Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
DALLE SINERGIE, ANCHE SOCIETARIE, CON LA «TV» DI SANTORO E «IL FATTO» SI È CREATO UN TERZO POLO CHE FA POLITICA A TUTTO TONDO E CHE PASSA DALLE MAGLIE DELL’ANTITRUST
Tra le tante leggende che aleggiano attorno alla figura politica di Beppe Grillo c’è n’è una che
andrebbe smontata.
Ed è quella che l’ascesa del movimento politico legato al comico genovese, il Movimento 5 Stelle, sia dovuta solo all’utilizzo di Internet e che la sua fortuna elettorale sia nata con un innovativo metodo di comunicazione.
Che all’origine del fenomeno ci sia cioè un metodo tutto centrato, come teorizzato da Gianroberto Casaleggio, guru e deus ex machina del movimento, sul web.
La genesi del fenomeno Grillo, invece, è differente.
La sua immagine è stata costruita e cementata nel tempo da una vera e propria fabbrica del consenso che è partita certamente dal web, ma ha utilizzato, per il grande salto, soprattutto televisione e carta stampata.
Con la creazione, alla fine, di un vero e proprio network ambientale legato e diretto in base a un’unica strategia.
Per capire la costruzione di un’opera fortificata nel corso degli anni bisogna ridisegnare il perimetro di quello che sino a ieri eravamo abituati a considerare come un normale network dell’informazione.
Partendo dai criteri economici comuni, consideriamo un network di informazione quello che, in maniera diretta o indiretta, fa capo ad un unico soggetto proprietario.
Ad esempio: il gruppo l’Espresso, quotato in Borsa, è nelle mani di De Benedetti, News Corp, invece, ha come principale azionista Rupert Murdoch.
Questo modello, applicato all’informazione, prevede enormi investimenti, e vista la capitalizzazione corrente rende pressochè impossibile la formazione di nuovi gruppi editoriali di dimensioni adeguate per competere sui mercati.
IL NETWORK AMBIENTALE
Ma c’è un’altra via per raggiungere lo scopo. Creare una rete tra soggetti affini che si rilanciano i rispettivi contenuti.
Senza intrecci azionari diretti o indiretti, se non minimi, senza accordi commerciali che prevedano posizioni di cartello.
Il quadro normativo italiano, che considera solo gli aspetti societari e contrattuali, non prevede una simile fattispecie.
La legge che regola l’editoria, dunque, mal si concilia con le nuove tecnologie di rete, che sono sempre più integrate tra loro con strumenti non solo interattivi e dinamici (per esempio i social network) ma in cui vi è una partecipazione diretta del pubblico nel fare la notizia (pensiamo allo street journalism o ai blog), che utilizza tutti i sistemi, dallo scritto all’audio al video alle immagini, e soprattutto che li integra, rendendo alle volte complesso definire cosa sia «tele-visione» da cosa sia giornale in senso tradizionale intesi. Dunque, al di fuori dei sistemi conosciuti e tradizionali, la nostra legge non prevede costrizioni particolari.
E se questo è un bene per la capacità di creare network, non è detto che lo sia per la trasparenza del contenuto dell’informazione.
Ed è qui che il sistema editoriale che fa riferimento a Grillo e gestito dalla Casaleggio e associati si muove.
In compagnia di chi? Del giornale il Fatto Quotidiano e della televisione di Santoro, Servizio Pubblico.
Come si costruisce un sistema non tradizionale, «un network ambientale»?
Il punto di partenza è la ricerca ed individuazione di un pubblico di riferimento. In Italia non è stato molto difficile.
La crisi sistemica della nostra politica, ingigantita da quella economica, ha saldato una base di scontenti che prima di allora era spalmata e senza guida.
L’impresa, ovviamente, ha richiesto intelligenza e professionalità , tuttavia alla fine si è catalizzato il malcontento e il pubblico di riferimento è stato trasformato in «base permanente», solida, quantificabile e valorizzabile.
Il pubblico è audience, e in questa ottica genera risorse, che servono per rafforzare e finanziare il network.
Per la prima volta quel pubblico si è sentito parte integrante di un progetto.
L’aggancio al network di Grillo è avvenuto con delle tecniche basilari nel mondo dell’informazione web.
Le più diffusa è quella del rilancio dei rispettivi contenuti, in maniera da effettuare un travaso «spontaneo» più o meno fisso di lettori da un portale all’altro.
È normale che ciò avvenga ad esempio tra soggetti facenti capo ad uno stesso gruppo editoriale, in maniera dichiarata, come ad esempio la Repubblica, che rilancia su carta e sul web contenuti de l’Espresso o di Radio Capital.
Ed in questi casi al lettore è manifesta sia la linea editoriale sia le testate che il gruppo societario-editoriale di riferimento, ed al mercato è noto anche il soggetto che gestisce le inserzioni, siano esse esplicite o quelle editoriali-redazionali.
Più complesso se ciò avviene senza questa stessa linea chiara e dichiarata. Naturalmente questo pubblico non deve uscire dal recinto delimitato.
E come si fa? I contenuti del blog del comico genovese sono strutturati in modo da non portare traffico diretto all’esterno.
Al massimo può generare accessi a siti a lui riconducibili: TzeTze, Cadoinpiedi, Chiarelettere, Movimento 5 Stelle e i social immediatamente riconducibili alla stessa gestione.
Per fare questo si usano regole ferree e precise. Ad esempio: in qualsiasi articolo scritto, commento interno, video o altro contenuto, va evitato di pubblicare link esterni al network, e soprattutto va il più possibile evitato anche solo di citare soggetti esterni.
Una seconda via riguarda l’indicizzazione dei contenuti. Basta, ad esempio, lasciare intuire che si parli di qualcuno senza citarlo che il sistema di indicizzazione della rete lo escluda dalle parole correlate.
Facciamo un esempio: se Grillo scrivesse la parola Berlusconi, la rete darebbe risultati multipli e non sempre diretti al blog di Grillo; allora basta chiamarlo «psico-nano». E così con espressioni come «PDmenoL», che contribuiscono a non cedere traffico a soggetti che in maniera diretta o indiretta sono comunque attigui e limitrofi.
