Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA STORIA NEL VIDEO “THE OTHER INTERVIEW” DOVREBBE INSEGNARE QUALCOSA AI TANTI CAZZARI DI DESTRA CHE CORRONO ALLA CORTE DELLA LEGA PER GARANTIRSI UNA POLTRONA
Costretti a mangiare topi per sopravvivere, a rimuovere con le mani nude i propri bisogni dai bagni
luridi.
Sono solo alcune delle atrocità che ha vissuto sulla sua pelle Ji-hyun Park, detenuta in un campo di prigionia della Corea del Nord.
In un video pubblicato da Amnesty International e intitolato “The other interview” (per riprendere il titolo del controverso film dedicato a Kim Jong-un), la donna racconta l’orrore che i prigionieri erano costretti a vivere tutti i giorni.
E non risparmia parole dure contro il paese “blindato”: “Si potrebbe dire che tutta la Corea del Nord è un’immensa prigione a cielo aperto”.
Vissuta per un anno nel campo, Ji-hyun Park è stata punita per aver tentato di lasciare la Corea del Nord, che alla fine degli anni ’90 viveva un periodo di forte carestia, durante il quale persero la vita circa quattro milioni di persone.
“Le stazioni dei treni erano piene di morti”, racconta nel video.
Per cercare di sopravvivere, Ji-hyun ha dovuto lasciare a malincuore il padre malato e, pagando i trafficanti, è riuscita a raggiungere la Cina.
Dopo essere stata “venduta” ad un uomo ed aver dato alla luce un bambino, Ji-hyun è stata costretta a tornare nel suo paese d’origine. Ma da sola: la donna non ha avuto neanche la possibilità di salutare suo figlio ed è stata deportata senza poter portare con sè nulla.
Come punizione per aver tentato di scappare dalla Corea del Nord, la Park è stata destinata a uno dei più duri campi di lavoro.
“Si moriva letteralmente di fame. C’era chi era costretto a mangiare il mangime per gli animali, chi raccoglieva dal suolo le patate e le mangiava così, ancora sporche di terra”, racconta nel video.
“Lavoravamo come animali. La nostra giornata iniziava alle 4.30 del mattino, non ci veniva dato nulla da mangiare. In estate, quando i giorni erano più lunghi, lavoravamo anche fino alle 8-9 di sera. Ci fermavamo solo quando faceva buio. E i giorni non finiscono mai, lì. Poi mangiavamo qualcosa, eravamo obbligati a riflettere sulle nostre performances, recitavamo i principi del Partito dei lavoratori e imparavamo delle canzoni. Intanto si faceva quasi mezzanotte”.
Anche le condizioni igieniche lasciavano a desiderare. Una volta, la donna fu punita per non aver chiesto il permesso di andare in bagno alle guardie del campo, che la costrinsero a pulire i suoi bisogni con le mani. “Se le donne venivano sorprese a lavare i loro assorbenti venivano obbligate a indossarli sulla testa e a implorare perdono”.
Dalla prigionia, che sembrava senza fine, Ji-hyun è riuscita a fuggire dopo aver contratto il tetano.
Rilasciata dalle autorità e tornata alla vita “normale”, si è ritrovata, però, sola e spaventata. Ha deciso, dunque, di raggiungere di nuovo la Cina in cerca del figlio. Grazie ad un uomo, un “angelo”, Ji-hyun è riuscita ad attraversare la frontiera della Mongolia, senza destare sospetti.
Si è innamorata di lui: la coppia ora vive a Manchester insieme ai tre figli e al bambino ritrovato in Cina.
Un happy ending che oggi la donna può raccontare con orgoglio, pur non dimenticando mai l’orrore vissuto.
Un orrore che la Corea del Nord non vuole ricordare e che sarà costretta a guardare in faccia con questo video, più che con il film “The interview” che si è affannata a censurare.
(da “Huffingtonpost“)
Le dichiarazioni di Salvini dopo la sua visita in Corea a settembre 2014
“Ho visto un senso di comunità splendido. Tantissimi bambini che giocano in strada, un grande rispetto per gli anziani, cose che ormai in Italia non ci sono più»
( da “il Corriere della Sera”)
Ha ragione Razzi, la Corea è come la Svizzera, è pulita e non c’è criminalità ”
(da “La Stampa”)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’EX SOTTOSEGRETARIO GENTILE ALL’EX GRILLINA ANITORI… INIZIA IL SOCCORSO ALL’ESECUTIVO… SCELTA CIVICA LASCIA IN MASSA MARIO MONTI E APPRODA NEL PD
Il copyright resta loro.
