Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
RIEMERGONO I NOMI DI CASTAGNETTI E MATTARELLA
Il countdown è avviato ed è inarrestabile. 
Mancano meno di 24 ore alle dimissioni di Giorgio Napolitano dai suoi quasi nove anni al Quirinale.
Un avvenimento annunciato, che Matteo Renzi si sta preparando ad affrontare con l’idea di non urtare le sensibilità interne al Pd o almeno di fare il minor numero di danni nel suo partito e perdere il minor numero di voti dal bacino Dem dei 450.
Allo stesso tempo però il premier non vuole rinunciare a riportare la presidenza della Repubblica al ruolo che considera quello originario: cioè meno ‘interventista’ di come lo ha inteso Napolitano.
E’ per questo che questa mattina, appena terminato il discorso di bilancio del semestre italiano dell’Ue a Strasburgo, il premier ha parlato di “un arbitro saggio” per il post-Napolitano, “una personalità di grande livello”, ha detto alla stampa, perchè il capo dello Stato “non è il giocatore di una delle due squadre ma ha rilevanti responsabilità nella vita quotidiana, rilevantissime in alcuni momenti storici…”.
Alla Camera i suoi la traducono così: un politico, targato Pd, certo, ma che non venga dalla politica attiva.
Il campo si restringe agli ex Margherita Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti, ma anche l’ex Ds e fondatore del Pd Walter Veltroni. Tutti e tre non hanno incarichi politici o istituzionali al momento.
La lista Lotti. Su questi e altri nomi (anche quelli del ministro Dario Franceschini o del presidente Anci Piero Fassino, che però sono politicamente ‘attivi’ in questa fase) il sottosegretario Luca Lotti, incaricato dal premier di passare ai raggi x le aree interne al Pd, continua il suo sondaggio in vista dell’elezione presidenziale, ufficialmente al via il 29 gennaio.
Ad ogni papabile, corrisponde un numero di voti, nella lista di Lotti. Ed è da questa lista che dovrebbe uscire il candidato, il nome unico che Renzi proporrà all’assemblea dei grandi elettori del Pd all’ultimo momento utile.
Vale a dire: alla vigilia o al massimo due giorni prima della quarta votazione, quella che richiede solo la maggioranza assoluta di 505 voti, quella che Renzi considera ‘buona’ per eleggere il presidente.
Dunque l’assemblea dei grandi elettori Dem dovrebbe tenersi il 28 gennaio (prima delle prime due votazioni a maggioranza dei due terzi) o il 29 gennaio. Infatti, a differenza di quanto paventato ieri, non è escluso che il Parlamento affronti i primi due scrutini nel primo giorno di seduta comune del Parlamento. Il terzo si terrebbe il giorno dopo. La quarta, a seguire.
Bersani: riscattare Marini e Prodi.
Il calendario è nelle mani del presidente della Camera Laura Boldrini, che presiederà la seduta (il presidente del Senato Pietro Grasso sarà il ‘supplente’ alla presidenza della Repubblica dopo Napolitano e fino all’elezione del successore).
Ma naturalmente la cadenza delle votazioni dipenderà anche dal punto di maturazione delle trattative sul nome.
Renzi scalderà i motori della discussione venerdì in direzione Pd. L’ex segretario Pierluigi Bersani, perno delle trattative con il presidente del Consiglio perchè più rappresentative delle minoranze Dem in Parlamento, si sbilancia a dire che “bisognerà trovare una soluzione che giustifichi il fatto che questo stesso Parlamento nel 2013 abbia detto di no a Marini e Prodi. Bisogna trovare qualcuno di almeno comparabile a quelli che hanno segato: questa è la prima sfida”. E si tira fuori dalla corsa: “Ho già dato”.
Il test per il Colle: maggioranze variabili sull’Italicum.
Ma è una fase di preriscaldamento. Il vero test Renzi vuole farlo sulla legge elettorale. E, a differenza dei giorni scorsi, ha cominciato a maturare un’idea che per il momento è ancora un’idea, ma vale la pena spiegarla perchè potrebbe definire lo schema su cui ragionare di Quirinale.
Giovedì mattina di buon ora il premier incontrerà i senatori del Pd per serrare i ranghi. Ma non sta pensando di fare ulteriori concessioni alle truppe della minoranza (una quarantina di varia estrazione).
Nessun altro strappo dall’impianto del nuovo Italicum, anche se la minoranza vuole ancora dare battaglia contro i capilista bloccati.
Piuttosto, con i suoi, il premier sta esaminando l’idea di approvare la legge elettorale con maggioranze variabili. Vale a dire: il premio di lista, indigesto per Silvio Berlusconi, passerebbe con la maggioranza di governo, senza i voti di Forza Italia, magari con l’aggiunta dei voti di Sel, che — dicono i renziani – potrebbe starci visto che i piccoli partiti hanno ottenuto la riduzione al 3 per cento della soglia di sbarramento per entrare in Parlamento.
Mentre la parte ostica per la minoranza Pd sul rapporto tra capilista bloccati e preferenze verrebbe approvata con i voti di Forza Italia che sostituirebbero gli eventuali dissensi Dem.
Riforme costituzionali, voto segreto passa liscio alla Camera.
Certo, è uno schema di massima. Che però conferma l’intenzione del premier di approvare la legge elettorale prima della riunione del Parlamento in seduta comune sull’elezione presidenziale.
Al Senato l’Italicum verrà messo ai voti tra la fine della prossima settimana e l’inizio dell’ultima settimana di gennaio.
Comunque, prima del 28. “Sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali grava anche l’ultimo appello di Napolitano a non bloccare tutto”, si fanno scudo i parlamentari renziani.
E oggi hanno tirato un respiro di sollievo alla Camera: dove l’unico voto segreto di giornata su un emendamento della riforma costituzionale è passato liscio come l’olio per la maggioranza. Nessun problema.