Questa rete di siti Internet ha generato un traffico complessivo di circa 3,5 milioni di accessi al giorno.
Non sono poca roba. Il parco siti del gruppo l’Espresso (il più grande in Italia) ha accessi per 5 milioni di utenti al giorno.
La differenza è che il gruppo ha un bilancio certificato e visibile che ha prodotto nel 2012 21 milioni di utili. Certo De Benedetti ha anche stampa e radio.
E Grillo? Il comico genovese ha sempre detto che non ha giornali nè televisioni, e che tutto il suo successo sarebbe da attribuire alla sola rete. Numericamente il suo solo blog tre anni fa generava 300mila accessi. Dopo tre anni si è arrivato a un milione e dato che certe cose in rete non avvengono per caso, come in nessuno strumento o canale di comunicazione, cosa è accaduto?
ARCHITETTURA DI RETE
La svolta coincide quando le sinergie di contenuto e di traffico si saldano con il Fatto Quotidiano.
Basta dare un’occhiata ai dati di traffico di Alexa relativi ai flussi e agli accessi per farsi un’idea. In un primo tempo ciò avviene attraverso una serie di sinergie tra i giornalisti del Fatto, Chiarelettere, Cadoinpiedi, e soprattutto tramite il passaparola sul sito di Grillo. Attraverso questa cementazione di pubblico, anche il sito del giornale viene individuato come riferimento dal pubblico del blog di Grillo, che non solo interviene in maniera massiccia e crescente, ma che condiziona a livello ambientale la stessa linea editoriale, al punto che lo stesso Grillo che non apprezza alcun giornale dirà che «l’unico decente è il Fatto», e del resto l’unico che lo intervista è il vice-direttore Travaglio.
Il secondo passaggio è anche più significativo riguarda la trasmissione Servizio Pubblico che prende il via nell’autunno del 2011.
La stessa nasce sulle stesse parole d’ordine di partecipazione diretta del pubblico, e per essere megafono della società civile.
Ed ha come ospiti stabili proprio i giornalisti del Fatto. Anche qui: basta vedere le tabelle di «Click-stream» dei relativi siti per verificare da chi ricevono traffico e a chi lo cedono.
Se volessimo esaminare questo network secondo le logiche dell’azionariato diretto, come siamo abituati a fare per le aziende, sbaglieremo sia metro che parametro.
Il vero patrimonio dei nuovi contenitori della comunicazione è il pubblico acquisito e semmai scambiato.
Il patto, per competere, non è tanto sociale o parasociale, legato a un controllo preciso (e verrebbe da dire anche trasparente).
Il collante delle strategie di rete nel web è la capacità virale di creare audience e accessi, e questa la si misura in altro modo e con gli strumenti adeguati e propri del web come vedremo.
Certo ci sono tuttavia alcuni elementi «old economy».
Ad esempio, tra gli azionisti di Servizio Pubblico o, meglio della società che lo realizza, la Zerostudio’s, figura proprio il Fatto Quotidiano con una quota di azioni nominali pari a 45mila euro.
Il Fatto è partecipato da Chiarelettere, ed è amministrato da Cinzia Monteverde, che poi guida anche la «tv» di Santoro.
Parlare di «tv» nel caso di Santoro non è fuorviante. Servizio Pubblico è identificata come società di produzione televisiva, e non ha concessioni dirette, limitandosi a «noleggiare» la banda da Sky prima e La7 adesso.
Ma il sistema è molto border-line che sfrutta al massimo la vacatio legis per cui da un lato non puoi avere una televisione e un quotidiano ma nulla ti impedisce di produrre un contenuto e non «venderlo» a una televisione bensì noleggiare la banda di trasmissione di quella emittente senza che ciò sia incompatibile con la legge.
Anche se di fatto questo configura che per almeno due ore a settimana tu sia a tutti gli effetti una televisione.
LA MASSA DI GRILLO
Dunque è grazie alla televisione e alla sinergia con un quotidiano che il fenomeno Grillo esce dalla rete e diventa «di massa».
E ciò riguarda i soggetti, ed ancor più come vengono elaborati e gestiti i contenuti.
Se ad esempio il VDay non fosse andato in onda, sarebbe rimasta una manifestazione di piazza, così come tutte le altre che sono seguite.
Se ragioniamo in questa ottica possiamo anche scardinare il concetto della non-presenza in tv. Certo, Grillo non va ospite nei talk, ma questo conta in senso negativo o positivo? Se contiamo il minutaggio televisivo in cui Grillo è stato presente nei tg, scopriamo che ha superato quello dei leader, ad esempio del Pd (indagine statistica indipendente di CrossMedia Ltd mediante un controllo a campione di 12 tg e 24 trasmissioni di approfondimento pre elezioni e pre par condicio: Grillo va dal 35% dei tg al 53% negli approfondimenti alcuni monotematici su di lui). Quanto regge davvero la tesi secondo cui «solo web e niente tv»?
Non da ultimo va considerato quanto Grillo usi e riusi i contenuti tv e video, attraverso il proprio blog e soprattutto attraverso un vero e proprio archivio di oltre 4mila contenuti presenti sul suo canale youtube, che se considerassimo i dati dichiarati, ha un pubblico fidelizzato di circa 300mila spettatori e ha avuto uno share di oltre 103milioni di visualizzazioni.
Se consideriamo che la tutta la Rai complessivamente arriva a 570milioni e La7 è «ferma» a 46milioni, i conti sono presto fatti. Se però volessimo considerare l’intera architettura di rete, includendo nei numeri di prima, anche il traffico, il pubblico, e le relative interazioni, de Il Fatto Quotidiano e Servizio Pubblico, ci accorgeremo che, complessivamente inteso, il network ambientale raggiunge oltre 5milioni di accessi quotidiani.
Per dimostrare questa architettura di rete occorrono dati.
Un network di primo livello, solo web, lo si dimostra semplicemente verificando chi materialmente gestisce i siti.