Diritto d’autore garantito per Antonio Razzi, Domenico Scilipoti e la ventina di parlamentari che il 14 dicembre del 2010 votò la fiducia a Silvio Berlusconi, appena abbandonato da Gianfranco Fini.
Ma ogni legislatura ha la sua pena.
E nonostante il ministro Maurizio Lupi, che della materia è esperto, abbia già avvertito “di responsabili si muore”, anche stavolta si è aperta la caccia grossa alle “persone consapevoli delle responsabilità verso l’Italia” (parla Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd).
Troppi tumulti nel centrodestra, troppo ondivago quell’Angelino Alfano che un minuto strizza l’occhio a Berlusconi e quello dopo accavalla le gambe sulla poltrona del ministero dell’Interno.
Così, l’elezione del presidente della Repubblica è stata occasione ghiotta per tastare quanto fosse friabile l’opposizione di alcuni.
E la pattuglia dei responsabili 2.0 s’è fatta avanti.
Alcuni non la fanno troppo lunga: i sei senatori di Scelta Civica (Mario Monti escluso) hanno annunciato ieri il passaggio al Pd.
Altri si appalesano con un tweet (quelli dell’ex M5S, ora gruppo Autonomie, Lorenzo Battista sono stati felicemente notati), ma più spesso prediligono l’antica nota alle agenzie.
Sei ex grillini hanno pubblicamente dichiarato il loro voto per Mattarella: Alessandra Bencini, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella, Monica Casaletto, Cristina De Pietro e Luis Alberto Orellana.
L’ultimo, già nell’ottobre scorso, salvò il governo con il suo voto sulla nota di variazione al Def.
Altri tre ex M5S (Adele Gambaro, Paola De Pin e Marino Mastrangeli), un anno prima, avevano già detto sì a una fiducia posta dal governo Letta.
Nel Pd, però, i più ritengono che il sostegno della pattuglia che ha rotto con Grillo starebbe in piedi solo nel caso di un cambio di orientamento del governo Renzi: un nuovo progetto rivolto a sinistra, immaginano, che possa ristabilire un dialogo con Sel, proprio come è successo nel caso Mattarella.
Fantapolitica, al momento. Più facile guardare a destra.
Se i retroscena raccontano di un Denis Verdini già al lavoro per garantire voti sulle riforme, anche nel lato destro dell’emiciclo di palazzo Madama (quello dove i numeri sono più risicati) il governo di Matteo ha già visto alzarsi mani pronte a sostenerlo. Almeno 11.
Sono quelle dei senatori Ncd che — mentre Alfano accusava il colpo del metodo Mattarella — non perdevano tempo: “Pronti a votare”, facevano sapere a Renzi.
Come a dire: qualsiasi cosa Angelino decida , noi siamo con te.
È su quella scialuppa che si incontra, per dire, un’altra Cinque Stelle pentita: Fabiola Anitori, che è riuscita a passare dal meet-up di Ostia alla poltrona di fianco a Laura Bianconi per “dare un sostegno forte al Governo e alla sua azione riformatrice”.
Anche la Bianconi, già pasdaran berlusconiana in prima fila nella battaglia contro chi voleva staccare la spina a Eluana Englaro, ha firmato il messaggio in bottiglia a Renzi. Sono in compagnia di una serie di senatori ad alto tasso di coerenza.
Giuseppe Pagano e Salvatore Torrisi, per esempio: due di parola.
Dicevano ad agosto, neanche quattro mesi prima dell’addio: “Siamo e resteremo assolutamente leali con il nostro leader Silvio Berlusconi”.
Un altro è Giovanni Bilardi, ex Gal ora in Area Popolare (il nome dei gruppi unificati di Ncd e Udc).
Nel 2013 faceva gli auguri di compleanno a Silvio Berlusconi assicurando che “ne sosterremo la linea politica”.
I Cinque Stelle all’inizio della legislatura avevano scritto al presidente del Senato Pietro Grasso: trovavano inopportuno che in commissione Antimafia, fosse stato nominato uno come Bilardi, “già consigliere regionale per la Lista ‘Scopelliti Presidente’, della quale è stato coordinatore e capogruppo, indagato dalla Procura di Reggio Calabria per peculato , falso e truffa”.
