Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
DA UN BRANO DEL LIBRO DI DAMILANO LA RICOSTRUZIONE DELLA GENESI DEI 101 FRANCHI TIRATORI CHE IMPALLINARONO PRODI
La carica dei 101 suona tenero e disneyano, ma questi non sono simpatici cuccioli dalmata, è stato il giorno degli sciacalli al riparo del voto segreto (…)
Nei mesi successivi solo una parlamentare ha sollevato la questione nell’assemblea del partito: la deputata Sandra Zampa, portavoce di Prodi.
E solo un giovane deputato di Forlì, Marco Di Maio, ha formalmente chiesto con una lettera al segretario Epifani l’apertura di un’inchiesta interna.
La reazione? Nessuna risposta.
Sono stati i dalemiani, i giovani turchi, i franceschiniani, i fioroniani, i veltroniani, i renziani? Impossibile inseguire le voci e le complicate geografie correntizie del partito (…) Nessuno dei 101 ha sentito nei mesi successivi il bisogno di assumersi pubblicamente la responsabilità del suo gesto, di spiegarlo di fronte ai suoi elettori (…)
“Non esistono i traditori: è un concetto integralista che non condivido. Ed è vergognoso fare una distinzione nelle votazioni tra Marini e Prodi. Quando si è scelto Prodi, al di là delle ovazioni e delle alzate di mano, avrei voluto discutere con quale maggioranza si andava ad eleggerlo, visto che Scelta civica non ci stava e il M5S non si sarebbe spostato da Rodotà . Avremmo potuto votare Rodotà forse, ma nel frattempo la valanga era partita”, ha detto la deputata calabrese Enza Bruno Bossio, dalemiana, in un’assemblea dei deputati Pd qualche settimana dopo il voto per il Quirinale.
Ma certo, figuriamoci, non esistono i Traditori, nel girone infernale del Pd.
Ci sono però i Dubbiosi. Gli Scettici. I politicamente Lucidi.
Come il senatore Nicola Latorre, già braccio destro di D’Alema, due ore dopo il misfatto, uscendo dal teatro Capranica dimostrava una serenità invidiabile e idee molto chiare: “Che succede ora? Che saremo nelle condizioni di completare il lavoro iniziato in questi giorni eleggendo un nuovo presidente della Repubblica… ”.
Una deputata, la romana Fabrizia Giuliani, dalemiana, è stata sentita dire all’ingresso in aula: “Se Prodi per caso non dovesse farcela, cambia tutto”.
Come lei un’altra dalemiana, la romana Micaela Campana.
Un deputato della corrente di Letta, il campano Guglielmo Vaccaro, è stato ancora più preciso. Incontrando alcuni colleghi il 19 aprile in Transatlantico prima del voto si lasciò andare a una previsione: “Come finisce? Stasera salta Prodi, sarà rieletto Napolitano che incaricherà Letta di fare il nuovo governo”.
Nel girone dei Delusi la più delusa di tutti in quella giornata era la dalemiana Anna Finocchiaro, prima stoppata nella corsa verso il Colle dall’attacco di Renzi, poi bloccata mentre stava per parlare per candidare il suo leader D’Alema. Ma delusi, molto delusi erano anche i mariniani (…). E gli uomini di Dario Franceschini.
Nel girone degli Speranzosi, almeno in apparenza, si agitavano i sostenitori di Stefano Rodotà .
I deputati più giovani, più a sinistra, più spostati su posizioni vicine al Movimento 5 Stelle, che preferivano votare il giurista laico rispetto al cattolico Prodi, ma anche i parlamentari dalemiani.
Alla quarta votazione Rodotà aveva raccolto 213 voti, 51 in più del previsto: uno su due, la metà dei 101 aveva votato per lui (…) alla quinta votazione scese a 210, due voti in meno della somma 5 Stelle-Sel che era tornato a sostenerlo, 217 nell’ultimo scrutinio.
Insomma, Rodotà fu usato per eliminare Prodi.
Nel girone degli Ostili c’erano i gruppi regionali: gli emiliani spingevano per Prodi, i toscani al contrario volevano frenarlo, temevano che con la sua elezione si sarebbe rafforzato eccessivamente Renzi, il suo king maker, preoccupazione che tormentava il presidente della Regione Enrico Rossi.
Per fermare o rallentare la corsa di Prodi (e di Renzi) i toscani si riunirono e si consultarono.
Il segretario regionale Andrea Manciulli, il numero due della corrente di Dario Franceschini, il pratese Antonello Giacomelli, il fedelissimo di Manciulli Luca Sani, deputato di Grosseto, poi nominato presidente della Commissione Agricoltura della Camera, la deputata di Campiglia Marittima Silvia Velo, bersaniana, che prima delle votazioni confidò ai colleghi, compresi alcuni deputati e senatori leghisti, che lei non avrebbe mai votato per Prodi.