“Sarà mica che l’elezione del presidente sarà più facile di quanto si pensi?”, azzarda un parlamentare renzianissimo e naturalmente fiorentino.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
DA EMERITO INTERVERRA’, VOTERA’ PER IL SUCCESSORE E SARA’ PRESENTE IN AULA
Dal suo appartamento, al primo piano del monastero Mater Ecclesiae, dietro la basilica di San Pietro, il papa emerito Benedetto XVI guarda le meraviglie del Vaticano.
E ogni giorno, accompagnato da monsignor Georg Gà¤nswein, suo segretario e prefetto della Casa Pontificia, fa una passeggiata tra gli alberi e le fontane dell’orto, prima di dedicarsi alla meditazione e alla lettura.
Dai suoi studi di palazzo Giustiniani Giorgio Napolitano osserverà e seguirà i lavori del Senato.
E poi dal suo scranno di senatore a vita, a palazzo Madama, potrà intervenire, se lo riterrà opportuno, sui temi delle riforme e, soprattutto, voterà , e non solo per il successore. Meditazione ma anche voto.
Nelle parole che Matteo Renzi affida ai cronisti, a margine del suo discorso di chiusura del semestre europeo a Bruxelles, c’è tutta la consapevolezza del peso che continuerà ad avere l’attuale capo dello Stato nel dibattito politico italiano e tutta l’influenza che continueranno ad avere le sue parole, anche quando ci sarà il nuovo presidente.
È la consapevolezza che i due Presidenti, il successore di Napolitano e Napolitano, non saranno come i due Papi, Bergoglio e Ratzinger.
Certo, anche Napolitano sgravato dalla fatica degli impegni di un compito gravoso e faticoso, troverà il tempo di recuperare quella normalità di vita limitata dal ruolo e dai protocolli.
Non è un caso, che proprio a questo recupero della libertà e della normalità sono dedicate le poche frasi che il presidente ha consegnato a un bambino che lo ha interrogato in piazza del Quirinale durante la manifestazione della Polizia di Stato Una vita da social: “Qui si sta bene, è tutto molto bello – ha aggiunto Napolitano – ma è un po’ una prigione. A casa starò bene e passeggerò”.
Ecco, in quella parola prigione c’è tutto il sollievo per il volgere a termine di un secondo mandato, nel corso del quale la fatica fisica e il “peso dell’età ” non hanno trovato corrispondenza nel raggiungimento di quegli obiettivi in nome dei quali il sacrificio era stato accettato.
Ma Napolitano non occuperà le giornate alla Ratzinger. Chi ha raccolto le confidenze del capo dello Stato assicura che avrà un ruolo molto attivo, tenendo fede a quel proposito annunciato nel discorso di fine anno.
Quando scandì: “Resterò vicino – assicura Napolitano – al cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani”.
Il cimento e gli sforzi degli italiani incrociano la figura del nuovo dello capo dello Stato che prenderà il posto di colui che, nei nove anni che abbiamo alle spalle, ha rappresentato il fulcro della politica italiana.
E incrociano anche quel tema delle riforme, strettamente connesso alla definizione del nuovo inquilino del Colle. Stefano Ceccanti, costituzionalista molto stimato sia al Quirinale sia a palazzo Chigi, spiega: “Il ruolo di Napolitano rientra in quella che è la sua natura. Sia pur nella discontinuità delle funzioni ci sarà una continuità nel ruolo, in chiave di sollecitazione delle riforme”.
Una sollecitazione che va oltre le riforme. In parecchi, nel Palazzo, ragionano su come un eventuale “Avatar” del premier al Quirinale, scelto per non fare ombra a palazzo Chigi, non la farebbe nemmeno al suo ingombrante predecessore.
Anzi un nuovo presidente Avatar sarebbe inevitabilmente oscurato dal suo predecessore. Come la pensi Napolitano sull’identikit del nuovo capo dello Stato non è un mistero: una figura autorevole, competente, credibile dal punto di vista internazionale.
E in parecchi, in questi giorni, dentro il Pd si interrogano su quanta possa essere la capacità di suggestione, di influenza e di indirizzo di Napolitano senatore a vita, visto che – quando si apriranno le urne presidenziali — sarà lì a votare.
Già , con un dettaglio di un certo valore simbolico, scritto oggi da Fabrizio D’Esposito sul Fatto: “Napolitano sarà l’unico leader parlamentare durante gli scrutini per l’elezione del dodicesimo capo dello Stato. Sia Renzi sia Berlusconi non saranno presenti (uno perchè non è parlamentare, uno perchè decaduto, ndr). Così come non voteranno per il Quirinale Bebbe Grillo e Matteo Salvini”.
Il presidente emerito quel giorno sarà a palazzo Madama, probabilmente tra i banchi del gruppo misto — così trapela al momento — così come fece il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi.
Ciampi però non è mai stato parlamentare dal 1953 di un solo partito, come Napolitano. Per questo in parecchi, tra i parlamentari dem, immaginano l’ex presidente tra i loro banchi.
E già circola la battuta: “Così oltre a due Presidenti avremmo due Segretari…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“NON SI TRATTO’ DI CRITICA POLITICA, MA PROPAGANDA VOLTA A SEMINARE ODIO E VIOLENZA”… DOVRA’ ANCHE RISARCIRE 150.000 EURO
Il neo-consigliere regionale della Lega nord Fabio Rainieri, già indagato a suo tempo per la truffa delle
quote latte, è stato condannato per aver insultato con una foto su Facebook l’allora ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge.
Lo annuncia in una nota la stessa Kyenge, oggi europarlamentare europea.
«Non si trattò di una critica politica, ma di vera e propria propaganda volta a seminare odio e violenza. Perchè la critica implica dialettica e argomentazione».
L’attuale vicepresidente dell’Assemblea legislativa (ma è anche segretario emiliano del Carroccio), come ricorda il comunicato, pubblicò una foto dell’allora ministro «con il volto ritoccato in modo da apparire una scimmia».
