Dicembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
I FORCONI, L’USCITA DALL’EURO, L’IMPEACHMENT A NAPOLITANO
Lo conosce bene, al punto di giurare che mai e poi mai starà a sinistra. 
«Grillo non vuole assolutamente l’accordo con il Partito democratico, ma l’80 per cento dei suoi parlamentari sono di sinistra o addirittura di estrema sinistra…».
Informato al dettaglio sulla vita interna del Movimento 5 Stelle, fino a prodursi in una raffinata analisi di tutte le anime, cinquanta sfumature di grillismo, nel discorso più importante, quello della rifondazione del suo partito, il 16 novembre, di fronte al consiglio nazionale della rinata Forza Italia. Silvio Berlusconi conosce bene il Movimento grillino, dall’interno, dai report, dalle analisi elettorali, dai contatti con il professor Paolo Becchi.
Uno che quando Berlusconi ha invocato una rivoluzione in caso di un suo arresto non si è fatto pregare: «Non vediamo l’ora!». (che nobile causa…. n.d.r.)
E chissà , forse questa stagione sarà ricordata come quella in cui è nato un nuovo animale della politica italiana: il Grilloni, nato dall’incrocio tra il leader di Cinque Stelle e il Capo di Forza Italia, entrambi exatraparlamentari.
«Un ibrido, un centauro, una creatura doppia», scriveva su “l’Espresso” Giampaolo Pansa inventando la mitologica figura di Dalemoni cui fu dedicata una storica copertina, «un D’Alema rimasto nelle fattezze fisiche uguale a se stesso, ma posseduto dai pensieri e dalle parole di Berlusconi».
Era il settembre 1996 e il Cavaliere, in quel momento all’opposizione, con la Bicamerale era uscito dall’isolamento, dimostrando di essere in grado di egemonizzare il leader Massimo del centrosinistra.
Facile, in realtà : in quel momento tutti (con l’eccezione di Romano Prodi) volevano assomigliare a Berlusconi e le ricerche raccontavano di una fascia importante dell’elettorato, una terra di mezzo, che sovrapponeva per valori e priorità il Pds e Forza Italia.
Oggi a guidare la partita è il Movimento 5 Stelle, è lì che si muovono 8 milioni di elettori non ancora consolidati che tutti vorrebbero riconquistare, gli elettorati sovrapposti sono quelli berlusconiani e grillini.
E l’ex premier è all’inseguimento: più che un Grilloni è un Berluschillo, un Berlusconi rimpicciolito che corteggia proteste, cavalca rivolte, prova a incarnare la rabbia, come l’originale ligure di Sant’Ilario.
Nonostante sia, da decenni, l’uomo più ricco e potente d’Italia, responsabile numero uno del disastro.
Silvio vorrebbe imitare Grillo nell’organizzazione del nuovo movimento forzista: reticolare, senza gerarchie e nomenclature, con volti sconosciuti alla politica e con un capo supremo e indiscusso al vertice a dare identità alla creatura.
E martellare sui media con le stesse parole d’ordine: i forconi e l’uscita dall’euro, l’attacco alla casta e la riforma elettorale, il bombardamento su Enrico Letta e soprattutto su Giorgio Napolitano.
Nulla più del tormentato rapporto con il presidente della Repubblica rieletto illumina la corsa a scavalcarsi tra Berlusconi e Grillo.
Otto mesi fa il Cavaliere faceva il giro del cortile interno di Montecitorio vantandosi di essere il grande regista dell’operazione Re Giorgio-bis, nelle ore in cui fuori dalla Camera, in piazza, Grillo urlava al colpo di Stato.
«Se ne vedono di tutti i colori, anche la comica marcia su Roma di Grillo e del suo fascismo buffo», lo ridicolizzò l’ex premier.
Ora, però, l’uomo di Arcore di colpi di Stato ne conta addirittura quattro, tutti contro di lui, naturalmente. E insieme i due minacciano di aprire un procedimento formale di impeachment verso il Capo dello Stato.
Il più ruvido del clan berlusconiano è l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini, oggi senatore forzista. «Napolitano minaccia di lasciare? Si accomodi. Ha la fiducia di una minoranza, non sarà rimpianto dalla maggioranza degli italiani», scrive su twitter.