E dire che era appena stata nominata vice-presidente del gruppo Pd. Sicuramente ci avrà ripensato e nel segreto dell’urna si sarà allineata alle direttive del partito
Come i parlamentari del Sud fedeli a D’Alema: il deputato pugliese Michele Bordo, che comunicò la sua ostilità ai suoi capicorrente, poi promosso presidente della Commissione Politiche europee, oppure il molisano Danilo Leva, nominato in seguito responsabile Giustizia del Pd.
Tutti si sono sfogati prima del voto sulla scelta di Prodi. Tutti, poi, non c’è nessun motivo di dubitarne e nessuna prova del contrario, avranno certamente obbedito alla linea ufficiale.
Ci sono poi quelli che in seguito non hanno dimostrato particolare dispiacere per l’affondamento del Professore per motivi personali (…)
Però il senatore bolognese Gian Carlo Sangalli, noto disistimatore della famiglia Prodi (qualcuno dice che il voto per Vittorio Prodi porta la sua firma), di certo non si è messo in lutto. Anche lui ha replicato ai sospetti: “La mia è stata perfetta disciplina di partito”. (…) “Prodi chi? ”, rideva in Transatlantico già il giorno dopo Michele Anzaldi, deputato di prima nomina in quota Renzi, a lungo portavoce di Francesco Rutelli negli anni degli scontri più duri con il Professore.
da “Chi ha sbagliato più forte” di Marco Damilano
265 pp., Laterza, 15 euro
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
NELL’ANTICIPAZIONE DEL NUOVO LIBRO DI MARCO DAMILANO
«I primi tre girotondi a Roma furono intorno al Palazzo di Giustizia, poi alla Rai, poi al ministero della Pubblica Istruzione. Giustizia uguale per tutti, contro il monopolio dell’informazione, scuola pubblica: erano temi che riguardavano tutti, non solamente una parte dell’elettorato. Manifestazioni non di parte, ma dalla parte di tutti i cittadini. Ancora oggi sono fiero quando penso che nelle nostre manifestazioni siamo riusciti a coinvolgere anche una parte degli elettori del centrodestra.
Il «Corriere della Sera » scriveva che non si governa con le manifestazioni, ci accusavano di avere una mentalità minoritaria.
Non capivano: noi non volevamo affatto stare per sempre all’opposizione, non ci sentivamo per niente realizzati in quel ruolo.
Nel 1996 ero felice per la vittoria del centrosinistra e mi piaceva il governo Prodi, finalmente un ceto politico di cui non vergognarsi. Volete sconfiggere Berlusconi per via giudiziaria, ci hanno ripetuto per anni, lo ripetono anche ora.
Noi, in realtà , volevamo che la legge fosse uguale per tutti e che non si facessero leggi apposta per evitare processi a uno solo.
I girotondi li facevamo per ricordare, anche a noi stessi, che ci stavamo ormai abituando a considerare normali cose che in una democrazia non sono affatto normali: per esempio che un uomo possa essere proprietario di tre reti televisive e in più che possa fare politica, e in più che possa diventare capo del governo» (…)
Più volte Berlusconi è rientrato in gioco grazie alla sinistra, per esempio nell’ottobre del 1998.
Non sono d’accordo con chi sostiene che ci sia stato un complotto di D’Alema e di Marini. Il responsabile della caduta del governo Prodi fu Bertinotti.
Il gesto dissennato di Rifondazione comunista ha fatto perdere molti anni a questo Paese. In quel periodo Berlusconi era percepito come perdente anche dal centrodestra, che timidamente stava cercando un altro leader.
Prodi aveva una sua credibilità e il governo non era impopolare. Se Rifondazione non avesse fatto cadere quel governo, l’Ulivo avrebbe governato per dieci anni con Prodi e dal 2006 con Veltroni.
Se invece si fosse andati a votare subito dopo la caduta di Prodi, l’Ulivo avrebbe vinto da solo, senza Rifondazione» (…)
L’unica volta che nel periodo dei girotondi ho parlato con D’Alema fu alla manifestazione della Cgil al Circo Massimo, un mese dopo piazza Navona. Sul grande palco quadrato c’erano molte persone, naturalmente molti politici.
D’Alema mi dava le spalle, improvvisamente si voltò e senza nemmeno dire buongiorno, come continuando un discorso interrotto un minuto prima, mi corresse: «No, guarda, ti sbagli, nel ’98 non si poteva andare a votare».
Mi spiegò che non si potevano fare le elezioni perchè c’era la guerra in Kosovo e la legge di bilancio da approvare. Mi raccontò che furono proprio Veltroni e Mussi a bussare alla sua porta chiedendogli di fare il presidente del Consiglio.
Molti lo hanno criticato per delle scemenze, ma i suoi errori sono tutti politici, tutti visibili, tutti mai riconosciuti.
