Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
LA RETE “SHARIA4” E LA STORIA DI ANAS, PARTITO DA BRESCIA PER LA JIHAD
Stavano per attraversare il confine italiano al passo del Frejus due jihadisti belgi scampati alla
retata scattata ieri a Verbiers.
In Italia, con probabile destinazione al sud, perchè se le cellule jihadiste sono nuclei autonomi addestrati e in attesa di entrare in azione, la rete di conoscenze e di supporto logistico a loro disposizione ha solide ramificazioni in tutta Europa. Anche nella nostra penisola.
Secondo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, intervistato nella trasmissione “Otto e mezzo”, il livello di allarme in Italia da uno a dieci è “sette”.
Per restare ai dati certi, basta ricordare come il capo della cellula condannata per terrorismo il 24 settembre scorso in Puglia (tribunale di Andria), l’imam tunisino Hosni Hachemi, ha vissuto e ha solidi contatti in Belgio con la formazione integralista “Sharia4Belgium”.
A cui fanno riferimento i 13 arrestati e le dodici perquisizioni ordinate giovedì dell’antiterrorismo belga.
Belgio, Francia, Germania mentre dagli Stati Uniti fonti di intelligence avvertono: “Almeno venti cellule addestrate da tempo sono pronte ad entrare in azione in Europa”.
L’Europa sotto attacco reagisce compatta e fa scattare un po’ ovunque operazioni contro la minaccia integralista islamica.
Il Viminale ribadisce, da giorni, che pur avendo un livello di allarme ALFA1 (non succedeva dall’11 settembre 2001) non risultano alla nostra intelligence nè agli investigatori “minacce in fase di progettualità “.
Ma il Viminale sta valutando la posizione di una dozzina di imam, o presunti tali, per ordinarne l’espulsione dal territorio nazionale “per motivi di sicurezza nazionale”.
La lista degli espulsi nasce dall’attività info-investigativa che Ros dei Carabinieri e antiterrorismo del Viminale non hanno mai cessato in questi anni in cui la jihad sembrava essere andata in sonno.
“Si tratta – si spiega – di persone, diciamo pure predicatori, nei cui confronti non ci sono gli estremi per procedere all’arresto o ad altre forme di interdizione e di cui però è dimostrata l’attività di proselitismo in chiave integralista e anti occidentale”.
Persone che in questi momenti è più salutare mettere fuori dai confini nazionali. L’espulsione per motivi di sicurezza fu introdotta nel 2005 dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu.
La lista dei sospetti in Italia si compone di circa “un centinaio di nomi”, tra i venti e 35 anni, in maggioranza magrebini, per lo più sono seconde generazioni già inseriti e residenti soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Veneto e Lazio. Tra loro anche una decina di donne.
La loro palestra principale è il web dove trovano tutte le istruzioni per addestrarsi e addestrare. Qualcuno di loro è partito per la Siria e prima ancora per l’Iraq.
Qualcuno è tornato. I lone fighter diventano foreign fighter.
La “cellula” integralista ne può diventare il complemento o la conseguenza. I numeri italiani sono diversi, meno preoccupanti, da quelli francesi e belgi: una ventina le persone sotto indagine; 54 i foreign fighters di cui quattro italiani.
I profili di questi combattenti sono stati messi a disposizione del Parlamento tramite il Copasir
Di Fatima, il nome da convertita di Maria Giulia Sergio, 27 anni, sappiamo già molto: adesso dovrebbe essere tra la Turchia e la Siria. Potrebbe essere con lei anche il secondo marito, un albanese la cui famiglia vive ancora tra Siena e Grosseto nel comune di Scansano.
Meno noto è Anas el Abboudi, 22 anni, marocchino di origine, naturalizzato italiano. Anas viveva a Vobarno, in provincia di Brescia, il padre operaio cassaintegrato e la madre casalinga. Frequentava una scuola professionale a Brescia finchè non è sparito nel settembre 2013.
“Il mio datore di lavoro è il jihad” ha scritto nel suo ultimo post su Facebook prima di chiuderlo ad agosto 2014.
Nella foto, Anas imbracciava un kalashnikov. Ora si sa che ha assunto il nome di battaglia Anas al Italy e che è in Siria.
Nel 2013 il giovane era stato arrestato per addestramento con finalità di terrorismo. Ma dopo 15 giorni fu rimesso in libertà : il Tribunale del Riesame riconobbe che il giovane aveva posizioni radicali ma non stava però progettando alcun attentato.
Gli uomini della Digos e dell’antiterrorismo che hanno indagato su di lui ritengono sia il fondatore della filiale italiana di ‘Sharia4’, il movimento ultraradicale islamico messo al bando da diversi paesi europei e fondato in Belgio nel 2010 dal predicatore filo-jihadista Omar Bakri.