Ed in maniera palese sappiamo che la Casaleggio Associati gestisce TzeTze, Cadoinpiedi, Chiarelettere, Beppegrillo, Movimentocinquestelle, Lacosa, i profili social, tra cui non ultimi il canale Youtube e lo streaming parlamentare…
Questo significa, però, anche gestire tutta la macchina di pubblicità diretta (ad esempio le inserzioni «adesense») quella indiretta (ad esempio il merchandising di Grillo, ma anche le affiliazioni come quella con Amazon) ed una terza, molto interessante, che riguarda le «campagne dirette», di cui troviamo notizia qui www.beppegrillo. it/adv. Anche se dei ricavi e di quanto si incassa, per ora, non abbiamo notizia.
Per quanto riguarda invece un network, che potremo chiamare allargato, dobbiamo affidarci un po’ più alla tecnologia ed entrare nel mondo della rete, anche con il lessico e con le relative categorie semantiche.
Tutte le attività che abbiamo descritto all’inizio, dal semplice commento ai re-link diretti, alle condivisioni social, hanno come obiettivo quello di spostare traffico, e direzionarlo.
IL TRAFFICO
Per dimostrarlo ci basta «misurare» il traffico, in termini di provenienza, e in termini di uscita.
Utilizzando semplicissime tabelle, espresse in dati percentuali, possiamo facilmente rilevare «da dove» il Blog beppegrillo.it riceva la maggiore percentuale di visitatori. Contemporaneamente possiamo vedere con una tabella parallela «dove vanno» quei visitatori successivamente, ovvero a chi il blog «cede» traffico.
Scopriamo ad esempio che moltissimi visitatori «cliccano» sulla pubblicità (unico modo per comprendere tanti click su Google e Amazon in uscita) e possiamo verificare anche che la crescita del sito è essenzialmente data dalla forte attività sui social network. Quanto al resto notiamo come il traffico si muova all’interno del network, mentre certamente prende pubblico, più di quanto non ne restituisca, a repubblica.it e corriere.it. Le stesse tabelle sono state elaborate sugli altri principali siti del network.
E questo mostra essenzialmente come si tratti di una strategia unica e precisa e non di una casualità .
Facciamo ora un’analisi più profonda.
Una sorta di «prova del nove» del fatto che si tratta dello stesso pubblico. Per farlo usiamo le «descrizioni ambientali», ovvero cerchiamo di capire le caratteristiche di chi visita il sito di Grillo e le paragoniamo alla stessa schematizzazione di altri siti di riferimento.
Queste tabelle ci mostrano come il pubblico sia lo stesso, sotto ogni punto di vista.
Nessun network può dirsi «finito».
Non è una questione di non darsi limiti di crescita, ma semplicemente fare i conti con la realtà della competitività sui contenuti, e soprattutto perchè maggiore è il pubblico del tuo competitor e maggiori sono i rischi di perdere il terreno acquisito.
Se vogliamo avere un’idea, almeno tendenziale, di dove verrà acquisito nuovo pubblico, ci basta vedere la «rilevant list» dei siti che secondo Google e Alexa sono in qualche modo affini alla rete di Grillo: repubblica.it, arsbloggandi.blog.excite.it, unita.it, punto-informatico.it, poliziadistato.it, partitodemocratico.it, lastampa.it, ilsole24ore. com, ilgiornale.it.
E quindi non stupisce, ed acquista un senso tecnico preciso, che i contenuti del blog di Grillo (ma anche la linea editoriale de il Fatto o le trasmissioni di Santoro) e le sue posizioni politiche, si spostino su temi come la sicurezza informatica, la legalità in rete, e che vi siano attacchi sistematici alla stampa «canonica».
In termini di elettorato chiaramente questo bacino di utenza è nel centrosinistra, e la strategia è quella sin qui vincente, del commento almeno in parte spontaneo a qualsiasi articolo rilevante in termini di letture (indipendentemente dal tema).
Strategia ovviamente inimmaginabile in una blogosfera matura, ma perfettamente funzionale in un panorama in cui anche i grandi gruppi editoriali non si dotano di una strategia, e quindi di una struttura, di reazione.
Grillo la ha fatto, con stampa e tv.
Michele Di Salvo e Roberto Rossi
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
PD E SEL, ALLEATI IN GIUNTA MA DIVISI SUL REFERENDUM PER CANCELLARE UN MILIONE DI FONDI ALLE SCUOLE PRIVATE….PRODI VOTERA’ CON I VESCOVI E IL SINDACO MEROLA E CONTRO GUCCINI E RODOTA’ CHE VOGLIONO L’OPPOSTO
Come ci sia finito dentro a questo inghippo, non è chiaro: il sindaco di Bologna, Virginio Merola, è uno che pur di non avere guai è capace di condividere i pensieri di Renzi, Bersani, Prodi, D’Alema o dei ragazzi di Occupy Pd.
Non brilla per protagonismo, e neppure per le decisioni.
Un uomo diviso tra guelfi e ghibellini che si è trovato, causa di forza maggiore, a indire un referendum che non avrà nessun valore giuridico, ma che rischia di mettere in crisi la sua già vociante giunta: quello sui finanziamenti alle scuole private.
Un milione di euro che ballano sui tavoli del palazzo comunale e che il sindaco vuol concedere e concederà , ma che la Bologna laica rispedisce al mittente.
Un fuocherello, all’inizio, che rischia di generare un incendio.
Sul fronte opposto al sindaco di Bologna si sono schierati con il comitato Articolo 33 personaggi come Stefano Rodotà , Andrea Camilleri, Corrado Augias, Michele Serra, Francesco Guccini, Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Ivano Marescotti, giusto per citarne alcuni, tutti sul “non se ne parla”, niente soldi alle scuole private.
Scuole che a Bologna, ma anche nel resto d’Italia, vuol dire cattoliche.
Così Merola si è trovato catapultato in una nuova campagna elettorale, solo che due anni fa aveva al fianco Pier Luigi Bersani, Romano Prodi e Vasco Errani, quello che allora sembrava essere il vertice di un governo prossimo venturo.
