Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
ALTRIMENTI SI VA ALLA SPACCATURA… BERLUSCONI IN DIFFICOLTA’, IL PALLOTTOLIERE E’ DALLA PARTE DI ANGELINO
Pare impossibile la mediazione. Anche per Silvio Berlusconi. 
Per la prima volta gli uomini non rispondono più al Capo.
L’ex premier chiede una sospensione delle ostilità : “Fermatevi – ripete a falchi e colombe – una scissione indebolisce tutti”.
Provato da notti insonni, esausto anche per le urla che non gli danno tregua a Palazzo Grazioli, sente di non riuscire più a mediare.
È quando nel corso dell’ennesimo faccia a faccia Alfano mette sul tavolo le sue condizioni che Berlusconi capisce che è finita: “Angelino, lo sai meglio di me. Mi stai chiedendo troppo”.
Perchè le condizioni sono irricevibili. Suonano come un ultimatum, altrimenti è scissione.
La colomba ha cambiato penne, mostra il volto duro, fa l’elenco delle teste che vuole che saltino nel partito: “Voglio tutto”, dice.
Tutto significa il controllo totale del partito: un’epurazione per far rientrare una scissione.
Le teste da far rotolare sono quelle di Denis Verdini, Sandro Bondi e Daniela Santanchè. È la tolda di comando di questi mesi, e anche di questi anni.
Verdini è la testa e il braccio operativo delle operazioni più spregiudicate: “Sai bene — dice Berlusconi — che non farò fuori Denis. Se mi chiedi questo significa che vuoi rompere”.
Alfano è un muro, non forza sui tempi, complice l’Apocalisse di Lampedusa.
Chiede ai suoi di non rilasciare dichiarazioni incendiarie sui nuovi gruppi, per non dare l’idea che si sta perseguendo una scissione.
Ma nella sostanza non arretra.
Berlusconi è di ghiaccio quando il suo ex delfino senza quid chiede la sostituzione di Brunetta con Cicchitto alla guida dei parlamentari.
È il segnale, uno dei tanti, dell’asse con Enrico Letta. Perchè sia il premier sia Saccomanni considerano Brunetta una specie di calamità naturale.
È un dialogo tesissimo, quello tra Berlusconi e Alfano. Con momenti aspri.
Si materializza lo spettro di Fini, del suo modo di affrontare Berlusconi quando Alfano prende di mira gli house organ del Cavaliere: “Per la tregua servono segnali concreti. Sallusti non può stare lì a dirigere un giornale che dovrebbe essere del partito”.
Per Berlusconi è impossibile dire io non c’entro. Alfano era con lui ai tempi della casa di Montecarlo, sa come funzionano le cose: “Si sa — dice un alfaniano di ferro — come vanno le cose. Prima di rompere ci blandiscono, poi inizia il dossieraggio e il metodo Boffo”.
Il Cavaliere prende tempo. Ci prova. Confida ai suoi che la mediazione gli sembra impossibile. Angelino tratta col coltello in mano.
Si frantumano antiche certezze, sembra che gli uomini più fidati siano diventati degli sconosciuti.
A palazzo Madama si sgretolano i numeri. I senatori siciliani sono con Alfano, così come i calabresi, i campani, i piemontesi, e mezzo Lazio legato agli ex An.
Il pallottoliere dice che su 91 senatori, con Berlusconi ce ne sono una cinquantina. E in caso di scissione è pronto a mollare il Cavaliere anche il capogruppo Renato Schifani.
Per la prima volta Berlusconi va a palazzo Madama per un colloquio, chiedendogli di fermare la macchina infernale, consapevole che, nel colloquio, si sta celebrando una separazione.
L’ex premier si sente sulla striscia di Gaza. Attorno, si spara.
E la tregua è solo l’intervallo tra una raffica e l’altra.
Ecco che i cosiddetti lealisti organizzano un blitz per raccogliere le firme di un gruppo “Forza Italia — Pdl per Silvio Berlusconi presidente” con l’obiettivo di anticipare Alfano nella conta.
La riunione è prevista per le 13, e solo l’Apocalisse di Lampedusa consente a Berlusconi di prendere tempo ed evitare che si celebri la scissione del Pdl.
Ma la raccolta firme va avanti e a sera i lealisti ne portano cento a palazzo Grazioli.
Ci sono Fitto, Gelmini, Polverini, Carfagna, Galan, Santanchè, Capezzone, Bondi, Verdini. I freni non funzionano più.
E Berlusconi non riesce a fermare la macchina della scissione.
(da “Huffington Post)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA A CHRISTOPHER HEIN, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ITALIANO DEI RIFUGIATI
I potenziali richiedenti asilo somali, eritrei e siriani bloccati in Libia dovrebbero avere la possibilità di chiedere lo status di rifugiato direttamente all’ambasciata italiana di Tripoli per evitare la traversata verso le coste siciliane.
È il suggerimento “assolutamente fattibile” del presidente del Consiglio italiano dei rifugiati, Christopher Hein, che respinge in parte le pesanti accuse scagliate dal rapporto del Consiglio d’Europa secondo il quale l’Italia non sarebbe in grado di gestire gli sbarchi.