E torniamo in Belgio, al cartello integralista “Sharia4” contro cui, nei principali paesi europei, si stanno concentrando le operazioni antiterrorismo delle ultime ore.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
E RIBADISCE LA RICHIESTA DI UNA ROSA DI NOMI
È con crescente insofferenza che Silvio Berlusconi segue le mosse di Renzi sul Quirinale. Perchè anche le parole che il premier-segretario ha pronunciato nel corso della direzione del suo partito alimentano il sospetto che Matteo continui a chiedere di mostrare la moneta di riforme e legge elettorale, senza però mostrare il cammello del Quirinale.
E poco importa se Renzi ha messo su un “teatrino della politica” — il comitatone, la direzione permanente — per governare un partito effervescente come il Pd.
Il problema è che, al momento, ai segnali pubblici nei confronti del suo partito non corrispondono segnali riservati verso Arcore.
Ecco perchè chi ha sentito Berlusconi in queste ore ricorre alle parole del Vangelo per descrivere i suoi tormenti: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
È questo il timore. Perchè finora il premier ha “tolto” parecchio a Forza Italia: ha tolto il consenso, ha minato l’unità interna, ha tolto pure la speranza di vincere le elezioni con una legge elettorale che è la certificazione della sconfitta.
Adesso c’è il Colle. Arrivati al dunque, Berlusconi sente di non avere feedback, al momento, sul grande scambio in nome del quale ha sacrificato “quello che ha”. Lo scambio tra i voti di Forza Italia sul Quirinale e le garanzie su agibilità politica e risoluzione dell’affaire Mediolanum .
In nome di queste garanzie l’ex premier non ha mai posto veti nemmeno su un candidato del Pd.
Il primo feedback che avrebbe voluto, come attestato di una volontà di trattare, consiste non in quel “nome” secco che, nel corso della direzione del Pd, Renzi ha annunciato per la sera del 28, ma una “rosa” di nomi.
Non è un dettaglio, perchè in una trattativa, quando c’è una rosa, c’è anche il tempo per sondare i nomi, stabilire contatti, fare delle verifiche.
E invece pare che Renzi non abbia alcuna intenzione di fare una terna, ma piuttosto di proporre un nome. E, soprattutto, di proporlo quando sente di avere in tasca la legge elettorale al Senato.
È una strategia che sa, dalle parti di Arcore, di cappio al collo: “Io — ha confidato l’ex premier ai suoi — non mi fido”. Il non mi fido non significa rompere il Nazareno. Significa trattare in modo più duro, come del resto ha provato a fare scatenando Brunetta sul calendario delle riforme due giorni fa. Ma comunque trattare.
Ecco perchè, nel gioco di simulazioni e dissimulazioni, c’è il lavoro sottotraccia di Verdini che ha proposto – ricevendo un mezzo sì – un incontro a tre con Renzi, Alfano (e Berlusconi) il week end prima della quarta votazione.
Il Quirinale è sempre la madre di tutte le battaglie. E non stupisce che, dallo stesso quartier generale, possano essere pensate strategie opposte.
Come in tutte le battaglie, sotto gli spari, c’è sempre un filo di dialogo. E Verdini continua ad assicurare che “alla quarta Matteo lo fa con noi”.
Epperò tra i desideri di Renzi e quelli di Berlusconi, al momento c’è una sfasatura. Nel senso che la priorità di Berlusconi è avere garanzie su di sè, ovvero l’agibilità politica. Chi gliela dà , ha i suoi voti, anche se è uno che viene dal Pci.
Ed è per questo che l’ex premier non ha posto veti sugli ex segretari del Pd.
Per Renzi invece, stando a quel che si dice ad Arcore, la priorità è avere uno che “non gli faccia ombra”.
Ed è per questo che, paradossalmente, ha posto il veto sugli ex segretari del Pd. La sfasatura si è manifestata sul nome di Mattarella, su cui il sondaggio di palazzo Chigi è davvero serio.
Magari non fa ombra al premier, ma è uno per Berlusconi, memore delle sue dimissioni sulla legge Mammì, difficilmente copre una diavoleria per dargli l’agibilità .
E allora si comprende il nervosismo dalle parti di Arcore. Anche perchè, nel corso del colloquio di due giorni fa, Raffaele Fitto ha spiegato a Berlusconi che comunque voterà contro sulle riforme e sulla legge elettorale: “Io — gli ha detto – lavoro per te, e perchè tu sia forte anche dopo il 2 febbraio quando sarà eletto il prossimo capo dello Stato. Perchè quello ti vuole usare e poi gettare quando avrà tutto, legge elettorale, riforme e Quirinale. Sappi che io comunque voto contro e lo faccio per difendere te”. Il ragionamento ha colpito molto Berlusconi, che sarebbe tentato dalla guerriglia al Senato sulla legge elettorale, per alzare la posta. Ma, al momento, è solo una tentazione.