Non era tra gli elettori per il presidente della Repubblica lo scorso aprile, ma non credo sia stato triste il giorno in cui i 101 non hanno votato per Prodi».
«In questi anni ai vertici del Pd ci sono stati personalismi senza personalità e soprattutto una grande confusione.
Dopo le elezioni del 2013 pochi avevano già deciso che dopo quei risultati il governo con il Pdl fosse l’unico possibile, erano pochi ma sono stati decisivi. Gli altri, Bersani per primo, erano confusi.
Poi sono arrivati i 101 elettori che nel segreto hanno votato contro Prodi, che sembra avere l’unico torto di averli fatti vincere due volte. E qui non è una questione politica o generazionale: alcuni di questi campioni hanno trent’anni, altri sessanta, alcuni sono moderati, altri più di sinistra, no, quello che mi interessa è il peso specifico umano di quei 101, che è vicino allo zero.
Il governo Letta, per come è stato messo insieme, sembra la realizzazione dei peggiori luoghi comuni e pregiudizi del Movimento 5 Stelle sul Partito democratico.
Mi sembra che sia vissuto dai più come qualcosa di transitorio. L’elettorato e i militanti si sono messi in letargo per tornare in tempi abbastanza rapidi al voto». (…)
«C’è stata nel 1994 – con un monopolista televisivo che si candidava a guidare il governo – una straordinaria rottura delle regole democratiche. Per fronteggiare questo fatto straordinario c’era bisogno da parte della sinistra di una risposta straordinaria, anche sul piano simbolico.
Non c’è stata nemmeno una risposta ordinaria, semplice, piccola. E invece traccheggiare, sottovalutare il conflitto di interessi, ritenersi più furbi dell’avversario, assuefarsi lentamente a una costante, incredibile anomalia per un paese democratico.
Il centrosinistra in questi anni si è lasciato convincere che anche solo parlare di Berlusconi significava «spaventare i moderati» e «fare autogol». Ormai, anche il solo fatto di esistere, per la sinistra è diventato un autogol.
La vera vittoria di Berlusconi è stata di far sentire chi continua giustamente a parlare di conflitto di interessi, come una persona triste che dice cose ovvie, banali, meste».
«Chi vincerà ? Ci vuole un cambiamento di costume, culturale. Vincerà chi capisce che il gioco è cambiato e che bisogna farne uno completamente nuovo. Ci volevano altri strumenti per contrastare Berlusconi, un altro tipo di persone, un altro modo di fare politica. Un’altra solidità , un altro rigore. Un’altra integrità ».
(da “Repubblica“)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
BRUNETTA E GASPARRI IN AZIONE DI GUASTATORI
«Brunetta e Gasparri vogliono solo indebolire la Rai per fare un favore a Mediaset». Lo dicono riservatamente
i dirigenti della Rai.
Non temono di affermarlo pubblicamente gli esponenti del Pd in Vigilanza. A microfoni spenti aggiungono l’ovvio, agiscono per conto di Berlusconi, fanno i guastatori per favorire il Biscione nell’eterna battaglia degli share, gli indici d’ascolto che valgono pubblicità . Dunque soldi.
Ancora una volta, un partito che siede al governo si mobilita al servizio dell’azienda del Capo e dei suoi bilanci.
Intanto al quarto giorno di feroce guerra sui costi dei contratti in Rai aperta domenica da Brunetta attaccando Fazio proprio nello studio di Che Tempo che fa,Viale Mazzini reagisce.
Ma il capogruppo del Pdl arriva a chiedere le dimissioni del Dg Luigi Gubitosi.
Il primo effetto della polemica lanciata da Brunetta sui costi sostenuti dalla Rai per pagare conduttori e artisti si è visto lunedì, con la fumata nera nella trattativa per il passaggio alla tv pubblica di Maurizio Crozza.
Il comico che oggi lavora a La7 è considerato uno dei pochi, insieme a Santoro e Fazio, in grado di spostare ascolti, pubblicità e denaro.
Che il suo passaggio a Viale Mazzini fosse saltato per via della polemica sui cachet innescata da Brunetta lo si sussurrava da due giorni, ma martedì la conferma è arrivata dallo stesso Crozza che a Ballarò ha imitato il capogruppo berlusconiano «che fa le pulci alla Rai» e ha poi detto che lui per la tv pubblica sarebbe stato un affare, ma «nel dubbio di non essere un investimento per lo Stato mi sono fatto da parte».
Un mancato acquisto per la Rai che si somma a quello di Benigni, il cui programma di Natale in queste ore di polemica sui compensi si sta allontanando.
Ieri Gubitosi ha reagito con un comunicato dopo essere spronato a farlo dai consiglieri Rai Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo.
Il direttore generale ha difeso Fazio: «Non è un costo, ma una fonte di profitto e garantisce un’informazione trasparente, seria e di altissima qualità invitandotutte le componenti della società », anche chi «si vuole presentare con inutile aggressività ». Un riferimento proprio alla performance domenicale di Brunetta.