Secondo i dati dell’Unhcr, via mare nel 2012 sono arrivate 25mila persone — in stragrande maggioranza profughi siriani e provenienti dal corno d’Africa.
Il numero di arrivi complessivo potrebbe toccare a fine anno i livelli del 2011, quando l’Italia accolse sulle coste 51mila tra migranti e richiedenti asilo.
Secondo le statistiche l’8% muore in mare.
“O continuiamo ad assistere a questa carneficina o per evitare che i rifugiati continuino a mettere a rischio la loro vita per arrivare in Europa dobbiamo dare loro delle alternative di ingresso protetto”, è l’opinione di Hein.
In queste ore il ministro Emma Bonino, riferendosi al terribile naufragio di Lampedusa, afferma che servirebbe “un miracolo” per affrontare il fenomeno degli sbarchi. È d’accordo?
Sono convinto che la ministra degli Esteri non intendesse un intervento provvidenziale bensì un enorme sforzo europeo per determinare una nuova politica nei confronti dei rifugiati. I flussi di chi è costretto a fuggire dalle persecuzioni non si possono fermare, per questo è indispensabile gestirli. La possibilità di richiedere asilo in Italia e nell’Unione Europea ad oggi dipende dalla presenza fisica della persona nel territorio di uno Stato Membro. Ma le leggi europee costringono i richiedenti asilo a giungere in Europa in modo illegale, rischiando la vita.
Da dove cominciare?
Per prima cosa dovremmo metterci nei panni di un somalo, un eritreo o un siriano bloccato in Libia. Non può tornare nel Paese di origine a causa delle guerre e delle persecuzioni, e non può chiedere asilo politico in Libia poichè non avrebbe chance. E dunque si affida forzatamente ai trafficanti, pagando cifre altissime, per arrivare in Italia. Se queste persone potessero materialmente chiedere asilo alle ambasciate europee a Tripoli, naufragi come quello odierno a Lampedusa sarebbero presto evitati.
L’Unione europea sarebbe favorevole a un cambiamento di questo tipo?
Già in questi mesi la Germania, l’Austria, la Svezia, la Finlandia, la Svizzera hanno promosso un programma di re-insediamento dei profughi siriani sul loro territorio, ciò significa che questi governi provvedono a trasportare in sicurezza i richiedenti asilo siriani senza attendere che questi affrontino un viaggio rischioso. Parliamo di numeri molto piccoli. La Germania ha accolto 5mila siriani, gli altri poche centinaia. Servirebbe che l’Unione europea nel suo complesso affrontasse la questione, capendo che non è possibile lasciare all’Italia e a Malta il compito ingrato di soccorrere e accogliere tutti i barconi. La presidenza europea dell’Italia, nel 2014, potrebbe essere un buon momento per cambiare atteggiamento.
In attesa di una politica comune a Bruxelles, l’Italia potrebbe aprire la propria ambasciata di Tripoli ai richiedenti asilo?
È una cosa fattibile. I profughi potrebbero ottenere un visto e arrivare in sicurezza in Italia. Perchè in ogni caso arrivano a bordo delle carrette. E da Tripoli a Lampedusa c’è la morte.
Il rapporto del Consiglio d’Europa dedicato alla gestione italiana dei flussi migratori verso le nostre coste accusa le nostre autorità di “non incentivare adeguatamente le persone arrivate a chiedere asilo” e di chiudere gli occhi di fronte alle centinaia di richiedenti asilo che fuggono, non identificati, verso altri Paesi europei.
Non sono d’accordo. L’Italia e Malta sono molto penalizzate per motivi geografici e secondo il regolamento di Dublino occorre chiedere asilo nel primo Paese dove si mette piede. A noi non risulta che le autorità spingano i richiedenti asilo a dirigersi verso altri Paesi europei per lavarsene le mani. Al contrario, la maggioranza delle persone che il Consiglio italiano per i rifugiati intervista afferma che non vuole rimanere in Italia, spesso perchè ha un parente che lo attende all’estero.
Il rapporto forse si riferisce alle numerose proteste degli eritrei che proprio a Lampedusa hanno ottenuto di non rilasciare le impronte digitali per potere poi chiedere asilo altrove in Europa.
Non è possibile obbligare con la forza fisica un richiedente asilo a rilasciare le proprie impronte digitali. Il dossier del Consiglio d’Europa ha ragione quando sottolinea le insufficienti forme di accoglienza dei richiedenti asilo ma non possiamo dire che la situazione sia catastrofica. In poco tempo i posti disponibili per i rifugiati in Italia sono passati da 3mila a 16mila.
Laura Eduati
(da “Huffington Post“)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEGLI STORICI DE LUNA, CAMPI, GENTILE, ORSINA
È la solita illusione o, questa volta, dal tramonto del ventennio berlusconiano nascerà finalmente quella
destra liberal-conservatrice di stampo europeo auspicata da tanti, in Italia e all’estero, capace di trasformare il nostro sistema politico in una normale democrazia occidentale?
