dirigenza.
«Il primo che si alza scoppia la rissa – avverte Civati – Se c’è il voto segreto finiamo in mano ai franchi tiratori».
Laura Puppato raccoglie le firme su un documento anti larghe intese e una quindicina di giovani parlamentari, tra cui Fausto Raciti ed Enzo Lattuca, aprono ai ribelli.
«Occupy Pd», critico con il governo Letta, organizza le truppe, si prepara a premere alle porte della Fiera di Roma e cerca un outsider da lanciare…
Brutto clima, in casa democrat.
I «facilitatori» Sereni, Scalfarotto, Zanda, Speranza, Amendola e Sassoli hanno proposto due vie d’uscita.
Due strade entrambe impervie, per arrivare alla scelta di un segretario. La prima è una figura di garanzia.
Un vecchio saggio o «padre nobile» disposto ad accettare la reggenza fino al congresso di ottobre, senza coltivare velleità di ricandidarsi.
Per questa soluzione era stata individuata Anna Finocchiaro.
Ma bersaniani e franceschiniani – che fanno asse tra loro e con i lettiani – temono per la senatrice un «effetto Marini», il rischio cioè che possa essere impallinata per il suo bagaglio politico dai 750 membri dell’assemblea che hanno diritto di voto.
Motivo per cui si lavora anche su altri nomi, tra cui Fassino, Chiamparino e Chiti.
Ma il sindaco di Torino dovrebbe spogliarsi della fascia tricolore e il suo predecessore mollare la remuneratissima presidenza della Compagnia di San Paolo. Resterebbe Chiti, già ministro e presidente della Toscana
La seconda via «passa attraverso il rinnovamento».
Cercasi giovane virgulto che traghetti il Pd verso le assise per poi candidarsi, da protagonista. Chi meglio di Nicola Zingaretti?
Ma il presidente del Lazio si tira fuori perchè non può lasciare la Regione.
Anche Gianni Cuperlo smentisce di essere in campo in questa fase, ecco allora spuntare il segretario lombardo Maurizio Martina ed Enzo Amendola, che coordina i leader regionali.
Dal gioco dei veti incrociati esce meno malconcio degli altri Roberto Speranza, 34 anni, che stando ai pronostici dell’ultim’ora lascerebbe a Pier Luigi Bersani la guida del Pd alla Camera. Prima dalemiano e poi bersaniano, stimato da Enrico Letta (che vedrebbe bene anche una figura di esperienza), bene accetto da Matteo Renzi, Speranza ha dato buona prova come segretario regionale lucano.
Al momento è lui a raccogliere i maggiori consensi.
L’assemblea fu eletta con le primarie del 2009 e sulla carta i rapporti di forza sono quelli di allora: Bersani 53 per cento, Franceschini 34, Marino 12.
Ma gli equilibri interni sono molto cambiati e tutto può succedere, visto che tanti guardano ormai a Matteo Renzi.
I suoi nemici sono preoccupati per l’attivismo del sindaco, che incontra Barroso e lavora al nuovo libro, «Oltre la rottamazione».
Massimo D’Alema, rottamato illustre, nega di essere in guerra con Bersani, dice che voterà con disciplina un nome condiviso e si toglie una bella pietruzza dalla scarpa: «L’unica vittoria di Renzi è che io non sono più in Parlamento».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE: “L’IDEA DELLA PACIFICAZIONE E’ IRRICEVIBILE”
Il nuovo esecutivo. «Non è il governo del Pd, ma è presieduto dal vicesegretario e questo crea problemi»
Il segretario reggente. «Non deve pensare di avere un futuro, ma solo un compito: la gestione fino al Congresso»
L’avvertimento agli ex Ds. “Non vorrei che qualcuno si convinca che, sfumata questa occasione, occorra rifare un partito di sinistra”
La rottamazione. “Innovare non vuol dire «tutti a casa»: avere imboccato quella strada può provocare dei danni”
Scandisce bene le parole, quasi che il farlo potesse servire a controllare il travaglio – perfino la rabbia che la tormenta: «È l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, e io non accetto paragoni tra allora e oggi: nel ’76 si affrontò l’emergenza cercando di costruire il futuro, adesso tentiamo – malamente – di chiudere con il passato. È per questo che noi dobbiamo sostenere con lealtà il governo, ma sapendo che non è il governo del Partito democratico; io, personalmente, farò quanto possibile: ma avendo chiaro che il Pd che ho in testa – e non credo di esser la sola è un partito alternativo alla destra. L’idea che è giunto il tempo di una “pacificazione” col berlusconismo, è irricevibile: venti anni di storia non si cancellano così».
Rosy Bindi e la sua inquietudine.
E anche Rosy Bindi e la sua delusione: che la porta – a quattro anni dalla nascita del Pd – ad invocare un segretario pro-tempore «che crei le condizioni per un Congresso vero e, finalmente, per la fondazione del Partito democratico».