Frase che vuole sgomberare il campo dalle accuse di partigianeria del conduttore, anche se il cuore del discorso del dg punta sul fatto che il conduttore ligure porta soldi alla Rai nonostante il costo del suo contratto.
Dal Pdl reagiscono alzando i toni.
Gasparri accusa Gubitosi di«non fare uso corretto dell’azienda » aggiungendo che, insieme alla Tobagi e a Colombo, dovrebbe «difendere la Rai dallo spreco di soldi dovuti a compensi milionari ».
Brunetta va oltre: «Non si possono che chiedere le dimissioni di Gubitosi, è intollerabile che vanti l’equilibrio di Che tempo che fa».
A squarciare il velo per conto della Rai, i cui dirigenti non possono parlare apertamente, sono gli esponenti del Pd in vigilanza.
Basta sentire Paola De Micheli, per la quale «ci troviamo di fronte a un tentativo maldestro di indebolire la Rai per fare un regalo a Mediaset ».
Nota Francesco Scalia quanto sia «inquietante vedere il Giornale titolare “Dopo Crozza salta Benigni”.
È difficile non cogliere la conseguenza dell’azione di Brunetta: indebolire la Rai a vantaggio del suo concorrente, Mediaset.
La congruità dei compensi di Fazio, Crozza o Benigni andrebbe valutata in ragione degli introiti pubblicitari garantiti dai loro programmi.
Usare il proprio ruolo all’interno della Vigilanza attaccando questi contratti, con l’effetto di farli saltare, rappresenta un danno per l’azienda ed un aiuto alla concorrenza».
Nel pomeriggio Brunetta ha partecipato proprio alla riunione della Vigilanza nella quale ha attaccato la Rai.
Dietro le quinte al Nazareno e a Viale Mazzini la ricostruzione è la stessa.
Ricordano come la sfida di share e raccolta pubblicitaria tra le due ammiraglie, Rai Uno e Canale Cinque, volga ormai in favore della prima.
E che la stagione in cui si fanno più soldi sia l’inverno. Per questo Berlusconi – è la certezza di tutti – tramite i suoi parlamentari cerca di sabotare i contratti dei maghi degli ascolti. Crozza è saltato, Benigni pure e ora si cerca di evitare che Fazio conduca di nuovo Sanremo.
Già , perchè se come previsto nel 2014 arriverà la ripresa, con i big al servizio della Rai i nuovi introiti finirebbero nelle casse di Viale Mazzini a scapito di Mediaset. Insomma, ancora una volta la Rai deve combattere contro quella che la Tobagi e Colombo hanno definito «la cappa del conflitto di interessi».
Alberto D’Argenio
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’INTESA SU DELLAI DI “SCELTA CIVICA” SALTA A CAUSA DEGLI STESSI MONTIANI: “LA MAFIA AL MASSIMO L’AVRA’ VISTA AL CINEMA”…IL PD LASCIA LA SEDUTA
La Commissione Antimafia finisce di nuovo nel caos per l’elezione del presidente. È saltata l’intesa su Lorenzo Dellai come candidato e soprattutto i parlamentari del Pd hanno abbandonato San Macuto, determinando anche la mancanza di numero legale della Commissione per il voto.
Ancora una fumata nera dopo lo stallo provocato dalla mancata elezione di Rosy Bindi e Donato Bruno lo stallo per via del muro contro muro tra Pd e Pdl.
Sul nome di Dellai si era raggiunto un accordo, ma è tutto crollato in un’ora, prima della convocazione dei 50 componenti designati.
Davanti agli ascensori i senatori e deputati di tutti i gruppi arrivano alla spicciolata, molti ancora ignari del fuoco amico che ha investito Dellai da parte del 74enne catanese Andrea Vecchio, imprenditore anti-racket.
“Il collega Lorenzo Dellai — aveva detto — è certamente un buon amministratore, ma non ha le competenze per presiedere la Commissione antimafia e finora non è neppure membro. La sua candidatura appartiene, dunque, alle peggiori pratiche della vecchia politica. Dellai viene da Trento, che vuol dire contributi a fiumi rispetto al resto d’Italia. Di conseguenza, da quelle parti, a gestire bene la cosa pubblica. Ci vuole poco, soprattutto se non devi contrastare la mafia. Dellai, infatti, la mafia l’avrà vista al massimo al cinema. Credo che non si debba affidare una carica del genere per calcoli di palazzo. L’Antimafia non può essere un giochino politico”.
Fatto sta che in diversi, nel Pd e nel Pdl, sembrano ritenere che la candidatura regga. Prima di salire al quinto piano, un esponente del Pdl assicura: “Oggi si vota Dellai. Dovrebbe farcela, se le cose non cambiano… in ascensore”.