«Dileggiare una persona esclusivamente per il colore della pelle non implica argomentazione, nè retropensiero – osserva Kyenge – È come dire: tutti voi, neri, non siete solo razza inferiore ma siete animali. Un vero e proprio atto di violenza e come tale va sanzionato dalla legge».
Così è stato. «La libertà di parola- afferma Kyenge- è un patrimonio inviolabile della cultura occidentale, riconosciuta dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma questo caso non ha nulla a che fare con l’esercizio di questa libertà , che ha come unico limite l’offesa del diverso. Istigare le persone a considerare i neri come animali non è satira, nè critica, ma solamente un reato ed è proprio per questo che trovo altrettanto grave la decisione della Lega Nord di non discostarsi dalle posizioni sostenute da Rainieri. In questo modo e’ l’intero partito a rendersi corresponsabile delle sue azioni».
Intanto sul leghista Fabio Rainieri, eletto da meno di un mese nuovo vicepresidente dell’Assemblea legislativa, arriva la richiesta di dimissioni targata M5s.
Lo annuncia, via Facebook, la capogruppo grillina in viale Aldo Moro, Giulia Gibertoni. «Rainieri, a questo punto dovresti essere tu a dimetterti da vicepresidente dell’Assemblea legislativa- manda a dire la numero uno dell’M5s in Regione- noi comunque chiederemo formalmente che tu non sia piu’ in quel ruolo. Se vuoi precederci, sarebbe un gesto almeno dignitoso».
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“GRAZIE AL CORANO HO CAPITO COSA VUOL DIRE SENTIRSI UNA DONNA”
“Sono felice di poter parlare dell’Islam con una coetanea interessata. È bello condividere quello che riempie la mia vita”.
Cinque anni fa, Maria Giulia Sergio, alias Fatma Az Zahara mi accolse così.
Maria Giulia è colei che è stata ribattezzata Lady Jihad.
Oggi risulta tra gli italiani foreign fighters che sarebbero partiti per unirsi all’Isis L’ho riconosciuta dopo la pubblicazione di una sua foto a volto scoperto.
La incontrai l’11 aprile del 2010. Frequentavo il Master di Giornalismo dell’Università degli Studi di Milano e per il giornale del corso stavo lavorando a un servizio sulle donne cattoliche che si convertono all’Islam.
Presi un appuntamento con l’imam della moschea di Segrate, alle porte di Milano.
Mi ricevette in una domenica di sole, mi diede qualche dato sulle conversioni femminili e poi mi accompagnò in una sala dove alcune donne stavano leggendo il Corano.
Spiegò loro, in arabo, chi ero e perchè ero lì e chiese se qualcuna fosse interessata a raccontarmi la sua storia.
Tutte scossero il capo, solo una si fece avanti. Era una ragazza sorridente, il viso pieno, occhi castani vispi con poco trucco. Indossava un velo azzurro, un trench nero, dei mocassini, come annotai sul mio taccuino.
“Ciao sono Maria Giulia, anzi Fatima”, disse tendendomi la mano.
Lei aveva 22 anni, io 26. La vicinanza di età creò subito empatia.
Maria Giulia-Fatima viveva a Inzago, un comune di 10.000 abitanti nell’hinterland milanese. Si era trasferita lì da qualche anno, prima viveva in provincia di Napoli.
“Non voglio parlare di conversione- precisò subito- piuttosto di reversione. È come stato come ritrovare una strada persa. Per me l’Islam è un percorso intimo e personale”.
“È come se avessi avuto una chiamata, Dio mi ha dato qualche cosa da dentro”.
Raccontò di essere rimasta folgorata da un servizio al telegiornale su La Mecca.
Da lì aveva cominciato a studiare libri sull’Islam. “Leggendo il Corano mi batteva forte il cuore, ho indossato il velo—raccontava-qualche amico della piazza di Inzago mi prende in giro, dicono che metto il Burqa, non capiscono niente”.
Mi disse di aver fatto da sola la prima ShahÄda, la testimonianza con cui i musulmani in unico Dio e nella missione profetica di Maometto, poi aveva iniziato seriamente a frequentare la moschea, non precisò quale, e il 29 settembre 2009 aveva fatto la ShahÄda ufficiale, davanti all’Imam.
L’idea della conversione per folgorazione non mi convinceva.
Le chiesi qualche cosa di più. Mi parlò di “amore” generico, di essere poi stata guidata nel suo percorso, ma, nonostante la mia insistenza, restò vaga.
Aveva avuto una formazione “molto cattolica” e inizialmente i genitori avevano osteggiato la sua scelta “Tutta colpa dei media che distorcono la percezione dell’Islam. Il nostro è un messaggio d’amore. Non è stato facile all’inizio, ho pensato di andarmene via dall’Italia. Poi mamma ha capito la bellezza di questa religione e si è convertita, sta per farlo anche mia sorella”.
Oggi tutta la famiglia Sergio è musulmana.
Maria Giulia studiava medicina, voleva diventare neurochirurgo. Per mantenersi agli studi aveva cercato un lavoretto, ma in tanti non l’avevano voluta assumere per via del velo.
Aveva trovato un posto da segretaria, ma raccontava che il capo aveva tentato di strapparle lo Hijab. Alla fine era stata presa in un call center e lì si trovava bene.
I colleghi e i compagni di università continuavano a chiamarla Giulia, le facevano “tante domande” e persino i professori “erano incuriositi”.
Non negava che la sua vita fosse cambiata. “Ora non ci sono più trasgressioni, feste, discoteche. Ma non mi manca nulla, anzi, ho qualcosa che prima non avevo e sono più consapevole. La religione musulmana rende liberi dal dominio dell’uomo sull’uomo. È un antidoto al mondo di oggi, voi ormai siete schiavizzati dalla società ”.
Le chiesi se aveva gli stessi amici .“Qualcuno sì, qualcuno no-rispose-Non tutti capiscono”.
Ai tempi a Milano c’era grande dibattito sull’integrazione per via della contestata moschea di Viale Jenner e della scuola islamica di via Quaranta.