Ma anche, in fondo, Rosy Bindi e il suo sgomento: che non è diversa da quella che attraversa il Pd, dalle Alpi alla Sicilia.
Sembra incredibile, ma ad una manciata di ore da un’Assemblea nazionale che potrebbe rivelarsi perfino drammatica, non si sa chi sarà eletto segretario e non si è d’accordo nemmeno sul suo profilo e sul suo mandato.
Tanto che Mario Monti può perfino ironizzare: «Scelta Civica partecipa a un governo che include il Pdl e un Pd a conduzione ignota… ».
Siete davvero messi così male?
«Benissimo non stiamo… ma ho fiducia nell’apertura di una fase congressuale che chiarisca e definisca profilo, ruolo e obiettivi del partito che vogliamo».
Quando farete il Congresso?
«Rispetteremo la scadenza statutaria».
E quando eleggerete il segretario?
«Nell’Assemblea di domani».
Lei ha un nome, un candidato?
«Io ho dei criteri, credo semplici e comprensibili. Il primo: abbiamo bisogno di un segretario al quale non si possa attribuire la responsabilità della situazione nella quale ci troviamo, un uomo o una donna – insomma – che non venga dal gruppo dirigente che ha fatto tanti errori, altrimenti tanto vale chiedere a Bersani di restare fino al Congresso».
Il secondo criterio?
«Vorrei un segretario che non venisse scelto perchè di sinistra o perchè del centro: vorrei, per esser chiari, un segretario semplicemente democratico. E che, uscendo eletto dall’Assemblea, non pensi di avere un futuro quanto – piuttosto – un compito: gestire il partito fino al Congresso con la collegialità ».
Nomi ne circolano tanti, perfino troppi, segno che il Pd è del tutto diviso: lei non teme possibili scissioni?
«Non ho questo timore. Mi preoccupano, piuttosto, tentazioni che potrebbero farci dell’altro male».
Per esempio?
«Stavolta la sconfitta è stata bruciante, tanto che non l’abbiamo ammessa, rifugiandoci in giochi di parole: non vorrei che quanto accaduto faccia rinascere nella componente ex Ds – che non ha mai vinto – la convinzione che, sfumata questa occasione, occorra rifare un partito di sinistra, che si rassegni e si accontenti, magari, di gestire una qualche forma di consociazione»
Altre «tentazioni pericolose»?
«Insistere in una interpretazione sbagliata del cambiamento. Abbiamo ceduto alla tesi che innovare vuol dire” tutti a casa”, “tutti da rottamare”. Non è così, e aver imboccato quella strada può produrre danni. Leggo e sento che la condanna in secondo grado di Berlusconi non può avere ripercussioni sul governo; leggo della necessità di una “pacificazione” che, proposta oggi, somiglia piuttosto ad una chiamata di correità . Si innovi, e avanti i giovani: ma non si può riscrivere la storia così».
Però, avendo deciso di fare un governo con il Pdl, non potete certo attaccare un giorno sì e l’altro pure il leader di quel partito, no?
«Siamo in una fase oltremodo delicata perchè c’è un governo che non è il governo del Pd, ma è presieduto dal suo vicesegretario. Questo crea problemi, inutile negarlo: e a maggior ragione reclama la scelta di un segretario che sostenga il governo, ma tenendo unito il partito e rendendo chiara ai nostri iscritti ed elettori l’eccezionalità della scelta compiuta».
Crede che il Pd possa – o addirittura debba – rinunciare alle primarie per scegliere il suo segretario?
«Possiamo discuterne, ma – per quanto mi riguarda – non sono disposta a rinunciare alle primarie. Con una avvertenza, naturalmente: che anche questa nostra ultima esperienza dimostra che non bastano per andare a Palazzo Chigi. Le primarie sono uno strumento, un metodo di selezione e di partecipazione: ma il problema che abbiamo di fronte oggi, il primo problema, è rivitalizzare il Pd, dargli una missione e riaprire i canali di dialogo con la società ».
Insomma, dopo la sbornia nuovista il ritorno alla politica tradizionale…
«Io non ho la stessa idea di alcuni circa la funzione quasi salvifica dei partiti, che pure sono importanti e vanno riformati: non credo, insomma, che la soluzione sia semplicemente nel ritorno al partito delle tessere e delle sezioni. Ma ora sappiamo che anche le primarie, da sole, non bastano. Quel che occorre è rimettere in piedi e dare un futuro al Pd: un partito, non dovremmo mai dimenticarlo, nato con vocazione maggioritaria e per essere chiaramente e decisamente alternativo alla destra».
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
UN ALTRO NO A CANDIDARSI ALLA GUIDA DEL PD
L’identikit del “traghettatore” emerso nelle ultime ore per guidare il Pd al congresso
chiama in causa anche lui, il capogruppo democratico alla Camera Roberto Speranza.