Sembra una battuta, in realtà dopo pochi minuti escono i parlamentari del Pd: “Non partecipiamo alla seduta, l’intesa è saltata per autoaffondamento” dice Miguel Gotor. Così non si è raggiunto il numero legale: i parlamentari avrebbero dovuto essere almeno 26, ma erano meno 20 sono quelli che si erano presentati.
“E’ un pessimo segnale per i tanti che si impegnano nella lotta alla mafia, magistrati, amministratori, movimenti, il fatto che nemmeno oggi un organismo dall’importanza simbolica così pronunciata come la Commissione Antimafia non sia riuscito ad eleggere il presidente. Noi non avevamo cercato questa carica, la candidatura era stata avanzata da Pd e Pdl e in questo senso resto a disposizione” dice Dellai (Sc) parlando con i giornalisti. Alla domanda se sia amareggiato per il fuoco amico che lo ha colpito, il capogruppo montiano alla Camera replica: “Sono solo questioni personali…”.
E così l’antimafia diventa il nuovo tavolo da poker sul quale ciascuno può giocare la propria carta.
I Cinque Stelle e Sinistra ecologia e libertà se la prendono con l’intera maggioranza: “E’ una grandissima vergogna. Pd e Pdl litigano per spartirsi una poltrona” dichiara Mario Michele Giarrusso.”Grave che la commissione antimafia resti ostaggio della maggioranza e delle sue interminabili contraddizioni” aggiungono i vendoliani.
Ma gli effetti più visibili sono soprattutto all’interno della maggioranza e anche all’interno dello stesso Partito democratico.
Nella riunione, che ha visto riuniti deputati e senatori democratici in commissione Antimafia, non si è trovato un punto di mediazione, a quanto si apprende, tra chi vorrebbe che il Pd continuasse a votare ad oltranza per Rosy Bindi e chi, invece, preferirebbe trovare un accordo di maggioranza.
Toccherà ad Epifani sbrogliare la matassa entro martedì prossimo quando bisogna assolutamente arrivare all’elezione del presidente dell’Antimafia.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
AL POSTO DEL NOME UN NUMERO…E NIENTE ESEQUIE DI STATO COME PROMESSO
E’ finita così, senza neppure una lapide. Senza fiori nè liturgie. Senza funerale. 
Le vittime del naufragio del 3 ottobre sono state seppellite così, come se niente fosse. Ottantacinque corpi dimorano qui, nell’assolata periferia di Agrigento, al cimitero di Piano Gatta.
Avevano promesso funerali di Stato. E invece nulla. Neppure una cerimonia, nessun rappresentante del Governo.
Tumulati nell’indifferenza istituzionale dopo giorni di lacrime.
Stesso discorso per gli altri 200 corpi, sepolti in vari cimiteri siciliani.
Erano partiti con una speranza, sono finiti in una bara. Dopo mesi di cammino, l’ultima frontiera di questi immigrati è il camposanto. Lontano dalla patria, lontano dai sogni. Eterna dimora, sistemata in fretta e furia dagli instancabili operai del cimitero.
Cinque cappelle che ospitano circa quindici corpi ciascuna. Al posto della lapide il cemento. Al posto del nome un numero.
Quei numeri che abbiamo visto scorrere nelle cronache dei giorni scorsi. Soltanto il sindaco e il vicario dell’Arcidiocesi di Agrigento hanno avuto la delicatezza di venire a trovare le salme.
Hanno portato cinque corone di fiori, ma ci sono soltanto quelle per 85 tombe.
Le cappelle in cemento riservate agli immigrati sono in fila, una dietro l’altra, monumenti ignoti del nuovo olocausto. Dentro ognuna di esse ci sono le vittime numerate. Dietro a ogni numero una bara. Ogni cappella ha otto corpi sottoterra e otto ai lati.
Il responsabile del cimitero, Salvatore D’Anna, ha ancora negli occhi le immagini dei sei camion che domenica scorsa hanno trasportato le bare. Lavora da anni nel camposanto ma tante bare tutte insieme non le aveva mai viste.
«Adesso non dobbiamo dimenticare» dice sconsolato. «Da Roma non ci è arrivata nessuna notizia in merito ai funerali, ma dobbiamo fare qualcosa».
Incredulo anche il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini: «Se avessimo saputo che non si sarebbero mai celebrati gli annunciati funerali di Stato per le vittime del naufragio di Lampedusa, prima di fare partire le salme dall’isola avremmo celebrato noi un funerale. Una cerimonia funebre per dare l’ultimo saluto alle povere vittime. Un funerale di paese, come quelli che facciamo a Lampedusa. E’ ingiusto seppellire i profughi senza un funerale…»
Sotto il cielo funereo di Piano Gatta, c’è un pezzo di Eritrea, un pezzo di Somalia, un pezzo di Siria.
