INTERVISTA A ROBERTO SPERANZA: “REGGENTE PD? NO GRAZIE, PREFERISCO FARE IL CAPOGRUPPO ALLA CAMERA”
UN ALTRO NO A CANDIDARSI ALLA GUIDA DEL PD
L’identikit del “traghettatore” emerso nelle ultime ore per guidare il Pd al congresso chiama in causa anche lui, il capogruppo democratico alla Camera Roberto Speranza.
Che però sembra tirarsi fuori: «Io sono innamorato del mio lavoro di capogruppo. La mia ambizione oggi è guidare il gruppo, non il partito».
Presidente, è innegabile: il suo nome gira. È disponibile?
«Vengo da una lunga esperienza di amministrazione comuna-le, poi alla segretaria regionale. Ora capogruppo. È l’esperienza più bella che mi sia capitata, non ho alcuna altra ambizione che farlo al meglio».
Ma se il partito chiama…
«Il partito mi ha chiamato e non mi sono tirato indietro. Affidando a me, alla prima legislatura, il secondo gruppo parlamentare più grande della storia repubblicana. Una scelta coraggiosa, forse anche sorprendente. Non ho altre ambizioni».
Andiamo al cuore del problema: la chiamassero, direbbe no?
«Ho la sensazione che si parli troppo di persone e troppo poco della visione. La personalizzazione della politica è uno dei limiti di questa fase, perchè non basta una persona. Non servono demiurghi, serve uno sforzo collettivo di ricostruzione».
Non mi sembra un no.
«Penso di essere stato chiarissimo ».
Dice?
«E’ sbagliato partire con un balletto di nomi. La mia ambizione oggi è guidare il gruppo, non il partito».
Questa sembra un no.
«Le ripeto: sono innamorato del mio lavoro. E non ho altre ambizioni».
Non è che teme di trovarsi a gestire una polveriera?
«Il Pd deve trovare la sua strada. Fare un congresso vero in tempi brevi. Dobbiamo darci una guida che ci accompagni verso l’assise, per rispondere alle grandi domande che sono affiorate. Il merito delle dimissioni di Bersani – a cui tutto il partito deve essere grato – è stato quello di far assumere a tutti le proprie responsabilità ».
Lei dice: lasciamo perdere i nomi. Però guida la task force a cui spetta l’istruttoria per individuare il nome del traghettatore.
«Non è il problema di quel nome o di quell’altro. Non è un problema di correnti o correntine. Siamo a un passaggio decisivo, dobbiamo capire qual è la nostra funzione storica, a sei anni dalla nostra fondazione. Se invece…».
Dica.
«Se invece il dibattito congressuale diventasse solo una conta, commetteremmo un errore non recuperabile. C’è la dinamica sbagliata di leggere tutto dentro dinamiche di aree, correnti, correntine. Se partiamo dal nome, anche il mio, sbagliamo».
Che esistano correnti, anche in conflitto, è difficile da confutare.
«Ma noi ora siamo a un passaggio in cui è in discussione cos’è il partito. Non si può risolvere la questione con lo sport – molto diffuso – di testare il tasso di gradazione di vicinanza a un leader piuttosto che a un altro».
C’è un nome che considera più adeguato per l’incarico di reggente?
«In queste ore sono circolati tanti nomi autorevoli, ma la personalizzazione è un limite».
Che tempi immagina per il congresso?
«Bisogna evitare un congresso usa e getta, un’assise che si organizzi in dieci giorni. Penso che i circoli e i militanti debbano essere chiamati a discutere dell’identità del Pd. Penso che si arriverà a superare l’estate».
Congresso dopo l’estate dunque. Quanto al reggente, deve durare fino al congresso?
«Penso a una figura che ci accompagni al congresso».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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