Quella normale democrazia in cui il confronto tra gli schieramenti non diventi motivo di una guerriglia permanente tra nemici irriducibili e una sconfitta politica non venga giustificata dall’accusa di «un colpo di Stato».
Le speranze di tutto l’establishment internazionale e della grandissima parte di quello di casa nostra, certamente, non sono molto confortate dalle esperienze fallimentari di recenti e meno recenti tentativi di costruire in Italia un partito del genere.
A partire dalla meteora di Mario Segni, nell’ultimo scorcio del secolo passato, per finire al deludente esito elettorale di quello che avrebbe potuto essere, se l’avesse voluto anche lui, il vero leader della nuova destra liberal-conservatrice, Mario Monti.
Perchè è così difficile, da noi, copiare quel modello di partito che in Germania, in Francia, in Spagna, in Inghilterra si alterna alla sinistra, senza alcun dramma, nella guida dei governi?
Perchè, se ci rivolgiamo al nostro passato di Stato unitario, non troviamo mai, in realtà , una formazione politica con i tratti caratteristici e peculiari delle destre europee?
È la nostra storia che ci condanna a questa anomalia o sono i vizi e le debolezze delle nostre classi dirigenti moderate a impedire un parto così agognato?
«Il nostro Paese ha pagato un prezzo molto alto per la scomparsa del liberalismo, ucciso dal fascismo – osserva Giovanni De Luna – e la vera questione italiana del ‘900 è proprio questa, altro che la questione comunista».
«Forse i funerali di Ruffini, nel ’34, alla presenza di Croce, Bergamini ed Einaudi – prosegue lo storico torinese – furono la plastica rappresentazione di quel tragico seppellimento. Così, è sempre mancata, da noi, una forte e seria dialettica politica tra schieramenti, fino all’ultima deriva, quella attuale, che pretende di rappresentare l’ossimoro liberalismo-populismo».
Pure Alessandro Campi, intellettuale che si è anche impegnato personalmente nel tentativo di aiutare la nascita di un partito conservatore di tipo europeo, condivide la tesi del fascismo come killer del liberalismo italiano, «anche perchè ha cercato di inglobarlo, inducendo persino Gentile all’illusione di un partito capace di portare a compimento l’epopea risorgimentale».
Piuttosto sconsolatamente, Campi non crede che una trasformazione dell’attuale destra italiana possa nascere in una fase d’emergenza, alla vigilia di uno scontro elettorale, come soluzione tattica.
«Ci vuole un progetto costruito nel tempo e un vero radicamento sociale. Non la si può costruire per puntellare Letta o per una disputa personale, come nel caso Fini».
Lo scetticismo prevale pure in Emilio Gentile, l’allievo di Renzo De Felice autore di importanti studi sull’Italia del Novecento.
«È vero – dice lo storico romano – che in Italia un partito liberal-conservatore di massa non c’è mai stato. Anche perchè bisognerebbe, innanzi tutto, distinguere i due termini di liberale e conservatore e, poi, perchè, fino al secondo dopoguerra, non c’è stato il suffragio universale. Forse, sarebbe potuto nascere dal Partito popolare di Sturzo, ma il problema, da noi, è stata la presenza di un forte cattolicesimo, di fronte al quale si era sempre al bivio tra clericalismo e un anticlericalismo alla destra storica.
La Dc, in effetti, ha cercato una via liberale per risolvere questo nodo, ma quel partito è stato un coacervo di tendenze diverse, un sistema di potere tenuto insieme dall’anticomunismo. L’Italia ha subìto processi traumatici che, altrove, si sono potuti assorbire in secoli, fino a quello attuale, il berlusconismo. Una strana destra che ha parlato del trinomio Dio, patria e famiglia, e ha praticato un misto di libertinismo, reazione e anarchismo, con la sola capacità personale del capo di tenerli uniti».
Al carisma, in effetti – una caratteristica del leader che, nella politica attuale, in tutto il mondo, è diventata condizione indispensabile del successo – viene attribuita molta importanza da parte degli studiosi della realtà contemporanea. Al suo deficit, nella classe dirigente moderata italiana, molti imputano la difficoltà di far nascere dal berlusconismo un partito conservatore di stampo europeo.
Anche perchè, come osserva Giovanni Orsina, professore alla Luiss di Roma, nell’elettore moderato italiano «c’è una componente di protesta, antistatalista, che lo rende psicologicamente anarchico e sociologicamente conservatore». Un profilo, che richiama alla memoria personaggi come Prezzolini o Montanelli, al quale non si può offrire l’immagine algida di un Mario Monti.
«Ci vorrebbe – ammonisce Orsina – un leader che dia a quei ceti un po’ di passione, un po’ di immaginazione e un futuro di speranza».
Non si può pensare, insomma, che quell’Italia soggiogata da Berlusconi per vent’anni possa, quasi di colpo, assomigliare all’elettorato della Csu tedesca, nè che dalla nostra classe dirigente moderata spunti improvvisamente il profilo di una Merkel.