Questa volta invece i suoi principali alleati sono un cardinale, l’arcivescovo Carlo Caffarra, il Pdl, la Lega Nord, impegnatissima nel montare gazebo ovunque tra le vie medievali, con tanto di palloncini verdi.
Un mix di genti a dir poco singolare: uomini del Carroccio, militanti del Pd, impiegati delle Coop rosse, parroci e suore, tutti insieme per convincere gli elettori a mettere la croce sulla B, quella che prevede il mantenimento del sistema integrato tra pubblico e privato.
E quindi anche un sostanzioso finanziamento alle scuole d’infanzia convenzionate. Non un euro di più, non un euro di meno.
Tutti gli altri sono per il no al sostegno comunale dell’educazione privata, che tradotto sulla scheda elettorale vuol dire opzione A.
E tutti gli altri vuol dire Sel, principale alleato al Pd in giunta, quello che la tiene in piedi, il Movimento 5 stelle, con i suoi due consiglieri comunali, Massimo Bugani e Marco Piazza, intellettuali, attori, personalità della cosiddetta società civile, molto poco politici. Un muro contro il quale il sindaco di Bologna, la città simbolo del Pd che fu, rischia di sbattere contro.
Perchè il referendum, essendo puramente consultivo, non avrà nessuna conseguenza immediata e non è detto che, in caso di vittoria del comitato referendario, l’amministrazione debba invertire la rotta. Anzi.
Merola può benissimo andare avanti per la sua strada.
Sarà più difficile, in questo, convincere i suoi alleati, i vendoliani, che comunque gli hanno garantito che — almeno per ora — non hanno alcuna intenzione di far cadere la giunta e rischiare un altro commissariamento dopo quello già vissuto (e non bene) con Anna Maria Cancellieri.
Una consultazione che per il momento sta dividendo molto. Due nomi su tutti: Romano Prodi e Francesco Guccini.
Da sempre, il maestrone di Pavana, come lo chiamano a Bologna, sostiene il professore: lo ha fatto nel corso delle campagne elettorali, lo avrebbe voluto come sindaco di Bologna, candidato premier, presidente della Repubblica.
Ieri Guccini — che nella sua vita, oltre a scrivere canzoni, è stato insegnante alla Dickinson College — ha preso una posizione netta: “Entrare nella scuola pubblica è il primo passo di ogni individuo che voglia imparare l’alterità e la condivisione. Ed è il primo passo di ogni essere umano per diventare uomo, per diventare donna”.
Prodi, da Addis Abeba, dove è al lavoro per l’Onu, spiega invece che il “referendum si doveva evitare perchè apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito. Il mio voto per i finanziamenti alla scuola privata è motivato da una ragione di buonsenso: perchè bocciare un accordo che ha funzionato bene per tantissimi anni e che tutto sommato ha permesso con un modesto impiego di mezzi di ampliare il numero di bambini ammessi alla scuola d’infanzia ?”.
Non stupisce la dichiarazione di Prodi: nonostante la distanza abissale che si è creata tra lui e il Pd, quello del finanziamento alle scuole private è un provvedimento voluto dal suo governo il 5 agosto 1997.
Se la partita fosse decisa dagli intellettuali il fronte del no avrebbe già vinto.
Oltre a Prodi, di nomi spendibili il sindaco di Bologna ne ha ben pochi: Maurizio Lupi, Maurizio Gasparri, Stefano Zamagni, Giuliano Cazzola, Antonio Polito e pochi altri. Previsioni? Per ora non ne circolano.
Certo è che in una città come Bologna, la Curia e quello che fu il “partitone” la fanno da padrone.
È sempre stato così, dal dopoguerra a oggi.
Poteri che hanno sempre dialogato, seppur mai in pubblico, e che per la prima volta nella storia repubblicana si trovano ad amoreggiare senza nascondersi.
Emiliano Liuzzi
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
GURU E REPLICANTE SI CONTRADDICONO TRA LORO, SIAMO ALLA FARSA….MA GLI ESPERTI DEL SETTORE PARLANO DI RICAVI PUBBLICITARI TRA I 5 E I 10 MILIONI DI EURO
Ancora soldi. E ancora blog. 
Già , perchè dopo le polemiche per la trasmissione di Report di Milena Gabanelli in cui è stata sollevata la questione dei ricavi delle attività legate al nome di Grillo e gestite dalla Casaleggio Associati, il polverone continua.
Così su www.beppegrillo.it – dopo la secca comunicazione in cui si affermava che i proventi del blog non vanno al M5S — ora compare un altro minipost a firma dello staff in cui si spiega: «Il Blog è nato nel 2005. A differenza della maggior parte dei prodotti editoriali italiani televisivi o cartacei non ha mai utilizzato fondi pubblici. Negli ultimi anni la sua gestione è stata sempre in perdita. Nel 2012 i costi erano diventati insostenibili e fu inserita per questo, verso metà anno, la pubblicità , ma non per tutte le categorie, per evitare di chiuderlo. Nel 2011 Casaleggio Associati (CA) ha chiuso in passivo di 57.800 euro con un fatturato di circa 1.400.000 euro. Le perdite del blog sono state sempre coperte da CA. I bilanci di CA depositati alla Camera di Commercio di Milano sono peraltro disponibili a qualunque giornalista interessato ai suoi mirabolanti guadagni».
LE CIFRE
Come dire, insomma, noi siamo i buoni e tutti gli altri sono cattivi, Gabanelli compresa. Però Grillo in un’intervista al quotidiano «La Stampa» una settimana fa ha parlato di ricavi per 200 mila euro spiegando: «Col blog siamo in pari, ci costa sui duecentomila euro l’anno, li copriamo con la pubblicità , ci sono tre persone che ci lavorano a tempo pieno».
Ma queste cifre corrispondono al vero?
Il blog e la società sono in pareggio o in perdita?
Per il settimanale «Panorama», i prezzi per clic per un annuncio su una pagina del sito sono tra quelli più alti praticati in Italia, con una media mensile di 5 milioni di visitatori che ogni giorno vengono profilati e sottoposti a un martellamento pubblicitario.
E non solo.
Si parla di crescite del traffico sul blog del 72% di visitatori unici e del 96% per quanto riguarda il numero di pagine viste nel 2012.
