ALL’ASSEMBLEA DEI DEPUTATI PD SCATTA IL PROCESSO A RENZI
“ADESSO CI VUOLE UN CANDIDATO CHE NON SIA FIGLIO DEL PATTO DEL NAZARENO”
La norma salva-Silvio sta spostando gli equilibri dentro il Pd e può far sentire i suoi effetti nella partita del Quirinale.
«Adesso ci vuole un candidato che non sia figlio del patto del Nazareno. Che incarni la lotta all’illegalità e a favore della massima trasparenza», dicono i bersaniani.
Ed è questa l’aria che si respirava all’assemblea dei deputati Pd con Renzi, convocata per parlare di riforma costituzionale.
Romano Prodi è il solito nome che corre di bocca in bocca quando si parla di un papabile non berlusconiano, ossia costruito fuori dal recinto stretto del rapporto del premier con l’ex Cavaliere.
Ma ci sono anche Walter Veltroni, Pier Luigi Bersani, Raffaele Cantone e qualche altra figura che per il momento rimane coperta.
È il clima che si respirava ieri pomeriggio nell’auletta dei gruppi parlamentari di Montecitorio.
Perchè le varie minoranza non hanno avuto alcuna risposta sulla mossa renziana di rinviare al 20 febbraio la correzione del decreto fiscale.
«Quasi una provocazione di Matteo – sottolinea Pippo Civati – che fissa una data successiva al 15 quando Berlusconi finisce di scontare la pena dei servizi sociali ».
Il bersaniano Alfredo D’Attorre ha avvertito il premier: «Stai compromettendo il dialogo con le varie componenti del partito. E se allunghi un’ombra sulle riforme e sull’elezione del presidente della Repubblica senza fare chiarezza il rischio è di inciampare in entrambi i casi ».
Parole riprese e rilanciate da Gianni Cuperlo: «La situazione ci sta sfuggendo di mano. Dobbiamo fare al più presto un’assemblea meno surreale di questa. Che parli del lavoro, dei decreti del Jobs act, delle norme sul fisco, della legge elettorale e del Quirinale».
Che questo tipo di attacchi arrivino a 20 giorni dalla convocazione delle Camere in seduta congiunta non è un buon segno per Renzi.
Il premier ha affrontato a modo suo l’atmosfera difficile di ieri.
Ha rivendicato la sua «manina » nel testo della norma per la depenalizzazione delle frodi fiscali.
Una manina che non ha trovato un muro nel consiglio dei ministri perchè, come ricorda Graziano Delrio, «l’articolo 19 era nella cartellina consegnata ai ministri, si è discusso a lungo di soglie di non punibilità penale, sono intervenuti in tanti e nessuno ha portato critiche sul merito o politiche».
Dice Civati: «Sicuramente è andata così. E peggiora la situazione. Significa che l’intero esecutivo è succube di Berlusconi».
Forse l’assemblea e i suoi tempi non erano giusti per dirlo. Ma Civati e altri come lui si aspettano nei prossimi giorni che qualche big della minoranza rilasci un’intervista che fa saltare il banco mettendo nero su bianco che un candidato uscito dall’asse Renzi-Berlusconi non può passare, che bisogna fare scelte diverse.
Poi si vedrà come si spostano davvero gli equilibri nel Pd, come reagiranno anche i più leali degli oppositori.
«Se Prodi o un profilo simile crescesse nelle prime votazioni, il Pd si troverebbe di fronte a un bel dilemma», pronostica Civati.
“Non c’entriamo con Berlusconi, con l’evasione fiscale, con i suoi guai giudiziari. Basta che lo dica qualcuno che ancora conta nella base e la partita del Quirinale si può aprire. «Il Pd – spiega D’Attorre – ha fra le sue ragioni costitutive il lavoro e la lotta ai grandi evasori. Se mancano questi pilastri si smarrisce l’identità . E non è una buona premessa per affrontare questo mese tanto difficile»
Bersani ha già fatto sentire la sua voce sul decreto fiscale ma non ha parlato all’assemblea.
Ha taciuto anche Francesco Boccia quando ha visto che Renzi doveva correre via per altri impegni. Però c’è un’area del dissenso che può crescere dopo il pasticcio della norma salva-Silvio. Uno scivolone e non a caso dalle fonti vicine a Giorgio Napolitano si precisa che il capo dello Stato «non ne sapeva niente».
Che le mille componenti antirenziane possano costruire una candidatura alternativa e un dissenso organizzato è tutto da verificare.
Su queste divisioni interne contano molto gli incaricati del premier sui numeri, Luca Lotti e Lorenzo Guerini.
E sul sostegno di Forza Italia perchè a molti appare chiaro che Renzi si fida più del rapporto con Berlusconi che del dialogo con la minoranza. «E chi pensava che Matteo avrebbe lanciato un messaggio distensivo sul Quirinale all’indomani del pasticcio fiscale, è rimasto deluso. Ma lui è così. Non gioca in difesa, va sempre all’attacco», dice Civati.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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