Gliene chiesi conto e si affrettò a prenderne le distanze “Credo nel dialogo e nella comunicazione, se vuoi che gli altri ti seguano devi mostrarti in maniera positiva”.
Ricordo che verso la fine della chiacchierata si interruppe e mi guardò attentamente, quasi squadrandomi.
“Mi fa piacere, tu sei vestita in modo serio. Certe ragazze oggi si conciano come prostitute. Forse perchè hanno delle vite vuote. Io, grazie al Corano, mi sento importante e ho capito cosa vuol dire sentirsi davvero una donna”.
Mi chiese se volevo fermarmi per il corso. Declinai l’invito perchè avevo altri appuntamenti per il mio servizio. Le chiesi se potevo farle una foto, precisando anche che il giornale veniva stampato ma era ad uso interno del Master.
Mi rispose che comunque preferiva di no. Mi lasciò però l’indirizzo mail.
Il suo nickname era come quello di tante ventenni con l’anno di nascita e le y al posto delle i, c’era anche la parola muslima. Le chiesi se aveva anche un blog, così avrei potuto seguirla.
Si irrigidì “Non mi piacciono quelle cose. La comunicazione è faccia a faccia”.
Ci salutammo con grandi sorrisi sulla porta della Moschea. L’incontro era stato lungo e per me molto interessante, la ringraziai del tempo dedicatomi.
Notai che con sguardo sognante guardava un quadretto de La Mecca.
“Vorrei tanto vederla”. Le dissi che non c’ero stata nemmeno io, ma avevo fatto diversi viaggi in Medio Oriente ed erano effettivamente luoghi molti belli.
“Che fortuna-rispose-voglio andarci presto anche io. È il mio sogno”.
Micol Sarfatti
(da “HuffingtonPost”)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
“NESSUN FENOMENO SI PUO’ CONTROLLARE SENZA CONOSCERLO”… “DA LAICO NON CREDENTE DICO CHE TUTTE LE RELIGIONI VANNO RISPETTATE”
Come ha ricordato Vito Mancuso su Repubblica di sabato 10 gennaio, il termine Islam significa
sottomissione e abbandono assoluto alla volontà e al giudizio di qualcuno (Allah), ma contiene in sè anche la radice della parola “salam” che significa pace e indica la pace dell’animo che il rimettersi interamente a Dio porta con sè.
Chi pensa dunque che la religione musulmana sia una religione violenta, e violenti e guerrafondai siano tutti i suoi adepti, dimostra di non conoscerne affatto l’essenza.
Eppure bisognerebbe conoscere e capire prima di giudicare, e soprattutto prima di agire o reagire. Nessun fenomeno si può evitare o controllare senza conoscerne la cause.
Il tema degli attentati di questi giorni in Francia è la pace, o meglio l’assenza di pace, e da lì bisogna partire: come ristabilire una situazione di pace.
E non certo come annientare l’Islam.
Innanzitutto la pace non può esistere e convivere con l’intolleranza e dunque il primo passo da fare è rispettare i musulmani.
Lo dico da laico non-credente: tutte le religioni vanno rispettate e non vanno in alcun modo oltraggiate, perchè rispecchiano il bisogno ancestrale dell’uomo di una protezione e una proiezione sovrannaturale.
Personalmente penso di avere scritto molto contro il potere temporale e contro l’interferenza della Chiesa cattolica nelle decisioni politiche ed etiche della società civile; tuttavia non mi sono mai permesso (ne mai lo farò) di sbeffeggiare i precetti religiosi o gli atti di culto.
Islam, Ebraismo e Cristianesimo, inoltre, sono religioni non lontane.
I musulmani si considerano, con Maometto, un popolo della quarta fase, dopo Abramo, Mosè e Gesù, che son ripetutamente lodati nel Corano e che essi dunque rispettano come grandi profeti.
Certo, non credono nella natura divina di Gesù, che peraltro fu decretata dalla Chiesa dal Concilio di Nicea solo nel quarto secolo, ma non per questo lo oltraggiano, e si aspettano che anche noi rispettiamo
Maometto e il suo rapporto con Allah. Questa filosofia del “rispetto” si rispecchia perfettamente nella storia: non possiamo dimenticare, infatti, che la dominazione araba in Europa, che durò 500 anni, fu caratterizzata da una grande tolleranza.
Quando nel 1492 gli arabi si ritirarono dalla Spagna, i reggenti Isabella e Ferdinando li salutarono in costumi moreschi, in segno di fratellanza.
La cultura araba è molto profonda: in campo scientifico Ibn-Sine ed Ibn-Rushd furono uomini per così dire “rinascimentali”, allo stesso tempo matematici, medici e filosofi.
Al Khwarizmi fu colui che inventò l’algoritmo, su cui si basa l’informatica moderna e Al-Biruni ha stabilito la lunghezza del diametro della terra, sbagliando di pochi chilometri.
La stessa religione islamica è molto evoluta intellettualmente, con un Dio trascendente che è puro spirito e richiede una fede totalmente spirituale, senza compromessi con la vita terrena.
Il problema è che il Corano, libro sacro che tutti i musulmani conoscono molto profondamente e seguono alla lettera, è stato scritto nel 600 d.c., ed essendo stato steso da Maometto sotto dettatura di Allah – a differenza della Bibbia che richiede un’esegesi – non ammette variazioni nè interpretazioni.
Poichè il Corano contiene anche le leggi della convivenza civile, è evidente che il sistema politico e civile dei paesi islamici non può che essere molto rigido.
Inoltre l’Islam non ha una Chiesa e non prevede gerarchie: gli imam sono figure con potere solo spirituale e dunque la loro possibilità di influenzare la massa dei fedeli è limitata.
Ogni islamico ha quindi un suo rapporto diretto con Dio e solo a Dio, che guida ogni sua azione, rende conto del suo agire.