Quando ha sentito per telefono il capogruppo Paolo Romani gli ha consegnato la regola di ingaggio di tutelare il Nazareno, proprio pensando al Colle.
L’agibilità vale, oltre ai sondaggi in picchiata e a una riforma che equivale alla sconfitta, anche la perdita di un pezzo di partito.
Se non arriva, valgono le parole di Gesù: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
E il nervosismo cresce.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
DA ACLI A CL, DA MOVIMENTI PER LA VITA AI NEOCON
Fine di una storia. Una storia in cui in Italia c’erano da un lato i cattolici e dall’altro i laici, da una
parte i democristiani e dall’altra i social-comunisti.
Una storia in cui tutti facevano della confessione religiosa uno dei criteri per scegliere la propria barricata, le proprie amicizie, le proprie abitudini. E un proprio presidente della Repubblica.
Una storia sgretolata, spazzata via proprio da quelli che, dopo tre elezioni che hanno visto salire al soglio quirinalizio un laico (prima Ciampi poi, per due volte, Napolitano), dovrebbero passare all’incasso.
Bocciato il criterio dell’alternanza come una delle variabili che dovrebbero portare alla scelta.
E, soprattutto, non convince Sergio Mattarella, il nome che più autorevolmente potrebbe dare una guida, un senso, a una battaglia di questo tipo. Una doppia stroncatura ricca di sfumature, distinguo, divergenze d’opinioni, figlie del variegato mondo cattolico italiano.
“Parlare di un presidente della Repubblica cattolico è un depistaggio”. Mario Mauro è uno dei fondatori di Area Popolare. Ma è anche uno degli esponenti storici di Comunione e Liberazione.
“Non importa se sia un cattolico. Tra i nomi che circolano quello di Mattarella è valido, una garanzia. Ma quello che importa non è l’individuo, ma che al centro dell’accordo ci sia la scelta di un profilo autonomo da quello dell’esecutivo e che garantisca una Costituzione che venga riformata senza stravolgere le autonomie e le libertà conquistate, che non sia frutto dei veti di questo o di quello”.
Mauro sottolinea come “i presidenti laici che abbiamo avuto negli altri paesi europei sarebbero considerati dei bigotti. Certo non sarò io a rammaricarmi se alla fine il nome indicato sarà quello di un cattolico”.
Paola Binetti, deputata dell’Udc, tra i leader italiani dell’Opus Dei, è altrettanto cauta: “Forse quello dell’alternanza potrebbe essere un criterio da utilizzare. Ma a me non interessano le etichette”.
E se Mauro mette l’accento sul profilo istituzionale del successore di Giorgio Napolitano, la Binetti individua altri temi che dovranno essere centrali nel prossimo settennato: “Il problema, come dicevo, non è quello di mettere un bollino sulla persona. Sotto il marchio ci deve essere una ricchezza di valori. Il futuro presidente dovrà avere a cuore la famiglia, della riduzione delle disparità sociali, e del rispetto nell’utilizzo della libertà d’espressione”.
Molta cautela su Mattarella.
“Il Pd dice che il nome dovrà uscire dalle sue fila – spiega l’onorevole Udc – Per cui, se guardo alla Margherita, il nome potrebbe essere quello di Mattarella come quello di Pierluigi Castagnetti. Se non venisse da quel partito si potrebbe pensare a Pier Ferdinando Casini”.
Mario Adinolfi, polemista, blogger, deputato del Pd e oggi direttore del quotidiano d’impronta cattolica La Croce, Mattarella lo conosce: “Ho stima di lui, abbiamo percorso insieme una strada comune. Ma sui nomi non mi ci impiccherei, ce ne sono tanti altri che potrebbero essere fatti”.
Per Adinolfi “non ha più senso parlare di alternanza fra laici e cattolici”. Ma va oltre: “Io credo che sia utile fare un ragionamento diverso: servirebbe di per sè un cattolico al Colle. Un presidente radicato, che abbia cioè radici nella cultura cristiana del paese”.
Nessun entusiasmo per Mattarella, per il direttore de La Croce è un altro il nome perfetto: “Quello di Graziano Delrio. Un presidente della Repubblica con 9 figli rappresenterebbe in prima persona quella cultura della vita che è fondamentale mettere al centro della vita pubblica”.
Anche Luigi Amicone è un direttore. Di Tempi, settimanale corsaro di area ciellina: “Introdurre nel dibattito l’alternanza è una bufala.
Perchè quello che conta è che il futuro inquilino del Colle raddrizzi quella tendenza disgregativa della repubblica giudiziaria che, con responsabilità diverse, Scalfaro, Ciampi e Napolitano non sono riusciti a invertire”.