Questo non vuol dire una condanna perpetua all’anomalia in Europa, ma serve solo a far capire agli italiani che avranno bisogno di molta pazienza e, magari, di un po’ di fortuna.
Luigi La Spina
(da “La Stampa“)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
RAPPORTO UE: TRUCCATA UNA GARA DI APPALTO SU DIECI, ALTRO CHE IVA E IMU
Un brutto problema di immagine e non solo.
Le possibilità che in Italia un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare, oltre tre volte il dato francese e più di dieci volte quello dell’Olanda, dove il malaffare influisce per meno dell’1% sull’aggiudicazione dei contrattti.
Siamo un paese a rischio – lasciano intendere i dati messi insieme da Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea -, poco trasparente e gradito ai malfattori, del resto i volumi non richiedono commenti.
Dei 120 miliardi che la Commissione Ue stima siano sottratti ogni anno all’economia continentale dalle tangenti, metà è di nostra competenza.
E’ un record imbattibile che nessuno potrebbe mai invidiarci.
Fa poca differenza il non essere soli. Dal rapporto consegnato all’Europarlamento come contributo per un’audizione sui costi della corruzione nelle gare di appalto continentali si scopre che, posto un campione di otto stati (Italia, Francia, Paesi bassi, Lituania, Ungheria, Spagna, Polonia, Romania) e cinque settori chiave (come costruzioni e risorse idriche), nel 2010 sono stati sfilati dalle casse pubbliche e comunitarie 2,2 miliardi.
E’ in media il 3% del valore delle aggiudicazioni, cifra che sale di oltre tre volte quando si misura nel Bel Paese.
A livello europeo il vizietto della bustarella colpisce più frequentemente nel settore dei corsi di formazione, dove si paga per insegnare alla gente come trovare un lavoro.
Qui la possibilità che qualcuno abbia oliato finanziariamente gli ingranaggi supera il caso su quattro (28%), seguita dal settore idrico (27%).
Bassa la truffa stradale (13%): i controlli sono più stretti e i casi meno frequenti. Il dato quasi raddoppia nelle ferrovie, soprattutto alla voce “materiali”.
L’Italia non se la cava bene e, in genere, si ritrova in compagnia di ungheresi e romeni, paesi nuovi entrati nell’Ue che le statistiche dipingono ancora a caccia di una verginità etica.
Il nostro debole sono le gare truccate, quelle in cui il vincitore è già stato deciso e a cui gli altri concorrenti partecipano pro forma, circostanza verificata nel 63 per cento delle violazioni delle regole.
Il conflitto di interesse, cioè l’attribuzione a parenti o amici, è appena al 23%. Almeno secondo il rapporto P&W.
Dobbiamo essere dei geni del male se, posto a cento il livello della perfezione, noi ci fermiamo a 57 e i soliti romeni a 55.
Manco a dirlo, Francia e Olanda sono rispettivamente a 91 e a 97.
Se guardiamo alle frodi al bilancio Ue (campione vecchio, 2000-2006) conseguiamo 39,5% di malefatte scoperte, il che è anche un solido punto a favore dei nostri inquirenti. Anche se, a leggere le statistiche, si vede che i tedeschi sono quantitativamente più efficaci nello scovare i colpevoli e più duri nel punirli.
Come risultato nelle inchieste sulle frodi Ue alle quali ha partecipato l’Olaf hanno carcerato 65 persone nel 2006-11. In Italia siamo a 14.
Magari erano comportamenti meno gravi, ma il dato colpisce.
Di chi è la colpa? Della qualità dei truffatori, anzitutto.
Però il rapporto P&W stigmatizza che «in molti stati i funzionari pubblici non sono specificamente addestrati per assicurare la trasparenza».
In Italia, si insiste, «la mancanza di capacità nella pubblica amministrazione nella gestione di strutture altamente complesse crea spazio per frodi e corruzione».
Questo, «soprattutto dove potenti cartelli privati e organizzazioni criminali possono influenzare il processo di decisione politica».
La frequente presenza di consulenti esterni in un quadro di ridotta managerialità è facile una scintilla di possibile corruzione.
Infine scarseggiano i fondi e gli uomini per indagare.
Cosa che, ovviamente, a corruttori non manca proprio mai.
Marco Zatterin
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
“VATTENE O FINISCE MALE”: E SI SFIORA LO SCONTRO FISICO
L’urlo di Denis Verdini scuote anche un Silvio Berlusconi esausto: “Vattene, sennò qua finisce male.
Dopo quello che hai fatto hai pure il coraggio di farti vedere. Ma adesso…”.
Alfano, di fronte, è bianco in volto. È all’una di notte che lo scontro diventa quasi fisico.
Denis Verdini è a due passi da Angelino Alfano. La voce di Berlusconi è troppo bassa perchè si senta il suo “calma”.
Nè Daniela Santanchè fa nulla bloccare quella che si annuncia come una rissa. Angelino è costretto ad andarsene da palazzo Grazioli.