Siamo quindi noi cristiani, ebrei e non credenti, con sei secoli di storia in più, ad avere il dovere morale di capire perchè le azioni di molti musulmani oggi sono contro di noi, e perchè si è creata una condizione di risentimento nei nostri confronti.
Stiamo parlando di una fetta di popolazione di un miliardo e più di persone che vivono in aree dotate di risorse oggi strategiche per la sopravvivenza del Pianeta, e che non possiamo ignorare sentendoci più evoluti e civili.
Ciò che è certo è che con i suoi costumi corrotti, l’edonismo, il consumismo l’occidente è per l’Islam “il male” perchè ha perso il rispetto per ogni valore, è accecato dal denaro e dal potere, e soprattutto non rispetta il loro Dio, che è per loro il peggiore degli affronti.
I musulmani, dopo secoli di potere su gran parte del Mediterraneo, compresa la Spagna, con reciproca tolleranza, si sentono oltraggiati da una società che considerano corrotta e senza purezza di pensiero.
Possiamo davvero pensare di frenare la violenza di questo slancio redentore con altra violenza?
Io penso sia un’assurdità , che non può che generare un circolo vizioso.
Per frenare il terrorismo islamico c’è solo una possibilità : il dialogo.
Umberto Veronesi
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
AZZERATO IN MOLTE REGIONI IL SERVIZIO PSICHIATRICO D’URGENZA… I MEDICI DEL 118: “CON I PAZIENTI VIOLENTI RISCHIAMO LA VITA”
Sembra la trama di un film dell’orrore la vicenda che nella notte tra il 30 e il 31 dicembre ha visto protagonista una donna di Sarno di 52 anni, affetta da uno stato di psicosi maniacale.
Gli operatori del 118, chiamati dal marito, l’hanno trovata in evidente stato di agitazione che brandiva un coltello di 50 cm.
Medici e familiari sono riusciti a mettersi in salvo per un pelo solo grazie all’intervento delle forze dell’ordine.
Eventi simili si presentano non di rado da quando le aziende sanitarie hanno deciso di fare a meno del medico specialista nella fascia oraria notturna.
“Una riorganizzazione con tagli alla spesa — spiegano gli operatori del servizio di primo intervento — che ci fa rischiare la vita. Si tratta di pazienti già in terapia presso il servizio di Igiene mentale ed è necessario che sul posto, sia per competenze, per mezzi e possibilità di trattamento con farmaci specifici, ci sia uno psichiatra reperibile”
La Campania, e in particolare la provincia di Salerno, era l’ultimo avamposto che aveva resistito al progressivo smantellamento da Nord a Sud dell’assistenza specializzata “h24”.
Un taglio che, a fronte di un modesto risparmio economico, sta producendo spesso l’effetto contrario.
La legge Basaglia del 1978, che ancora regola l’assistenza psichiatrica nel nostro paese, introduceva non a caso anche una filosofia di cura individualizzata e centrata su servizi integrati nei luoghi di vita delle persone.
A distanza di 37 anni la riforma pare però essere destinata a rimanere disattesa, se non addirittura cannibalizzata dai piccoli ma devastanti interventi (o mancati provvedimenti) che hanno generato servizi di salute mentale disomogenei e frastagliati sul territorio.
A fronte di isolati centri di eccellenza, esistono ancora vaste zone in cui il servizio è lacunoso, con situazioni che arrivano fino al degrado e al limite della legalit�
Qualche esempio dei disservizi più clamorosi: l’apertura solo diurna dei Centri di salute mentale (Csm), spesso per fasce orarie ridotte, con conseguenti ricoveri “forzosi” che in alcuni casi somigliano più a deportazioni.
L’esiguità degli interventi territoriali individualizzati e integrati spesso limitati alla sola prescrizione di farmaci.
La sopravvivenza di “comunità ex-art. 26”, luoghi privi di valenza riabilitativa e più connotati come “contenitori sociosanitari”.
E ancora, l’offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate, accessibili anche senza il coordinamento dei Csm. Tutti modelli di assistenza al di fuori della cultura territoriale dei progetti “obiettivo” e dei piani per la salute mentale post legge 180.
Occorre specificare che non esiste alcuna normativa nazionale che imponga il taglio nella fascia oraria notturna. I progetti obiettivo vanno tutti in direzione contraria ma non sono vincolanti e finiscono per soccombere alle politiche sanitarie regionali che, insieme alle pressioni corporative e sindacali, determinano il quadro attuale.
Dunque che fine hanno fatto le promesse prospettate dalla Legge Basaglia su diritto alla salute e libertà individuali?
Se dobbiamo basarci sugli ultimi provvedimenti e sulle testimonianze di pazienti e operatori, dobbiamo concludere che è in corso una pericolosa marcia indietro.
Secondo Claudio Mencacci, già presidente della Società italiana di Psichiatria, è giusto fare a meno dello psichiatra nelle ore notturne perchè “Un’urgenza psichiatrica è pari a qualsiasi altra urgenza sanitaria. In tal modo si riduce la stigmatizzazione che accompagna i pazienti psichiatrici quali pazienti ‘violenti’ e ‘pericolosi’.
A Milano, dove lavoro, c’è un numero sufficiente di psichiatri. I piccoli centri sono i più colpiti da carenze nell’assistenza”.
Peppe Dell’Acqua, considerato da molti l’erede di Basaglia, è direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste.
Per lui la rivoluzione culturale apportata dalla Legge 180 non è stata inutile: “Oggi siamo l’unico paese in Europa con una legge che ci permette di vedere che la contenzione è una violenza, non un atto medico. Purtroppo però negli ultimi 30 anni i servizi hanno subito una forte dispersione per via di forme organizzative stupide messe in atto dalle Regioni con la scusa della spending review”.
Paola Porciello
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
LA SPECULAZIONE DELLE AZIENDE FARMACEUTICHE VETERINARIE
Curare Fido costa caro. Lo sa bene la metà delle famiglie italiane proprietarie di un animale domestico. 