Guai che capitano in Calabria, direbbe Pietro Aiello: la Dda lo voleva arrestare con l’accusa di voto di scambio aggravata dalle modalità mafiose.
Avrebbe incontrato un boss di una cosca prima delle regionali 2010, ma il gip lo ha lasciato in libertà : non c’è prova delle promesse fatte in cambio di voti.
Poi c’è Antonio Gentile: Renzi lo fece sottosegretario, ma fu costretto a dimettersi praticamente all’istante: il quotidiano l’Ora della Calabria non uscì in edicola con la scusa di un guasto alle rotative il giorno in cui doveva pubblicare la notizia che suo figlio era indagato.
Più di dieci anni prima, Gentile si era fatto notare per una raccolta firme: chiedeva il Nobel per la Pace a Berlusconi.
Quanto a piaggeria, resta lontano in classifica da Guido Viceconte, anche lui potenziale responsabile.
A fine agosto 2002, si cimentò col jogging a Villa Certosa. Finì con una settimana a letto per un colpo della strega.
Caso a parte, quello di Ulisse Di Giacomo: fu lui a subentrare a Berlusconi dopo la decadenza. All’epoca era già Ncd e ora sarebbe pronto a salvare Renzi.
Infine, Federica Chiavaroli, autrice dell’emendamento che riduceva i soldi ai Comuni che boicottavano le slot machine.
Disse Renzi: “È pazzesco, allucinante. Una porcata”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
PASSANO IN SEI, SOLO MONTI NON TRASLOCA
Debora Serracchiani «non esclude» che la maggioranza di governo possa allargarsi, imbarcare dei
“responsabili”.
In attesa del loro arrivo, il gruppo del Pd al Senato sarà “rimpolpato” dall’arrivo, forse già oggi, dei 6 senatori di Scelta civica che domenica celebra il suo congresso.
I montiani, elogiati ieri da da Renzi e invitati ad «un approdo comune», valutano se stringere un patto federativo, sul tipo di quello usato siglato dai democratici e dai radicali nel 2008, o confluire direttamente nelle fila del Pd.
La discussione è aperta anche alla Camera, da dove arriva però lo stop di Enrico Zanetti. «Renzi ci spieghi — dice il deputato — di quali approdi comuni parla. Trovarsi dentro ad un Pd guidato in questo modo deve essere difficile, entrarci su chiamata, demenziale».
Mario Monti, rimasto solo, dovrebbe aderire al gruppo delle Autonomie.
Si delinea così la strategia renziana per rafforzare la maggioranza al Senato.
E sullo sfondo fanno la comparsa i “responsabili”.
La Serracchiani insiste sul concetto che la «consapevolezza che tanti parlamentari hanno acquisito il giorno dell’elezione di Mattarella li renda consapevoli della responsabilità che hanno da qui a 2018».
Si affacciano vecchi spettri. Ma la vicesegretaria del Pd precisa: «Chi appoggerà il governo provenendo da fuori della maggioranza non è uno Scilipoti qualsiasi, sono persone responsabili verso l’Italia».
L’uscita suscita però la reazione di Maurizio Lupi. «Di responsabili il governo Berlusconi è morto.Spero che quella lezione serva» dice il ministro dell’Ncd
Lupi si fa forte del sereno tornato fra Pd e Ncd.
Mercoledì, infatti, c’è stato un incontro fra Alfano e Renzi. E secondo Alfano il colloquio «è stato molto positivo». Ma la fronda interna anti-Alfano non si placa: «Visto che Renzi ci fa la pipì in testa da due giorni, i nostri ministri dovrebbero dimettersi», dice Carlo Giovanardi
Intanto la minoranza del Pd torna all’attacco su Job act e riforme.
Vannino Chiti chiede di cambiare l’Italicum «con o senza Forza Italia». Ma la Serracchiani è perentoria: «I numeri di Fi, necessari nel passato, non credo lo saranno più. Alla Camera l’Italicum passerà nel testo del Senato. Anche sulle riforme abbiamo i numeri».
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
GLI SCILIPOTI DI RENZI
Oggi tutti i giornali scriveranno che la maggioranza ha raggiunto uno storico accordo col ministro della Giustizia Andrea Orlando sulla legge anticorruzione che da due anni fa la muffa in Parlamento.
Quello che non leggerete è che non c’è uno straccio di testo scritto: siamo sempre nella tradizione orale.
