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CHARLIE HEBDO, TRA I POLITICI ITALIANI E’ GARA A CHI LA SPARA PIU’ GROSSA

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

TRA ARGOMENTAZIONI DELIRANTI E L’IMMANCABILE TEORIA DEL COMPLOTTO

“Siamo in guerra!”, “iniziamo con i rastrellamenti, “blocchiamo Schengen”, “senza pietà  contro queste merde!”, “colpa delle lobbies”, “facciamo come la Cia”, “e se ci fossero manine non islamiche?…”.
Sono passate 24 ore dall’assalto terrorista nella sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo – 12 i morti – e molti politici italiani non hanno perso occasione per farsi riconoscere con argomentazioni deliranti e qualche immancabile teoria del complotto.
Il sindaco leghista di Padova Bitonci vuole cacciare dalla città  tutti quei musulmani che non condanneranno pubblicamente la strage parigina.
E se il leader padano Matteo Salvini rilancia su Twitter l’hashtag “#StopInvasione”, arrivando a contestare le “ricette” di Papa Francesco, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri chiede di risparmiare i soldi per il riscatto delle due volontarie italiane rapite in Siria ed utilizzarli per “un’offensiva militare decisa contro le centrali del terrorismo”.
Sul blog di Beppe Grillo ci si concentra sui reali mandanti dell’irruzione, ma siamo alle solite: “Sarebbe molto bello sapere chi ha mosso i fili…”, “e se ci fosse qualche manina non islamica dietro l’attentato?”.
In compenso, grazie ad un imperdibile post pubblicato dal leader 5 Stelle, apprendiamo che non meglio precisate “lobbies” hanno permesso “ai fanatici islamici di spadroneggiare nei paesi occidentali”.
Implacabile la furia degli eurodeputati leghisti: Gianluca Buonanno torna a dichiararsi favorevole ai “metodi Cia”, quindi alle torture, mentre il collega Mario Borghezio propone poteri speciali alle forze dell’ordine, “rastrellamenti” e controlli a tappeto.
Abbiamo raccolto per voi le peggiori dichiarazioni dei politici italiani e alcuni titoli apparsi sui quotidiani di oggi, dal “Macellai islamici” del Giornale a “Questo è l’islam” di Libero.
Matteo Salvini, leader della Lega Nord, sui propri social network:
“Se MASSACRO di Parigi sarà  confermato di matrice ISLAMICA, è chiaro che ormai abbiamo il nemico IN CASA. #StopInvasione, subito!”. “Un pensiero per le povere vittime, disgusto per i politici incapaci”. “Nonostante il MASSACRO DI PARIGI, sapete di cosa RENZI sta facendo discutere il Senato adesso? Di LEGGE ELETTORALE!!! Roba da matti. Secondo voi non dovrebbero occuparsi di TERRORISMO???”. “Non penso che Papa Francesco ci porti lontano, le sue ricette del volemose bene non sempre possono essere efficaci”.
Carlo Sibilia, onorevole M5s ed acerrimo nemico del Club Bilderberg, su Twitter:
“Incredibile che a #CharlieHebdo sia rimasto ucciso l’economista Maris che denunciava irregolarità  su emissione moneta”.
Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, su Twitter:
“Non possiamo rinunciare a democrazia e libertà . Bisogna reagire. Meno soldi per i riscatti. Armiamo aerei per colpire centrali terrorismo”. “Invece di pagare riscatti per sequestri spendiamo i soldi per distruggere le centrali del terrorismo”. “Bisogna reagire: sappiamo chi sono e dove sono. Serve un’offensiva militare decisa”.
Roberto Maroni, presidente di Regione Lombardia (Lega Nord), su Twitter:
“Dopo massacro di Parigi Matteo Renzi deve sospendere accordo Shengen (Schengen, ndr) su libera circolazione, per evitare passaggio terroristi da Francia a Italia”.
Beppe Grillo sul proprio blog pubblica un post di tale Antonella G.: lobbies, burattinai e “strategia del terrore”…
“(…) Molti giornalisti, per legittima paura, si autocensureranno più di quanto già  non facciano per servilismo. Io credo che la strategia del terrore stia riprendendo alla grande: la mistificazione dei fatti non è più sufficiente per tenere bassa la protesta, siccome la gente è sempre più inc****ta, adesso serve la paura. Sicuramente saranno stati i fanatici islamici a cui le lobbies hanno permesso di spadroneggiare nei paesi occidentali, ma sarebbe molto bello sapere chi ha mosso i fili”.
Paolo Becchi, professore universitario vicino al Movimento 5 Stelle, sul Fatto Quotidiano:
“Questo è l’inizio del nuovo disordine globale”.
Gian Marco Centinaio, senatore della Lega Nord:
“Io ho una croce tatuata sulla spalla, e per questo mi hanno impedito di andare in un paese musulmano, perchè ritenuta offensiva”.
Fabrizio Bracconeri, mitico Bruno Sacchi dei “Ragazzi della terza C” ed ex candidato europeo di Fratelli d’Italia:
“Per liberarci dal terrorismo islamico DOBBIAMO PRIMA LIBERARCI DAL PD… se non si capisce questo!”.
Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, in prima pagina:
“MACELLAI ISLAMICI. Questa è guerra. Altro che islam buono e islam cattivo, altro che multiculturalismo come risorsa e porte aperte all’immigrazione come dovere, altro che «cani sciolti». (…) E siccome loro hanno urlato, tra una raffica e l’altra, che il mandante è Allah, ecco allora io dico: per loro Allah è il capo dei terroristi che vogliono sopprimere le basilari libertà  dell’Occidente. (…) Dico che l’immigrazione selvaggia è il grimaldello per entrare nella nostra storia, nelle nostre città . Dico che non ci sarà  mai possibilità  di integrazione. Non ho dubbi che la parte giusta è la nostra, quella di una «civiltà  superiore»…”.
Magdi Cristiano Allam, Il Giornale:

