A SIENA IL VOTO STAVOLTA VALE IL DOPPIO: C’E’ LA PARTITA PER IL CONTROLLO DEL MONTE DEI PASCHI
BANCA E DEMOCRATICI IN DIFFICOLTA’
Otto candidati sindaci, sedici liste, quasi cinquecento aspiranti consiglieri.
Forse un po’ troppi, per un Comune con 53 mila abitanti.
Ma anche questa è una faccia dell’eredità balcanica lasciata dalla tragedia del Monte dei Paschi a Siena, città un tempo opulenta, e oggi ridotta come un ex ricco costretto a chiedere l’elemosina.
L’ultimo affronto è la retrocessione della squadra di calcio in serie B. Dove ai proprietari, i costruttori Mezzaroma, non mancheranno le difficoltà , senza gli 8 milioni che ogni anno le garantiva il Monte.
E di una cosa si può stare sicuri: dopo le elezioni di domenica e lunedì niente sarà più come prima.
Non tanto per lo scontato ballottaggio, che non si verificava dal 1993. Ma questo è niente. Il fatto è che il partito da sempre qui al potere, oggi il Pd, sventrato dallo scandalo Mps e conseguente salasso grillino di 7 mila voti, praticamente non c’è più.
Se n’è avuta la dimostrazione alle primarie che hanno incoronato il candidato democratico Bruno Valentini, dipendente (in carriera) del Monte come i tre sindaci che si sono alternati al Comune dal 1989 al 2011, prima dell’arrivo di Franco Ceccuzzi, silurato dopo un anno da un pezzo del suo partito.
Soprattutto, è stato l’ennesimo scontro nel Pd fra lo schieramento che fa capo al presidente del consiglio regionale toscano Alberto Monaci, ex Dc, dominus della fondazione che controlla il Monte, e il fronte sostenuto dall’ex segretario diessino Ceccuzzi.
I 500 voti che hanno fatto prevalere Valentini su Alessandro Mugnaioli, ex assessore della giunta sfiduciata un anno fa dai margheritini, sono lo strascico di un conflitto insanabile.
Mille i motivi: l’arrivo di Alessandro Profumo alla presidenza della banca, voluto dal sindaco e avversata da Monaci, la gestione «monaciana» della fondazione, reduce da due catastrofici aumenti di capitale per l’insensata acquisizione per cassa della banca Antonveneta (inizialmente, va detto, approvata anche dall’ex sindaco), fino alle nomine nella sanità .
Una guerra con un esito imprevisto: perchè Ceccuzzi, in procinto di riprendersi il Comune, è stato poi costretto in panchina da una inchiesta giudiziaria su un finanziamento del Monte.
E ora Siena, sfiancata da un anno di commissariamento, è alla resa dei conti finale.
In ballo c’è molto più della poltrona del sindaco.
Ad agosto si rinnova la fondazione e l’attuale blocco di potere punta sulla continuità . È già circolato il nome di Giovanni Minnucci, capo del comitato elettorale di Valentini stimatissimo da Monaci, mentre qualcuno ha fatto anche quello dell’ex manager del Monte, Divo Gronchi.
Figura dietro alla quale c’è chi intravede la sagoma ingombrante del patron della fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti.
Le corazzate, insomma, stanno già manovrando.
Il nuovo statuto ridimensiona le prerogative municipali, ma il Comune continuerà ad avere un peso rilevante sulle decisioni strategiche.
E non è un dettaglio.
Un esempio? Profumo vuole abolire la clausola statutaria che limita al 4% i diritti di voto dei soci diversi dalla fondazione, che però è contraria.
Anche perchè la sua quota scenderà prima o poi al di sotto del 10% (per coprire i debiti) e l’estinzione di quella clausola renderebbe realmente scalabile la banca.
Non è più tempo di vacche grasse, certo. I soldi sono finiti.
Negli ultimi due anni la fondazione ha perso 525 milioni e il patrimonio e sceso a 673. Ma in una città dove i dipendenti della banca sono l’8% degli abitanti e il Comune occupa quasi 900 persone (in proporzione ai residenti quasi il doppio di Roma) la cosa può avere ancora un senso.
Il potere, diceva Giulio Andreotti logora chi non ce l’ha.
Non è forse un caso che tutti i candidati siano d’accordo per emarginare Profumo. L’afferma da sinistra Laura Vigni.
La promette da destra Eugenio Neri, sostenuto dal Pdl di Denis Verdini ma espressione di un cartello di liste fra cui Siena Rinasce di Maurizio Cenni, l’ex sindaco (comunista) dipendente del Monte promosso quadro direttivo, e Nero su Bianco, che fa riferimento ad Alfredo Monaci, fratello di Alberto.
Ma la minaccia anche il grillino Michele Pinassi, aspettando l’arrivo di Beppe Grillo, previsto per oggi, in una città dove molti non hanno digerito i suoi commenti al drammatico suicidio di David Rossi.
L’unico a non chiedere la cacciata di Profumo è Alessandro Corsini.
Lavora alla compagnia di assicurazione del Monte e della francese Axa, ed è figlio dell’industriale del caffè Silvano Corsini.
Guida una lista civica vicina a Ceccuzzi, ma dopo il patatrac ha deciso di andare avanti per conto suo.
Dice che la commistione fra la banca e la fondazione è «inaccettabile»: praticamente un marziano.
Per questo molti credono non possa arrivare al ballottaggio.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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