Per Amicone, dunque, “che sia laico o cattolico non importa, ma deve essere un presidente di transizione”. Un profilo che non si attaglia a Mattarella: “Non mi entusiasma, così come non mi entusiasma nessuno dei nomi fatti finora”. Ma aggiunge un nome all’elenco dei magistrati circolato finora: “Se dovessi avanzarne uno io direi Carlo Nordio. Il procuratore aggiunto di Venezia sarebbe un bel segnale di discontinuità “.
Carlo Casini, tra i fondatori del Movimento per la Vita, spiega che “io preferirei un cattolico, ma esistono tante e tante persone senza distintivo che sarebbero ugualmente valide”.
Mattarella? Dopo un po’ di insistenza spiega che “probabilmente è un nome giusto, ma non so, preferirei non sbilanciarmi”. La bocciatura dell’ex Dc arriva secco da Gianluigi De Palo, trentottenne, una lunga militanza nelle Acli abbandonata per fare l’assessore al Comune di Roma: “Il Capo dello stato è un biglietto da visita dell’Italia nel mondo. Mattarella è uno sconosciuto alla mia generazione, non scalda i cuori. Così come l’alternanza è una roba da prima Repubblica. A me non dispiacerebbe Romano Prodi. È apprezzato all’estero, ha un notevole standing internazionale. Sarebbe il nome giusto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
UN EX DIPENDENTE COMUNALE DI PERUGIA HA UNA PENSIONE CHE E’ IL DOPPIO DELLO STIPENDIO DI OBAMA E IL TRIPLO DI QUELLO DI ANGELA MERKEL E DEL SEGRETARIO ONU
Com’è possibile che un ex dipendente comunale di una città di provincia possa prendere di pensione il triplo del suo ultimo stipendio e il doppio abbondante della busta paga di Obama?
La direzione generale dell’Inps ha aperto un’inchiesta. Era ora: quel vitalizio di 651 mila euro nel 2013 a Mario Cartasegna, fosse anche regolare in ogni cavillo, grida vendetta.
E torna a porre il tema di certi spropositati «diritti acquisiti» concessi in base a leggi, leggine e sentenze insostenibili
Nato nel 1941 dalle parti di Postumia, oggi in Slovenia, finito in Umbria come calciatore nella squadra del capoluogo, laureato in legge mentre ancora giocava, Cartasegna viene assunto dal Comune di Perugia nel 1972 e pochi anni dopo ottiene dai sindaci socialisti dell’epoca due concessioni spettacolari.
Oltre al posto fisso e allo stipendio garantito (nel suo caso assai buono) dei dipendenti pubblici avrà una bella percentuale sulle cause come fosse non un funzionario «a tempo pieno» ma un legale con studio privato.
Un’accoppiata contrattuale sconcertante (immaginatevi un muratore comunale che abbia un extra per ogni mattone che mette o un centralinista comunale che abbia un extra per ogni telefonata che smista!) che gli consentirà anni dopo di tentare un nuovo colpaccio. Saputo di una sentenza del Tar del Lazio confermata dal Consiglio di Stato che dava ragione a degli avvocati dipendenti del Comune di Roma, riconoscendo loro il diritto di calcolare per la pensione anche le percentuali sulle cause vinte, chiede al Tesoro d’avere lo stesso privilegio.
No, gli risponde il ministero: «A prescindere dalla considerazione che l’importo di tali quote non è fisso e continuativo», la legge 299/1980 «fa espresso divieto agli enti di corrispondere emolumenti non previsti dal contratto di categoria » e l’articolo 10 «dispone che la certificazione delle voci retributive ai fini di pensione sono quelle contrattuali “con esclusione di qualsiasi altro emolumento a qualunque titolo corrisposto”».
Cartasegna fa ricorso al Tar di Perugia dov’è di casa, insiste sulle due sentenze romane, bolla come «stucchevole e quasi irritante» il rifiuto del Tesoro, liquida come «macroscopicamente errato» il richiamo al contratto di categoria e insomma batte e ribatte: vuole i soldi degli «extra» calcolati nella pensione.
Per dieci anni, silenzio assoluto: si sa quanto può essere lenta la giustizia civile.
E per dieci anni il Comune di Perugia, obbligato a tirar fuori un pacco di soldi dei cittadini per pagare i contributi supplementari (ammesso e non concesso che poi li abbia pagati tutti: l’Inps contesta da anni «amnesie » degli enti locali) «si dimentica» di chiedere al capo dell’ufficio legale Cartasegna, a sua volta smemorato, di opporsi in giudizio contro le pretese del dipendente Cartasegna.
Pretese che il Tar perugino riconosce infine, nel dicembre 1997, fondate: «Nella quota degli onorari percepiti si rinviene la presenza di tutti gli indici che la legge prevede per la loro utilità a pensione».