Che però sembra tirarsi fuori: «Io sono innamorato del mio lavoro di capogruppo. La mia ambizione oggi è guidare il gruppo, non il partito».
Presidente, è innegabile: il suo nome gira. È disponibile?
«Vengo da una lunga esperienza di amministrazione comuna-le, poi alla segretaria regionale. Ora capogruppo. È l’esperienza più bella che mi sia capitata, non ho alcuna altra ambizione che farlo al meglio».
Ma se il partito chiama…
«Il partito mi ha chiamato e non mi sono tirato indietro. Affidando a me, alla prima legislatura, il secondo gruppo parlamentare più grande della storia repubblicana. Una scelta coraggiosa, forse anche sorprendente. Non ho altre ambizioni».
Andiamo al cuore del problema: la chiamassero, direbbe no?
«Ho la sensazione che si parli troppo di persone e troppo poco della visione. La personalizzazione della politica è uno dei limiti di questa fase, perchè non basta una persona. Non servono demiurghi, serve uno sforzo collettivo di ricostruzione».
Non mi sembra un no.
«Penso di essere stato chiarissimo ».
Dice?
«E’ sbagliato partire con un balletto di nomi. La mia ambizione oggi è guidare il gruppo, non il partito».
Questa sembra un no.
«Le ripeto: sono innamorato del mio lavoro. E non ho altre ambizioni».
Non è che teme di trovarsi a gestire una polveriera?
«Il Pd deve trovare la sua strada. Fare un congresso vero in tempi brevi. Dobbiamo darci una guida che ci accompagni verso l’assise, per rispondere alle grandi domande che sono affiorate. Il merito delle dimissioni di Bersani – a cui tutto il partito deve essere grato – è stato quello di far assumere a tutti le proprie responsabilità ».
Lei dice: lasciamo perdere i nomi. Però guida la task force a cui spetta l’istruttoria per individuare il nome del traghettatore.
«Non è il problema di quel nome o di quell’altro. Non è un problema di correnti o correntine. Siamo a un passaggio decisivo, dobbiamo capire qual è la nostra funzione storica, a sei anni dalla nostra fondazione. Se invece…».
Dica.
«Se invece il dibattito congressuale diventasse solo una conta, commetteremmo un errore non recuperabile. C’è la dinamica sbagliata di leggere tutto dentro dinamiche di aree, correnti, correntine. Se partiamo dal nome, anche il mio, sbagliamo».
Che esistano correnti, anche in conflitto, è difficile da confutare.
«Ma noi ora siamo a un passaggio in cui è in discussione cos’è il partito. Non si può risolvere la questione con lo sport – molto diffuso – di testare il tasso di gradazione di vicinanza a un leader piuttosto che a un altro».
C’è un nome che considera più adeguato per l’incarico di reggente?
«In queste ore sono circolati tanti nomi autorevoli, ma la personalizzazione è un limite».
Che tempi immagina per il congresso?
«Bisogna evitare un congresso usa e getta, un’assise che si organizzi in dieci giorni. Penso che i circoli e i militanti debbano essere chiamati a discutere dell’identità del Pd. Penso che si arriverà a superare l’estate».
Congresso dopo l’estate dunque. Quanto al reggente, deve durare fino al congresso?
«Penso a una figura che ci accompagni al congresso».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
ITALIA TRA I PAESI PIU’ RETRIVI, USA E FRANCIA I PIU’ APERTI
La maggior parte dei Paesi europei, ad eccezione della Francia, regola il diritto di cittadinanza con lo jus sanguinis, come in Italia quindi, ma con norme meno rigide.
Negli Stati uniti, nazione liberista tanto cara al centrodestra italiano, vige invece lo jus soli.
GERMANIA
Vige il diritto di sangue, ma le procedure per ottenere la cittadinanza sono più semplici e rapide che in Italia: dal 2000 basta che uno dei genitori abbia il permesso di soggiorno permanente da almeno tre anni e viva nel Paese da almeni 8 anni per concedere al minore straniero la cittadinanza.
FRANCIA
Esiste lo jus soli dal lontano1515, con la variante “doppio jus soli”: è più facile ottenere la cittadinanza per uno straniero nato nel Paese da genitori stranieri a loro volta nati in Francia.
GRAN BRETAGNA
Acquista la cittadinanza chi nasce in territorio britannico anche da un solo genitore cittadino britannico o che è legalmente residente nel Paese a certe condizioni (si deve possedere “l’indefinite jeave to remain” o il “Right of abode”).
SPAGNA E PORTOGALLO
Versione morbida dello jus sanguinis: diventa cittadino chi nasce da padre o madre spagnola oppure chi nasce nel Paese da genitori stranieri di cui ameno uno deve essere nato in Spagna.
OLANDA
La nascita sul territorio non garantisce la cittadinanza. Chi invece è nato dopo il 1985 da un padre o una madre olandesi sposati, o da madre non olandese sposata, acquista automaticamente la nazionalità olandese, anche se nasce fuori dal territorio.
