SE CHIAMARE ORANGO LA KYENGE “FA PARTE DEL LINGUAGGIO POLITICO”
IL “NUOVO CORSO!” RENZIANO PREVEDE L’ASSOLUZIONE DI CALDEROLI: LA SINISTRA CHE TUTELA I RAZZISTI
Leggersi le due paginette con le quali la Giunta per le immunità del Senato dichiara non processabile il collega Calderoli, che diede dell’orango a Cècile Kyenge, è utile per capire quanto lo spirito corporativo vincoli tra loro gli esponenti politici, o gran parte di loro, ben al di là di quanto le idee possano dividerli.
La discussa parola “casta” risuona, in casi come questo, con indiscutibile efficacia, lampante come un autoscatto
Compresi gli esponenti di Giunta del Pd, che si sono arrampicati sugli specchi pur di difendere il diritto di Calderoli di dire quello che ha detto pagandone zero conseguenze; ed esclusi quelli del Movimento Cinque Stelle, che hanno votato per l’autorizzazione a procedere.
In quel breve e non elevatissimo dibattito tutto fa brodo, dal «diritto di satira» alle «battute umoristiche» alle «critiche, anche con locuzioni aspre, a un avversario politico» al «contesto meramente politico » al fatto che «le dichiarazioni sono state estrapolate da un contesto più ampio », pur di sottrarre la frase razzista del collega Calderoli ad altro giudizio che non sia quello, piccolo e conciliante, dei colleghi di Calderoli.
Dare della scimmia a una donna italoafricana, in pubblico e davanti a centinaia di persone, non può essere imputabile di «diffamazione aggravata da finalità di discriminazione razziale» perchè Calderoli disse quelle cose nel pieno delle sue funzioni di parlamentare
Non credo che la Giunta e i suoi membri si rendano conto fino in fondo di quanto quel meccanismo di difesa sputtani gravemente proprio quelle “piene funzioni parlamentari” usate come ombrello protettivo e come comodissimo alibi.
Perchè se ne deduce che la parola politica, proprio perchè politica, può essere tranquillamente sciatta o sozza o insultante con fiduciosa irresponsabilià , tanto ci sarà sempre una Giunta di colleghi che provvede a zittire chiunque, querelante o magistrato, voglia chiederne conto.
Patetico chi pretende che rappresentare il popolo e fare parte delle istituzioni aumenti le responsabilità , elevi le ambizioni e il calibro delle proprie parole.
Al contrario, diminuisce responsabilità , ambizioni e calibro: perchè se dai della scimmia a una persona di pelle scura da normale cittadino rischi una querela (il Papa direbbe: uno sganassone).
Ma se lo fai da Calderoli, o da collega di Calderoli, puoi stare sereno, non rischi assolutamente niente.
L’indimenticabile leghista Speroni, del resto, nella pausa di un dibattito televisivo di parecchi anni fa, mi disse, con ammirevole sincerità : «Guardi, io sono volgare perchè rappresento elettori volgari. E questa è la democrazia ».
Una visione della rappresentanza, e della politica in toto, che non avrebbe avuto molto successo ad Atene (quella di venticinque secoli fa)
Si capisce che la questione della libertà di parola, in specie della parola politica, è grande; complicata; non certo risolvibile con un paio di querele o, al contrario, con un paio di non-autorizzazioni a procedere.
Ma almeno sul piano dell’esempio ci si aspetterebbe che la classe dirigente di un paese europeo pretendesse, da se stessa, un minimo sindacale di compostezza e di decenza.
Quante ne bastano per capire che dare dell’orango a una donna italoafricana è una schifezza proprio perchè «nel pieno esercizio delle proprie funzioni politiche».
In questo senso no, la Giunta per le autorizzazioni non fa pensare alla classe dirigente di un paese europeo.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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