Quando l’emendamento governativo sarà nero su bianco, bisognerà approvarlo uguale in entrambe le Camere che, peraltro, non hanno colpe sul ritardo biblico accumulato fin qui. Come i nostri lettori ricorderanno, si tratta di un semplice disegno di legge, altrimenti il governo avrebbe fatto un decreto (come per l’impellentissimo taglio alle ferie ai magistrati, che tra l’altro non saranno tagliate perchè il decreto è scritto coi piedi).
Era stato lo stesso Renzi, nel giugno scorso, a promettere un decreto, quando si trattò di bloccare il voto sul ddl alla Camera: ma era la solita balla, tant’è che quel decreto non arrivò mai perchè B. non voleva.
Col risultato di far perdere all’Italia altri 240 giorni e qualche miliardo in nuove mazzette impunite.
Ora, come per incanto, sboccia l’accordo. Troppo bello per essere vero.
Se sia vero, lo vedremo se e quando finirà sulla Gazzetta ufficiale.
Intanto registriamo una serie di coincidenze che fanno sospettare la solita ammuina.
1) Fino alla scorsa settimana il Pd non andava neppure alla toelette senza il consenso di B. “Le riforme si fanno con FI”. “Forza Italia è un alleato leale e affidabile”. “Giusto fare compromessi con B.”. “Il Nazareno regge”.
Fra le più fedeli alla linea c’era la vicesegretaria Debora Serrachiani, già antiberlusconiana in un’altra vita, poi filo-berlusconiana fino all’altroieri, quando all’annuncio di tal Toti sulla morte del Patto ha risposto: “Meglio così”.
Ma come: quando lo dicevamo noi, eravamo “ossessionati da B.” e ”accecati dall’antiberlusconismo”, e ora che lo dice lei va tutto bene?
2) Da un anno, cioè da quando Renzi ricevette B. per la prima volta al Nazareno, abbiamo assistito a una pantomima di bugie e ricatti incrociati: Renzi e Pd minacciavano B. sventolandogli anticorruzione, conflitto d’interessi, falso in bilancio e decreto fiscale come il crocifisso e l’acquasanta davanti agli indemoniati, senza poi approvare un bel nulla; B. rispondeva minacciando Renzi e il Pd facendo il ritrosetto sull’Italicum e il nuovo Senato, salvo poi votargli tutto.
Ora ci raccontano che è tutto finito.
È bastata la dichiarazione di guerra di Toti, poi mezzo rimangiata da Romani, per far apparire all’improvviso dans l’espace d’un matin tutto ciò che attendiamo pazientemente da 15 anni e che era stato bocciato dallo stesso Pd non più tardi di mercoledì: anticorruzione, falso in bilancio (perseguibile d’ufficio e con soglie più basse di quelle che Orlando aveva copiato da B. appena 20 giorni fa), niente condono per le frodi fino al 3%, più tasse a Mediaset sulle frequenze (appena ridotte nel Milleproroghe).
Troppa grazia, San Matteo. Sarebbe bello credere che è tutto vero.
Ma il sospetto che sia l’ennesima mano di Ricattopoli è forte.
Altrimenti, di grazia, qualcuno ci spiega perchè ciò che è stato stoppato mercoledì viene sbloccato dagli stessi partiti il giovedì?
E perchè ciò che veniva spacciato come un vantaggio per tutti gli italiani, e non — horribile dictu- come un favore a B., ora viene precipitosamente ribaltato?
Allora è vero che il Nazareno contiene codicilli indicibili e infatti mai detti.
E siamo proprio certi che, se ora vengono sostituiti da norme ammazza-B., non sia per tenere il Caimano sotto scopa e riportarlo al tavolo (o sotto)?
Se così non sarà , tanto meglio. Ma anche su quel meglio ci sarà da discutere.
Il governo non ha i numeri per stare in piedi da solo: se Renzi scarica B. (o viceversa) è perchè ha già pronta una pattuglia di scilipotini raccattati qua e là che, visti da vicino, sono come o peggio di B.
Tant’è che l’originale al secolo Mimmo Scilipoti, già chiede la riabilitazione: e, per quanti sforzi facciamo, non troviamo un solo argomento per dargli torto.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX CAV: “NON VOGLIO ALTRE SCISSIONI”… SOSPETTI DI “DOPPIO GIOCO” SU BRUNETTA
Dal bunker di Palazzo Grazioli, più che soluzioni, sono saltati fuori i veleni.