E ancora: «Napolitano dovrebbe concedersi un periodo di silenzio. Il suo interventismo continuo rende la richiesta di impeachment di Grillo sempre più convincente».
Minzolini si è già fatto convincere da Grillo, gli altri arriveranno.
Per esempio il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, nell’aula di Montecitorio attacca l’inquilino del Quirinale, evocando l’argomento dei carri armati sovietici del 1956 in Ungheria, non esattamente di stretta attualità , e sferza i giornalisti con il suo “Mattinale” che fa invidia a molti pasdaran a 5 Stelle.
Da quando Forza Italia è passata all’opposizione l’emulazione-competizione con i grillini è diventata una costante, dentro e fuori le aule parlamentari.
Quasi impossibile rintracciare una diversità di toni e di contenuti tra alcune parti del blog di Grillo e le sfuriate che trapelano da Palazzo Grazioli.
Con l’originale (Beppe) sempre più agile nel dettare la linea del marchio di seconda scelta (Silvio).
Berlusconi annuncia di capire le proteste dei forconi e di voler incontrare una delegazione dei rivoltosi (appuntamento poi annullato)?
E Grillo si è già fatto vedere in piazza, a Genova durante lo sciopero dei tranvieri e mediaticamente dalla parte dei forconi, ripercorrendo le strategie di un tempo, «stare nel movimento», come predicava la sinistra ufficiale negli anni Settanta rispetto alla sinistra extraparlamentare, oggi è il leader di M5S che si ritrova in questa scomoda posizione, dentro le istituzioni a fare la minoranza e fuori, nei cortei già incendiati dalla presenza dell’estrema destra.
Il Grilloni-Berluschillo si è già fatto sentire, e ancora più lo farà nei prossimi mesi, contro l’Europa egemonizzata da Angela Merkel e sull’ipotesi di uscire dall’euro, ormai agitata a una sola voce da Grillo e Berlusconi, aiutata da un vento anti-europeista in aumento anche tra economisti e intellettuali, da Alberto Bagnai, l’esperto di debito pubblico che interviene sul blog di Grillo e molto amato dalla Rete, a Claudio Borghi, economista dell’Università Cattolica, che pubblica i suoi strali no-euro sul “Giornale” della famiglia Berlusconi e che ha trascorso l’ultimo fine settimana dividendosi tra il congresso della Lega con il nuovo segretario Matteo Salvini e il convegno dei parlamentari di 5 Stelle.
Un fronte anti-europeista che comprende la Lega di Salvini, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, la Destra di Francesco Storace: quasi tutti sono stati alleati o addirittura ministri con Berlusconi, in caso di voto anticipato finirebbero per schierarsi con Forza Italia, ma nella scelta dei temi e del linguaggio è il grillismo a essere dirompente, gli altri gli corrono dietro sulla strada dell’europeisticamente scorretto.
L’ultima battaglia comune, in cui Silvio e Beppe marciano divisi e colpiscono uniti, è la riforma della legge elettorale.
Dopo molti ripensamenti e una gran confusione Forza Italia e Cinque Stelle sembrano essersi fermati a richiedere il ritorno della vecchia legge elettorale, il Mattarellum, con i collegi uninominali che sulla carta non sfavoriscono nessuno ma che con i risultati delle ultime elezioni non sono in grado di assicurare un vincitore certo alle elezioni: deve essere proprio questo che piace a Berlusconi e a Grillo.
«Il doppio turno è il rifugio dei proporzionalisti e degli scissionisti, di quelli che l’hanno fatta nel centrodestra e di quelli che la faranno nel centrosinistra. Renzi farebbe bene a riflettere», avverte Minzolini.
Se anche il nuovo Pd di Matteo Renzi si spostasse sul Mattarellum la legge sarebbe votata dalla Camera e le elezioni anticipate si farebbero più vicine.
La strana coppia Silvio-Beppe prova a dare la spallata: nel complesso risultato di equilibri, pesi e contrappesi che è la politica italiana può capitare anche questo, che lo Psico-nano, come lo chiamava Grillo non ancora leader politico, e il comico che si fece leader tra la denuncia di un colpo di Stato e una rivoluzione annunciata si ritrovino dalla stessa parte.