È l’ora dell’odio. Della frattura che pare insanabile.
Perchè a questo punto sono i falchi che vogliono la cacciata dei “traditori”.
E perchè le condizioni di Alfano sono durissime: guida di Forza Italia, ridimensionamento dei falchi, il potere di avere il 50 per cento delle liste.
E soprattutto che la partita del governo sia definitivamente chiusa, e che la legge di stabilità non sia un Vietnam.
Altrimenti via libera ai gruppi. Per ora l’iniziativa è stata congelata, complice anche la tragedia di Lampedusa. Si tratta a oltranza.
Con Berlusconi che si sente sulla striscia di Gaza del Pdl.
Nero con i falchi per il pallottoliere sbagliato, nero con quelli che lo hanno tradito.
A cena si è sfogato: “Angelino per me è un figlio. E mi ha pugnalato”.
C’erano attorno i lealisti pronti alla vendetta, come Fitto e Gelmini, Polverini e Prestigiacomo.
Ma anche Nunzia De Girolamo, Jole Santelli e Barbara Saltamartini, alfaniane di ferro, impegnate in una difficile ricucitura.
Più difficile, dopo la rissa.
Ecco perchè l’alba ha l’odore della polvere da sparo. Alfano chiama Enrico Letta per informarlo che Verdini lo ha cacciato da palazzo Grazioli e che a questo punto tutto è possibile: io — spiega — voglio tenere unito il Pdl ma su una linea precisa, altrimenti rompiamo.
Verdini è già al partito. Anche la sua colazione da Ciampini è più veloce del solito.
È al lavoro per il blitz, la cacciata delle colombe dal partito. Era pronto.
E doveva avvenire alla riunione dei gruppi parlamentari prevista per l’una. Poi annullata causa Lampedusa.
Il copione prevedeva la presentazione di un modulo per aderire al gruppo “Forza Italia — Pdl per Silvio Berlusconi presidente”: chi firma resta con Berlusconi, chi non firma se ne va.
Una manovra preventiva. Per non dare tempo agli scissionisti di organizzarsi in un gruppo. E di tenere “l’arma del ricatto” sul tavolo di Berlusconi: “Oggi li cacciamo” il passaparola dei falchi.
È anche questa manovra che è stata stoppata dalla tragedia di Lampedusa.
Nel colloqui mattutino tra Berlusconi e Alfano, in assenza di Verdini le distanze sono restate. Rompere è difficile per entrambi. Ed entrambi stanno frenando gli ultras della scissione, da un lato e dall’altro.
Ma le macchine da guerra sono in moto. I moduli dei gruppi sono pronti.
Berlusconi va al Senato per una riunione con i membri della Giunta. Alfano a Lampedusa.
E non è solo una lontananza geografica.
(da “Huffington Post“)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
MA I GRILLINI POTREBBERO SALVARE IL CAVALIERE
Countdown prossimo allo zero per Berlusconi e per la sua decadenza da senatore.
In giunta per le immunità almeno, perchè in aula, tra un paio di settimane, la conta dei voti è ancora tutta da vedere. Incombe lo scrutinio segreto.
Anche se loro smentiscono recisamente, continua il tam tam su un possibile “scherzetto” dei grillini, i quali potrebbero salvare il Cavaliere con l’obiettivo di mettere nei guai il Pd, facendolo apparire come un partito che ha salvato Letta col solo obiettivo di graziare Berlusconi.
Un fatto è certo, e basta guardare la tabella dei numeri in aula: i pentastellati sono determinanti per una secca vittoria del fronte della decadenza.
Se dovessero mutare strategia, il destino dell’ex premier cambierebbe radicalmente. Il chiacchiericcio su possibili sorprese nell’M5S dura da giorni e ha già sortito nel gruppo, proprio per negare una simile soluzione, la perentoria richiesta a tutti gli altri di votare sempre a scrutinio palese, con tanto di ddl depositato, ma l’indiscrezione di una sorpresa nell’urna non si arresta. Sarebbe un’operazione singolare visto l’impegno dei grillini in giunta, a partire dal capogruppo Giarrusso, con Crimi, Buccarella e Fuksia, per far decadere Berlusconi il più in fretta possibile. Ma tant’è, dello scenario che li vedrebbe “traditori” nel segreto del voto bisogna pur dar conto.
I numeri, del resto, sono quelli che sono.
Se si segue lo schema degli schieramenti emersi ingiunta – e che si consolideranno col voto definitivo dopo la camera di consiglio prevista per domani – da una parte ecco 108 Pd, che dovrebbero votare per la decadenza con i 20 di Scelta civica, i 7 di Sel e, sulla carta, con i 50 grillini.
Se fosse così non ci sarebbe storia, saremmo a quota 185 e sul fronte opposto sconfitti i 91 del Pdl, che anche dopo la scissione non dovrebbe precipitare l’ex leader, i 16 leghisti, i 10 di Gal. Siamo a 117.
Restano 5 senatori a vita, 4grillini ormai nel Misto, i 10 delle Autonomia, tra cui il Psi che voterà contro il Cavaliere.