Il prezzo dei farmaci per gli amici a quattro zampe è in media tre/quattro volte superiore di quelli per l’uomo.
Anzi, può arrivare a moltiplicarsi per dieci o venti. Sebbene il principio attivo sia identico.
Facciamo qualche esempio. Il furosemide, un diuretico, nome commerciale “Diuren”, nella confezione da 30 compresse da 20 milligrammi costa 7,50 euro; appena 1,72 l’analogo per uso umano, il Lasix.
Per sei fiale di fitomenadione, nome commerciale “Vitamin K1 Laboratoire TVM”, indicato in caso di avvelenamento da rodenticidi (veleno per topi), si spendono 82 euro, cioè quattro volte in più del trattamento per uso umano con il “Konakion”.
È la legge infatti che impone di usare il farmaco veterinario per gli animali e solo in via eccezionale la versione umana
Una fiala da dieci millilitri di tramadolo cloridrato, il principio attivo dell’Altadol, un antidolorifico iniettabile, chi ha un pet (così chiamano gli inglesi gli animali da compagnia) la paga 9,20 euro; il farmaco per noi si chiama “Contramal”, ha metà del dosaggio, ed è in vendita a 3,30 euro.
Lo stesso discorso vale per gli antibiotici.
La spesa per 16 pastiglie di clindamicina cloridrato, sotto l’etichetta “Antirobe”, da somministrare al cane, è di 27, 82 euro; stessa molecola per noi, con un nome diverso, Dalacin C, a metà prezzo: 5,07 euro.
Il ragionamento non cambia se il pet soffre di depressione. Una scatola da 30 pastiglie da 5 milligrammi di clomipramina, un antidepressivo con il nome “Clomicalm”, costa 32,10 euro. Il prezzo al milligrammo dell’ “Anafranil”, l’equivalente per l’uomo, è di otto volte inferiore.
“È assurdo, si tratta della stessa molecola, ma quella per uso veterinario ha cifre da capogiro” è il commento di Giorgio Neri, veterinario e consulente del farmaco per Anmvi (associazione nazionale medici veterinari italiani).
“Fino a qualche anno fa la forbice era addirittura più ampia — continua -. È ovvio che costringendo il veterinario a prescrivere un farmaco registrato per uso animale piuttosto della specialità umana, identica, si fa l’interesse delle aziende farmaceutiche veterinarie“. Un piccolo impero che ogni anno in Italia muove un fatturato di circa 600 milioni di euro. Briciole a confronto dei 26,1 miliardi spesi nel 2013 per la salute umana.
Il 50 per cento del giro d’affari si concentra in quattro aziende: Merial, Zoetis Italia, Bayer (divisione veterinaria) e MSD Animal Health.
In apparenza nulla di strano. È la legge infatti che impone di usare il farmaco veterinario per gli animali e solo in via eccezionale la versione umana.
Attraverso le regole a cascata sull’uso in deroga, introdotto con il dlgs 119 del 1992: “Se non esiste nessuna specialità veterinaria autorizzata per una determinata specie e patologia — spiega Neri -, allora il veterinario può somministrare un farmaco off label, cioè registrato per la cura di un’altra malattia ma altrettanto efficace, o indicato per una famiglia di animali diversa. Solo in un’ultima istanza può prescrivere quelli autorizzati per l’uomo, anche se contengono lo stesso principio attivo e sono molto più economici”. La stessa cosa ripete il dlgs 193 del 2006.
Negli articoli 10 e 11 si precisa che l’uso in deroga è consentito, rispettivamente, negli animali da compagnia e in quelli destinati alla produzione di alimenti, ma sempre per il solo fine di evitare “stati evidenti di sofferenza”.
Una condizione molto limitante (considerato anche che l’animale non parla e la nostra percezione del loro dolore è molto debole).
Il motivo? Di nuovo, favorire il business del settore farmaceutico veterinario. Il consulente dell’Anmvi sottolinea un’altra contraddizione:
“Per esempio, il furetto, come i cani, può essere colpito da cimurro, ma nel suo caso non esiste un vaccino specifico. Se dovessi attenermi alle regole a cascata non potrei usare il medicinale autorizzato per il cane anche per il furetto, perchè lo scopo è preventivo, non curativo”.
Altro caso: “La filaria, di cui soffrono i canidi e il gatto, è documentata pure nel furetto. Ma la terapia preventiva, da fare nel periodo delle zanzare, è esclusiva per i primi”.
I farmaci generici per gli animali sono ancora un tabù. Il veterinario sulla ricetta deve per forza indicare il nome commerciale del medicinale (non il principio attivo come è d’obbligo per i nostri medici).
Un ex rappresentante veterinario del ministero della Salute ci rivela: “Noi abbiamo le mani legate, al ministero c’è un muro. Le industrie chiedono di proteggere i loro prodotti e trovano terreno fertile. Esistono dei farmaci, già registrati in veterinaria e nello specifico per il cane/gatto, che sono disponibili anche come generici, con un divario di costo significativo. Basterebbe che il ministero emanasse una disposizione secondo cui i generici già registrati per gli umani, a parità di composizione, siano di fatto considerati anche a uso veterinario. Ciò permetterebbe un risparmio di migliaia di euro. I vincoli attuali sono una follia e servono a garantire più la sopravvivenza dell’industria farmaceutica veterinaria che la tutela sanitaria degli animali”.
Tanto per renderci conto.
È disponibile il generico dell’amoxicillina, tra gli antibiotici più usati per la cura antibatterica, a soli quattro euro.
La versione branded veterinaria, il “Synulox”, costa dai 16,80 euro ai 19.90 (dipende dal dosaggio).
L’equivalente del Fortekor (benazepril è il principio attivo), un antipertensivo, prezzo 19,90 euro, vale 4,47.
Siccome lo Stato è il più grande proprietario di cani (ce ne sono 600mila rinchiusi nei canili sparsi per la penisola), converrebbe anche alle casse pubbliche dare l’ok ai generici per uso animale.
Conti salatissimi troppo spesso spingono a operare illegalmente.
