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IMBARAZZI DI STATO: LA BOSCHI, IL CONGO E SUOR PATACCA

Febbraio 14th, 2015 Riccardo Fucile

VICENDA ADOZIONI: IL BRACCIO DESTRO DEL MINISTRO E’ SUOR BENEDICTA, UNA SUORA IRREGOLARE, ACCUSATA DI AVER GESTITO LE ADOZIONI IN MODO DISINVOLTO

Quando scese dalla scaletta dell’aereo di Stato che tornava da Kinshasa con i capelli intrecciati da una bimba adottata, che aveva ricondotto in Italia insieme ad altri 30 bambini, Maria Elena Boschi l’aveva voluta accanto a lei, ripresa da tutte le tv: ma adesso si scopre che “suor Benedicta” — la religiosa congolese su cui il ministro conta molto per risolvere il braccio di ferro con il Congo che tiene con il fiato sospeso un centinaio di famiglie adottive italiane in attesa di accogliere i bimbi bloccati a Kinshasa — è una suora “irregolare” che ha commesso “gravi trasgressioni” per cui il suo Ordine francese ha preso le distanze da lei sin dal 1998, così come la Diocesi di Massa Marittima dove la religiosa s’è rifugiata.
E, cosa anche più imbarazzante per il ministro, suor Benedicta viene accusata di avere gestito in modo disinvolto le adozioni in Congo mettendo a rischio le relazioni diplomatiche tra i due paesi: in un’occasione avrebbe tentato di spostare bambini da un orfanotrofio all’altro senza autorizzazione e il curatore giudiziario della sua associazione, Amamatu, ha dichiarato “di aver proseguito le adozioni a Kinshasa” e non più a Goma, sede di un Tribunale assai severo, “perchè i 22 minori si configurano come pupilli dello Stato”.
L’ultimo mistero attorno al ministro Boschi sollevato da un’interpellanza dell’ on. Aldo Di Biagio (Area Popolare) investe la gestione delle adozioni internazionali affidata alla Cai, la commissione che dipende dalla Presidenza del Consiglio guidata dal’ex pm Silvia Della Monica, impegnata a sbloccare i trasferimenti dei bimbi dal Congo: “Sono rimasta in contatto con suor Benedicta, che gestisce uno degli orfanotrofi in Congo e altre realtà  in Italia — aveva detto la Boschi in un’intervista a Famiglia Cristiana — anche perchè stiamo seguendo i casi di altri bambini e di altre famiglie in attesa”.
Ma chi è la suora?
Nell’interpellanza presentata da Di Biagio si legge che suor Benedicta Sekamonyo Muiawimana “che oggi si presenta come appartenente alla Fraternità  monastica delle suore di San Cerbone di Kinshasa, fece la professione religiosa nell’ordine delle cistercensi bernardine di Esquermes nel 1982, come si evince in una nota della Priora generale della Casa generale dell’Ordine con sede in Francia, indirizzata alla Diocesi di Massa Marittima di Grosseto”.
“Nella stessa nota — aggiunge Di Biagio — la Priora generale fa riferimento a ‘gravi trasgressioni’ in capo alla suora congolese, a seguito delle quali le venne richiesto di lasciare l’ordine nel 1997. Dal 1998 la suora non avrebbe più contatti con la Casa generale pertanto la religiosa vivrebbe una situazione di irregolarità ”.
Sil bolo di Stato della Boschi, il 28 maggio scorso, suor Benedicta “era presente — come si legge sul sito della Cai — come referente dell’associazione “Cinque Pani”.
Tra le più attive a gestire gli orfanotrofi in Congo, come la fondazione Raphael, protagonista di un episodio non chiarito: il trasferimento notturno il 29 dicembre scorso di 22 bambini, molti in pigiama, da un istituto all’altro, non autorizzato dalle autorità  congolesi.
Un episodio che non sarebbe isolato: “Risulta — scrive Di Biagio — che negli stessi giorni vi è stata una seconda richiesta di trasferimento: la coordinatrice dell’Associazione Femme et le Developpement (Fed) di Goma si è rifiutata di cedere alle “assillanti” richieste dell’associazione Amamatu asbl di Suor Benedicta, verosimilmente incaricata dalla Cai italiana, che pur non avendo alcun impegno o accordo con la Fed avrebbero richiesto di prelevare i minori”.