Sono quasi tutti giovani i cadaveri che giacciono in queste bare infossate nelle pareti grigie.
Un bambino, una madre incinta e una coppia di sposi. Le loro salme si sono aggiunte a quelle di altri undici immigrati vittime dei naufragi. Una triste abitudine per il cimitero di Piano Gatta, un liet motiv che si trascina ormai da anni.
L’atmosfera immobile di Piano Gatta è distante dai clamori mediatici di Lampedusa: vedove e anziani in lento pellegrinaggio dai parenti defunti, ma quasi nessuno che porta un saluto alle vittime del mare.
Soltanto un paio di familiari eritrei arrivati poche ore fa, poi l’oblio, raramente interrotto da una preghiera di quei siciliani che non vogliono dimenticare.
Sono loro gli ultimi custodi delle anime migranti, gli unici a lasciare un ricordo su queste bare senza nome.
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
ALL’INSAPUTA DI MONTI, MAURO HA’ GIA FATTO L’ACCORDO CON IL PDL ALLE REGIONALI DELLA BASILICATA, D’INTESA CON CASINI
“Così non si può andare avanti, vanno verso una cosa che non c’entra nulla con i motivi per cui ci siamo candidati. Oggi lascio il partito”.
Mario Monti, parlando con i suoi più stretti collaboratori era sereno.
Ma anche determinato a non lasciare nelle proprie scarpe nemmeno un sassolino. Così ha preso carta e penna e ha scritto una lunghissima nota nella quale mette in chiaro (quasi) tutta la storia che sta rapidamente portando alla dissoluzione di Scelta civica. “Rassegno le dimissioni da presidente – ha scritto l’ex premier – La presidenza verrà assicurata dal vicepresidente vicario Alberto Bombassei, fino all’attivazione delle procedure previste dallo Statuto per la nomina del nuovo presidente. Domani lascerò il gruppo Sc del Senato e chiederò l’iscrizione al gruppo misto”.
La decisione, spiega il senatore a vita, è stata presa dopo che “sulla base degli elementi resi noti dal Governo sul disegno di legge Stabilità approvato martedì sera, ho avuto ieri scambi di opinioni all’interno di Scelta civica”.
È la manovra economica del governo il casus belli: “Nella serata di ieri ho rilasciato una dichiarazione come presidente di Sc- racconta Monti – vi si esprimeva una prima valutazione, secondo la quale il ddl Stabilità appare soddisfacente quanto al rispetto dei vincoli europei, timido per quanto riguarda la riduzione delle tasse, insoddisfacente per quanto riguarda l’orientamento alla crescita. Oggi, dal canto loro, undici senatori appartenenti al Gruppo di Scelta Civica – i senatori Albertini, Casini, De Poli, Di Biagio, Di Maggio, D’Onghia, Luigi Marino, Merloni, Olivero, Lucio Romano, Maurizio Rossi – hanno rilasciato una loro dichiarazione congiunta” .
“È difficile non convenire con il pochissimo che viene detto in ordine alla valutazione del ddl (“è un primo passo nella giusta direzione”). Ma vi è un quid specifico, di rilievo politico, che permea la dichiarazione, unisce le posizioni tenute di recente dagli undici firmatari e le connette ad un altro senatore di SC, che non è tra i firmatari in quanto fa parte del Governo, il ministro della Difesa senatore Mauro”.
“Non posso non intendere la dichiarazione degli ‘undici più uno’ senatori – sentenzia – come una mozione di sfiducia nei miei confronti”.
Tutto sotto la luce del sole, dunque.
La frattura con Mauro, tuttavia, è più profonda, e non si limita alla sola legge di stabilità . La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura dell’accordo elettorale in Basilicata, fatta, a quanto riferiscono fonti montiane, ad insaputa del senatore a vita.
Sarà infatti il civico Tito Di Maggio, ex Udc e uomo di Pier Ferdinando Casini, a guidare alle regionali una coalizione che comprende il Pdl, la Destra e Fiamma Tricolore.
Un apparentamento su cui l’ex premier non avrebbe mai dato il via libera e consumatosi alle sue spalle.
Il primo passo concreto di una strategia che mira a superare Scelta civica, strizzando l’occhio alla destra dello schieramento politico.
Già ieri l’inner circle di Monti aveva guardato con grande sospetto il pranzo del ministro della Difesa insieme a Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.
“Mauro è andato a chiedere la benedizione del Cavaliere a liste ‘popolari’ da apparentare al Pdl già a partire dalle prossime europee”, spiega una fonte vicina all’ex premier.
In cambio, l’esponente ciellino avrebbe assicurato al leader azzurro di farsi ambasciatore al Colle in merito al dossier decadenza. Così, quando il professore ha criticato la finanziaria del governo di Enrico Letta, le truppe di Mauro hanno iniziato a muoversi per mettere in sicurezza, anche sul fronte centrista, la manovra.