Per poi tornare a farsi la guerra, perchè alle elezioni europee la contesa sarà voto su voto, e i due si contendono lo stesso elettorato.
Ma prima che torni la competizione il Grilloni ha ancora qualcosa da fare: l’impeachment di Napolitano, il collasso finale del sistema.
Progettato da chi il sistema voleva distruggerlo. E da chi il sistema per anni l’ha incarnato.
Marco Damilano
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SUL REGALO ALLE SOCIETà€ DEI GIOCHI, CHE ADESSO PURE LETTA DICE DI VOLER CANCELLARE, CI SONO SOLO IMPRONTE DIGITALI DI ESPONENTI DEL CENTRODESTRA: ECCO COME È ANDATA
Nuovo Centro D’Azzardo. Ncd. Il partito di Angelino Alfano ma anche di Federica Chiavaroli, la cui mano ha inserito nel decreto salva-Roma il fatidico subemendamento 20 quater per punire i comuni che a loro volta puniscono il gioco, e poi di Claudio Azzollini, presidente della commissione Bilancio al Senato e indagato per truffa e associazione a delinquere per i lavori nel porto di Molfetta, e infine di Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia con la preziosa delega ai giochi.
La filiera dell’ultimo, scandaloso favore alle concessionarie di slot machine è tutta nel partito degli scissionisti ex diversamente berlusconiani.
Una tenaglia che si è stretta dal governo (Giorgetti) e dalla commissione Bilancio di Palazzo Madama (Azzollini e e Chiavaroli).
Spiega una gola profonda della commissione al Fatto : “Nella nostra anticamera, per tradizione, bivaccano i lobbisti del gioco d’azzardo. Tutti i giochi, è il caso di dirlo, si fanno da noi e non escludo che alcuni miei colleghi siano a libro paga di queste società ”. Accuse e allusioni pesantissime.
Poi il sospetto finale: “Il partito di Alfano è appena nato e non hanno più Berlusconi che caccia i soldi”.
Renato Brunetta, capogruppo forzista alla Camera, la gira in un altro modo: “Perchè il Nuovo Centrodestra tifa per le slot? Fanno riferimento ai valori del Ppe o ad altri valori?”.
In realtà , sul gioco d’azzardo, tra i partiti il più pulito c’ha la rogna, come si dice a Roma. Il sottosegretario Giorgetti, per esempio, si occupava di slot anche quando era nel governo Berlusconi, in quota An.
Sotto la sua supervisione presero piede le videolottery, i win for life, i bingo online.
Nel marzo scorso, a Rimini, alla fiera degli apparecchi da gioco si spellarono le mani per Giorgetti: “I numeri della ludopatia sono sovrastimati rispetto alla realtà , state subendo una demonizzazione e una denigrazione senza precedenti”.
Centrodestra o larghe intese poco importa. Quando il gioco si fa duro Giorgetti è lì a sorvegliare.
Senza dimenticare che la fu An è un partito che ha dato tantissimo alla causa dei biscazzieri: il famigerato Corallo, oggi in disgrazia con Bplus, poteva contare su Amedeo Laboccetta e un fedelissimo finiano, Checchino Proietti.
In Parlamento la lobby delle dodici società del gioco (Cirsa, Codere, Cogetech, Gament, Gamtica, Gtech/Lottomatica, Hbg, Intralot, Nts Network, Net Win, Snai e Sisal) non si limita solo a dispensare finanziamenti legali ai partiti e a suggerire emendamenti cruciali ma è in grado di stroncare carriere.
Esemplare il caso di Raffaele Lauro, prefetto ed ex senatore del Pdl. Lauro, come ha raccontato il Fatto nel gennaio scorso, ha condotto una guerra solitaria contro le lobby delle slot.
La sua ultima sconfitta fu con Monti, un anno fa.
L’allora senatore del Pdl convinse il premier a varare norme antimafia per “la trasparenza proprietaria delle società concessionarie e dei gestori del gioco d’azzardo”.
Il provvedimento fu ritirato e Lauro non fu più ricandidato alle politiche di febbraio. Disse: “Sono stato escluso dalle liste con metodi gangsteristici. Hanno vinto le mafie del gioco”. Lauro venne convocato da Quagliariello, oggi ministro di Ncd all’epoca vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, con questo motivo: “Berlusconi vuole parlarti a quattr’occhi”.