Tutti contro tutti, in una guerra per bande che ha per protagonista e arbitro Silvio Berlusconi, nelle ultime ore preso a cercare di mettere insieme un partito spaccato in quattro dove tutti aspettano di ricevere l’eredità .
E lui stesso molto stanco, sul punto, a parole, di mollare tutto.
Dice ai suoi collaboratori che non ha più “la voglia di mettere pace”, è “stufo di Roma e del partito”.
Ci sono i fittiani, quelli che rispondono a Verdini, ma poi c’è Stefania Prestigiacomo che non perdona a Berlusconi di aver nominato un suo nemico giurato, Vincenzo Gibino coordinatore della Sicilia.
Ma anche la stella Prestigiacomo non brilla più come accadeva qualche anno fa: l’altro giorno è stata esclusa dall’ufficio di presidenza ristretto e per riparare Berlusconi l’ha chiamata ieri in udienza a Grazioli.
Dove invece due giorni fa era presente Mara Carfagna che parla per sè, ma rivendica un ruolo centrale e resta sulla via del Nazareno, ma non troppo: “Non possiamo dire agli elettori che le riforme non le facciamo più”.
Non ultime Mariarosaria Rossi e Deborah Bergamini che, oltre a volere Verdini fuori dal partito, pretendono delle deleghe scritte che non hanno mai avuto. “La Rossi ha definito me e Gianni Letta un duo tragico, ma Berlusconi per la prima volta non l’ha smentita”, dice Denis Verdini.
Parole un tempo poco ammesse.
E gesti che dall’ufficio di presidenza ai bei tempi erano banditi, come quello di Renato Brunetta, quando mercoledì a metà riunione, si è allontanato dal tavolo e nel frattempo è uscita un’agenzia che parlava di vertici del partito verso le dimissioni.
Quando è tornato a sedere lo hanno ricoperto d’insulti. Quello che ci è andato più cauto l’ha chiamato spia. “L’unico che deve dimettersi sei tu”, è stata la risposta.
Sceneggiate che nemmeno all’epoca delle direzioni nel Pd di Bersani. Ma qualcosa è successo. E sicuramente, per Verdini, il tempo è arrivato.
Scaduto il Patto del Nazareno normale che scadesse anche lui. “Il Cavaliere”, dicono dalle parti di Arcore, “cerca di trovargli un’uscita dignitosa, ha collaborato con lui vent’anni e non vuole liquidarlo pubblicamente. Ma il ruolo di geometra delle larghe intese l’ha perso e ha perso il potere dentro al partito”.
Nella confusione non l’ha presa bene Gianni Letta, colpito al cuore dalle parole della Rossi. “Letta è un muro di gomma, ma non passa comunque in cavalleria un’affermazione del genere. Prima o poi il conto verrà presentato anche all’onorevole Rossi”, dice alle poche persone delle quali si fida Daniela Santanchè, formalmente molto distante dalla guerra intestina, ma acuta osservatrice e con le orecchie tese, nonostante in questi giorni sia rimasta a Milano.
“Si rassegni”, è stata la risposta recapitata al volo. “È iniziata una nuova stagione, e in questa stagione non abbiamo bisogno dei loro fallimenti nè di farci prendere in giro da quel ragazzino”, inteso come Matteo Renzi. “Lo sappiamo che la Santanchè risponde solo a Verdini”.
In questa bolgia il padrone di casa, Silvio Berlusconi, cerca di risolvere a colpi di diplomazia un tavolo che, in altri tempi, avrebbe già rovesciato con una linea, la sua, insindacabile e che, invece, oggi non ha.
Ieri, prima di rientrare a Milano, Berlusconi ha incontrato una lunga serie di parlamentari. “Il Nazareno inteso come alleanza esplicita salta, ma con cautela e non da un giorno all’altro. Vediamo in aula. E soprattutto non voglio minacce di scissioni”, ha detto chiaro.
Poco chiara, ma dal sapore tendenzioso, la posizione di Laura Ravetto, altra che tra Grazioli e Arcore, è piuttosto ascoltata. Lei ha una sua teoria: defenestrare Verdini, sì, ma proseguire sulla strada delle riforme costituzionali insieme a Matteo, inteso come Renzi.
Chi non le vuole bene liquida la sua posizione come quella di Alfano e dice: “Ha paura di perdere il posto di lavoro”.