Secondo una stima del Sole 24 ore il traffico del sito è di un milione, un milione e mezzo di pagine al giorno.
Per cui si potrebbe affermare che i ricavi oscillino tra i 5 e i 10 milioni di euro all’anno. Tutti numeri che però è difficile verificare.
Al di là delle cifre quello che si può osservare è come la pubblicità sia cresciuta notevolmente sul blog in questi ultimi mesi, con annunci anche all’interno delle dirette streaming dei parlamentari e con la vendita di dvd, ebook, libri, gadget che pare schizzata alle stelle.
E quello che appare chiaro è come il boom elettorale del M5S abbia portato a una crescita degli accessi sul sito.
Un modo nuovo di finanziare la politica, come si è chiesta anche Milena Gabanelli durante la puntata di Report? Forse.
In molti tuttavia storcono il naso sostenendo come non sia chiaro il confine tra l’attività politica e quella commerciale.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
BANCA E DEMOCRATICI IN DIFFICOLTA’
Otto candidati sindaci, sedici liste, quasi cinquecento aspiranti consiglieri.
Forse un po’ troppi, per un Comune con 53 mila abitanti.
Ma anche questa è una faccia dell’eredità balcanica lasciata dalla tragedia del Monte dei Paschi a Siena, città un tempo opulenta, e oggi ridotta come un ex ricco costretto a chiedere l’elemosina.
L’ultimo affronto è la retrocessione della squadra di calcio in serie B. Dove ai proprietari, i costruttori Mezzaroma, non mancheranno le difficoltà , senza gli 8 milioni che ogni anno le garantiva il Monte.
E di una cosa si può stare sicuri: dopo le elezioni di domenica e lunedì niente sarà più come prima.
Non tanto per lo scontato ballottaggio, che non si verificava dal 1993. Ma questo è niente. Il fatto è che il partito da sempre qui al potere, oggi il Pd, sventrato dallo scandalo Mps e conseguente salasso grillino di 7 mila voti, praticamente non c’è più.
Se n’è avuta la dimostrazione alle primarie che hanno incoronato il candidato democratico Bruno Valentini, dipendente (in carriera) del Monte come i tre sindaci che si sono alternati al Comune dal 1989 al 2011, prima dell’arrivo di Franco Ceccuzzi, silurato dopo un anno da un pezzo del suo partito.
Soprattutto, è stato l’ennesimo scontro nel Pd fra lo schieramento che fa capo al presidente del consiglio regionale toscano Alberto Monaci, ex Dc, dominus della fondazione che controlla il Monte, e il fronte sostenuto dall’ex segretario diessino Ceccuzzi.
I 500 voti che hanno fatto prevalere Valentini su Alessandro Mugnaioli, ex assessore della giunta sfiduciata un anno fa dai margheritini, sono lo strascico di un conflitto insanabile.
Mille i motivi: l’arrivo di Alessandro Profumo alla presidenza della banca, voluto dal sindaco e avversata da Monaci, la gestione «monaciana» della fondazione, reduce da due catastrofici aumenti di capitale per l’insensata acquisizione per cassa della banca Antonveneta (inizialmente, va detto, approvata anche dall’ex sindaco), fino alle nomine nella sanità .
Una guerra con un esito imprevisto: perchè Ceccuzzi, in procinto di riprendersi il Comune, è stato poi costretto in panchina da una inchiesta giudiziaria su un finanziamento del Monte.
E ora Siena, sfiancata da un anno di commissariamento, è alla resa dei conti finale.
In ballo c’è molto più della poltrona del sindaco.
Ad agosto si rinnova la fondazione e l’attuale blocco di potere punta sulla continuità . È già circolato il nome di Giovanni Minnucci, capo del comitato elettorale di Valentini stimatissimo da Monaci, mentre qualcuno ha fatto anche quello dell’ex manager del Monte, Divo Gronchi.
Figura dietro alla quale c’è chi intravede la sagoma ingombrante del patron della fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti.
Le corazzate, insomma, stanno già manovrando.
Il nuovo statuto ridimensiona le prerogative municipali, ma il Comune continuerà ad avere un peso rilevante sulle decisioni strategiche.
E non è un dettaglio.
Un esempio? Profumo vuole abolire la clausola statutaria che limita al 4% i diritti di voto dei soci diversi dalla fondazione, che però è contraria.
Anche perchè la sua quota scenderà prima o poi al di sotto del 10% (per coprire i debiti) e l’estinzione di quella clausola renderebbe realmente scalabile la banca.
Non è più tempo di vacche grasse, certo. I soldi sono finiti.
Negli ultimi due anni la fondazione ha perso 525 milioni e il patrimonio e sceso a 673. Ma in una città dove i dipendenti della banca sono l’8% degli abitanti e il Comune occupa quasi 900 persone (in proporzione ai residenti quasi il doppio di Roma) la cosa può avere ancora un senso.
Il potere, diceva Giulio Andreotti logora chi non ce l’ha.
Non è forse un caso che tutti i candidati siano d’accordo per emarginare Profumo. L’afferma da sinistra Laura Vigni.
La promette da destra Eugenio Neri, sostenuto dal Pdl di Denis Verdini ma espressione di un cartello di liste fra cui Siena Rinasce di Maurizio Cenni, l’ex sindaco (comunista) dipendente del Monte promosso quadro direttivo, e Nero su Bianco, che fa riferimento ad Alfredo Monaci, fratello di Alberto.
Ma la minaccia anche il grillino Michele Pinassi, aspettando l’arrivo di Beppe Grillo, previsto per oggi, in una città dove molti non hanno digerito i suoi commenti al drammatico suicidio di David Rossi.
L’unico a non chiedere la cacciata di Profumo è Alessandro Corsini.
Lavora alla compagnia di assicurazione del Monte e della francese Axa, ed è figlio dell’industriale del caffè Silvano Corsini.
Guida una lista civica vicina a Ceccuzzi, ma dopo il patatrac ha deciso di andare avanti per conto suo.
Dice che la commistione fra la banca e la fondazione è «inaccettabile»: praticamente un marziano.