È ben evidente che i grillini sono l’ago della bilancia, soprattutto perchè non si possono escludere sia nel Pd che tra i centristi dei nemicidella decadenza.
Ma la giunta rispetterà i tempi, deciderà domani o entro le 48 ore stabilite per regolamento, oppure già lì potrebbero esserci sorprese legate alla spaccatura del Pdl?
Può accadere che il nuovo gruppo degli alfaniani determini un riequilibrio dei numeri in giunta che oggi sono pesantemente contrari a Berlusconi?
Dario Stefà no, senatore di Sel e presidente della giunta per le elezioni, esclude drasticamente sorprese. La sua replica è secca: «La decadenza di Berlusconi? E che problema c’è? Si va avanti, non cambia nulla».
Il dubbio, che per tutto il pomeriggio serpeggia nella rete, e tra Twitter e Facebook, è che la nascita del nuovo gruppo comporti una rivoluzione dei componenti anche in giunta, dove si contano 6 Pdl, tre fedeli al Cavaliere, Caliendo, Casellati e Malan, e tre alfaniani, Augello, D’Ascola, Giovanardi.
A protestare, comunque, dovrebbe essere il Pdl, anche se i tre transfughi hanno dichiarato a gran voce che Berlusconi è una vittima, Giovanardi ha parlato addirittura di una «mascalzonata ».
Ma comunque la questione non esiste.
Secondo il regolamento di palazzo Madama la giunta è inamovibile, non sono previste sostituzioni, nè dimissioni, tranne gravissimi casi di reiterata e prolungata assenza.
Tant’è che quando, di recente, il capogruppo Pdl Schifani ha chiesto al presidente del Senato Grasso di cambiare i membri della giunta, “rei” di aver dichiarato come voteranno, si è sentito rispondere che la richiesta era irricevibile proprio a norma di regolamento.
Nessun rinvio dunque, domani si vota.
Buone fonti della giunta accreditano l’ipotesi che si finisca in serata.
Scontato il verdetto, proposta all’aula la decadenza di Berlusconi.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
SOLO UN TERZO DEGLI ELETTORI PDL VOLEVA TORNARE AL VOTO, PER IL 44% UNA CRISI SAREBBE STATA IMPUTABILE SOLO AI GUAI GIUDIZIARI DEL CAVALIERE
Alla vigilia del voto di fiducia, martedì 1 ottobre, ben il 58% degli elettori del Pdl giudicava necessario
trovare un accordo per proseguire l’esperienza dell’attuale governo.
E solo il 34% dei simpatizzanti per il Popolo della libertà avrebbe voluto insistere nella volontà di un voto anticipato, stando ai sondaggi elaborati all’istituto Ipsos per Ballarò.
La maggioranza relativa degli intervistati (39%), inoltre, avrebbe gradito che la maggioranza si ricomponesse, solo il 22% che il governo avesse continuato grazie al sostegno di una porzione scissionista del Pdl mentre il 33% avrebbe scelto un ritorno alle urne.
A ben vedere, ieri, è esattamente andata così: Berlusconi ha scelto di ricomporre la maggioranza e ha cercato di evitare la scissione.
Anche tutti gli altri indicatori segnalavano in modo netto che l’opinione pubblica non avrebbe assecondato una prova di forza dell’ex premier.
Sempre secondo i sondaggi Ipsos, con riguardo alla motivazione di una eventuale crisi di governo, il 44% degli interpellati l’ha individuata nella volontà di Berlusconi di salvarsi dai guai giudiziari.
Ben distanziate (tredici punti), sono state indicate le troppe diversità tra Pd e Pdl (31%).
La volontà del Pd di non abbassare le tasse (motivazione ufficiale di Berlusconi) ha raccolto solo il 13%.
In ogni caso, e questo è sicuramente un segnale molto preciso che forse spiega anche tutti gli altri, l’indicazione più netta riguarda l’argomento della decadenza di Berlusconi: il 61% pensa che il Cavaliere debba perdere la carica di senatore, mentre il 36% afferma che serve attendere ulteriori chiarimenti.
Quanto poi alle intenzioni di voto, un sondaggio di Datamedia Research, l’istituto di ricerca di Alessandra Ghisleri, la sondaggista più ascoltata dal Cavaliere, pubblicato da «Il Tempo», ha messo in evidenza una chiara flessione di Fi-Pdl (-1,2%), mentre il Pd si ferma a -0,9, con il Movimento 5 Stelle che guadagna 2 punti.
Il Pd comunque, secondo Ghisleri, si confermerebbe il primo partito con il 27, 1 per cento, contro Pdl/Forza Italia che ieri si attestava al 25,8%.
Per l’istituto Emg(La7), il Pd , invece, avrebbe registrato un aumento dell’1,8% in una settimana: oggi il 29,2% degli italiani voterebbe il Partito Democratico.
Si fermerebbe invece al 25% Forza Italia-Pdl, con una perdita dello 0,6% rispetto ai dati raccolti lo scorso 23 settembre .