Giuseppe Lo Bianco
(da “il Fatto Quotidiano“)

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PAPA’ BOSCHI IL BANCHIERE, PONTE CON GLI AGRICOLTORI

Febbraio 14th, 2015 Riccardo Fucile

IL CATTOLICO IMPEGNATO E RISERVATO COME LA FIGLIA

Arezzo «E chi mi garantisce che siate più bravi di Rolando?».
Nel 1992, nel Valdarno aretino, si vota a Montevarchi, Comune rosso che potrebbe essere conquistato da una lista indipendente (di centrodestra).
Pier Luigi Boschi, all’epoca dirigente e punto di forza della Coldiretti, viene chiamato dai contendenti dello strapotere della sinistra di quel Comune per schierarsi contro il candidato Pds. Che si chiama Rolando Nannicini, appunto.
Ma l’ex democristiano Pier Luigi Boschi non si fa tirare dentro: «Noi siamo apolitici». E soprattutto, «chi mi garantisce che siate più bravi di Rolando?».
Chi era presente a quella riunione non fa fatica a vedere nelle parole dell’ex vicepresidente di Banca Etruria, commissariata due giorni fa da Bankitalia, quella nota di pragmatismo da Dc di provincia che si impara quando si cresce in un territorio praticamente tutto ostile, quella cultura del «vedere, capire, decidere» tipica della sua Laterina, per lungo tempo isola bianca nel mare della Toscana di sinistra.
A 20 chilometri c’è Cavriglia, che nel dopoguerra si contendeva con Castelfiorentino e Lamporecchio le percentuali più alte d’Italia a favore del Pci.
Laterina invece fu conquistata da un’alleanza Pci-Psi negli anni Settanta. È il Comune dove Boschi esercita la sua attività  (è titolare di una importante azienda agricola, «Il Palagio») e dove comincia a fare politica.
Un Comune che adesso è diventato famoso. Non grazie a lui, ma a sua figlia Maria Elena, front woman prima nel «gruppo di fuoco» tutto rosa (con Simona Bonafè e Sara Biagiotti) che sosteneva Matteo Renzi nelle primarie del 2012 contro Bersani, poi spalla del Rottamatore nella conduzione delle convention all’ex stazione fiorentina della Leopolda, infine ministro per le Riforme istituzionali.
Boschi padre adesso è stato commissariato, come tutto il consiglio.
Fino a tre giorni fa lui era il vicepresidente. Un ruolo importante. Lui è il tramite con il mondo degli imprenditori agricoli, in una piccola-grande banca.
Il suo arrivo nel cda è del 2009: un «golpe bianco» lo definirono in città . Da Elio Faralli, esponente di una ricca famiglia fiorentina il timone passò a Giuseppe Fornasari, storico deputato Dc più volte sottosegretario.
Da banca «laica», molto vicina agli orafi – e secondo alcuni anche al mondo massonico: questa è comunque la patria di Licio Gelli – l’Etruria cominciò così a rivolgersi di più al mondo cattolico, alle imprese agricole, a quelle immobiliari.
Tanto che a Fornasari successe Lorenzo Rosi, presidente della coop (rossa) edile Castelnuovese.
Boschi è protagonista di quel mondo «bianco». Ma pragmatico: tanto che Faralli resterà  anche nel cda del dopo golpe.
E forse, a creare l’equilibrio che sana la cesura – tanto che nel 2014 ci sarà  una sola lista per il cda, nessuna di minoranza – ci si è messo anche Boschi.
Un uomo in vista, considerato potente anche nella banca, anche se non ne era il vicario, ma silenzioso. Uno che non si tira indietro e che, racconta chi lo conosce bene, «sale sugli alberi per potarli».
Tanto che cinque anni fa si fece due mesi d’ospedale perchè cadde da una scala.
Nell’epoca delle guerre ideologiche sta come oppositore dentro l’associazione intercomunale del Valdarno, però non fa crociate; cerca soluzioni.
Da dirigente della Coldiretti segue tutti i problemi degli associati, compresi gli espropri dei terreni dei contadini.
E alla fine riesce a trovare spesso accordi con i Comuni, quasi sempre gestiti da avversari politici. Segue i produttori di giaggiolo di Pian di Scò e del Pratomagno, altro scrigno da tutelare.
Ovviamente si occupa di olio, è presidente della locale Cantina sociale del Valdarno. Qui va di moda il rosso, ma lui resta bianco.
Tanto bianco che, quando nasce la Margherita, all’inizio non aderisce e resta nel Ccd, per poi approdare tra i Democratici solo con Quarta fase.
Tanto bianco che, nonostante la figlia renziana (non sempre: lei nel 2009 sostenne l’ex comunista Michele Ventura nelle primarie per il sindaco di Firenze vinte da Matteo), i renziani del Valdarno non è che lo vedano proprio bene.
Qui i più pensano che se il commissariamento della banca è diventato un caso nazionale non è certo perchè di mezzo c’era un ex presidente della Confcooperative aretina. A Laterina poi l’Etruria neppure c’è: l’unica filiale è del Montepaschi.