Va a finire che i padroni danno di nascosto i farmaci per uso umano al proprio cane o gatto (spesso sbagliando i dosaggi).
Che i veterinari, rischiando multe da 1500 a nove mila euro, li prescrivano sottobanco al cliente in difficoltà economica.
Oppure, e questo è all’ordine del giorno nelle farmacie di paese, dove l’offerta veterinaria è ridotta, il farmacista consegna la versione umana del medicinale in mancanza di quello specifico.
Ordinarlo significherebbe aspettare anche una settimana mettendo in pericolo la salute dell’animale
A essere sul piede di guerra è il sindacato italiano veterinari liberi professionisti, Sivelp, che chiede da tempo la liberalizzazione del farmaco veterinario a parità di molecola.
E che per denunciare tutte le aporie del sistema, lo scorso settembre, ha lanciato un sito web, www.farmacoveterinario.it , insieme a Livia Di Pasquale, da anni volontaria nei canali, che ha sposato la causa. Intanto il mercato si ingrossa.
Nell’ultimo mese sono usciti dei nuovi stupefacenti, 4/5 volte più costosi dei nostri. Come il “Fentadon”: 16,08 euro contro i 3,10 del “Fentanest” (il principio attivo è il fentanil, lo stesso per entrambi). E il Buprenodale (buprenorfina è il principio attivo): 25 euro, mentre il “Temgesic”, per noi, ne vale 7,21.
La Fnovi (Federazione nazionale ordini veterinari italiani) non ignora il problema.
Tanto che a metà del mese ha fissato un incontro a porte chiuse con i rappresentanti della filiera, (l’Aisa, l’organizzazione delle aziende del farmaco animale, l’Ascofarve, quella dei distributori, e Federfarma, quella dei farmacisti) per capire il perchè dei prezzi così elevati.
Chiara Daina
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
PER FUNZIONARE HANNO BISOGNO DI REGOLE EFFICACI
C’è chi ha contato i turchi di Imperia e chi ha fotografato i cinesi di La Spezia, chi ha ascoltato i marocchini ad Albenga e chi ha avvistato gli alfaniani a Genova, e vai a sapere quanto hanno pesato queste incursioni sospette sulla vittoria della renziana Raffaella Paita.
Ma sulle primarie del Pd per la presidenza della Regione Liguria pesa l’inaccettabile sospetto che siano state decise da quegli stranieri che nel loro italiano pasticciato chiedevano la scheda per scegliere il successore di Burlando e poi, all’uscita, domandavano ingenuamente dove dovevano andare per ritirare il premio promesso.
È vero: non si raccolgono 29mila voti – quattromila in più di Sergio Cofferati, uno che non ha mai avuto bisogno di stampare volantini per farsi riconoscere dai suoi elettori – portando ai seggi i cinesi con il pulmino.
E infatti persino ad Albenga, dove i marocchini reclamavano la ricompensa, non basterebbe annullare il voto di tutti i 147 extracomunitari che hanno votato lì per riequilibrare un risultato davvero senza storia: 1320 voti per la Paita, 246 per Cofferati. Eppure c’è qualcosa che non va, in quelle comitive di cinesi che si sono presentati al seggio di La Spezia o in quella processione di settanta turchi che andavano a votare a Porto Maurizio.
Così come c’è qualcosa che non va in quel sindaco ex An di Albisola Superiore che ha radunato gli amministratori della Riviera per sostenere la Paita, o in quel capogruppo dell’Ncd che candidamente annuncia che manderà i suoi elettori a votare per la candidata renziana, dando nomi e volti ai sospetti di un inquinamento politico di una consultazione promossa, organizzata e riconosciuta dal Partito democratico.
Cosa c’è che non va? C’è che le primarie, quella festa della democrazia e della partecipazione che abbiamo importato – insieme a tante altre cose – dalla politica americana, rischiano di essere macchiate, snaturate e delegittimate dalle incursioni e dalle scorribande di chi non c’entra nulla nè col Pd nè con le elezioni italiane, e si presenta al seggio solo per dare un voto venduto davanti alla porta oppure per scegliersi l’avversario preferito.
Non è, quella di Genova, una storia nuova.
Le primarie per il sindaco di Napoli, quattro anni fa, furono annullate per i troppi sospetti, e poi si scoprì il tariffario del clan Lo Russo: dalla borsa di pane-latte-carne per un voto singolo ai cinquanta euro per un voto doppio, il primo alle primarie e il secondo alle amministrative.
E anche adesso, in Campania, organizzare le primarie è diventato un incubo, visto che dopo aver rinviato la data per due volte stanno cercando di “superarle” con un candidato scelto a Roma.
L’invocazione delle primarie si è tramutata nella paura delle primarie.
Ma sarebbe un errore imperdonabile tornare indietro. Senza le primarie, uomini estranei alla nomenklatura di partito non sarebbero diventati sindaci di Milano, di Genova, di Roma o di Cagliari.
Senza le primarie, i partiti – non tutti: quelli che le hanno adottate, perchè per gli altri non è cambiato nulla – continuerebbero a scegliere i candidati senza tener conto della volontà dei loro militanti, dei loro iscritti, dei loro elettori.
Ma le primarie, per funzionare, hanno bisogno di regole efficaci.
La prima regola è che le primarie funzionano quando più persone si battono per una sola candidatura, perchè così lo scontro diretto per la maggioranza assoluta fa emergere pregi e difetti di ciascuno.
Sono invece un disastro se vengono organizzate per compilare una lista, quando basta un consenso parziale, perchè allora si torna alla guerra delle preferenze (e ci sarà un motivo se il candidato più votato d’Italia alle primarie del Pd per il Parlamento, il messinese Francantonio Genovese, è stato anche il primo a finire in galera).
La seconda regola è che devono parteciparvi solo i cittadini che siano riconosciuti come elettori di quel partito.