Per questo molti credono non possa arrivare al ballottaggio.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
PER L’UOMO CHE HA SPARATO DAVANTI A PALAZZO CHIGI GIUDIZIO IMMEDIATO…MATRICOLA ABRASA DA UN ESPERTO, CELLULARE MUTO DA DUE GIORNI PRIMA DELL’AZIONE
Il telefonino è rimasto muto per due giorni prima dell’azione. 
La pistola è stata trapanata da un esperto e non c’è alcuna possibilità di risalire alla sua origine.
Sono gli ultimi due dettagli che mancavano per comporre il puzzle dell’inchiesta su Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile scorso – giorno del giuramento del governo guidato da Enrico Letta – sparò contro i carabinieri in servizio di vigilanza davanti a Palazzo Chigi, ferendo gravemente il brigadiere Giuseppe Giangrande e in maniera più lieve il suo collega Francesco Negri.
E adesso i pubblici ministeri si accingono a chiedere per lui il giudizio immediato.
Si chiude la fase istruttoria e chissà se sarà il processo la sede per fugare tutti i dubbi che ancora segnano questa vicenda.
La difesa appare orientata a fare in fretta, tanto da aver rinunciato anche al ricorso al tribunale del Riesame contro l’ordinanza di custodia cautelare.
L’accusa mette insieme i pezzi, ma proprio la decisione di arrivare subito in aula sembra escludere l’eventualità che l’indagine si allarghi a chi potrebbe aver aiutato, o quantomeno sollecitato l’uomo a colpire.
E questo nonostante gli interrogativi tuttora aperti.
E alimentati proprio dalle relazioni degli investigatori dell’Arma consegnate al procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e al sostituto Antonella Nespola secondo cui Preiti e i suoi oggetti sembrano sbucati improvvisamente dal nulla.
La Beretta «cancellata».
Sette colpi esplosi, nove cartucce nella borsa. Le analisi sull’arma utilizzata dall’attentatore condotte dagli investigatori del Ris confermano la ricostruzione dei primi momenti, ma consegnano dettagli inediti sulla «punzonatura».
La pistola è una Beretta 7,65 modello 70. Per cancellare i numeri di matricola è stato usato un trapano e nella relazione si specifica che a farlo è stata una mano esperta, quella di uno specialista.
Non ci sono «sbavature» o striature nelle impronte lasciate dall’arnese. Non solo.
Ancor più interessante è il dettaglio che esclude la possibilità di ricostruire la storia della pistola.
È stato infatti scoperto che è stato raschiato via anche l’anno in cui l’arma è passata al banco di prova.
Una modalità generalmente utilizzata negli ambienti criminali. E questo sembra avvalorare l’ipotesi che Preiti si sia procurato la Beretta proprio in Calabria, dove viveva da due anni, e non al mercato clandestino di Genova dove invece aveva raccontato di averla acquistata circa quattro anni fa.
Nelle banche dati non è registrato alcun episodio in cui sia comparsa la stessa arma e questo impedisce di fare qualsiasi tipo di comparazione o comunque di avere qualche dato in più sulla provenienza.
Il cellulare «muto».
Anche il telefonino utilizzato da Preiti ma intestato a un cittadino dello Sri Lanka, non ha fornito elementi utili su eventuali complici, ma dimostra ulteriormente la meticolosità nella preparazione dell’agguato avvalorando la possibilità che le fasi cruciali siano state studiate da un professionista.
Il cellulare è rimasto infatti «muto» nei due giorni precedenti l’attentato e l’esame dei tabulati degli ultimi due anni non ha fatto emergere alcun nome interessante.
Possibile che, pur vivendo a Rosarno, Preiti non abbia parlato con nessuno dei suoi concittadini?
Possibile che una persona capace di comprare una pistola al mercato clandestino, come lui stesso ha dichiarato, non abbia poi avuto altri contatti strani o sospetti?
L’ipotesi è che in realtà quel telefono fosse «dedicato», cioè utilizzato soltanto in maniera pulita proprio per non lasciare altre tracce.
L’obiettivo istituzionale.
Era stato l’esame dei filmati a confermare l’intenzione di Preiti di uccidere uno dei carabinieri e non, come aveva inizialmente sostenuto «un politico perchè loro stanno bene e la gente muore di fame».
Le testimonianze raccolte in queste settimane hanno confermato che cercò per ben due volte di entrare in piazza Colonna attraverso i varchi vigilati dalla polizia senza riuscire. Passare attraverso il terzo era la sua ultima possibilità per arrivare a Palazzo Chigi. Quando è stato fermato si è messo in posizione di tiro e ha fatto fuoco, determinato a colpire alla testa proprio l’uomo che indossava la divisa dell’Arma.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEL RIO: “L’IMPOSTA NON SARA’ TOLTA TUTTA A TUTTI”
Il decreto sull’Imu e il rifinanziamento della cassa integrazione è stato firmato ieri dal Presidente della Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma sebbene la riforma delle tasse sulla casa sia solo rinviata, e la soluzione ancora lontana da venire perchè oggi i soldi non ci sono, per il governo si apre un nuovo problema, forse ancora più costoso da affrontare.
Dal primo luglio l’aliquota Iva ordinaria aumenterà , come previsto dalla Legge di Stabilità del 2013, di un punto, dal 21 al 22%.
E dalla maggioranza è scattato un pressing forsennato sul governo perchè scongiuri l’aumento dell’imposta sui consumi, che rischia di deprimere ancora di più l’economia, che quest’anno ha già messo in cantiere una flessione dell’1,5%, superiore a quella temuta dall’esecutivo.
Sui rischi dell’aumento dell’Iva concordano tutti, anche lo stesso governo guidato da Enrico Letta.
Ma il problema è sempre quello, nel bilancio pubblico non ci sono più soldi.
Per cancellare l’aumento dell’Iva servono 4 miliardi l’anno dal 2013, più altri 2 per coprire il mancato gettito della seconda metà del 2013.