“L’Islam uccide per precetto. I moderati non esistono”.
Da un servizio del Tg2 sul lavoro dei vignettisti di Charlie Hebdo:
“Vi risparmiamo alcune vignette anticattoliche effettivamente oscene, e neanche Bergoglio è immune dall’acre umorismo del team francese”.
Libero, prima pagina:
“QUESTO È L’ISLAM”. Ed il direttore Maurizio Belpietro: “Siamo in guerra: vietato illudersi, l’islam è il nemico”.
Christian Rocca, direttore di “Il”, magazine del Sole 24 Ore, su Twitter
“It’s Islam, stupid”.
Aldo Giannuli, sul blog di Beppe Grillo:
“Poi c’è da capire se c’è qualche manina non islamica dietro gli attentatori. Beninteso, non ho nessun elemento per escludere che quello che è accaduto sia realmente quello che sembra (…) ma siccome a trarre giovamento da questa strage saranno in diversi (…) vale la pensa di dare un’occhiata anche ad altre piste”.
Massimo Bitonci, sindaco leghista di Padova
“Lancio un appello ai rappresentanti di tutti i gruppi musulmani della città : condannino l’attentato e i propositi dei terroristi o se ne vadano. A Padova non c’è posto per chi tace, per convenienza o collusione, di fronte ad una strage come quella di oggi”.
Carlo Taormina, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, su Twitter:
“L’Islam è la madre di tutti i terrorismi e bisogna cacciare tutti gli islamici dall’Italia. Bergoglio che dice? Perchè non se li prende lui?”.
Daniela Santanchè, deputata di Forza Italia:
“Serve maggiore controllo: smettiamola di fare circolare ondate di clandestini e di rifugiati politici sul nostro territorio”. “Adesso #stopmoschee”.
Andrea Ceffa, vicesindaco leghista di Vigevano, su Facebook:
“Oggi pomeriggio, una pattuglia del reparto radiomobile è interventuta al Parco Parri, dove alcuni cittadini avevano notato che erano comparse tre scritte in lingua araba sui muretti che delimitano il parco giochi bimbi. Venivano effettuati rilievi fotografici ed informato l’ufficio tecnico comunale che provvederà  nella giornata di domani a cancellare le scritte.
La traduzione dovrebbe essere la seguente: “Proprietà  mussulmana – Allah è grande – protegga i bambini che giocano qui”. In una giornata come questa lascio a voi ogni commento. Io sono molto incazzato e schifato. Sono queste persone (qui non si tratta di terroristi, ma teoricamente di “normali” cittadini) con le quali i benpensanti di destra e di sinistra, insistono a dire che bisogna fare “integrazione”?”.
Gianluca Buonanno, eurodeputato della Lega Nord, su Twitter:
“I metodi giusti contro il terrorismo sono quelli della CIA! Vedremo se il Parlamento europeo parlerà  ancora di violazione dei diritti umani!”. “Il terrorismo islamico è lo sterco del mondo… l’islam è un pericolo!!! Senza pietà  contro queste merde umane!!!”.
La mattina dell’attentato, il parlamentare M5s e membro del Copasir Angelo Tofalo, in un video pubblicato su Youtube affermava “scherzando”…
“Abbiamo kalashnikov, mitra, mine da posizionare su ogni scranno di questi politicanti della casta, e poi male che vada abbiamo una zizzona di Battipaglia come bomba per far saltare tutto in aria. Ovviamente sto scherzando…”
Mario Borghezio, eurodeputato Lega Nord, a “La Zanzara” (Radio 24):
“Siamo in guerra, ora servono controlli a tappeto a tutti gli islamici residenti in Italia e poteri speciali alle forze dell’ordine. Ora devono dimostrare loro di non avere nulla a che fare con i terroristi, controlleremo uno a uno”. “Io non lo conosco, ma chi mi dice ad esempio che il deputato Pd Chaouki non sia vicino ai terroristi? Dobbiamo presumere la vicinanza, per tutti. Bisogna controllare le loro mail, la loro posta, le loro telefonate. La prima cosa da fare, militarmente, è il rastrellamento di alcuni gruppi, alcune comunità  estremiste conosciute…”.

(da “L’Espresso”)

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QUELLI CHE ASPETTANO IL CONDONO