Anzi, condanna il Tesoro e Palazzo Chigi a pagare pure le spese.
Tre mesi dopo l’Avvocatura dello Stato chiede all’Inpdap, l’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici che passerà all’Inps portando in dote un buco di 23,7 miliardi, se voglia fare appello. Silenzio.
Altri due mesi e torna alla carica: lo fate o no l’appello?
Macchè: come scoprirà con stupore un recentissimo documento Inps «agli atti non risulta che la sentenza sia stata mai appellata».
Scherziamo? Nonostante fosse destinata a costare un sacco di soldi? Mai appellata.
Nè dalla Cassa previdenza dipendenti enti locali nè dall’Inpdap.
Spiega l’avvocato perugino, in una intervista, che lui mai e poi mai avrebbe immaginato di prendere un vitalizio così stratosferico: «Mi sono ritrovato questa cosa senza neanche crederci. Quando lavoravo prendevo in Comune 10-12 mila euro al mese. Secondo lei potevo pensare di arrivare ad una pensione così alta, 24 mila euro netti al mese? Me la sono trovata come quello che vince il primo premio della lotteria di Capodanno…».
Non è esatto.
Quel «premio della lotteria» non è caduto dal cielo: il legale non ha mollato l’osso per anni. Tanto che, dopo che già era andato in pensione alla fine del 2008, è nato un nuovo contenzioso (protagonisti l’Inpdap, l’Agenzia delle Entrate, l’Inps…) sul tema: quell’«extra» sulle cause va calcolato pure nel caso di processi avviati da Cartasegna «prima» di andare in pensione ma conclusi «dopo»?
Il risultato è in una relazione Inps del 23 dicembre scorso: «La stessa sede provinciale di Perugia nel corso degli anni ha operato 9 riliquidazioni per effetto di ulteriori incrementi stipendiali certificati dal Comune da attore con il modello PA04. La decima riliquidazione è in corso».
Fatto sta che l’«affare Cartasegna» è diventato, per la sua esemplare abnormità che non risulta avere paragoni con alcun altro caso di dipendenti pubblici (neppure quello degli ex avvocati romani che fecero il primo ricorso e non arrivano a un terzo del vitalizio di cui parliamo) il simbolo di come un sistema impazzito abbia potuto produrre squilibri impensabili in ogni altro luogo del globo terraqueo.
E non solo perchè quella pensione salita nel 2013 a 651 mila euro è il doppio dello stipendio di Barack Obama e il triplo di quelli di Angela Merkel o del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon.
Ma anche perchè Cartasegna negli ultimi anni, come lui stesso riconosce, aveva uno stipendio immensamente più basso.
Lievitato con una progressione pazzesca: una impennata dal 2004 al 2008, in cinque anni, da poco più di 200 mila euro a oltre un milione.
Merito, forse, di una massa di processi che per pura coincidenza sono arrivati a conclusione proprio nella fase finale che porta all’ultimo stipendio buono per il calcolo della pensione la sua busta paga.
Un record planetario. Che ha visto l’avvocato perugino incassare una pensione via via cresciuta con lo strascico di altri «extra» fino alla cifra che dicevamo.
Un caso limite? Certo. Ma impossibile da spiegare, in questi anni di vacche magre, a quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese.
E che dimostra come certi «diritti acquisiti», quando sono platealmente esagerati, non possono essere sacri e intoccabili come la reliquia del dente di Buddha a Candy.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
FA ATTENDERE SCHULZ TRA RITARDI E SELFIE
“Ah, l’Italie…”. 
E’ questo il commento di Yann Barthès, conduttore della trasmissione “Le Petit Journal”, sull’emittente televisiva francese Canal Plus, al termine di una clip presentata nel talk show.
Personaggio dell’rvm: il premier Matteo Renzi.
Nel programma, infatti, è ospite in studio Martin Schulz, al quale viene proposto un servizio ironico in cui il presidente del Consiglio, a margine dell’incontro bilaterale a Strasburgo, fa attendere a lungo il politico tedesco per ben due volte, tra ritardi e selfie.
Il filmato fa sovvenire inevitabilmente il siparietto che ebbe per protagonista Silvio Berlusconi, quando, nell’aprile del 2009 alla cerimonia di apertura della seconda giornata del vertice Nato a Strasburgo, il Cavaliere fece attendere una imbarazzata Angela Merkel perchè impegnato in una lunga telefonata.
Nelle immagini proposte dalla trasmissione, si vede Schulz che cerca di ingannare il tempo sorseggiando un caffè, finchè non viene addirittura coinvolto da Renzi a partecipare all’allegro autoscatto assieme a un gruppo di ragazze.