Negli Stati Uniti chi voleva scegliere tra Barack Obama e Hillary Clinton doveva essere un “registered democrat”, un elettore democratico regolarmente registrato nelle liste ufficiali.
Quanto agli immigrati, nel Paese più multietnico del pianeta, possono votare tutti – cinesi, marocchini, turchi e sudamericani – ma solo dopo essere diventati cittadini americani.
La terza regola – la regola delle regole – è che le primarie vanno organizzate non con uno statuto ma con una legge dello Stato.
Non giriamoci intorno: se vogliamo le primarie all’americana, dobbiamo adottare anche quelle scomode regole che lì le fanno funzionare.
È finito il tempo delle primarie alle vongole.
Sebastiano Messina
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 13th, 2015 Riccardo Fucile
DENARO E PROMESSE DI LAVORO PER PRECETTARE AL VOTO GLI IMMIGRATI…E SPUNTA UN FILMATO CHE PROVEREBBE IL PASSAGGIO DI DENARO
Un voto per diventare in cambio un calciatore vero: un campione, mica un dilettante. 
“Quel candidato ha promesso che darà una mano alla squadra. E anche tu avrai la tua occasione. Fidati”.
E un altro voto per lavorare nelle serre dei carciofi: “Fai come ti dico, quella persona è dei nostri. Se avremo i finanziamenti europei l’azienda farà più affari: tu guadagnerai bene, il padrone non ti licenzia più”.
Primarie del Pd. Albenga, l’alba dell’ultimo autogol della sinistra.
Dicono che ci siano stati imbrogli, pasticci. Che si siano venduti le preferenze per questo o quello, che rimborsavano i due euro per accedere al seggio e aggiungevano una piccola mancia: cappuccino e focaccia, buon appetito.
Che si siano rivolti ad extracomunitari e minorenni, tanto bastano 16 anni e un documento di identità .
Rosy Guarnieri, ex sindaco leghista di Albenga, giura: “Ho le immagini della gente che è stata pagata dopo avere lasciato il seggio. Un piccolo filmato, non si vede molto ma abbastanza. E’ a disposizione dei magistrati, se vogliono”.
Sarebbe successo in piazza Trinchieri, vicino all’auditorium San Carlo di via Roma, dove domenica al seggio hanno raccolto 1.590 voti: 1.320 per Paita, 246 per Cofferati, 8 nulli, 4 schede bianche.
“Votavano, poi venivano in piazza col certificato. Molti marocchini, qualche ragazzo di qui. Qualcuno gli dava 5 monete da un euro. Per rimborsargli i 2 spesi per votare, e per pagargli la colazione”.
Lo raccontano tutti, ma per sentito dire. Come Eraldo Ciangherotti, esponente di Fi e assessore nella precedente giunta albenganese di centro-destra, pronto a fare da sponda. “Via Roma sembrava Marrakesh, il seggio un Centro di identificazione: tutti in colonna ad aspettare il loro turno. Almeno così mi hanno detto”.
Anche Paolo Tabita, che per conto della lista Cofferati ha firmato la segnalazione che domenica notte ha fatto evocare l’intervento delle procure, racconta di ‘voci’ su presunte consegne di denaro.
E sulle ‘truppe cammellate’ che sarebbero state portate da quelli dell’altra lista.
C’è la storia dei ragazzini dell’Albenga Calcio, quelli che vorrebbero diventare tutti dei campioni. Durante la settimana alcuni di loro hanno ricevuto degli sms che suggerivano di presentarsi al seggio e mettere una croce sul candidato ‘giusto’.
Il messaggio proveniva da un dirigente della società , che in passato ha fatto politica per Forza Italia ma ha promesso di appoggiare la Paita con una lista civica alle prossime amministrative. “Non c’è niente di male. E poi questo non è mica un voto vero. Sono solo le primarie”, confessa un sedicenne col sorriso timido di chi pensa sia tutto un gioco.
“Quando si era trattato di votare Renzi, ad Albenga si erano presentati in 1.200. Domenica 400 in più. I conti non tornano”, insistono quelli che non ci stanno.
Puntano l’indice sugli extracomunitari, in particolare la comunità marocchina.
Dicono che la differenza l’avrebbero fatta loro, in cambio di un’assicurazione sul lavoro. Qualcuno fa il nome di Alessandro Andreis, segretario locale del Pd, assessore all’agricoltura e floricoltore. Lui è un paitiano. E dà lavoro a decine di stranieri.
Le truppe cammellate, appunto. “Veramente in questo momento i miei dipendenti stranieri sono solo 4. Tre vengono dal Bangladesh. So per certo che uno di loro ha votato perchè ero al seggio e l’ho visto arrivare con la moglie: vivono qui da anni, lei gestisce un negozio, sono perfettamente integrati. Mi sembra che abbiano tutti i diritti di partecipare alle primarie, o no?”. Andreis sostiene che gli extracomunitari che hanno partecipato alle primarie di Albenga sarebbero circa 150: non più del 10% dei votanti.
Ma lo sa anche lui che c’è qualcosa che non va. “Domani saranno resi pubblici gli elenchi. E sapremo esattamente chi ha votato. Quanti adolescenti, extracomunitari. Tutti i dubbi spariranno”.
Rosa Bellantoni era il presidente del seggio: “Davanti a me, non è successo nulla di strano: e non ho notato particolari differenze rispetto alle altre primarie. Qualcuno nelle prossime ore che giudicherà gli esposti. Fino a domani, basta con le dietrologie”.
Gli elenchi di chi ha votato sono in uno scatolone custodito nella sede del Pd di Savona, in via Untoria. Gli fa la guardia un vecchio compagno, Gian Carlo Berruti.
“La segnalazione sulle presunte irregolarità l’abbiamo girata alla commissione. All’inizio ho pensato: ‘Belin, un altro casino’. Ma poi ho visto che erano solo cose riferite. Però, che tristezza. Io sono uno che viene dal Pci, a queste brutte storie non mi sono ancora abituato”.
Massimo Calandri
(da “La Repubblica“)
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