Ma B. non chiamò e Lauro chiese spiegazioni a Quagliariello, che gli disse: “Il problema sono le tue iniziative sul gioco d’azzardo. Alcune società minacciano di non fare più pubblicità su Mediaset”.
Chissà se lo stesso destino aspetta il povero senatore Riccardo Nencini, leader socialista alloggiato nel Pd.
Anche Nencini, un mese e mezzo fa, ha provato a far aprire gli occhi ai suoi colleghi sul gioco e sulla legge di stabilità : “Se aumentiamo la tassazione possiamo guadagnare 7 miliardi da impiegare nelle pensioni minime”.
Altra voce clamante nel deserto. Nencini è stato il primo ad accorgersi del subemendamento Chiavaroli, l’altro giorno in aula.
Un favore da 150 milioni di euro che sarebbe stato superfluo se il governo avesse avuto le palle d’acciaio di costringere le concessionarie alla sanatoria per evasione da 600 milioni.
Poi Renzi si è buttato sulla questione e ha parlato di “porcata”, dopo che il suo partito l’aveva votata. Imbarazzante.
Adesso lui e Letta hanno promesso di voler rimediare.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
MA L’ALIQUOTA MASSIMA POTRA’ SALIRE
Un mezzo regalo di Natale. Con il rischio che l’intervento non sia sufficiente a compensare le
famiglie con figli che non potranno contare sulle stesse detrazioni del 2012, quando c’era l’-Imu.
Il governo iha confermato l’intenzione di correre ai ripari per arginare la protesta dei Comuni, capeggiati dal sindaco di Torino e presidente dell’Anci Piero Fassino, e appoggiati dagli stati maggiori del Pd, Renzi e Cuperlo.
In queste ore i tecnici dell’esecutivo stanno lavorando per assemblare il decreto che dovrebbe rispondere alle richieste dei Municipi infuriati per la perdita di 1,5 miliardi di trasferimenti che sono scomparsi nel passaggio parlamentare dalla vecchia Imu al nuovo sistema della Tasi
I MILLE GRANDI COMUNI
Nella legge di Stabilità , che ieri ha ottenuto la fiducia alla Camera, viene infatti concesso a «ristoro» dei Comuni solo un miliardo, ma il calcolo è stato fatto considerando che le amministrazioni avrebbero potuto recuperare, con le proprie forze, grazie alle al mix di incassi fiscali basati sulle tasse sulla prima casa e sulla seconda circa 3,7 miliardi contro i 4,7 dell’Imu del 2012.
Invece durante il passaggio alle Camere uno degli elementi che reggeva il quadro è venuto meno facendo franare le stime: l’aliquota massima per la seconda casa è scesa dall’11,6 al 10,6 per mille, con la conseguente perdita di circa 1,1-1,5 miliardi.
Colpiti dal nuovo meccanismo soprattutto i grandi Comuni che hanno già portato l’aliquota al 10,6 e non hanno più margini di aumento.
Di qui nasce la richiesta dei sindaci di riavere indietro i soldi: anche con i 500 milioni messi a disposizione con la «Stabilità », reintrodurre le detrazioni in questa condizione è assai difficile
DELRIO AL LAVORO
Il nuovo decreto del governo, ancora in allestimento, prevede due ipotesi, vincolate entrambe all’ampliamento delle detrazioni (che sull’Imu c’erano: 200 euro più 50 per figlio).
Ad entrambe ha fatto riferimento il ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio: «Serviranno a dare flessibilità all’aliquota della Tasi per fare le detrazioni alle famiglie», ha annunciato ed ha ricordato che il nuovo intervento porterà a 1,2-1,3 miliardi gli attuali 500 milioni destinati alle detrazioni.
Dunque circa 7-800 milioni in più. «Stiamo lavorando per tenere conto del problema, le soluzioni devono essere condivise dall’intero governo e dall’Anci», dice il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
LE DUE IPOTESI
Le ipotesi sul tavolo sono due. La prima prevede lo stanziamento di 800 milioni «vincolati» e «riservati » a quei Comuni che reintrodurranno le detrazioni.