Nel finale, vengono mostrati gli stralci della conferenza stampa congiunta dei due leader: mentre il politico tedesco è impegnato nel suo intervento, Renzi, visibilmente annoiato, fa smorfie, si gratta sul capo, guarda lo smartphone, sbadiglia.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
RIANIMA UN 55ENNE INVESTITO: “SONO AMAREGGIATA, PENSAVO CHE IL REATO PIU’ GRAVE FOSSE OMETTERE I SOCCORSI”
Mentre Celia massaggiava il petto dell’uomo a terra nel tentativo di rianimarlo dopo l’arresto cardiocircolatorio, l’ultimo pensiero in transito per la sua testa era quello di rimuovere il furgoncino lasciato in divieto di sosta.
Anche perchè il mezzo era in servizio, con il logo dell’Amsa sulla fiancata, itinerante per definizione: pulizia di strade e marciapiedi, svuotamento dei cestini.
Celia Prada, infatti, di mestiere è operatrice ecologica.
Ma quando ha visto arrivare gli agenti della polizia locale – avvertiti per l’incidente con un motorino – non ha ricevuto complimenti. Anzi, le hanno staccato una contravvenzione
Sono le 17.57 di lunedì scorso all’Isola, Celia sta facendo il suo solito giro del quartiere, prima di rientrare al dipartimento Amsa in via Olgettina.
Deve sostituire i cestoni, così accosta il suo mezzo leggero – un furgoncino guidabile anche con patente B chiamato in gergo gasolone perchè alimentato a metano – all’incrocio tra via Alserio e via Civerchio prima di scendere per recuperare l’immondizia.
Siamo nell’ultimo isolato della strada che congiunge piazzale Segrino e via Farini, conosciuta più per la movida notturna davanti alla vecchia discoteca degli after party , il Pulp, che per la quiete apparente di quel pomeriggio.
All’improvviso la donna sente il grido di una frenata. Si gira e vede uno scooter che scivola grattando l’asfalto, avvolto dalle scintille. Pedone travolto.
Racconta: «Ho visto un uomo sbalzato in aria, ricadere a terra e restare lì immobile, come morto. Ho lasciato giù i sacchi della spazzatura e sono corsa ad aiutarlo».
Celia, origini peruviane, da otto anni lavora con Amsa come netturbino nel quartiere: è la «spazzina» dell’Isola.
In azienda la elogiano tutti: «Una in gamba» dicono, tra le più brave, preparata pure al primo soccorso. La donna infatti si precipita sul pedone investito, si china, cerca di rianimarlo con tenacia.
Un medico civile intervenuto durante i soccorsi della giovane dichiarerà agli infermieri del 118 che l’uomo, un italiano di 55 anni, era andato in doppio arresto cardiaco.
Traduzione: Celia gli ha salvato la vita. Tornato cosciente, l’uomo verrà portato in ambulanza alla clinica Città Studi in codice giallo. Scampato pericolo. Sospiro di sollievo.
Ma quando arrivano i vigili, la musica cambia. E quella che per tutti i testimoni, fin lì, era stata un’eroina, per i freddi verbali della municipale diventa una colpevole di divieto di sosta, addirittura presunta «concausa» dell’incidente secondo un’interpretazione piuttosto rigida della dinamica.
«Ci dispiace ma non potevamo non notificare la posizione del mezzo Amsa nell’incrocio – spiegano dal comando della locale – potrebbe aver impedito la visuale al guidatore dello scooter».
Una forzatura per chi c’era, soprattutto se si tiene conto che l’automezzo è per natura itinerante. «Dove avrei dovuto andare? Ero scesa pochi secondi prima di continuare il mio giro» dice adesso incredula davanti alla sanzione.
Tutto si riduce dunque a una multa di 27,50 euro da pagare in cinque giorni, altrimenti diventeranno 65. E neppure una menzione.
Dall’Amsa stanno valutando il da farsi, senza escludere di sostituirsi al pagamento. «Sono amareggiata – dice ancora lei -. È inspiegabile. Pensavo che il vero reato fosse l’omissione di soccorso».
Giacomo Valtolina
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX LEADER DELLA CGIL STA RIFLETTENDO, NON MANCANO LE SOLLECITAZIONI DI CIVATIANI E SEL PER UN CARTELLO ALTERNATIVO ALLE REGIONALI… “NON POSSIAMO STARE CON CHI E’ ALLEATO DEL CENTRODESTRA”
La tentazione, per Sergio Cofferati, si chiama nuovo centrosinistra. 
Vale a dire una coalizione dai confini netti, non sfrangiati, una coalizione che, sotto forma di lista civica, potrebbe decidere di presentarsi, nuova e sola, alle elezioni regionali di maggio. Magari con lui alla guida.
