QUIRINALE, BERLUSCONI INSOFFERENTE: TEME UN PRENDERE O LASCIARE SUL NOME
E RIBADISCE LA RICHIESTA DI UNA ROSA DI NOMI
È con crescente insofferenza che Silvio Berlusconi segue le mosse di Renzi sul Quirinale. Perchè anche le parole che il premier-segretario ha pronunciato nel corso della direzione del suo partito alimentano il sospetto che Matteo continui a chiedere di mostrare la moneta di riforme e legge elettorale, senza però mostrare il cammello del Quirinale.
E poco importa se Renzi ha messo su un “teatrino della politica” — il comitatone, la direzione permanente — per governare un partito effervescente come il Pd.
Il problema è che, al momento, ai segnali pubblici nei confronti del suo partito non corrispondono segnali riservati verso Arcore.
Ecco perchè chi ha sentito Berlusconi in queste ore ricorre alle parole del Vangelo per descrivere i suoi tormenti: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
È questo il timore. Perchè finora il premier ha “tolto” parecchio a Forza Italia: ha tolto il consenso, ha minato l’unità interna, ha tolto pure la speranza di vincere le elezioni con una legge elettorale che è la certificazione della sconfitta.
Adesso c’è il Colle. Arrivati al dunque, Berlusconi sente di non avere feedback, al momento, sul grande scambio in nome del quale ha sacrificato “quello che ha”. Lo scambio tra i voti di Forza Italia sul Quirinale e le garanzie su agibilità politica e risoluzione dell’affaire Mediolanum .
In nome di queste garanzie l’ex premier non ha mai posto veti nemmeno su un candidato del Pd.
Il primo feedback che avrebbe voluto, come attestato di una volontà di trattare, consiste non in quel “nome” secco che, nel corso della direzione del Pd, Renzi ha annunciato per la sera del 28, ma una “rosa” di nomi.
Non è un dettaglio, perchè in una trattativa, quando c’è una rosa, c’è anche il tempo per sondare i nomi, stabilire contatti, fare delle verifiche.
E invece pare che Renzi non abbia alcuna intenzione di fare una terna, ma piuttosto di proporre un nome. E, soprattutto, di proporlo quando sente di avere in tasca la legge elettorale al Senato.
È una strategia che sa, dalle parti di Arcore, di cappio al collo: “Io — ha confidato l’ex premier ai suoi — non mi fido”. Il non mi fido non significa rompere il Nazareno. Significa trattare in modo più duro, come del resto ha provato a fare scatenando Brunetta sul calendario delle riforme due giorni fa. Ma comunque trattare.
Ecco perchè, nel gioco di simulazioni e dissimulazioni, c’è il lavoro sottotraccia di Verdini che ha proposto – ricevendo un mezzo sì – un incontro a tre con Renzi, Alfano (e Berlusconi) il week end prima della quarta votazione.
Il Quirinale è sempre la madre di tutte le battaglie. E non stupisce che, dallo stesso quartier generale, possano essere pensate strategie opposte.
Come in tutte le battaglie, sotto gli spari, c’è sempre un filo di dialogo. E Verdini continua ad assicurare che “alla quarta Matteo lo fa con noi”.
Epperò tra i desideri di Renzi e quelli di Berlusconi, al momento c’è una sfasatura. Nel senso che la priorità di Berlusconi è avere garanzie su di sè, ovvero l’agibilità politica. Chi gliela dà , ha i suoi voti, anche se è uno che viene dal Pci.
Ed è per questo che l’ex premier non ha posto veti sugli ex segretari del Pd.
Per Renzi invece, stando a quel che si dice ad Arcore, la priorità è avere uno che “non gli faccia ombra”.
Ed è per questo che, paradossalmente, ha posto il veto sugli ex segretari del Pd. La sfasatura si è manifestata sul nome di Mattarella, su cui il sondaggio di palazzo Chigi è davvero serio.
Magari non fa ombra al premier, ma è uno per Berlusconi, memore delle sue dimissioni sulla legge Mammì, difficilmente copre una diavoleria per dargli l’agibilità .
E allora si comprende il nervosismo dalle parti di Arcore. Anche perchè, nel corso del colloquio di due giorni fa, Raffaele Fitto ha spiegato a Berlusconi che comunque voterà contro sulle riforme e sulla legge elettorale: “Io — gli ha detto – lavoro per te, e perchè tu sia forte anche dopo il 2 febbraio quando sarà eletto il prossimo capo dello Stato. Perchè quello ti vuole usare e poi gettare quando avrà tutto, legge elettorale, riforme e Quirinale. Sappi che io comunque voto contro e lo faccio per difendere te”. Il ragionamento ha colpito molto Berlusconi, che sarebbe tentato dalla guerriglia al Senato sulla legge elettorale, per alzare la posta. Ma, al momento, è solo una tentazione.
Quando ha sentito per telefono il capogruppo Paolo Romani gli ha consegnato la regola di ingaggio di tutelare il Nazareno, proprio pensando al Colle.
L’agibilità vale, oltre ai sondaggi in picchiata e a una riforma che equivale alla sconfitta, anche la perdita di un pezzo di partito.
Se non arriva, valgono le parole di Gesù: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
E il nervosismo cresce.
(da “Huffingtonpost”)
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