M.Antonietta Calabrò
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
BRUNETTA: “DIREMO NO”, MA VIENE SMENTITO… L’URLO DI BONDI… LA SANTANCHE’: “E’ CHIARO CHE HA VINTO BERRRRLUSCONI, NON L’AVETE CAPITO?”
Renato Brunetta sbuca all’improvviso da una porta e va a fermarsi quasi al centro del salone Garibaldi (per capirci: qui a Palazzo Madama è il salone che bisogna attraversare per andare dalla buvette all’emiciclo).
Mezzogiorno passato da dieci minuti e ancora nessuno ha capito se Berlusconi e le truppe che gli sono rimaste fedeli voteranno la fiducia al governo.
Però forse Brunetta sa qualcosa
Mucchio dei cronisti, solita mischia, gomitate e microfoni. Brunetta, immobile, aspetta mettendo su la sua caratteristica maschera, che non sai mai se è un sorriso di scherno o un ghigno di soddisfazione.
Tossisce.
Diventa serissimo.
«Allora… abbiamo deciso di votare la sfiducia!» (quasi urlando).
Una scelta sofferta?
«Una scelta di coerenza! Ci siamo riuniti e abbiamo discusso…».
Quanti senatori erano presenti?
«La grande maggioranza dei senatori era presente. È stata una riunione formale con una discussione seria e approfondita. La decisione finale è stata approvata all’unanimità »
All’unanimità ?
«Cosa ho detto? U-na-ni-mi-tà » (Sapete quando poi Brunetta perde la pazienza).
Proviamo a ricostruire.
La riunione si è tenuta nella sala Koch. Con Berlusconi, presenti solo una cinquantina di senatori, anche se in totale sono 91 quelli eletti nel Pdl.
L’ala dura del partito, «falchi» più o meno grandi, tutta schierata.
Verdini (torvo, lo sguardo basso del generale che deve ammettere decine di diserzioni), Ghedini (al quale, raccontano, per tutto il tempo non si è mosso un muscolo del viso), e poi Bondi, Bonaiuti, Maria Rosaria Rossi, Romani, Nitto Palma.
Berlusconi parla poco, appare esausto, turbato, incerto.
Ad un certo punto entra Lupi e, con la voce che è un soffio, annuncia un documento a favore della fiducia firmato da 23 senatori pidiellini.
Si sente uno che dice: «Carogne…». Qualche senatore suggerisce prudenza.
L’uscita dall’aula potrebbe essere una mossa. Altri chiedono una linea ferma. E la linea c’è: è stata decisa nella notte a Palazzo Grazioli. Verdini: «Si vota la sfiducia. Punto». Bondi: «Esatto». Ghedini annuisce con la testa.
Così era stato deciso, e così bisogna fare. Non è ben chiaro come e perchè, ma qualcuno decide di mettere ai voti la decisione: mai, negli ultimi vent’anni, qualcosa che riguardasse personalmente Berlusconi è mai stata messa ai voti.
Procedono e probabilmente il Cavaliere neppure se ne accorge. Comunque una maggioranza c’è.
Brunetta, in quanto capogruppo alla Camera, si prende l’incarico di venirci ad avvertire; gli altri tornano in aula
Bondi si siede ed è evidente che gli tremano le mani. I suoi tratti somatici sono come alterati. Non c’è traccia del suo sguardo curiale.
Resta seduto un paio di minuti e poi di colpo balza in piedi e comincia ad urlare verso i banchi del Pd: «Vergognateviiiii!»
Scilipoti, che gli è accanto, si spaventa e fa per scostarsi.
Quagliariello china il capo (arrivando, Bondi gli era andato incontro minaccioso, battendogli le mani e dicendo: «Da quanto aspettavi una giornata così? Bravo Gaetano, bravo…»
Verdini, intanto, non smette di fare calcoli, e scrive su un foglietto, e somma, sottrae, cancella nervosamente, i conti non tornano, sbuffa, impreca.
Ghedini al telefono, con la mano davanti alla bocca, fa segno di no.
Maria Rosaria Rossi: «Questa scelta di votare contro il governo è purtroppo l’unica possibile… Non c’è altro da fare».
I fotografi, dall’alto, giocano a fare gli etologi. Raccontare l’attesa dei «falchi». Coglierne l’ansia prima dell’attacco, il voto vissuto come l’ultimo volo.
Migliaia di fotogrammi vengono scattati: e nessuno che si accorga però del lampo che, improvvisamente, illumina lo sguardo spento del Cavaliere.
Fregarsene dei suggerimenti forniti dai duri del suo esercito.
Sparigliare la scena.
Sorprendere.
Provare l’unica mossa per evitare la sconfitta sicura.
Votare la fiducia.
(Un’ora dopo )
Ghedini è cereo. Nitto Palma prende a male parole un senatore due file accanto. Bonaiuti si tiene la testa tra le mani.