Mai amata, la Ravetto, dalle sue colleghe. “A frequentare troppo spesso quelli del Pd deve aver perso di vista la realtà ”.
Parla quasi da persona distante dalla politica, Daniela Santanchè: “Sono a Milano, nella mia azienda, qui a cercare di salvare cento posti di lavoro. Consiglio a tutti di abbandonare la guerra per bande, capiscano quali sono i problemi del Paese reale e la finiscano con le commedie”.
L’altro fiorentino invece, inteso come Denis Verdini, tace, ma mica sta a guardare. Si muove. Eccome. Non molla Renzi e cura i parlamentari che ha messo lui in lista.
Nomi di seconda linea, ma che in aula fanno contare il loro voto.
Come è successo per l’elezione di Mattarella.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL “NUOVO CORSO!” RENZIANO PREVEDE L’ASSOLUZIONE DI CALDEROLI: LA SINISTRA CHE TUTELA I RAZZISTI
Leggersi le due paginette con le quali la Giunta per le immunità del Senato dichiara non processabile il collega Calderoli, che diede dell’orango a Cècile Kyenge, è utile per capire quanto lo spirito corporativo vincoli tra loro gli esponenti politici, o gran parte di loro, ben al di là di quanto le idee possano dividerli.
La discussa parola “casta” risuona, in casi come questo, con indiscutibile efficacia, lampante come un autoscatto
Compresi gli esponenti di Giunta del Pd, che si sono arrampicati sugli specchi pur di difendere il diritto di Calderoli di dire quello che ha detto pagandone zero conseguenze; ed esclusi quelli del Movimento Cinque Stelle, che hanno votato per l’autorizzazione a procedere.
In quel breve e non elevatissimo dibattito tutto fa brodo, dal «diritto di satira» alle «battute umoristiche» alle «critiche, anche con locuzioni aspre, a un avversario politico» al «contesto meramente politico » al fatto che «le dichiarazioni sono state estrapolate da un contesto più ampio », pur di sottrarre la frase razzista del collega Calderoli ad altro giudizio che non sia quello, piccolo e conciliante, dei colleghi di Calderoli.
Dare della scimmia a una donna italoafricana, in pubblico e davanti a centinaia di persone, non può essere imputabile di «diffamazione aggravata da finalità di discriminazione razziale» perchè Calderoli disse quelle cose nel pieno delle sue funzioni di parlamentare
Non credo che la Giunta e i suoi membri si rendano conto fino in fondo di quanto quel meccanismo di difesa sputtani gravemente proprio quelle “piene funzioni parlamentari” usate come ombrello protettivo e come comodissimo alibi.
Perchè se ne deduce che la parola politica, proprio perchè politica, può essere tranquillamente sciatta o sozza o insultante con fiduciosa irresponsabilià , tanto ci sarà sempre una Giunta di colleghi che provvede a zittire chiunque, querelante o magistrato, voglia chiederne conto.
Patetico chi pretende che rappresentare il popolo e fare parte delle istituzioni aumenti le responsabilità , elevi le ambizioni e il calibro delle proprie parole.
Al contrario, diminuisce responsabilità , ambizioni e calibro: perchè se dai della scimmia a una persona di pelle scura da normale cittadino rischi una querela (il Papa direbbe: uno sganassone).
Ma se lo fai da Calderoli, o da collega di Calderoli, puoi stare sereno, non rischi assolutamente niente.
L’indimenticabile leghista Speroni, del resto, nella pausa di un dibattito televisivo di parecchi anni fa, mi disse, con ammirevole sincerità : «Guardi, io sono volgare perchè rappresento elettori volgari. E questa è la democrazia ».
Una visione della rappresentanza, e della politica in toto, che non avrebbe avuto molto successo ad Atene (quella di venticinque secoli fa)
Si capisce che la questione della libertà di parola, in specie della parola politica, è grande; complicata; non certo risolvibile con un paio di querele o, al contrario, con un paio di non-autorizzazioni a procedere.
Ma almeno sul piano dell’esempio ci si aspetterebbe che la classe dirigente di un paese europeo pretendesse, da se stessa, un minimo sindacale di compostezza e di decenza.
Quante ne bastano per capire che dare dell’orango a una donna italoafricana è una schifezza proprio perchè «nel pieno esercizio delle proprie funzioni politiche».
In questo senso no, la Giunta per le autorizzazioni non fa pensare alla classe dirigente di un paese europeo.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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