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

IL LIBERA TUTTI: DA SCARPELLINI A ANGELUCCI, DA PROFUMO A PASSERA, DA RIVA A ORSI

La lista è così lunga che si fa prima a dire chi non c’è.
S’intende quella dei potenziali graziati dalle norme contenute nel contestato decreto fiscale, quello che che avrebbe salvato Silvio Berlusconi, e non solo.
L’ambito di applicazione della famosa soglia del 3% del reddito imponibile dichiarato (sotto la quale si può evadere e frodare il fisco senza rischiare il carcere) è vasto, e il combinato disposto con i cavilli infilati all’ultimo ne allargano ulteriormente le maglie.
È un esercizio matematico difficile, ma il possibile risultato sono decine di nomi finiti in inchieste e processi eccellenti.
I reati sono gli stessi contestati, per dire, a Sergio Scarpellini, immobiliarista noto perchè padrone di casa di molti enti pubblici e istituzioni: omesso versamento iva.
C’è poi l’indagine sulla famiglia Angelucci, i re delle cliniche romane: tra il 2007 e il 2009 sarebbero stati indicati elementi passivi fittizi per milioni di euro, mentre nel 2008 fatture per operazioni inesistenti per 733 mila euro.
Il comma 4 inserito nell’articolo 4 del decreto fiscale, punisce soprattutto chi elude il Fisco con operazioni di finanza strutturata, come i derivati ma anche inserendo elementi passivi fittizi.
Articolo svuotato da un comma aggiunto alla fine (da Palazzo Chigi): vengono esclusi “flussi finanziari nelle scritture contabili obbligatorie”. È il caso degli Angelucci.
Ma è soprattutto una norma salva banche perchè rende inapplicabile la frode.
Basta annotare tutto nei bilanci, come hanno fatto diversi istituti di credito in passato temendo un’azione penale: verrebbero graziati gli ex ad di Unicredit, Alessandro Profumo e Banca Intesa, Corrado Passera.
Il caso di Profumo è più complesso. Nel giugno scorso la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio del manager, in merito alla cosiddetta “operazione Brontos”: 245 milioni che tra il 2007 e il 2008 sarebbero stati sottratti al Fisco con operazioni di finanza strutturata.
Stando agli utili e al fatturato la vicenda processuale potrebbe rientrare anche nella famosa norma pro Berlusconi (quella del 3%).
I pm indicano anche il processo al patron dell’Ilva Emilio Riva — morto nell’aprile scorso — e due ex dirigenti del gruppo in relazione a una maxi evasione da 52 milioni. Salterebbe poi la condanna in primo grado per false fatturazioni all’ex ad di Fin-meccanica, Giuseppe Orsi e al numero uno di Agusta Westland, Bruno Spagnolini. Finmeccanica verrebbe coinvolta dai ritocchi apportati da Palazzo Chigi al decreto anche in relazione all’inchiesta su fondi neri e tangenti per gli appalti del Sistri che ha portato a processo l’ex presidente Pier Francesco Guarguaglini.
Le norme, però, avrebbero avuto un impatto soprattutto per il futuro, lasciando mano libera ai vertici dei grandi gruppi bancari e industriali, liberi dal timore di azioni penali, azzerando centinaia di accertamenti grazie alla cancellazione del raddoppio dei termini.
“Una norma che la Ragioneria avrebbe bocciato, perchè provocherebbe un buco di 10-15 miliardi all’Erario”, racconta chi ha seguiti l’iter del procedimento.
Cifra che secondo un documento dell’Agenzia delle Entrate rivelato da Libero non sarebbe inferiore ai 16 miliardi.
Sempre Libero ha rivelato altri nomi: Francantonio Genovese, Ras di Messina ed ex compagnio di partito di Renzi, arrestato per reati fiscali.
E poi anche Lele Mora e Fabrizio Corona – almeno sul fronte dei reati tributari — e probabilmente anche il presidente di Ibm Italia, Nicola Ciniero (frode fiscale), e l’imprenditore varesino Gianfranco Castiglioni, fondatore del gruppo Cagiva (frode da 63 milioni).
E via elencando.

Carlo Di Foggia
(da “il Fatto Quotidiano“)

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“IO MUSULMANO NON SONO CHARLIE, SONO IL POLIZIOTTO AHMED UCCISO PER DIFENDERE LA LIBERTA'”

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

IL TWEET CHE FA FURORE

“Io non sono Charlie. Io sono Ahmed, il poliziotto morto. Charlie Hebdo metteva in ridicolo la mia fede e la mia cultura e io sono morto per difendere il suo diritto di farlo”.
Il tweet di uno scrittore di origine libanese sta facendo il giro della rete francese, provocando una valanga di commenti e riflessioni.
Invece di aderire all’hashtag #JeSuisCharlie in solidarietà  con i morti del giornale satirico, Dyab Abou Jahjah ha creato #JeSuisAhmed in riferimento al poliziotto barbaramente ucciso con un colpo di grazia davanti alla redazione.
Il vero nome di Ahmed era Hamed Merrabet, aveva 42 anni e due figli.
Era uno dei due agenti a protezione del direttore del Charlie Hebdo, il celebre vignettista Charb, ammazzato a colpi di kalashnikov dal commando.
Il fatto che due terroristi di matrice islamica abbiano crivellato di colpi due uomini di religione musulmana – nella lista delle dodici vittime compare anche il correttore di bozze Moustapha Ourad – sta naturalmente facendo discutere e fornisce una ragione supplementare a coloro che rivendicano l’esistenza di un islam moderato e integrato con l’Occidente.
E così nel pomeriggio dell’8 gennaio è arrivato il tweet che molto probabilmente sta meglio interpretando il sentimento complesso di molti utenti di religione musulmana, che condannano la strage, non amavano la satira vicina alla blasfemia di Charlie Hebdo eppure non avrebbero mai messo in dubbio il fatto che Charlie Hebdo dovesse continuare a pubblicare i suoi disegni irriverenti.
Il messaggio di Dyab Abou Jahjah è stato condiviso migliaia di volte e l’hashtag #JeSuisAhmed sta circolando a tutta velocità  nel Twitter francese, a dimostrazione del fatto che i musulmani francesi hanno voglia di prendere parte al dibattito.

(da “Huffingtonpost”)

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PRIMARIE PD LIGURIA: GLI AFFARI DI COPPIA DELLA RENZIANA CHE SFIDA COFFERATI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