La seconda, invece, a costo zero per lo Stato, prevede la possibilità per i Comuni, che applicheranno le detrazioni, di aumentare l’aliquota massima della Tasi, dall’attuale 2,5 per mille al 3,5 mille, arrivando pericolosamente vicina all’aliquota base della bistrattata Imu che era al 4 per mille.
Senza contare che negli ultimi giorni i Comuni l’hanno scampata bella: nel testo modificato dalla Commissione Bilancio della Camera è saltata all’ultimo momento l’idea di limitare all’1 per mille il tetto dell’aliquota Tasi sull’abitazione principale. Il che avrebbe messo ancora più in difficoltà i sindaci
UNA STORIA INFINITA
Alla fine dei giochi si mette una nuova toppa al sistema di tasse sulla casa, che così rischia un nuovo caos e una instabilità cronica, sottoposto a continui cambiamenti che mettono sotto stress contribuenti, commercia-listi e Caf.
La storia comincia con il discorso di insediamento di Enrico Letta, costretto dall’ accordo con i berlusconiani, a promettere il «superamento» della tassa.
Tra pressioni e polemiche si passò per un rinvio (a maggio) poi per l’abolizione della prima rata (ad agosto), in seguito si arrivò all’abolizione della seconda rata (era novembre).
Nel frattempo la tassa sulla casa non cambia la sostanza ma cambia nome: prima doveva chiamarsi «service tax», poi la legge di Stabilità la battezz
Trise (contiene Tasi e Tari), il Senato la battezza ancora due volte, si passa dalla Tuc alla Iuc, nome per ora stabilizzato.
Ora il 2014 si apre con una serie di scadenze di fuoco: come è noto resta da pagare la mini-Imu, cioè la differenza tra l’ aliquota fissata dai Comuni e quanto rimborsato dallo Stato ad aliquota base.
CHI HA FIGLI PAGA DI PIU’
Il rischio, come ha prontamente calcolato la Cgia di Mestre, è che anche l’erogazione degli 800 milioni aggiuntivi non sia sufficiente a ristorare i contribuenti con figli e abitazioni di medie dimensioni dal passaggio dall’Imu alla Tasi.
Per un abitazione, categoria A3, la detrazione media salirebbe dai 25 ai 66 euro e comporterebbe comunque un aggravio, rispetto al 2012, dai 47 (con 1 figlio) ai 111 (tre figli) nel caso in cui l’aliquota fosse portata al 2,5 per mille.
Anche nel caso che si desse la possibilità ai Comuni di alzare l’aliquota al 3,5 per mille di vantaggi se ne avrebbero pochi perchè molte delle detrazioni che i Municipi introdurrebbero sarebbero mangiate dalla nuova e più alta aliquota.
E le risorse? Si conta sul «tesoretto » di 4-6 miliardi che lo spread basso avrebbe consentito di far risparmiare sull’onere per il debito.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
COMPROMESSO PER CONVINCERE FORZA ITALIA E NUOVO CENTRODESTRA SULL’OFFERTA DEL PD
L’ircocervo non ha ancora un nome. E tuttavia inizia a prendere forma nelle conversazioni riservate tra esponenti del Partito democratico e di Forza Italia sulla legge elettorale. È un modello del tutto nuovo.
È un ibrido che prende la struttura del vecchio Mattarellum e ci innesta sopra un doppio turno (eventuale) di coalizione.
Il composto alchemico è l’ultimo prodotto della fucina renziana e, secondo chi lo ha potuto leggere, sarebbe «l’uovo di Colombo».
Berlusconi vuole il Mattarellum? Il Pd vuole il doppio turno? Che problema c’è, basta mischiarli insieme ed ecco il risultato.
Anche i partiti minori, come Ncd, non verrebbe soffocati in culla grazie al fatto che la quota proporzionale rimarrebbe intatta.
La proposta parte infatti dal mantenimento delle vecchie quote del Mattarellum: 75% di maggioritario e 25% di proporzionale.
Alla Camera significa 475 seggi maggioritari e 155 seggi proporzionali.
Dalla quota maggioritaria sarebbe ritagliato un tesoretto di 75 seggi, un «premio di governabilità » da assegnare a quel partito che abbia superato una certa soglia.