Marzio Fatucchi
(da “il Corriere della Sera”)

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POPOLARI, VEGAS E TELECOM MERCHANT BANK PALAZZO CHIGI

Febbraio 14th, 2015 Riccardo Fucile

LA RIFORMA DEL SETTORE DEL CREDITO HA FATTO EMERGERE L’AGENDA DI AFFARI DEL GOVERNO: SILURARE IL CAPO DELLA CONSOB E RIPRENDERSI LA RETE TELEFONICA

Le banche popolari sono l’inizio.
A Palazzo Chigi il lato business del renzismo è molto più attivo di quello parlamentare: c’è in atto una guerra con il capo della Consob, Giuseppe Vegas, e si discute di un piano per riportare la Telecom sotto il controllo del governo, quasi vent’anni dopo la privatizzazione e i “capitani coraggiosi” di Roberto Colannino ora avanzano i “boiardi coraggiosi” guidati da Franco Bassanini, il presidente della Cassa depositi e prestiti.
Premessa: con discrezione ma metodica perseveranza, Matteo Renzi ha costruito a Palazzo Chigi un governo ombra molto più coeso ed efficace di quello vero.
Il “ministro” del Lavoro è l’economista bocconiano Tommaso Nannicini, c’è l’economista esperta di finanza Carlotta De Franceschi che ha curato l’operazione del Tfr in busta paga.
Un altro economista, Marco Simoni, cerca operazioni internazionali riempiendo il vuoto lasciato da Invitalia, l’agenzia pubblica che doveva attirare capitali ma è occupata soprattutto a gestire sussidi in Italia.
Simoni si è occupato, tra l’altro, di favorire l’investimento da 250 milioni della Izp Technologies sull’aeroporto di Parma, piattaforma di esportazioni italiane verso la Cina.
Ma è sulla fiannza che c’è più fermento. Tutto accelera con il decreto sulle banche popolari, il 20 gennaio: obbligo per gli istituti regolati dal voto capitario (ogni socio ha un voto a prescindere dal capitale investito) di trasformarsi in società  per azioni entro 18 mesi se gli attivi superano gli 8 miliardi di euro.
“Quella riforma l’ha scritta la Banca d’Italia con il ministero del Tesoro”, dicono da Palazzo Chigi.
È il calcio di inizio: nel giro di pochi giorni governo e Bankitalia lanciano il progetto della bad bank, una struttura pubblica che si faccia carico delle sofferenze bancarie, in pratica delle possibili perdite su prestiti che non saranno rimborsati.
Due giorni fa la notizia che in luglio lo Stato tornerà  azionista del Monte dei Paschi, visto che la banca di Siena non riesce a pagare gli interessi sui prestiti pubblici (Monti bond) e quindi darà  al Tesoro azioni invece di soldi.
Nel mezzo l’inchiesta su Ubi banca che ritrova vita e accelera il passaggio a spa dell’unica banca popolare che potrebbe farsi carico di Mps.
E il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi , dopo giorni di mezze dichiarazioni e smentite, ha deciso ieri di rendere pubblico il verbale del Consiglio dei ministri del 20 gennaio per dimostrare che non era presente mentre si discuteva una riforma decisiva per le sorti della Popolare dell’Etruria, di cui fino al giorno in cui scatterà  il commissariamento di Bankitalia è vicepresidente suo padre Pier Luigi e dipendente il fratello Emanuele.
Con la riforma delle Popolari deflagra il conflitto con il presidente della Consob Giuseppe Vegas che nei corridoi di Palazzo Chigi definiscono “un delinquente”.