RAFFAELLA PAITA TRA CONFLITTI DI INTERESSE, LARGHE INTESE E ‘NDRANGHETA

Il porto di Genova è un business di famiglia.
Lui, Luigi Merlo, è il presidente dell’Autorità  portuale, nominato nel 2008 dal governo Prodi e riconfermato da quello Monti nel 2011, con la sponsorizzazione di Claudio Burlando, per 10 anni governatore della Liguria.
Lei è Raffaella Paita, 35 anni, con una fulminea carriera alle spalle che l’ha portata al soglio di assessore alle Infrastrutture della giunta regionale.
La gestione del più importante scalo marittimo italiano si decide tra la cucina e il soggiorno.
Un conflitto di interessi che rischia di diventare ancora più grande, con la candidatura di Raffaella Paita alla primarie del Pd ligure per la presidenza della Regione, attese l’11 gennaio.
Che la coppia abbia molti interessi in comune lo dimostra la staffetta proprio nell’assessorato alle Infrastrutture.
Merlo lo ha occupato fino al 2008. La moglie lo ha sostituito a partire dal 2010. Governatore, sempre Claudio Burlando.
Ora Raffaella Paita prova il grande salto. Obiettivo: sostituire il presidente regionale uscente, giunto al termine dei suoi mandati.
Ha il sostegno di Burlando e del Pd ligure, di parte della corrente scajoliana di Forza Italia, del Nuovo centrodestra.
Del premier Matteo Renzi, di cui è una sostenitrice della prima ora. E del marito, ovviamente, che gestisce uno dei nodi nevralgici dell’economia regionale.
Paita sfida il parlamentare europeo Sergio Cofferati, certamente più noto nel popolo della sinistra. Ma per nulla inserito nell’intricato sistema di potere ligure.
Un sistema nel quale le cosche della ‘ndrangheta sono sempre riuscite a infiltrarsi, alla ricerca di influenza politica e appalti.
Il nome di Merlo, ad esempio, spunta nell’inchiesta Pandora del 2009, relativa alle presenza negli appalti pubblici delle cosche della piana di Gioia Tauro, in cui spicca, secondo gli inquirenti, Gino Mamone, imprenditore nel settore dei rifiuti e del movimento terra.
Il politico e l’imprenditore parlano di lavori, ovviamente. E dimostrano di conoscersi bene.
MAMONE: Senti un attimo ma Senese o’ conosci tu di Spezia?… … no perchè devono fare nell’area Graziani una bonifica, stanno facendo una bonifica… non potresti dirgli che magari se la facciamo noi ci abbiamo un ufficio lì, ci abbiamo dieci ragazzi di Spezia che lavorano giù…
MERLO: sì, sì, ma quello gli dico che lo cerchi tu…
MAMONE: no, no, o lo cerco io o ci mando un mio collaboratore di Spezia…
MERLO: digli che ci va che glielo dico.
Va detto che Luigi Merlo non è mai stato indagato per i suoi rapporti con Mamone. Anche l’imprenditore calabrese è uscito indenne dal processo seguito all’inchiesta Pandora a causa di un errore formale nelle notifiche per il processo di appello (in primo grado era stato condannato a 3 anni di reclusione).
Ma è stato incastrato, questo novembre, nell’inchiesta Albatros della procura genovese, che ha chiesto e ottenuto il suo arresto.
Avrebbe procurato prestazioni sessuali a pagamento a un dirigente dell’Amiu, l’azienda locale dei rifiuti, in cambio di appalti, legati anche al post alluvione del 2010 e 2011.
Con Merlo Mamone parla anche di voti.
Ecco l’sms che il marito di Raffaella Paita manda all’imprenditore, durante la campagna elettorale delle elezioni comunali di La Spezia, nel 2007:
MERLO: Caro Gino se hai qualcuno a Spezia ti sarei grato se facessi votare Andrea Stretti. È un quarantenne molto preparato e serio. Grato per quanto vorrai fare. Mamone lo richiama poco dopo. E si mette a completa disposizione.
MAMONE: Senti io ti lascio due numeri di telefono dei miei ragazzi che con i dipendenti nostri che abbiamo giù, se tu li puoi contattare o se vuoi ti faccio chiamare da loro li vedi un attimo perchè vivono a Spezia questi e conoscono mezzo mondo…
MERLO: Ehhhh si fammi chiamare se no!”(…)
Per la cronaca, Andrea Stretti viene eletto, ed oggi è assessore alla Sanità  nel Comune di La Spezia.
È uno dei più ferventi sostenitori della campagna elettorale di Raffaella Paita, insieme a gran parte degli amministratori locali liguri.
Di entrambi gli schieramenti.
Tra questi spicca l’ex An e Pdl, ora capogruppo in Regione del Nuovo Centrodestra, Alessio Saso, finito nello scandalo Maglio 3, su rapporti tra politica e ‘ndrangheta (gli investigatori lo intercettano mentre chiede voti ad alcuni capoclan).
E Franco Orsi, Dc di nascita, ora Forza Italia, ex senatore e vicepresidente della Regione, oggi sindaco di Albisola, molto vicino a Claudio Scajola (sotto processo a Reggio Calabria) e al senatore Pdl Luigi Grillo (che ha patteggiato 2 anni e 8 mesi di reclusione per lo scandalo Expo).
Le larghe alleanze di Raffaella Paita hanno destato qualche scandalo nel Pd, con Pippo Civati che ha lanciato l’hastag #facciamoneameno.
Ma nel Pd ligure sono abituati alle larghe intese. È noto in regione il feeling tra i due Claudio – Burlando e Scajola — specialmente sulle decisioni economicamente più importanti.
Tanto che il governatore è stato inserito nella lista dei test della difesa nel processo che a Reggio Calabria mette alla sbarra l’ex ministro degli Interni, accusato di aver coperto la latitanza dell’ex parlamentare Pdl Amedeo Matacena.