USA E CANADA
Ius soli; chi nasce negli Usa è cittadino americano, tranne i figli di diplomatici stranieri. E lo è anche chi non nasce in territori nazionale, ma da genitori americani e almeno uno è stato residente negli Usa. E’ sufficiente anche un solo genitore americano se è vissuto almeno cinque anni nel Paese prima delle nascita, di cui almeno due dopo i 14 anni di età
(da “il Secolo XIX“)
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
“LO IUS SOLI NON PUO’ ESSERE DECISO DA UN GRUPPETTO DI PARLAMENTARI, MA SOLO DOPO UN REFERENDUM”: PER LE SUE CAZZATE INVECE SONO SUFFICIENTI DEPUTATI E SENATORI
Un referendum sullo ius soli. Un post sul blog di Beppe Grillo riaccende il dibattito sulla
proposta del neo ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge per una legge sulla cittadinanza.
Un tema, quello della cittadinanza agli stranieri, che già in passato aveva provocato accese discussioni, anche dentro al movimento 5 stelle, dopo le prese di posizione contrarie espresse dallo stesso Grillo.
E che ora torna con un post non firmato (e pubblicato nella colonna dei mini-post del blog) ma evidentemente, se non attribuibile allo stesso Grillo, in linea con le posizioni del Movimento e del suo capo.
In Europa lo ius soli non esiste, “se non con alcune eccezioni estremamente regolamentate”, viene sottolineato (invece esiste in Francia n.d.r.).
Poi il quotidiano attacco alla sinistra: “Dalle dichiarazioni della sinistra che la trionferà (ma sempre a spese degli italiani) non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano. Lo ius soli se si è nati in Italia da genitori stranieri e si risiede ininterrottamente fino a 18 anni è già un fatto acquisito. Chi vuole al compimento del diciottesimo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano”, si legge nel post.
Che grande analisi… lo sappiamo tutti.
“Questa regola può naturalmente essere cambiata — prosegue – ma solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita”.
Infatti questa non può essere una decisione “lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente” (come lui, insomma).
Inoltre, il dibattito non dovrebbe rimanere circoscritto all’Italia.
“Ancor prima del referendum — conclude il post — lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della Ue. Chi entra in Italia, infatti, entra in Europa”.
Infatti in tutta Europa ci hanno già pensato con leggi ben meno discriminanti delle nostre, ma questo gli ignoranti non lo sanno.
“Finalmente una posizione chiara e condivisibile da Grillo: “no allo ius soli salvo referendum”, arriva in soccorso La Russa.
Il problema, però, è che in Italia non esiste il referendum propositivo.
”Grillo evidentemente non lo sa, ma pazienza! — prosegue La Russa — bisogna che ci sia un impegno sin d’ora a promuovere un referendum abrogativo se la maggioranza votasse una legge siffatta”.
”In un Paese che ha conosciuto l’oltraggio e la vergogna delle leggi razziali, Grillo evidentemente pensa che la bandiera dei diritti e dell’accoglienza non debba sventolare”. Così Nichi Vendola, leader di Sinistra ecologia e libertà , risponde alla richiesta di un referendum avanzata dall’ex comico genovese.
Poi replica all’ironia di Grillo, che qualche giorno fa aveva postato un fotomontaggio in cui era raffigurato a braccetto con La Russa. “Grillo vuole denigrare Sel. Lui, invece, non ha nemmeno bisogno di un fotomontaggio perchè -ha detto Vendola- condivide le opinioni di La Russa”.
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
“SI E’ GIA’ DETTO TUTTO, NON LO SO…SIAMO GIA’ QUA (IN PARLAMENTO) E GIA’ E’ UNA TRAGEDIA QUESTA, VOGLIAMO AGGIUNGERNE UN’ALTRA?”
Le due rappresentazioni di Genova, quella del popolo che piange nove sue vittime e quelli di un rappresentante della Casta che ormai ne fa parte integrante.
Le sirene delle navi ormeggiate suonano insieme. E all’inizio fa una strana impressione, perchè sembra come un lamento, un singhiozzo di dolore.
Poi sale di intensità , mette i brividi, diventa assordante.
Si trasforma in un urlo di rabbia, che dal porto rimonta lungo i carruggi del centro storico e si diffonde per tutta Genova.
La città si ferma, rende onore ai suoi caduti. Si ferma perchè è il cuore – il porto – che smette di battere.
I vigili del fuoco al Molo Giano, che ancora scavano tra le macerie alla ricerca delle ultime due vittime, si tolgono i caschi per rispetto. In tutti i quartieri i negozi abbassano le saracinesche. Minuti che sono un’eternità .
Che finiscono per mutare la tristezza in collera, la rassegnazione in consapevolezza.