I renziani sottolineano che c’è una ragione se la sua autorità  è l’unica che è tornata da tre a cinque membri: Vegas, già  braccio destro di Giulio Tremonti e poi gran regista della fusione Unipol-Fonsai su cui indaga la Procura di Torino, va arginato con la nomina di altri due commissari.
E, se non c’è alternativa, costretto alle dimissioni accorpando la Consob con un’altra authority, tipo la Covip che vigila sui fondi pensione.
“Renzi non vede l’ora che se ne vada”, spiega un collaboratore del premier.
Vegas ha capito il clima e due giorni fa in un’audizione parlamentare ha presentato una dettagliata ricostruzione dei movimenti sospetti attorno ai titoli delle Popolari in Borsa che legittimano il sospetto di una fuga di notizie da Palazzo Chigi, notizie arrivate a qualcuno che ci ha guadagnato fino a 10 milioni di euro.
Il presidente Consob ha sottolineato il possibile coinvolgimento di Davide Serra, fondatore del fondo inglese Algebris e da sempre vicino a Renzi.
Agli uomini del premier non è piaciuta la mossa: citare indiscrezioni riportate da giornali e siti web per avvalorare un ruolo di Serra è stato visto come una provocazione.
Come si fa a cacciare un presidente Consob che indaga sugli amici del premier?
Ma queste sono schermaglie di fronte alla partita più seria che è cominciata. Quella su Telecom.
L’ex manager Luxottica Andrea Guerra, oggi a Palazzo Chigi come consulente gratuito, ha spiegato a Renzi che “il Paese si difende tutelando l’italianità  delle sue aziende”. Telecom inclusa.
Il piano, ispirato da Franco Bassanini e avversato a Palazzo Chigi da un altro consulente del premier, il fiorentino Raffaele Tiscar, è sottile.
Telecomsta trattando l’ingresso in Metroweb, una società  che a Milano ha realizzato la banda larga oggi usata da Fastweb.
Ormai si è affermata l’idea che ci deve essere un solo soggetto a investire sulla rete di nuova generazione per non disperdere risorse.
Telecom potrebbe comprare il 53 per cento di Metroweb da F2i, un fondo di inestimento di cui sono azioniste la Cdp e vari soggetti finanziari, così da creare un polo solo per l’infrastruttura (ma i cavi milanesi di Fastweb resterebbero fuori dall’operazione).
Perchè il governo incoraggia un progetto dai benefici incerti? Lo scopo non è consegnareun’azienda para-statale come Metroweb a Telecom, ma avvicinare quest’ultima all’orbita pubblica.
Questo il passaggio decisivo: l’altro azionista di Metroweb, cioè la Cassa depositi e prestiti, fra un anno chiederà  di liquidare le sue azioni. Che verranno pagate non in contanti ma in azioni della compagnia telefonica.
E così, miracolo, i “boiardi coraggiosi” avranno riportato la Telecom sotto il controllo dello Stato, per il tramite del suo braccio industriale, la Cdp.
A comandare su Telecom Italia saranno Franco Bassanini e il governo.
Basta agitare questo piano per far scappare i vari pretendenti internazionali al controllo di Telecom, che oggi è di fatto senza un padrone.
Così la soluzione statale risulterà  inevitabile, una profezia che si autoavvera.
Per Renzi l’idea è interessante.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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ARTE ETRUSCA