Manuele Bonaccorsi
(da “il Corriere della Sera“)

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LIGURIA, LA DESTRA CHE FA CAMPAGNA ALLE PRIMARIE PD

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

ESPONENTI DI FORZA ITALIA E DEL NCD FANNO IL TIFO PER LA RENZIANA PAITA

Il centrodestra lancia l’Opa sulle primarie del Pd ligure per la scelta del candidato presidente della Regione Liguria.
«Domenica 11 gennaio vota Cofferati per cambiare la Liguria », dicono gli spot televisivi e la pubblicità  sui giornali acquistate dal senatore Maurizio Rossi, ex Scelta civica che ha lasciato il centrosinistra e ha fondato un movimento dal nome analogo, “Liguria Civica”, ed è l’editore della più grande emittente televisiva privata ligure.
Rossi è convinto che «nell’assenza dell’altro schieramento, le primarie del centrosinistra per la scelta del candidato presidente della Regione siano le vere elezioni regionali in Liguria. Si deve scegliere adesso, il 12 gennaio sarà  tardi».
Non è l’unico a pensarla così sulle primarie del centrosinistra.
Qualche giorno fa l’ex senatore di Fi Franco Orsi, che ora è sindaco di Albisola Superiore e governa con una lista civica, ha riempito il palazzetto dello sport della sua città  con sindaci e amministratori del centro e del centrodestra.
Pentiti o con un piede mezzo fuori.
«Raffaella Paita è la migliore presidente della Regione possibile», hanno detto davanti a lei, renziana, assessore regionale uscente, che con l’europarlamentare Sergio Cofferati è in corsa alle primarie.
Sono i due principali contendenti.
Il terzo è Massimiliano Tovo, giovane ex Udc.
Il conto alla rovescia segna ormai meno quattro al voto e al momento tutte le strade che portano al voto sono intasate.
La destra, quella del Nuovo centrodestra e quella degli ex Pdl delusi da Berlusconi, il centro che fino a ieri era di Fi e adesso con le liste civiche ancora governa tanti Comuni liguri, gli ex Scelta Civica che in Liguria poi è uno, il senatore Rossi, sono le armate alle porte delle primarie.
Chi organizza assemblee e incontri a sostegno di Paita, chi compra pubblicità  per far votare Sergio Cofferati.
Il problema è se le armate del centro e della destra resteranno fuori o potranno essere della partita.
Il comitato dei garanti della coalizione per le primarie è sommerso dai ricorsi delle due parti in campo che si accusano di reciproche scorrettezze
Cofferati, ad esempio, ha chiesto che sia il Pd a dire se Ncd sarà  nell’alleanza e lo vuole sapere adesso.
«Io non ci sto ad una coalizione con il Nuovo centrodestra. Loro lo sanno e votano l’altro candidato per condizionare l’alleanza e così inquinano le primarie », dice.
Va nelle sale e nelle piazze a spiegare che per Paita, renziana, si è schierato Alessio Saso, capogruppo Ncd in Regione, che tra l’altro ha ricevuto due avvisi di garanzia, uno per l’inchiesta sulle cosiddette “spese pazze” del consiglio regionale l’altro per una ipotesi di voto di scambio.
«Il Nuovo Centrodestra – replica Paita – fa parte del governo Renzi».
Ieri a darle manforte a Genova è arrivato il ministro della Difesa Roberta Pinotti: «Bisogna stemperare questo clima di veleni – ha detto il ministro – In fondo con Ncd noi stiamo al governo. Poi Ncd sta ancora decidendo la sua collocazione politica ma non trovo scandaloso che si pensi al Nuovo centrodestra per la coalizione, naturalmente sulla base di scelte programmatiche e con un Pd asse centrale».
Se Cofferati e i suoi hanno messo nel mirino il caso di Ncd, dalla parte di Paita puntano il dito sugli spot che il senatore Rossi sta pagando per sostenere Cofferati.
«Non è nel centrosinistra, anzi, si è dimesso da Scelta Civica e in parlamento ogni giorno vota contro il governo Renzi», dice Claudio Burlando, Pd, presidente della Regione uscente che è il principale sponsor della candidatura di Paita.
«Ncd non è nella coalizione di centrosinistra, a Roma il governo è nato per fare le riforme», replica il segretario del Pd ligure, Giovanni Lunardon che è schierato con Cofferati.

Ava Zunino
(da “La Repubblica”)

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CROLLA LA FIDUCIA IN RENZI: SONDAGGISTI CONCORDI, IL PREMIER PERDE IL 5% IN UN MESE

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

WEBER, NOTO, PIEPOLI, MANNHEIMER: COLPA DEL SALVA-SILVIO E DEL FATTO CHE GLI ITALIANI SI STANNO RENDENDO CONTO CHE DIETRO LE CHIACCHIERE C’E’ IL NULLA