Con tutte le conseguenza del caso, a partire dall’addio al Pd, il partito di cui il “Cinese”, come lo chiamavano in Cgil, è stato tra i fondatori.
Per ora è (quasi) tutto quieto.
Certo c’è una serie di telefonate di chi sta provando a immaginare scenari, tempi, rischi e possibilità concrete.
E c’è un partito, il Pd, appunto, strattonato dal dopo Primarie. Un Pd che deve riuscire a trovare la strada giusta, tra la necessità di provare a ricucire e gli scenari, futuribili ma non troppo.
In sintesi: il nuovo centrosinistra, che a sentir molti, sembra ormai cosa fatta.
A cucire le fila del centrosinistra nuova versione, provvede “Rete a sinistra” di Sel, del mondo ecologista, della sinistra dem di Civati.
Per tutti loro l’appuntamento è per mercoledì pomeriggio alle 17.30 al Teatrino degli Zingari nella Comunità di San Benedetto.
Luca Pastorino deputato, è civatiano da sempre. E, anche, un mediatore per carattere. Questa volta, però, non ci sta.
La vittoria della Paita con il centrodestra a supporto non gli è andata giù. Conferma: “Ho detto al Pd che cosa penso di tutto quello che è successo, ma il partito è spaccato e c’è poco tempo per ricucire”.
Aggiunge: “Sono stufo di mediazioni, senza contare che alcune situazioni proprio non si possono rimettere insieme. Noi poniamo un problema morale, di principio, non di numero di voti in più o in meno”.
E allora? Allora domani i civatiani si incontrano in assemblea, aspettando che, sempre domani, Cofferati dica che cosa vuole fare. E’ il primo passo fondamentale, vista la posta in gioco: una lista civica aperta alla società civile e lo strappo definitivo del Cinese dal Pd.
Intanto, Stefano Quaranta, deputato di Sel, che per primo, a caldo aveva sbarrato la strada all’ipotesi di un possibile appoggio alla Paita, ora conferma. E rilancia.
Così: “Noi ci rivolgiamo, in modo trasversale, a tutti quelli che sono rimasti sconcertati da quanto è successo. Un disagio che non è solo del Pd, è trasversale anche questo”.
Poi Quaranta ribadisce: “La candidatura Paita non è di centrosinistra, tant’è che si è rivolta al centrodestra, noi abbiamo già espresso le nostre perplessità sul come si è arrivati alle Primarie, vale a dire senza prima aver tracciato un bilancio sulla giunta uscente, senza avere immaginato le prospettive per quella nuova”.
Errori che “Rete a sinistra” non vuol ripetere.
Quaranta: “Vogliamo costruire una vera coalizione di centrosinistra, che abbia come protagonista la società civile”.
Ma chi potrebbe essere il candidato o la candidata alla presidenza? Per ora si aspetta Cofferati, il primo obiettivo resta ritrovarsi intorno a un progetto politico, ma “le disponibilità ci sono” garantiscono.
La conferma arriva da Genova, dove qualcuno ha anche provato a capire che aria tira dalle parti dei Cinque Stelle. Porte sbarrate. Per il resto si vedrà .
Se Cofferati sceglierà di essere protagonista di un altro clamoroso strappo: l’addio al Pd, il suo partito.
O se, invece, aspetterà solo quella “soddisfazione morale” che può fargli archiviare il voto di domenica scorsa.
Wanda Valli
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’INCONTRO CON FITTO NON FERMA LA FRONDA…. IN CAMPO ANCHE IL NOME DI MARTINO… BRUNETTA ATTACCA VERDINI: “CI PORTI A SBATTERE”…LA REPLICA: “CON TE SIAMO FOTTUTI”
«A me possono proporre tutto, possiamo discutere di chiunque, basta che non mi vengano a chiedere il voto per un ex segretario Pd o per chi è stato mio avversario diretto alle politiche».
Silvio Berlusconi il suo identikit per il Quirinale inizia a delinearlo, pur al contrario, nella sequenza di incontri a Palazzo Grazioli, in una giornata che ha avuto il suo culmine nel faccia a faccia di quasi due ore con Raffaele Fitto.
Col capocorrente – che rischia di rompergli le uova nel paniere nella difficile trattativa con Renzi su riforme e Colle – il gelo resta intatto, le posizioni immutate. Sebbene in serata il leader racconterà ai collaboratori che con l’eurodeputato «è andata benissimo, alla fine ci siamo anche sciolti in un lungo abbraccio».
Sarà , quel che è certo è che al momento il capo non può contare sull’intera truppa di 130-140 grandi elettori forzisti.
Una quarantina rispondono a Fitto, mentre nei gruppi è guerriglia continua.
Berlusconi proverà a mettere una pezza, incontrerà martedì i senatori, mercoledì i deputati.