“Mario ha mobilitato i suoi, li ha fatti dichiarare in batteria contro Monti”, spiega un senatore di Sc.
L’ex premier scrive di suo pugno parte della storia.
“In questi giorni il senatore Mauro, con dichiarazioni ed iniziative, è venuto preconizzando, da un lato, una linea di appoggio incondizionato al governo, posizione legittima, ma che non è la linea di Sc, linea definita dai suoi organi direttivi e confermata nella proposta del ‘contratto di coalizione’; dall’altro, il superamento di SC in un soggetto politico dai contorni indefiniti ma, a quanto è dato capire, aperto anche a forze caratterizzate da valori, visioni e prassi di governo inconciliabili con i valori, la visione e lo stile di governo per i quali Scelta Civica è nata. Per i quali ho accettato di impegnarmi, di impegnare il mio nome e, con esso, di favorire l’ingresso o il ritorno in Parlamento di candidate e candidati che si sono formalmente impegnati a battersi per realizzare quella che essi stessi hanno chiamato ‘Agenda Monti'”.
Pronta la contromossa della pattuglia che fa riferimento al ministro della Difesa, che si muove all’unisono con Casini.
Che ha indirizzato una missiva al capogruppo a Palazzo Madama, Gianluca Susta, per chiedere la convocazione del gruppo.
La legge di stabilità predisposta dal governo è un primo passo nella giusta direzione”, scrivono. Firmano in dodici, uno in più di quelli che avevano difeso il testo dalle punzecchiature del senatore a vita. L’autografo in più è di quelli di peso: Mario Mauro.
Peccato che Monti, quando alcuni mesi fa minacciò l’addio, rimase ad una condizione: “La linea politica la detto io”.
Difficile, comunque che la missiva giunga a destinazione: anche Susta, seguendo il leader, si è dimesso.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
ORGANIZZATA UNA TASK FORCE PER MONITORARE IL WEB E LIMITARE I DANNI
È quando è arrivata la notizia che Michelle Bonev è ospite di Michele Santoro, nell’arena di Servizio pubblico,
L’ultima storiaccia di sesso, favori e fiction tra Berlusconi e l’attrice bulgara piomba nel vertice tra il Cavaliere e i ministri. Perchè Francesca (Pascale), che ha già denunciato l’attrice per le affermazioni sulle sue abitudini saffiche, è una “furia”, per dirla con chi ha raccolto i suoi sfoghi.
Francesca è preoccupata per le rivelazioni dell’attrice che quando frequentava palazzo Grazioli ottenne un premio per le sue qualità dall’allora ministro Bondi.
Sono di fuoco le parole che la first lady pronuncia verso Michelle e verso Santoro, indicato come il principale regista di una mai dismessa “macchina del fango”.
È in questo clima che Maria Rosaria Rossi, detta dai maligni la “badante”, si è fatta venire un’idea per limitare i danni.
Idea di cui il ministro Nunzia De Girolamo, entrata nel cerchio magico della Pascale come scritto da Repubblica, diventa braccio operativo.
È lei a organizzare in fretta e furia una “task force” di comunicatori che monitori i social network durante la trasmissione di Santoro, provando a limitare danni e parole pesanti su Francesca.
Ecco perchè vengono chiamati a palazzo Grazioli addetti stampa che si intendono di internet.
A loro il compito di “fare qualcosa” per evitare che Francesca venga massacrata su twitter e su internet: “Figuriamoci che hashtag escono mentre la Bonev racconta le sue storielle” è la preoccupazione dell’improvvisata unità di crisi.
“Controinformazione” è la parola d’ordine. La Bonev fa paura alla fidanzata ufficiale.
Perchè rischia di mettere in crisi l’intera operazione che Francesca ha costruito passo dopo passo, intervista dopo intervista: la Bonev ha dichiarato di aver avuto rapporti sessuali col Cavaliere in cambio di pressioni sulla Rai per la produzione delle fiction, ha rivelato nuovi particolari sulle abitudini da Sultano dell’allora premier.
E soprattutto ha cosparso di veleni Francesca. Più delle abitudini saffiche il messaggio che innervosisce la Pascale è l’allusione al suo essere non una fidanzata vera, ma una copertura usata da Berlusconi in campagna elettorale per rimettere insieme i cocci di un’immagine devastata dal Bunga bunga, dopo essere stata una delle tante.
È questo che fa saltare i nervi della Pascale. Ripiombare dal patinato di Vanity Fair, modello promessa sposa, all’epoca in cui — su internet è pieno di foto — si faceva immortalare con la Bonev, Nicole Minetti e Berlusconi in mezzo.
Da promessa sposa a ragazza di Papi, insomma.
Un ritorno al passato che ben si presta al gioco di veleni e di attacchi sotterranei chi non gradisce il suo ruolo sempre più invadente. A partire dai tanti parlamentari che non riescono più a parlare col Capo visto che del controllo centralino si è impadronito il duo Rossi-Pascale.