Il capogruppo del Pd Zanda ha consigliato a Bondi di non paragonare più Berlusconi a Berlinguer e adesso Bondi replica cercando l’esercizio retorico: «Zanda fa bene a trattarci con un tale disprezzo…»
Ciò che resta dell’ala dura del partito è stordita, umiliata, rassegnata. A
lla Camera, Daniele Capezzone ha la voce che gli trema: «Voto la fiducia perchè me lo ordina Berlusconi».
E la Santanchè? Già , ecco: la Santanchè che fine ha fatto?
«Sono qui… mi cercava?» (in abito vintage turchese, cronografo d’oro al polso, tacco 14 d’ordinanza).
Triste?
«Io? E perchè? Oggi ha vinto Berlusconi: lei non se ne è accorto?».
Guardi che Berlusconi si è arreso…
Macchè! È un genio, ha spiazzato il Pd. Ma li ha visti? Basiti».
Voi «falchi» uscite spennati. Ora con Alfano sarà …
«Non ho mica il complesso di dover piacere a tutti, io».
Il Pdl, comunque, si è spaccato.
«Sciocchezze! Le guerre son fatte di tante battaglie… piuttosto, qui adesso ci vuole proprio una bella sigaretta: ha mica da accendere?».
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI HA VINTO PERCHE’ CI HA MESSO LA FACCIA E HA EVITATO IL TRADIMENTO”
Daniela Santanchè è addolorata. «Sono molto amareggiata. Per gli italiani, innanzitutto».
Insieme a
Denis Verdini ha perso. Almeno ieri.
«No, ha vinto Berlusconi. Lui è come il Crodino, fa impazzire il Pd. Ma li avete visti? Sono basiti, spiazzati».
Alla Camera fuma e passeggia in cortile: «Indosso un vestito azzurro libertà », dice. Conversa con i cronisti, poi si presenta davanti alle telecamere.
Più tardi risponde al cellulare.
E di Angelino Alfano neanche vuol sentire parlare: «Di capo ne basta uno, per una donna come me».
Onorevole, le colombe — e tutti gli osservatori, a dire il vero — indicano in lei la grande sconfitta della giornata.
«Anche Gianfranco Fini era il grande vincitore. Per i sondaggi e per tutti i giornali. Era applaudito dal centrosinistra. Era acclamato come il salvatore della patria. Mi sa dire dov’è ora Fini?».
Iniziamo bene, onorevole. Però Alfano ha strappato un successo. I falchi puntano il dito contro il voltafaccia di molti fedelissimi. C’è qualcuno che l’ha delusa di più?
«Non avevo aspettative diverse, quindi non sono rimasta delusa».
Scusi, avete accusato Alfano di aver pugnalato il Cavaliere…
«No, guardi, io già ieri ho detto che offrivo la mia testa ad Alfano. Se adesso inizieranno a tagliare davvero le teste, questo non potrà più essere il mio partito. Non si può chiedere più democrazia e poi non darla ».
E oggi? Chi ha tradito?
«Oggi non ci sono stati traditori… ».
Cioè, lei sostiene che nessuno ha tradito?
«Oggi non ci sono stati traditori perchè Berlusconi ci ha messo la faccia affinchè il tradimento non venisse consumato».
Senta, il 4 ottobre si vota la decadenza di Berlusconi.
«E allora?».
Beh, per settimane avete minacciato la crisi di governo. Di fronte alla decadenza chiederete di mandare in crisi l’esecutivo?
«Da oggi siamo in un altro mondo. E io ho votato la fiducia. Ma, mi ascolti bene, l’ho votata a Berlusconi, non al governo Letta».
Non promette bene. Però il Cavaliere è stato sconfitto.
«No. Berlusconi ha dimostrato di tenere al partito, piuttosto».
Forse non definitivamente, ma ha subito una sconfitta.
«Berlusconi è ancora centrale. Gliene hanno fatte di tutti i colori e siete tutti qua, ancora, a parlare di lui. Il tempo è galantuomo. Ci sono i supplementari. E poi sa cosa le dico? ».
Cosa?
«Io dico che la guerra è fatta di tante battaglie. E che Berlusconi è il più bravo di tutti».
E si fa consigliare male, accusano le colombe. Ce l’hanno con lei e con i cattivi consiglieri. Dicono che l’avete spinto a un passo dal burrone.
«Nessuno può condizionare Berlusconi. In questo Paese l’hanno accusato di tutto. Hanno cercato di processarlo per ogni cosa. Però nessuno, almeno fino ad oggi, l’ha accusato di non essere più in grado di intendere e di volere. Voglio dire una cosa, con chiarezza: nessuno lo condiziona. Berlusconi non ha buoni o cattivi consiglieri: ha scelto lui».
E oggi ha cambiato idea in modo improvviso, spiazzandovi. E mettendo nell’angolo voi falchi, che l’avevate convinto a votare la sfiducia.
«Guardi, io sono un paracarro. Orgogliosa di essere estremista. Non ho cambiato idea su nulla, neanche su Berlusconi. Ma sono anche una Pitonessa, cioè colei che prevede il futuro. E prevedo che Berlusconi farà impazzire il Pd».
(da “il Fatto Quotidiano“)
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