In piazza Matteotti, dove in cinquemila si sono dati appuntamento per celebrare il lutto, gli operai del porto quasi strappano il microfono di mano a don Luigi Molinari, cappellano del lavoro. Gli chiedono di fare un passo indietro. Di lasciarli parlare.
«È dalla notte che sono morti, che abbiamo incrociato le braccia. Ma agli armatori, ai terminalisti, agli imprenditori, non importa. Le navi vanno, i container viaggiano. L’importante è produrre, guadagnare. Mentre si recuperano i cadaveri».
Se la prendono con chi ora «dalla poltrona fa le condoglianze, mentre noi continuiamo a rischiare la vita». Qualche ora più tardi, attraverso il delegato della Cgil, i camalli della Compagnia Unica prenderanno le distanze «da chi parla in pubblico senza dire chi sta rappresentando ».
Ma intanto la febbre ha contagiato tutti, indurendo l’animo di una città in crisi e depressa, da troppo tempo sull’orlo di una crisi di nervi. Dall’altra notte si respira un’atmosfera diversa, perchè è una ferita troppo profonda e chissà quando si rimarginerà .
Il sindaco Marco Doria prova a calmare gli animi, racconta di «una comunità che deve dimostrare coesione, che deve ricostruire proprio in un momento così difficile. Genova lo ha saputo fare tante volte, ci riuscirà anche in questa occasione».
Interviene il cardinale Bagnasco, intuisce che il momento non è mai stato così delicato: «Ma questa tragedia, questo momento durissimo, non ci devono abbattere. Preghiamo perchè il colpo subito dalla nostra città serva per far riscattare Genova – dice – , e auguriamoci che ci sia un ulteriore risveglio da parte di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità “.
Ma l’impressione è che quel suono delle sirene continuerà a riecheggiare a lungo nelle orecchie dei genovesi.
A Roma uno dei genovesi più noti, visto che guida il secondo partito del nostro Paese, in quello stesso momento presiede un’assemblea dei suoi parlamentari.
L’argomento principe è di elevata qualità morale: che fare della diaria di 3.600 euro al mese che spetta a un deputato?
Rendicontare o no?
Restituire l’eccedenza o meno?
Mentre a Genova la gente ha le lacrime agli occhi, a Roma qualcuno discute di questo: spettacolo indegno da guitti di avanspettacolo degno della peggiore Prima Repubblica.
Il capocomico viene avvicinato da un giornalista che gli chiede un commento sulla tragedia avvenuta in porto a Genova e di cui parla tutto il mondo.
Questa la testuale risposta umana e politica: “Si è già detto tutto, non lo so… son cose, son tragedie. Siamo già qua e già è una tragedia questa… vogliamo aggiungercene un’altra?“.
Ovvero la tragedia vera è il Parlamento, il resto sono tutte cazzate su cui non vale la pena spendere una parola di analisi o di solidarietà .
La cosa importante è porre fine alla lite interna sulla diaria, non essere presente a fianco dei genovesi nel giorno del lutto.
E questo dovrebbe essere il politico “vicino al popolo”?
Non è neanche degno di mantenere la cittadinanza della nostra città .
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
INDECISI TRA ABOLIZIONE E RINVIO, I MINISTRI PRENDONO TEMPO NULLA ANCHE PER CASSA INTEGRAZIONE E TAGLIO AGLI STIPENDI
Doveva essere un Consiglio dei ministri tranquillo, rapido, una dimostrazione di efficienza
e concordia nella maggioranza.
Invece no: il primo vertice dei ministri del governo Letta si chiude tra gli imbarazzi e senza decisioni.
Niente blocco dell’Imu sulla prima casa, niente fondi per la cassa integrazione in deroga, niente abolizione degli stipendi dei ministri che sono anche parlamentari.
“Il Comsiglio dei ministri ha avviato la discussione”, dice in tv il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, che lascia palazzo Chigi dopo una quarantina di minuti per andare a Otto e Mezzo, su La7, dove evita con cura di dare dettagli.
Annuncia che di Imu si tornerà a parlare nel ritiro nel convento toscano voluto dal premier Enrico Letta, in teoria solo per “fare spogliatoio”.
Ma servirà anche a recuperare un po’ di tempo perduto.
Eppure alle sette di sera, mentre Letta apriva il Consiglio dei ministri dopo aver incontrato il segretario di Stato americano John Kerry, da palazzo Chigi dicevano: tutto a posto, due decreti, uno per l’Imu e la cassa integrazione, uno per gli stipendi dei ministri, il cui risparmio sarà simbolicamente usato come (piccola e parziale) copertura per aiutare i lavoratori in difficoltà . Ma poi tutto si è complicato.
La versione ufficiale è che tra i ministri c’è una “piena intesa sugli obiettivi” ma poi la discussione si è bloccata su alcuni dettagli tecnici.