Per questo Francesca non ha intenzione di fermarsi all’improvvisata unità di crisi per lavare l’offesa della Bonev.
Dopo la trasmissione, nuovo consulto col suo cerchio magico.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
TRA APERITIVI E CENE; DE GIROLAMO E SANTELLI TRA LE SEI FEDELISSIME PIU’ VICINE AL LEADER
È a metà strada tra una corrente politica e un club. Ristretto, ambito, potentissimo.
L’ha “fondato” Francesca Pascale, coinvolgendo solo pochissime, selezionatissime parlamentari del Pdl.
E in poche settimane il “cerchio magico” della fidanzata di Silvio Berlusconi si è trasformato in efficace strumento di pressione sull’ex premier.
Attore determinante nella battaglia interna al Pdl, la “corrente Pascale” ama riunirsi a tarda sera. A cena o solo per un aperitivo.
L’ultima volta è accaduto martedì sera, nel cuore della Capitale.
Se esistesse una vicepresidenza del club, spetterebbe a Maria Rosaria Rossi. La senatrice bada a tutto quello che accade attorno all’uomo di Arcore ed è vicinissima a Pascale.
A lei, soprattutto, spetta la regia del gruppo.
Della fazione fanno parte anche il ministro Nunzia De Girolamo, Michaela Biancofiore, le deputate Jole Santelli e Barbara Saltamartini e la senatrice Maria Rizzotti.
Due sere fa alcune di loro, a due passi dalla centralissima piazza di Pietra, hanno sorseggiato un calice di vino rosso in compagnia della fidanzata di Berlusconi.
Il “think tank Pascale” è ormai sempre più temuto e invidiato nel Pdl perchè diventato, con il passare delle settimane, canale privilegiato per accedere al Capo.
Nella scalata al partito, ha giocato un ruolo decisivo anche in occasione del recente voto di fiducia al governo.
Al fianco di Angelino Alfano, con l’obiettivo di tarpare le ali ai falchi. Crescendo nella gerarchia berlusconiana, aumentano i nemici.
Nel mirino del gruppetto – che gli avversari interni più maliziosi hanno già ribattezzato “duduiste” – sono finite Mariastella Gelmini a Mara Carfagna.
Senza contare l’acceso diverbio tra Pascale e Denis Verdini.
Si occupa di tutto, il club.
“Invia” Maria Rosaria Rossi ad assistere alla conferenza stampa dei ministri-colomba del Pdl. Dispensa suggerimenti a Berlusconi sul governo, ma anche sul potenziale giro di poltrone dei giornali d’area.
E poi tira le somme a cena. Pizzeria o ristorante, si incontrano dopo le 22 e scelgono sempre locali alla moda.
Infatti incrociano spesso le telecamere. Vanno d’accordo, anche se vengono da storie politiche diversissime.
Jole Santelli è vicina ad Alfano. Saltamartini è schierata con Lupi. De Girolamo è semplicemente berlusconiana.
Rizzotti, poi, è senatrice, ma anche chirurgo plastico stimato dal Cavaliere.
L’unica pasdaran è Biancofiore. Condivide con Pascale la passione per i cani. E infatti spesso porta a spasso il suo barboncino insieme a Dudù.
Tommaso Ciriaco
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Ottobre 17th, 2013 Riccardo Fucile
ATTENDE IL RIENTRO DI LETTA DAGLI USA PER FORMALIZZARE LA SUA SCELTA
Stefano Fassina, vice ministro all’Economia, sarebbe pronto a presentare le dimissioni da vice ministro
dell’Economia.
Prima di formalizzare la decisione, secondo indiscrezioni raccolte in ambienti politici, starebbe solo aspettando il rientro di Enrico Letta dal viaggio negli Stati Uniti.
Il numero due di Fabrizio Saccomanni non ha nascosto negli ultimi giorni la sua irritazione per essere stato estromesso dai lavori preparatori della legge di stabilità .
Provvedimento che, anche in base alle deleghe ricevute, avrebbe dovuto seguire e difendere durante l’iter parlamentare che inizierà in Senato il prossimo 22 ottobre.
Del resto Fassina non ha nascosto di non condividere quasi nulla dell’impianto della manovra che Letta e Saccomanni si preparano a firmare.
In un durissimo post pubblicato solo ieri proprio su Huffpost, Fassina ha praticamente smontato pezzo per pezzo la legge di stabilità .
Le dimissioni di Fassina porrebbero comunque, un serio problema politico a Letta.
Il vice ministro, che viene dal Nens di Vincenzo Visco e Pierluigi Bersani, è molto ascoltato dall’ala sinistra del partito che sulla legge di stabilità rischia ulteriormente di spaccarsi.
(da “Huffingtonpost”)
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