La miscela velenosa di “salva Silvio” e crisi economica costa a Renzi un brusco calo nei sondaggi.
Dice Renato Mannheimer: “Con gli scivoloni dell’ultima settimana il premier e il governo perdono tra i quattro e i cinque punti”.
Già , gli scivoloni. Il volo di Stato per Courmayeur e soprattutto la norma “salva-Berlusconi”: per la prima volta il solco con il sentimento degli italiani si approfondisce.
È quanto rileva anche Roberto Weber diIxè: “Più che il volo di Stato è la non chiarezza sulla cosa di Berlusconi a determinare l’erosione. Come fatti in sè, e in relazione alla questione dell’economia. Nel senso che mentre il dibattito è monopolizzato dalla questioni tipo salva Berlusconi, il cittadino vede i dati della disoccupazione, quelli dell’Istat, gli indicatori economici e la sfiducia aumenta”.
I numeri di Swg che attestano il “crollo” saranno resi noti e discussi, come ogni venerdì, ad Agorà .
Ma un elemento di analisi Weber lo anticipa all’HuffPost. Ed è forse quello più preoccupante per Renzi: “Io — dice — sono colpito non tanto dalla perdita di punti, ma dalla progressività  e della inarrestabilità  della cosa. È da settembre che non tanto il Pd, ma il governo cala”.
Da settembre, da quando l’agenda è stata monopolizzata dai temi del lavoro (col Jobs act) e dell’economia (con la legge di stabilità ).
È da allora che non solo è finita la luna di miele, ma si è incrinato qualcosa di profondo nel rapporto del premier col paese.
E si è incrinata quella forza determinata dalla retorica “anticasta” dei mesi precedenti, quando con l’abolizione del Senato è apparso come il fustigatore dei privilegi.
“It’s the economy, stupid”, diceva Clinton. Che ne fece lo slogan con cui scalzò Bush dalla Casa Bianca, accusandolo di scarsa attenzione all’economia.
Renzi, sull’economy, si è impaludato: “Il calo del governo — spiega Nicola Piepoli – è fisiologico ed è destinato a salire, in attesa dei risultati sull’economia. È su questo che ci sarà  il giudizio della gente”.
Per carità , i miracoli in poche settimane sono difficili. Ma i guai sono certi se, sulle difficoltà  dell’economia, l’agenda la fanno le “manine” per depenalizzare i reati del condannato Berlusconi e l’inciucio per ridargli l’agibilità  politica in cambio dei suoi voti per il Quirinale.
È questa miscela a causare il calo di punti per Antonio Noto, dell’Ipr Marketing. Spiega all’HuffPost: “Il calo significativo di fiducia dell’ultimo mese non è imputabile solo alla salva-Silvio, ma a un insieme di fattori. Da un lato gli italiani non vedono cambiamenti tangibili sulle condizioni materiali della loro vita, dall’altro ascoltano un dibattito politico che aggiunge insoddisfazione, come nel caso della Salva-Silvio. Il risultato è che la fiducia cala in modo costante. Al momento è al punto più basso. La media del 2014 era del 52, ora è sotto il 50”.
Il punto più basso coincide col momento forse più importante per Renzi.
Il quale, sussurrano i maligni in Transatlantico, rischia di arrivare alla prima mossa sul Colle “azzoppato” come il Bersani nel 2013.
Allora l’ex segretario del Pd arrivò primo ma senza vincere, anzi come disse Massimo D’Alema sbagliando un “calcio di rigore a porta vuota”.
Oggi Renzi è in calo ma sente l’obbligo di vincere. E a microfoni spenti i renziani ammettono che è la vigilia peggiore che poteva immaginare.
Mentre lui si avvicina al suo dischetto.

(da “Huffingtonpost“)

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NELLA STRAGE DELLE MATITE I GIOVANI BIGOTTI GIUSTIZIANO I VECCHI LIBERTINI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

LA STAMPA IN TRINCEA E IL PROFUMO DI LIBERTA’

Il ceppo di Charlie e del suo antenato Hara Kiri è quello del radicalismo laico e repubblicano, molto solido in Francia.
Con una forte innervatura sessuomane, anarchica e anticlericale esplosa con lo spirito sessantottardo ma ben presente anche prima, lungo Nove e Ottocento.
Non è vero che a Charlie Hebdo niente è sacro. Sacra, in quel vecchio giornale parigino, è la libertà .
Danzava, la libertà , allegra e nuda come le donnine di Wolinsky, attorno alla fragile trincea di scrivanie coperte di carta, matite, giornali, pennarelli (l’arsenale delle vittime) sulle quali sono caduti gli impenitenti artisti della satira francese, molti dei quali anziani, freddati dai loro giovani assassini.
Ragazzi bigotti che uccidono vecchi libertini.
Autori di lungo corso come Georges Wolinsky, Charb, Cabu, usciti indenni da cento processi per oscenità , scampati a licenziamenti, fallimenti e censure, sopravvissuti perfino alle tante rissose diaspore interne al mondo (litigiosissimo) del giornalismo satirico, per poi morire così, macellati da due imbecilli sanguinari che della libertà  niente possono e vogliono sapere: la libertà  sta ai fanatici come la bicicletta ai pesci.
Il ceppo di Charlie e del suo antenato Hara Kiri è quello, così solido in Francia, del radicalismo laico e repubblicano.
Con una forte innervatura sessuomane, anarchica e anticlericale esplosa con lo spirito sessantottardo ma ben presente anche prima, a ritroso lungo Nove e Ottocento. Ispiratore indiscusso della rivista fu Franà§ois Cavanna (origini piacentine), un vecchio hippy ribelle autore di versi esilaranti e spietati sulla soggezione dei popoli al potere e alle religioni.
È morto nel suo letto quasi un anno fa, novantenne, candido e magro come un sacerdote, risparmiandosi questo orrore, e lo strazio di sapere offesa così in profondità  la sua ilare tribù.
Il marchio di fabbrica di quel milieu satirico, immutato negli ultimi decenni e attraverso numerose testate, è una sorta di oltranzismo libertario e libertino che irrita anche la sinistra perbenista ed è sempre stato odiato dalla destra tradizionalista: il precedente direttore del giornale Philippe Val, omosessuale, pochi anni fa venne inseguito e picchiato per la strada, dopo un dibattito televisivo, da un gruppo di cristiani omofobi che voleva insegnarli come si sta al mondo.
Una umiliante rappresaglia, ma niente in confronto al mostruoso esito del nuovo conflitto nel quale Charlie Hebdo, diciamo così per sua natura, non poteva non immischiarsi: quello tra la libertà  di espressione e il fondamentalismo islamista.
La lunga guerra iniziata “ufficialmente” nell’ormai lontano 1989 con la fatwa contro Salman Rushdie e i suoi Versi satanici .
Guerra intestina all’Europa, va ricordato, fino dal suo primo atto: pare certo che la condanna a morte di Rushdie sia stata ispirata da ambienti islamisti londinesi, come se la refrattarietà  di quel pezzo di Islam alla libertà  di parola e di immagine fosse acuita, irreparabilmente, dalla promiscuità  con i nostri costumi, ivi compresa la nostra (benedetta) scostumatezza.
La satira è, di suo, un linguaggio di confine, estremo e poco conforme alla disciplina. Restando (e purtroppo ci tocca) nella metafora bellica, è come un corpo di guastatori, le cui sortite non possono che scompaginare i ranghi, destabilizzare i ruoli.
Sarebbe del tutto immorale, qui e ora, aprire il dibattito sulla liceità  della blasfemia, o se volete della insolenza verso i dogmi religiosi.
Sarebbe la cosa più blasfema da fare accanto a quei morti innocenti, e certamente morti di libertà  (a causa della libertà , in nome della libertà ).
Sarebbe come se dalle retrovie, e con il culo al caldo, ci permettessimo di discettare sul rischio che si sono presi quei caduti.
Limitiamoci a constatare che, sul fronte della libertà  di parola e di immagine, la satira non può che essere in prima linea.
E a Charlie Hebdo avevano deciso di non arretrare di un passo. Ben sapendo – tra l’altro – che per una rivista fatta sostanzialmente da disegnatori la collisione con l’iconoclastia islamista è nelle cose.
Le vittime di questa carneficina avevano tutte, metaforicamente o nella realtà , la matita in mano.
E’ la matita, in questo vero e proprio Ground Zero della libertà  di stampa, il minimo eppure potentissimo grattacielo abbattuto.
Mettetevi una matita nel taschino, nei prossimi giorni, per sentirvi più vicini a Charlie, anche se non l’avete mai letto, anche se la satira vi piace così così, e la trovate eccessiva o sguaiata o provocatoria.
Salutiamo con un sorriso aperto – loro non vorrebbero di meglio – quella gente appassionata, intelligente e inerme, il direttore Charb (Stèphane Charbonnier), Cabu (Jean Cabus), Tignous (Berdard Verlhac), Georges Wolinsky, ingoiati dal buco nero dell’odio politico-religioso insieme al giornalista Bernard Maris, ad altri cinque compagni di lavoro e a due agenti di polizia.
Provate a immaginare, per prendere le misure della strage di rue Nicolas- Appert, se i vignettisti che ogni giorno vi fanno ragionare o ridere sui giornali italiani venissero falciati tutti o quasi da un pogrom di fanatici, lasciando vuoto, sulla pagina, quel quadrato così superfluo e così indispensabile.
Non dimentichiamoci mai, neanche per un secondo, come profuma di buono la libertà , e quanto siamo debitori, come europei, alla Francia e a Parigi.