Il danno di immagine prodotto da questi dettagli è però evidente, Roberto Maroni, segretario della Lega Nord, scrive subito su Twitter: “Prima promessa mancata del governo”.
Lo stallo non è soltanto nei cavilli da ragioneria dello Stato, è anche politico.
Il governo Letta non scioglie un dubbio: la sospensione della rata a giugno, ormai sicura, è soltanto un rinvio oppure una cancellazione?
La risposta è decisiva, sia per il Pdl — che vuole abolire l’Imu sulla prima casa — ma anche per gli effetti economici della misura: soltanto se gli italiani saranno sicuri che a dicembre, con la seconda rata, non ci sarà una stangata pesante cominceranno a spendere un po’, facendo salire i consumi.
La linea ufficiale resta che nel discorso programmatico Letta ha parlato di sospensione e quella sarà .
Ma il Pdl non si rassegna.
Gli ostacoli sono comunque molti: i Comuni vogliono essere sicuri di ottenere comunque i 2 miliardi che dovevano incassare dall’Imu, il Sole 24 Ore ha iniziato una campagna per chiedere che anche i capannoni industriali ottengano uno sgravio, o che almeno non venga addossato a loro il peso dell’Imu tolta alla prima casa, e c’è anche una questione relativa ai terreni agricoli, anch’essi gravati dall’Imu.
Dice Saccomanni: “Ci sono alcune cose che stiamo esaminando che riguardano per esempio certi immobili agricoli utilizzati come abitazione anche se fanno parte di impresa agricola”. Pare che il problema sia così complesso da aver richiesto ulteriori approfondimenti.
Tutto rinviato, così come la cassa integrazione in deroga: “L’importo lo vedremo nei prossimi giorni”, si limita a dire Saccomanni, che ricorda come la copertura sarà trovata “usando fondi già stanziati nel-l’ambito del bilancio del ministero del Lavoro, fondi che non sono stati impegnati” (in gran parte relativi alla formazione aziendale).
E comunque sarà una copertura “parziale”, in attesa di una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali che il ministro del Welfare Enrico Giovannini annuncerà a breve.
Il governo Letta sta cercando di fare quello che gli riesce meglio: prendere tempo.
Bisogna arrivare al 29 maggio senza sbavature, senza tradurre nei conti pubblici quelle promesse un po’ eccessive che il premier ha dovuto fare nel discorso di insediamento.
Quel giorno la Commissione europea deciderà l’ormai scontata chiusura delle procedura d’infrazione per deficit eccessivo aperta nei confronti dell’Italia nel 2009: con un deficit sotto il 3 per cento, l’Italia può tornare nella lista dei Paesi virtuosi.
Da quella posizione, Letta lo ha già annunciato, cercherà di rinviare l’aumento dell’Iva di un punto già previsto per luglio (vale 2 miliardi nel 2013 e poi 4 dal 2014 in poi), chiedere fino a un miliardo di fondi europei per combattere la disoccupazione giovanile, co-finanziati con risorse italiane.
Saccomanni ha spiegato anche che, una volta fuori dalla procedura, si potranno usare altri 10-12 miliardi di fondi europei (anche questi da co-finanziare con altrettani miliardi dallo Sato italiano) che non finiranno nel deficit ma saranno considerate come investimenti.
Sbagliare i tempi e stabilire spese eccessive prima del 29 maggio potrebbe compromettere tutta la strategia europea.
Per la fortuna di Letta il Pdl pare deciso a far durare il governo, almeno per un po’, e sta approfittando delle disavventure giudiziarie di Silvio Berlusconi per svicolare dallo stallo che si era creato con l’ultimatum “o Imu o morte”.
Ormai anche Renato Brunetta, il bellicoso capogruppo Pdl, ha diradato le dichiarazioni in materia.
Ma quando ci sarà la decisione ufficiale di Letta sull’Imu, che non recepirà tutte le richieste del centrodestra, già si prevedono strepiti.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 10th, 2013 Riccardo Fucile
IN VENTI ANNI EVASI CENTINAIA DI MILIONI: LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI APPELLO
Si torna in piazza, come ai bei tempi. Tutti «con Silvio», che nei giorni festivi rispolvera la mimetica e l’elmetto, smettendo i panni inconsueti e severi dello Statista indossati nei giorni feriali.
Contro le «toghe rosse». Contro la «gogna a regola d’arte». Contro «le procure d’assalto», gli «inquisitori accaniti», i «grandi orologiai» che regolano sapientemente le loro lancette sulle fortune del Cavaliere.
Soprattutto, contro quest’ultima «sentenza impresentabile » nel processo d’appello sui diritti cinematografici Mediaset, che conferma una condanna pesantissima a carico di Silvio Berlusconi.
Di fronte all’ennesima, grave disavventura giudiziaria del suo leader, la grancassa della destra produce il solito rumore.