E se non è stato possibile trovare un po’ di soldi la settimana scorsa per togliere l’Imu sulle prime case, o su una parte di queste, sembra difficile che il governo possa trovare agevolmente le risorse per scongiurare l’aumento dell’Iva in appena un mese e mezzo. Tanto più che sui conti pubblici 2013, che viaggiano sul filo del tetto del 3% di deficit, pendono dei rischi, a cominciare dall’effetto prodotto dal calo del pil superiore al previsto. Senza contare che ci sono altre incombenze da affrontare.
«Avremo un mese complicato per trovare le risorse che consentano di evitare l’aumento dell’Iva. Credo sia opportuno che nel momento in cui si affronta questo problema si abbia chiaro il quadro e l’insieme delle scadenze, perchè la coperta è corta» ha detto il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, del Pd.
In quegli stessi giorni scadono le detrazioni fiscali del 55% sulle ristrutturazioni edilizie, poco dopo bisognerà provvedere al rifinanziamento delle missioni di pace, poi tornerà al nodo il pettine dell’Imu.
L’imposta sulla prima casa «non sarà tolta a tutti», ha detto il ministro degli Affari regionali, Graziano Delrio, ieri sera in tv a Ballarò.
«Io, ad esempio – ha aggiunto – ho un reddito che mi può consentire di pagare».
«Non sarà facile fare tutto e bisognerà scegliere», osserva Baretta. «Il governo deve fare un’agenda da qui a dicembre».
Senza contare troppo sui maggiori margini di manovra che Bruxelles potrebbe concederci una volta chiusa la procedura d’infrazione per il deficit eccessivo. «Non libera risorse in automatico e il nodo finanziario resta» ammette Baretta.
Nonostante la difficoltà dell’operazione, il PdL è scattato lancia in resta contro l’aumento dell’Iva «che può e deve essere scongiurato», con un «decreto immediato» ha detto il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta.
Mentre Maurizio Gasparri propone addirittura di ridurre l’Iva, dal 21 al 20%.
Fortissimo è anche il pressing sul governo delle categorie produttive.
Secondo la Confederazione degli agricoltori il rialzo potrebbe comportare un calo ulteriore dei consumi alimentari di 1,5 punti, mentre la Coldiretti sottolinea che nei primi mesi di quest’anno le vendite sono già scese del 3,8%.
Nel frattempo in Senato è iniziato l’iter del decreto sui debiti della pubblica amministrazione, dove potrebbe confluire anche il decreto su Imu e Cig.
Venerdì il Consiglio dei ministri potrebbe avviare la discussione sui primi provvedimenti a favore del lavoro.
Il ministro Enrico Giovannini sta incontrando le parti sociali, ieri banchieri e commercialisti, oggi i sindacati, e prepara un intervento per rendere più flessibile i contratti a termine.
Mario Sensini
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
PER INTERLOQUIRE CON LA STAMPA DOVRANNO ESSERE AFFIANCATI DAI “COMUNICATORI UFFICIALI”…NON C’E’ LIMITE AL SENSO DEL RIDICOLO: PARLARE SOLO NELLA SALA DEL GRUPPO E REGISTRARE
Aggressivo, ispirato, come se avesse infine scoperto la preziosa ricetta della minestrina di
buccia di zucca, il deputato Cinque Stelle Matteo Dall’Osso, seduto – spalmato – sul divanetto di pelle rossa del transatlantico, si rivolge ai giornalisti che parlano con i suoi colleghi – mica con lui – con poche e sentite parole: «La mail della comunicazione? È giusta. Perchè voi siete delle merde».
Bonjour finesse.
I colleghi lo calmano. Lui si alza e si allontana evidentemente fiero del suo inusitato e straordinario coraggio.
Ma il punto è: di quale mail parla?
Di alcune geniali righe vergate lunedì sera, e quindi inviate ai parlamentari del Movimento a Montecitorio, da parte del gruppo comunicazione della Camera.
La sofisticata struttura scelta da Grillo e Casaleggio per mediare i rapporti con stampa, radio e tv. Bene.
Il contenuto della mail è questo: «Dopo diversi problemi sorti in proposito, intensificheremo la presenza dei componenti del gruppo comunicazione in transatlantico e nell’atrio del palazzo. Non per un’esigenza di controllo ma a garanzia dei deputati».
Il riferimento all’atrio è meraviglioso.
Controllo del territorio. Ronde. Corea del Nord purissima.
Ma una Corea buona, che difende i propri ingenui e indifesi cittadini-parlamentari-bambini che diversamente non saprebbero come cavarsela.
Anche il seguito del comunicato non è male: «Invitiamo tutti, poi, a rilasciare le interviste nella stanza grande del gruppo comunicazione dopo essersi messi in contatto con uno dei componenti».
Perchè?
La spiegazione è semplice: «Oltre all’aspetto psicologico del “giocare in casa” sarà possibile registrare le interviste per ovviare così ai tanti problemi sorti in merito. Invitiamo tutti a declinare le richieste di giornalisti che si sono dimostrati inaffidabili se non addirittura in malafede».
Black list. Un’altra volta.
Tema ossessivamente ricorrente per il gruppo comunicazione della Camera del Movimento Cinque Stelle, che al Senato, invece, sembra avere trovato una formula civile, distesa, ragionevolmente collaborativa.
Così, anche in questa giornata in cui Grillo torna sulla puntata di Report spiegando alla Gabanelli che il sito di Casaleggio è in perdita, attaccando il suicida progetto di legge Zanda-Finocchiaro che impedirebbe al Movimento (ai movimenti) di partecipare alle elezioni («Se usciamo di scena noi allora veramente ci sarà un’esplosione di violenza») e chiedendo nuovamente conto ai suoi delle scelte sulla diaria, alla Camera, dopo una serie di ottimi interventi in Aula e su Europa e banche, il gruppo pentastellato scivola di nuovo su una polemica interna.
L’ennesima mail che doveva rimanere segreta e che «Europa» pubblica sul sito.
Capannello deputati-giornalisti attorno al famoso divanetto rosso.