Michele Serra
(da “La Repubblica”)

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ALL’ASSEMBLEA DEI DEPUTATI PD SCATTA IL PROCESSO A RENZI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

“ADESSO CI VUOLE UN CANDIDATO CHE NON SIA FIGLIO DEL PATTO DEL NAZARENO”

La norma salva-Silvio sta spostando gli equilibri dentro il Pd e può far sentire i suoi effetti nella partita del Quirinale.
«Adesso ci vuole un candidato che non sia figlio del patto del Nazareno. Che incarni la lotta all’illegalità  e a favore della massima trasparenza», dicono i bersaniani.
Ed è questa l’aria che si respirava all’assemblea dei deputati Pd con Renzi, convocata per parlare di riforma costituzionale.
Romano Prodi è il solito nome che corre di bocca in bocca quando si parla di un papabile non berlusconiano, ossia costruito fuori dal recinto stretto del rapporto del premier con l’ex Cavaliere.
Ma ci sono anche Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani, Raffaele Cantone e qualche altra figura che per il momento rimane coperta.
È il clima che si respirava ieri pomeriggio nell’auletta dei gruppi parlamentari di Montecitorio.
Perchè le varie minoranza non hanno avuto alcuna risposta sulla mossa renziana di rinviare al 20 febbraio la correzione del decreto fiscale.
«Quasi una provocazione di Matteo – sottolinea Pippo Civati – che fissa una data successiva al 15 quando Berlusconi finisce di scontare la pena dei servizi sociali ».
Il bersaniano Alfredo D’Attorre ha avvertito il premier: «Stai compromettendo il dialogo con le varie componenti del partito. E se allunghi un’ombra sulle riforme e sull’elezione del presidente della Repubblica senza fare chiarezza il rischio è di inciampare in entrambi i casi ».
Parole riprese e rilanciate da Gianni Cuperlo: «La situazione ci sta sfuggendo di mano. Dobbiamo fare al più presto un’assemblea meno surreale di questa. Che parli del lavoro, dei decreti del Jobs act, delle norme sul fisco, della legge elettorale e del Quirinale».
Che questo tipo di attacchi arrivino a 20 giorni dalla convocazione delle Camere in seduta congiunta non è un buon segno per Renzi.
Il premier ha affrontato a modo suo l’atmosfera difficile di ieri.
Ha rivendicato la sua «manina » nel testo della norma per la depenalizzazione delle frodi fiscali.
Una manina che non ha trovato un muro nel consiglio dei ministri perchè, come ricorda Graziano Delrio, «l’articolo 19 era nella cartellina consegnata ai ministri, si è discusso a lungo di soglie di non punibilità  penale, sono intervenuti in tanti e nessuno ha portato critiche sul merito o politiche».
Dice Civati: «Sicuramente è andata così. E peggiora la situazione. Significa che l’intero esecutivo è succube di Berlusconi».
Forse l’assemblea e i suoi tempi non erano giusti per dirlo. Ma Civati e altri come lui si aspettano nei prossimi giorni che qualche big della minoranza rilasci un’intervista che fa saltare il banco mettendo nero su bianco che un candidato uscito dall’asse Renzi-Berlusconi non può passare, che bisogna fare scelte diverse.
Poi si vedrà  come si spostano davvero gli equilibri nel Pd, come reagiranno anche i più leali degli oppositori.
«Se Prodi o un profilo simile crescesse nelle prime votazioni, il Pd si troverebbe di fronte a un bel dilemma», pronostica Civati.
“Non c’entriamo con Berlusconi, con l’evasione fiscale, con i suoi guai giudiziari. Basta che lo dica qualcuno che ancora conta nella base e la partita del Quirinale si può aprire. «Il Pd – spiega D’Attorre – ha fra le sue ragioni costitutive il lavoro e la lotta ai grandi evasori. Se mancano questi pilastri si smarrisce l’identità . E non è una buona premessa per affrontare questo mese tanto difficile»
Bersani ha già  fatto sentire la sua voce sul decreto fiscale ma non ha parlato all’assemblea.
Ha taciuto anche Francesco Boccia quando ha visto che Renzi doveva correre via per altri impegni. Però c’è un’area del dissenso che può crescere dopo il pasticcio della norma salva-Silvio. Uno scivolone e non a caso dalle fonti vicine a Giorgio Napolitano si precisa che il capo dello Stato «non ne sapeva niente».
Che le mille componenti antirenziane possano costruire una candidatura alternativa e un dissenso organizzato è tutto da verificare.
Su queste divisioni interne contano molto gli incaricati del premier sui numeri, Luca Lotti e Lorenzo Guerini.
E sul sostegno di Forza Italia perchè a molti appare chiaro che Renzi si fida più del rapporto con Berlusconi che del dialogo con la minoranza. «E chi pensava che Matteo avrebbe lanciato un messaggio distensivo sul Quirinale all’indomani del pasticcio fiscale, è rimasto deluso. Ma lui è così. Non gioca in difesa, va sempre all’attacco», dice Civati.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)