Febbraio 14th, 2015 Riccardo Fucile

IL PADRE DELLA BOSCHI, SERRA E LA BANCA DELL’ETRURIA

Ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine la risposta ufficiale alla domanda del Fatto è arrivata: Maria Elena Boschi, ministra delle Riforme e dei Rapporti col Parlamento, era assente al Consiglio dei ministri riunito fra le 15.45 e le 17.20 del 20 gennaio 2015 per varare il decreto sulle banche popolari.
Dunque non si pose il problema della sua astensione per il suo personale conflitto d’interessi (piccolo) di mini-azionista della Banca popolare d’Etruria nè di quello (più grande) di figlia del vicepresidente dell’istituto, il padre Pier Luigi, e di sorella di un altro socio nonchè dipendente, il fratello Emanuele.
La ministra aveva già  replicato al Fatto il 26 gennaio spiegando che sei giorni prima non era a Palazzo Chigi in quanto “impegnata in Parlamento nel percorso di riforme costituzionali ed elettorale”.
Poi però si era scoperto che alla Camera nessuno l’aveva vista, mentre al Senato risultava un suo intervento-lampo alle 17.40, dopo la chiusura del Cdm. Prima — ci ha poi detto il suo portavoce — era “chiusa in una stanza di Palazzo Madama”.
Ieri il verbale (segreto) del Consiglio dei ministri, in cui la Boschi risulta assente, è stato passato al sito di Repubblica, che peraltro non le aveva chiesto nulla.
Ma non saremo noi a dolercene: se abbiamo contribuito a illuminare uno dei lati oscuri del pasticciaccio, siamo felici.
Purtroppo il pasticciaccio delle banche popolari è ben lungi dall’essere chiarito.
Il decreto del governo di cui la Boschi fa parte anche in contumacia le ha trasformate in Spa, facendo lievitare i loro titoli in Borsa e guadagnare chi possiede azioni e le ha rivendute lucrando sull’improvviso rialzo.
La banca più fortunata è stata proprio quella d’Etruria, che in gennaio ha stabilito addirittura il record di performance in Piazza Affari con un +59%: un capolavoro di arte etrusca fuori tempo massimo, rispetto sia all’andamento delle altre popolari, sia alla crisi nera della banca aretina, che infatti Bankitalia ha appena commissariato per “insufficienza patrimoniale rispetto ai requisiti prudenziali”.
In un tweet di tre giorni fa, la Boschi scrive: ”Il Governo su proposta di Banca d’Italia ha commissariato Banca Etruria. Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex, sed lex”.
No, non è ancora il momento di smettere.
E non solo perchè la Consob e la Procura di Roma indagano sulle operazioni sospette di insider trading che hanno preceduto il decreto da inizio gennaio, quando già  serpeggiavano voci su una riforma che ancora non c’era ma qualcuno già  conosceva fin troppo bene.
Il risultato l’ha rivelato il presidente della Consob Giuseppe Vegas alla Camera: massicci e “anomali acquisti” di azioni delle banche popolari nei giorni precedenti il decreto e precipitose cessioni subito dopo l’annuncio.
Operazioni ordinate in gran parte da Londra, dov’è attivissimo un altro amico-finanziatore di Renzi, Davide Serra, titolare del Fondo Algebris.
Il quale ha negato di aver comprato titoli di popolari dal 1° al 19 gennaio e di aver mai trattato titoli di Etruria.
Ma ha ammesso di aver fatto affari con le popolari, poi riformate dal governo amico con profitti milionari per qualcuno.
Chi? Ah saperlo. Serra, fino a prova contraria, resta un uomo d’affari che fa i suoi legittimi business all’estero e sostiene Renzi (anche finanziariamente) perchè crede in lui.
La Boschi, fino a prova contraria, è una persona perbene e va criticata solo per le riforme sbagliate che promuove. E così Renzi.
Ma a due condizioni: che nessun amico di Renzi sapesse nulla del decreto prima che fosse approvato e che siano solo calunnie le voci di un progetto governativo per smantellare la Consob e punire Vegas per la mancata omertà  sullo scandalo del decreto.
In caso contrario, bisognerebbe aggiornare la definizione che Guido Rossi diede di Palazzo Chigi ai tempi di D’Alema e della privatizzazione all’italiana di Telecom, ceduta a debito ai “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti & C.: “una merchant bank dove non si parla inglese”.
Se si dovesse scoprire che qualcuno del Giglio Magico renziano conosceva in anteprima i contenuti del decreto e ci ha fatto affari, si dovrebbe parlare di una merchant bank dove si parla inglese.
E anche etrusco.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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