Un fragoroso profluvio di stilemi indignati e di frasi già fatte, che servono a confondere e a nascondere. Tutti si chiedono «cosa succede», adesso che l’ossessione giudiziaria del capo del Pdl minaccia la già fragilissima esistenza del «governo di servizio» guidato da Enrico Letta.
Ma nessuno si chiede piuttosto «cosa è successo », per giustificare una sanzione così devastante a carico del principale «azionista di riferimento» della stranamaggioranza tripartisan.
Quella che si deve confondere, agli occhi dell’opinione pubblica, è l’anomalia storica di un imprenditore che ha scelto di «scendere in campo» anche per sottrarsi al giudice penale, con la pretesa di riconoscere come suo unico giudice naturale il popolo sovrano.
Oggi, complice una sinistra distrutta e disarmata, Berlusconi azzarda una sottile operazione culturale: risorgere come «uomo di Stato», attraverso la «grande politica » delle larghe intese, che monda ogni peccato e depotenzia ogni reato.
Solo in questo modo, come teorizza Giuliano Ferrara, potrà «obliterare ogni valore morale delle condanne che lo riguardano».
Quella che si deve nascondere, agli occhi dei cittadini-elettori, è la responsabilità penale di un imputato «eccellente» e tuttora innocente (fino al giudicato definitivo) ma che ha già subito 17 processi, 14 assoluzioni (10 per effetto delle leggi ad personam) e 3 condanne, compresa l’ultima dell’altroieri.
Oggi, complice la propaganda egemone e il nuovo clima di «unità nazionale», Berlusconi ritenta l’audace colpo: banalizzare la verità dei suoi reati dietro la cortina fumogena della «persecuzione giudiziaria».
Solo in questo modo si può cambiare il nome alle cose, sollevando un polverone intorno alla forma (una «sentenza folle basata solo sull’eliminazione dell’avversario per via giudiziaria ») per coprire la sostanza (ll contenuto di quella stessa sentenza, che lo inchioda a 4 anni di carcere e 5 anni di interdizione).
E allora vale la pena di rileggerla, questa pronuncia della Corte d’Appello di Milano, che ricalca e conferma quella di primo grado dell’ottobre 2012.
Vale la pena di capire cosa c’è dietro quella condanna per «frode fiscale».
Detta così sembra poco, e invece rivela un sistema di «gestione aziendale» che, attraverso la provvista estera e i fondi neri, è quasi sempre al servizio della «corruzione politica».
Ieri a vantaggio di Craxi e di Metta. Oggi (verrebbe da pensare) del faccendiere Lavitola o del senatore De Gregorio.
LA FRODE FISCALE: PERCHà‰ SERVONO I FONDI NERI
Al Cavaliere, per il periodo 2002 e 2003, viene contestata una frode al fisco di circa 7 milioni di euro, per l’acquisto di diritti su film e prodotti tv comprati e rivenduti, a prezzi gonfiati, tra società offshore controllate dalla stessa Mediaset.
I pm De Pasquale e Spadaro avevano scoperto operazioni fraudolente per 370 milioni di dollari.
All’inizio del processo Berlusconi era infatti indagato anche per appropriazione indebita e falso in bilancio.
Ma le leggi ad personam hanno dato buoni frutti: due capi d’imputazione sono caduti, grazie alla prescrizione accorciata.
L’entità delle cifre si è ridotta. Ma lo schema scoperto e descritto dai magistrati, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, è chiarissimo.
«Le imputazioni descrivono un meccanismo fraudolento di evasione fiscale sistematicamente e scientificamente attuato fin dalla seconda metà degli anni ’80 nell’ambito del gruppo Fininvest, connesso al cosiddetto “giro dei diritti televisivi”… I diritti di trasmissione televisiva, provenienti dalle majors o da altri produttori e distributori, venivano acquistati da società del comparto estero e riservato di Fininvest, e quindi venivano fatte oggetto di una serie di passaggi infragruppo, o con società solo apparentemente terze, per essere poi trasferite ad una società maltese che a sua volta li cedeva, a prezzi enormemente maggiorati, alle società emittenti. Tutti questi passaggi erano privi di qualunque funzione commerciale… ».
Dunque, dagli atti si evince un dispositivo contabile codificato e finalizzato a produrre denaro fittizio.
Secondo i magistrati, Berlusconi ne era «il dominus indiscusso».
«Il cosiddetto “giro dei diritti” si inserisce in un contesto più generale di ricorso a società offshore anche non ufficiali ideate e realizzate da Berlusconi avvalendosi di strettissimi e fidati collaboratori quali Berruti, Mills e Del Bue».
La «riferibilità » al Cavaliere della «ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto», secondo la sentenza, è «pacifica».
Com’è altrettanto pacifico che l’intero meccanismo sia stato ideato «per il duplice fine di realizzare un’imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio Fininvest/Mediaset a beneficio di Berlusconi ».
Il Cavaliere è «l’ideatore ».