Intanto la sua black list, se confermata il 29 gennaio, sbarrerebbe la strada a molti dei “papabili” del campo democraico.
Come pure – racconta chi ha parlato ieri – l’ex premier non sembra tanto disposto a concorrere all’elezione di un «pezzo della Prima Repubblica», pur autorevole, come Sergio Mattarella.
È tutto un gioco ad excludendum , che lascerebbe sul campo i nomi fatti ieri a Repubblica dalla compagna Francesca Pascale, oltre allo scontato Gianni Letta, anche Pier Ferdinando Casini e Anna Finocchiaro.
Questo non vuol dire che Berlusconi rinuncerà ad avanzare una sua rosa, sebbene di bandiera.
«I miei candidati ideali li avrei pure – raccontava nel pomeriggio a una deputata – e sono Letta, Antonio Martino e il generale Leonardo Gallitelli. Ma non sarò io a nominarli e bruciarli».
Con Fitto, per la prima volta, si sono ritrovati a tu per tu, senza testimoni e mediatori. Alla fine si sono dati appuntamento alla vigilia dell’elezione del Quirinale.
Il chiarimento intanto è stato schietto, come sempre, anche se non risolutivo. «Che ci hai guadagnato da queste riforme? Ci stiamo rimettendo tutti, tu la faccia e il partito i voti. Renzi incasserà il sostegno sull’Italicum e poi eleggerà un suo presidente», lo incalza l’ex governatore.
Berlusconi gli dà ragione, conferma che «Matteo non è stato leale, ha cambiato le carte in tavola a più riprese», ma gli spiega che «non possiamo tirarci indietro ora o ci ritroviamo un altro presidente ostile».
Quindi gli chiede con insistenza di restare in squadra e votare in linea dal 29.
Fitto abbozza, resta vago. Ma, appena uscito dalla residenza di Palazzo Grazioli, raggiunge i suoi a Montecitorio per ribadire che «la posizione non cambia, continuiamo a schierarci contro queste riforme».
Lo si è visto chiacchierare in buvette anche con il capogruppo Renato Brunetta, acerrimo nemico del patto del Nazareno, che per tutto il giorno tenta di bloccare l’esame riforme fino all’elezione del presidente.
Ma contro la sua proposta di ritardare pur di poche ore i lavori votano contro perfino sei forzisti, tra i quali la Gelmini, Abrignani, D’Alessandro.
«Siete dei verdiniani », si è scagliato contro di loro subito dopo la bocciatura a maggioranza. Le riforme vanno avanti.
E Brunetta resta in trincea contro “i Nazareni”.
Mercoledì sera stava finendo male con quello che il capogruppo ritiene il loro capofila, Verdini. Appena Berlusconi ha lasciato la riunione tenuta nel Parlamentino di Palazzo Grazioli, Brunetta si è scatenato contro il senatore: «Sei un amico di Renzi e ci porterai a sbattere». E il toscano a urlargli: «Lo capisci o no che se non approviamo le riforme siamo fot…?»
I due erano già a pochi centimetri.
Ed è quando Brunetta è sbottato in un «non sputare mentre mi parli» che i presenti sono dovuti intervenire per fermare il senatore toscano.
In questo clima Forza Italia affronterà riforme e elezione al Colle nel giro di due settimane.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 16th, 2015 Riccardo Fucile
PRIMARIE LIGURIA, CONTINUA LA FARSA: “NON SAPPIAMO QUANTIFICARE I VOTI”… MA LA PROCURA CONTINUA A INDAGARE
Esaminate 28 segnalazioni pervenute e i singoli reclami, il collegio dei garanti per le primarie della
Liguria all’unanimità ha annullato il voto di 13 seggi.
I voti non si potranno perciò conteggiare.
“Non sappiamo quantificare i voti da cancellare” ha detto il presidente Fernanda Contri. Raffaella Paita ha battuto Sergio Cofferati con 4mila voti di scarto.
Secondo quanto si apprende da fonti interne al Pd, a Raffaella Paita verrebbero cancellati poco meno di 900 voti mentre a Sergio Cofferati circa 400.
La modifica dei conteggi non dovrebbe cambiare l’esito del voto visto il margine di circa 4000 preferenze tra i due candidati.
Il comitato politico della coalizione di centrosinistra si riunisce alle 18 per esaminare il verbale del collegio dei garanti e proclamare il vincitore delle primarie della Liguria.
E’ evidente che si sta cercando di mettere un tappullo alla vicenda, eliminando le sezioni più esposte. Ma la Procuta sta indagando su “un sistema” diffuso di voti inquinati, non solo di singoli episodi.
Se fosse dimostrato che si sono mobilitate “altre forze” per condizionare il voto, non basterebbe certo questa decisione dei garanti lottizzati ad assicurare la regolarità delle primarie.
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