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VOGLIAMO VEDERE IL MORTO FAMOSO

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

LA MORTE DIVENTA EVENTO MEDIATICO: E VIENE MENO OGNI FORMA DI RISPETTO

Bisognerebbe chiedere a quegli italiani che hanno protestato davanti alla camera ardente allestita per l’ultimo saluto a Pino Daniele quale articolo della Costituzione credono desse loro diritto di entrarci, nonostante la volontà  contraria dei parenti del musicista.
Siccome non ve n’è alcuno, deve esistere una legge non scritta, una specie di patto siglato dalla gente all’insaputa di ogni personaggio famoso, in base al quale quest’ultimo, oggetto in vita di ammirazione e affetto, rinuncia per sempre alla dimensione privata della sua esistenza, e in caso di morte i suoi familiari perdono ogni potestà  circa il destino delle sue spoglie.
“Vergogna” e “buffoni”, hanno gridato i presenti ai familiari, come si urla ai politici che rubano, contro cui oggi in fondo non protesta più nessuno.
Si sa quanto gli interpreti delle emozioni profonde della gente, i cantori dell’amore e del riscatto popolare, diventino patrimonio collettivo e finiscano per appartenere più al pubblico che a se stessi e ai propri cari.
Ma al di là  di ogni ovvia considerazione sul culto laico del divismo, c’è qualcosa di inedito in questo rito spontaneo del diritto alle esequie, del flash mob “polemico” e del doppio funerale del cantante, voluto per “accontentare” sia Roma che Napoli.
Davanti all’ospedale la gente urlava la sua determinata speranza, poi divenuta pretesa, di vedere il corpo di Daniele, di fare esperienza della sua morte, come se fosse la sua ultima performance e loro avessero pagato il biglietto.
Rimasti fuori perchè la famiglia si è accorta che qualcuno scattava selfie, che sono foto con la salma sullo sfondo, i fan rivendicavano il diritto di piangerlo davanti a tutti, come se la pubblicità  del dolore fosse un risarcimento, una contropartita dell’averlo seguito in concerto per anni, di averne comprato i dischi.
“Non è il modo di comportarsi” ha detto un signore a Repubblica “Pino è un personaggio pubblico, questo è il prezzo che bisogna pagare per la fama”.
Per un attimo il teatro dell’addio diventa un abbozzo di lotta di classe da Bagaglino quando compare D’Alema, contestato (anche qui!) perchè “casta”, dotato del privilegio di vedere la morte da vicino.
Ma quella pretesa è certo il frutto di un equivoco. Non è chiaro quando abbiamo iniziato ad applaudire al passaggio delle bare, invece di fare silenzio.
Non fu l’applauso la forma esteriore dello sconcerto, quando nel 1984 quasi due milioni di persone si riversarono nelle strade intorno a piazza San Giovanni per i funerali di Enrico Berlinguer, ma lacrime, singhiozzi, malori.
Da allora per anni Tv e giornali hanno rimbalzato immagini di funerali diventanti eventi mediatici, ormai “comunicati” via social network in modo istantaneo, per una rapida commozione in pausa pranzo.
Abbiamo visto “folle commosse” e “file chilometriche” davanti ai feretri di Alberto Sordi, di Mario Merola (con fuochi d’artificio e isterie), di Papa Wojtyla, ma anche di personaggi che in vita non riscuotevano certo il successo delle rockstar o dei pastori di anime, come Gianni Agnelli. Del corpo ormai inerte del vip finalmente vicino, rubiamo l’ultima immagine.
La curiosità  vince su ogni altra considerazione e pudore, e tale impulso è il frutto di uno spostamento della passione e della rivendicazione popolare dal campo dei diritti fondamentali a quello del diritto al puro esserci in uno show incessante a cui pensiamo di avere diritto di partecipare in quanto spettatori paganti.
Alla fine della liturgia, si alza sempre una ressa di telefonini, mimesi di un “attenti” in borghese, dito pronto a scattare nel momento più denso di pathos.
Dando per assunto che i postulanti della camera ardente siano persone mediamente normali e psichicamente stabili, c’è da chiedersi se siano le stesse che entrano nelle statistiche più negative degli ultimi cinquant’anni in fatto di lavoro, tutele, assistenza sanitaria, libertà  di stampa e di espressione, pari opportunità , pensioni.
Siccome sicuramente lo sono, fa riflettere che non vadano ogni giorno a protestare davanti ai relativi ministeri con la stessa determinazione, avendo in faccia la stessa rabbia e la stessa sicura certezza di rivendicare qualcosa che gli spetta.

Daniela Ranieri
(da “il Fatto Quotidiano”)

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