Ma anche il «beneficiario » e, come direbbe Ghedini, «l’utilizzatore finale ».
Ma a cosa è servito questo «disegno criminoso », che secondo i giudici dimostra la «naturale capacità a delinquere» del capo della destra italiana?
Che uso è stato fatto, nel corso del tempo, di questo fiume sommerso di soldi finiti nella disponibilità dell’ex premier anche dopo la sua discesa in campo del ’94?
La risposta, in buona parte, sta ancoranegli atti giudiziari e nelle sentenze.
Non solo nell’ultima, che riguarda i diritti tv.
Ma anche nelle precedenti, e non meno inquietanti.
ALL IBERIAN E CRAXI, MILLS E LE MAZZETTE AI GIUDICI
Il «motore» della macchina che sforna i fondi neri, come spiega la Corte d’appello, è custodito nel «comparto estero di Fininvest», cioè nelle società offshore, situate in Paesi come le Isole Vergini, il Jersey e le Bahamas… sui conti delle quali… far transitare il denaro…».
L’esistenza di queste società è «documentalmente provata». Century One e Universal One, Principal Communication e Principal Network. Edsaco e Amt. Medint e Lion. Poi Arner e Ims. Una rete di spa più o meno occulte.
Le prime fanno parte del «Fininvest Group B», cioè il «comparto estero riservato» sul quale la casa madre del Cavaliere ha scaricato, dalla fine degli anni ’80, gli «affari sporchi».
Non lo dice solo la sentenza della Corte d’appello dell’altroieri. Ma l’intera parabola processuale di Berlusconi, che testimonia l’esistenza di un polmone finanziario pensato e costruito per pagare tangenti.
I giudici di secondo grado, non a caso, citano la pronuncia con la quale il 25 febbraio 2010 la Cassazione ha condannato in via definitiva Mills, che per coprire Berlusconi dichiara il falso in aula.
«Per la Fininvest — scrive la Suprema Corte — erano state create tra 30 e 50 società , costituite prevalentemente nelle Isole del Canale e nelle Vergini… Tra queste società vi era All Iberian, con sede a Guernsey, divenuta nel corso della propria attività “la tesoreria di un gruppo di società offshore”… Per evitare gli effetti della Legge Mammì (che aveva fissato un tetto al possesso delle reti televisive in Italia) era stata utilizzata la società Horizon, posseduta da Mills, che aveva costituito la società lussemburghese Cit…».
Più avanti gli stessi giudici di Cassazione, citando un’altra sentenza definitiva emessa nella vicenda Arces, ricordano che sempre dal segretissimo «Fininvest Group B» vennero fuori le mazzette con le quali «la Guardia di Finanza era stata corrotta affinchè non venissero svolte approfondite indagini in ordine alle società del gruppo Fininvest».
E infine, ancora la Cassazione ricorda che anche «i fatti relativi all’illecito finanziamento in favore di Bettino Craxi da parte di Fininvest, sempre attraverso All Iberian, erano stati definitivamente dimostrati, sulla base di plurime prove testimoniali e documentali…».
A questo punto si può trarre qualche conclusione.
Gli atti certificano, ancora una volta, che i soldi del comparto B delle società Fininvest, direttamente riconducibile a Berlusconi, servirono a foraggiare politici e magistrati fin dai tempi della Prima Repubblica.
Si conferma (come scrisse Giuseppe D’Avanzo sul nostro giornale, l’ultima volta nel luglio 2011) che sulle oltre 60 società del Group B «very discreet» della Fininvest transitarono allora fondi neri per quasi mille miliardi di lire.
I 21 miliardi che hanno ricompensato Craxi per la legge Mammì. I 91 miliardi,poi trasformati in Cct, erogati per la stessa ragione ad «altri politici» mai scoperti.
Le risorse destinate da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma, tra i quali Vittorio Metta, per manipolare il verdetto sulla battaglia di Segrate.
Gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Mondadori, Standa, Rinascente.
Questo dicono le carte, a dispetto delle urla di piazza del Cavaliere e delle chiacchiere da talk show dei suoi corifei.
E questo, oggi più che mai, è importante e doveroso ricordare, per non cedere al «cupio dissolvi» collettivo in nome del quale si vuole riscrivere la Storia italiana di questi anni.
Dice un deputato pdl: «In questi giorni che vedono le forze politiche faticosamente impegnate in una fase di pacificazione e di coesione nazionale, il Palazzo di giustizia di Milano appare sempre più come quel giapponese armato fino ai denti, inconsapevole della fine della guerra…».
Ecco l’arma finale per la «distrazione di massa». In questo Ventennio, in Italia, non c’è stata nessuna «guerra».
Ma anche ammesso che ci sia stata, e che ora sia finita grazie al condono tombale e morale delle «larghe intese», quello che non può finire è lo Stato di diritto.
È il primato della Costituzione, che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla legge.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
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