L’idea è fissare l’asticella a un’altezza congrua, non semplice da raggiungere: 200 seggi. Chi li dovesse conquistare con i propri voti, collegio per collegio, vincerebbe anche il premio di governabilità di ulteriori 75 seggi (pari a quasi il 12 per cento dell’assemblea). A questi 275 andrebbero poi aggiunti i seggi ottenuti dal partito nella quota proporzionale per arrivare – auspicabilmente – alla maggioranza assoluta di 315 deputati.
E se nessuno dovesse superare l’asticella dei 200 collegi vinti?
Allora e solo allora scatterebbe un ballottaggio tra le prime due coalizioni per aggiudicarsi il premietto di 75 seggi.
Questo è lo schema su cui si sta ragionando. Un cocktail di elementi diversi messo a punto, pare, dal renziano Matteo Richetti.
«È fattibile», sentenzia Lorenzo Cesa, il segretario dell’Udc che nella scorsa legislatura trattò con Verdini e Migliavacca una nuova legge elettorale.
Per Paolo Gentiloni, renziano doc, il doppio turno sarebbe quasi inevitabile «visto che la presenza di Grillo come terzo incomodo nei collegi renderà difficile che qualcuno arrivi alla soglia dei 200 seggi».
E così sarebbe accontentata anche l’ala sinistra del Pd, che continua a reclamare il doppio turno.
Come ha ricordato ieri l’ex segretario Pierluigi Bersani: «In questa situazione solo il doppio turno ti può garantire la governabilità . Le altre soluzioni, compreso il Mattarellum, non lo garantiscono». Peraltro, ha aggiunto, «Berlusconi vuole il turno unico perchè è il modo per tenere ancora tutti sotto di lui, per riuscire a fare ancora un’ammucchiata di cui lui è il capo. Con il doppio turno si dà un po’ più di spazio di manovra anche ad Alfano. E non mi pare il caso di fare regali a Berlusconi».
Il caso Alfano, al di là dei toni ruvidi con cui Renzi ha strapazzato in pubblico il leader Ncd, è stato a lungo discusso nella segreteria Pd.
Maria Elena Boschi, addetta alle riforme, ha già incontrato informalmente diversi esponenti del nuovo centrodestra.
Del resto Napolitano, nell’incontro di due giorni fa al Colle, avrebbe chiesto alla Boschi proprio questo, di partire da una prima consultazione interna alla maggioranza.
«Ci sono alcuni gruppi che sostengono il governo – ha insistito ieri il ministro dell’Interno – quindi la nostra ipotesi è: intendiamoci su una base comune nelle maggioranza e poi parliamo con gli altri, anche con Forza Italia».
Il ministro Graziano Del Rio e lo stesso Richetti tengono aperto il dialogo con gli alfaniani.
Da queste conversazioni è emerso un paletto insormontabile: «Alfano – spiega uno dei renziani – ci ha chiesto di non arrivare all’approvazione definitiva della riforma fino ad aprile, in modo da avere la garanzia che non si voti a maggio ma si arrivi al 2015. Su tutto il resto, persino sul Mattarellum, è disposto a discutere ».
Per venire incontro al Ncd, l’approvazione della riforma al-la Camera avverrà nei tempi stabiliti – la prima settimana di febbraio – come annunciato da Renzi.
Mentre il passaggio del Senato sarà più al rallentatore, proprio per evitare fughe verso le elezioni anticipate.
L’idea di arrivare a un Mattarellum- bis, che prevede un eventuale doppio turno ma lascia inalterate le quote del 75-25 per cento, è dovuta anche a un’altra preoccupazione circolata nell’inner circle renziano.
L’incubo di dover ridisegnare tutti i collegi d’Italia. «Se si tocca il 75% bisogna aggiornare la mappa – osserva il renziano Ernesto Carbone – e allora campa cavallo, ci potrebbe volere anche un anno di tempo!».
Senza contare che sarebbe il Viminale a dover ridisegnare i collegi. Proprio il ministero in mano all’uomo che ha meno fretta di andare a votare.
A questo punto l’unico ostacolo al Mattarellum-bis potrebbe essere Denis Verdini – a cui il Cavaliere ha delegato la trattativa – che è da sempre favorevole al sistema spagnolo (proporzionale con collegi piccoli e liste bloccate).
«Ma Verdini – riflette Paolo Gentiloni – dice spagnolo per trattare meglio sul Mattarellum ».
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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