L’onorevole Zaccagnini, già considerato eretico proprio perchè incapace di nascondere quello che pensa (di solito non ci prova nemmeno) dice: «Questa mail non è normale. Il nostro gruppo comunicazione deve essere sotto pressione. Tra l’altro, secondo statuto, si tratta di persone scelte da Grillo che noi avremmo dovuto confermare con un voto. Ma io quel voto lo aspetto ancora».
Più pratico il deputato Pisano: «Questa mail non cambia nulla. Scommettiamo? Tutto resta come prima».
Una collega sottoscrive. «Mi pare che qui siamo alla paranoia».
Il pugliese Giuseppe D’Ambrosio prova a cambiare prospettiva. «Questo intervento nasce dal fatto che alcuni di noi di recente hanno parlato a vanvera».
Dibattito. Senza ronde in giro.
Orribili i giornalisti, leggeri alcuni deputati o disorientati gli uomini della comunicazione, capaci di trasformare il furore iconoclasta contro i media in un monumento mostruoso eretto sul proprio pio sepolcro?
Andrea Malaguti
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SOLO MARONI IN ITALIA NON SI VERGOGNA DI LUI… PER ADESSO E’ STATO SOSPESO, MA L’ESPONENTE INGLESE DELL’UKIP VUOLE CHE SIA ESPULSO…SOLIDARIETA’ ALLA KYENGE DA PARTE DI TUTTI I GRUPPI DEL PARLAMENTO UE
L’europarlamentare leghista Mario Borghezio in una nota comunica di essersi autosospeso dal gruppo Efd (Europa della libertà e della democrazia – euroscettici), di cui fa parte, “per tutelare la Lega e l’Efd in attesa di fare piena chiarezza sulle frasi pronunciate sul ministro per l’integrazione Cecile Kyenge (aveva detto “lei è una bonga bonga”, nominarla “una scelta del c….”, ndr)”.
Ma, come confermato dal direttore di Articolo21 Stefano Corradino, si tratterebbe in realtà di una sospensione da parte del gruppo, in seguito alla petizione sul sito Change.org per le dimissioni dell’europarlamentare leghista.
“Fonti assolutamente attendibili – spiega Corradino, fra l’altro autore della petizione, confermano che in una riunione di ieri del gruppo mentre Articolo21 incontrava il presidente Schultz e gli altri capigruppo per consegnare loro le 130mila firme raccolte, l’esponente britannico dell’Ukip, il maggior partito dell’Efd avrebbe chiesto con decisione l’espulsione di Borghezio dal gruppo. Ma per adesso si sarebbe deciso solo per la sospensione”.
“Un fatto molto importante — commenta Corradino — ed è ovviamente il risultato della nostra petizione e del dissenso corale espresso dai gruppi (socialisti e democratici, popolari, liberali, verdi, comunisti) che all’unisono hanno espresso vergogna per le dichiarazioni offensive dell’esponente del Carroccio ai danni del ministro dell’Integrazione Kyenge. Segno che anche una petizione on line può avere un effetto dirompente”.
Solidarietà intanto da tutti gli altri gruppi dell’Europarlamento al ministro Kyenge.
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Maggio 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL PREMIO DI MAGGIORANZA PORTATO AL 40% SARA’ ESTESO AL SENATO, TUTTO IL RESTO RIMARRA’ COME PRIMA: NIENTE PREFERENZE, STESSI COLLEGI
Via libera dal vertice tra governo e maggioranza ad una «correzione» del porcellum entro
l’estate in parallelo all’avvio del percorso costituzionale per le riforme.
Sarebbe questa la risposta politica alla bocciatura del «Porcellum», da parte della Cassazione, avvenuta qualche giorno fa, in particolar modo sul premio di maggioranza.
IN COSA CONSISTE
Secondo quanto raccontano due partecipanti all’incontro, la coalizione che sostiene il governo Letta si è data tempo «entro luglio» per modificare il Porcellum prevedendo la sola modifica del premio di maggioranza alla Camera.
Niente preferenze, nessuna ridefinizione dei collegi: la riforma che la maggioranza sta mettendo a punto prevede l’assegnazione del premio alla coalizione che raggiunge o supera il 40% dei voti.
Premio che scatterebbe sia alla Camera che al Senato.
LETTA
La riunione di maggioranza sulle riforme è stata aperta dal presidente del Consiglio, Enrico Letta che riterrebbe il percorso della riforma costituzionale una priorità nell’azione del governo, e anche del Parlamento, tanto che sulle riforme si gioca la vita del governo e della legislatura.
Le riforme, insieme all’economia, sono i due grandi temi di cui si compone il programma di governo, ha detto il presidente del Consiglio.
Le riforme sono dunque fondamentali e bisogna muoversi con competenza e celerità perchè l’estate è da considerare, ha ribadito il premier, il punto di non ritorno dell’iter riformatore.
Poi Letta rivolge pubblico ringraziamento al capogruppo al Senato del Pdl, Renato Schifani: «Questo – ha detto Letta, secondo fonti di Palazzo Chigi – è l’atteggiamento giusto, va sminato il lavoro del governo».
FRANCESCHINI
Ma in cosa consiste l’accordo? Dentro il percorso delle riforme «ci sarà una norma di salvaguardia che consenta, in ogni caso, se si dovesse andare a votare prima della scadenza naturale, di non andare con questa legge elettorale» spiega il ministro ai rapporti con il parlamento Dario Franceschini.
A chi gli chiede se la riforma minima del porcellum prevede la sua abrogazione in favore del mattarellum, Franceschini risponde: «Per ora c’è la clausola di salvaguardia. Quello che conterrà si vedrà ».
BRUNETTA
Per Renato Brunetta, capogruppo Pdl alla Camera si tratta di un «accordo dentro la maggioranza per fare una riforma minimalista che ricostituzionalizzi il porcellum e possa essere utilizzata se, Dio non voglia, si va alle elezioni in tempi brevi, mentre la riforma elettorale più organica avverrà dentro le riforme istituzionali».
SCHIFANI
Commenta l’accordo anche l’ex presidente del Senato, Renato Schifani. «Non bisogna sottovalutare le decisioni della Corte costituzionale, è doveroso mettere in sicurezza la legge elettorale”.
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