Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
“IL SEGRETO DEL SUCCESSO? PENSARE DIVERSO DAGLI ALTRI E NON TRADIRE IL CLIENTE”… “LAVORO PER LE VALERIE, LE DONNE CHE DECIDONO: SE NON TI COMPRANO LORO, SEI FINITO”
Si sono tenuti stamani i funerali di Michele Ferrero, il papà della Nutella, l’uomo che ha portato
una pasticceria di Alba a diventare una multinazionale del settore dolciario da oltre 8 miliardi di fatturato.
Per oltre mezzo secolo ha seguito e indirizzato i consumi degli italiani con i suoi prodotti, dai Mon Chèri agli Ovetti Kinder.
Legatissimo alla sua terra ha trasformato gli stabilimenti Ferrero in un modello anche sociale. Alla guida dell’impero di famiglia ci sarà adesso il figlio cinquantunenne Giovanni.
«Il mio segreto? Fare sempre diverso dagli altri, avere fede, tenere duro e mettere ogni giorno al centro la Valeria».
La Valeria?
«La Valeria è la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo».
Lo guardo stupito e ripeto la domanda: «Mi scusi signor Michele, ma chi è la Valeria?».
«La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decide che Wal-Mart sia il più grande supermercato del mondo, che decreta il successo di un’idea e di un prodotto e se un giorno cambia idea e non viene più da te e non ti compra più, allora sei rovinato. Sei finito senza preavviso, perchè non ti manda una lettera dell’avvocato per avvisare che taglia il contratto, semplicemente ha deciso di andare da un’altra parte, di non comprarti più».
Michele Ferrero parla con voce allegra, squillante, gli piace tantissimo ricordare.
Ha sempre gli occhiali da sole, fatica a sentire ma non interrompe mai gli altri, soprattutto la moglie.
Non è mai andato in pensione e mai ci andrà finchè avrà un soffio di vita.
E fino all’ultimo non ha smesso di occuparsi dei suoi prodotti, della sua azienda, fedele alla sua regola di una vita, il rispetto dei consumatori: «La Valeria è sacra, devi studiarla a fondo, con attenzione e non improvvisare mai. Bisogna avere fiuto ma anche fare tante ricerche motivazionali».
Ho incontrato Michele Ferrero cinque anni fa, in una mattina d’agosto, nel suo stabilimento di Alba.
Non parlava mai con i giornalisti e non si ricordano interviste o conferenze stampa, la riservatezza, con la fede religiosa e l’amore per la qualità sono state le cifre della sua esistenza. Mi aveva detto chiaramente che mi avrebbe parlato volentieri della sua vita e del suo lavoro ma a patto di non vederla pubblicata sul giornale la mattina dopo.
Oggi penso che le parole del suo racconto siano il modo migliore per ricordarlo, per ricordare un genio del «fare» italiano.
Il genio e la modestia
Esordisce con modestia, immagino che strizzi gli occhi sotto le lenti scure: «Quando dicono “Michele è un genio”, rispondo facendo finta di aver capito altro: “Sì è vero di secondo nome faccio Eugenio, la mia mamma mi chiamò Michele Eugenio”. Meglio fare così, altrimenti finirei per crederci e per montarmi la testa».
Gli faccio l’elenco dei suoi prodotti, di tutto ciò che ha inventato, lui sta un po’ in silenzio poi mi risponde: «Quello che amo di più? Certo la Nutella, ma il Mon Chèri è il prodotto degli inizi, quello che mi emoziona ricordare. Era l’inizio degli Anni Cinquanta e andammo in Germania, perchè avevo pensato che il mercato del cioccolato dovesse guardare a Nord, dove lo consumano tutto l’anno».
Si ferma un attimo, come se si fosse distratto: «Pensi che ancora oggi noi ritiriamo tutto il nostro prodotto di cioccolato all’inizio dell’estate, per evitare che si sciolga, per evitare che la Valeria resti delusa e trovi qualcosa che non è all’altezza. Per evitare che ci associ con qualcosa di sciolto, di rovinato, con qualcosa che non vale la pena comprare. Per questo il trimestre estivo è il nostro periodo peggiore e per questo la missione che tanti anni fa ho dato ai miei figli miei figli è quella di colmare il vallo estivo, di inventare prodotti che diano alla nostra produzione e al nostro fatturato un’uniformità tutto l’anno».
Cioccolato e liquore
«Ma dicevo della Germania: quando siamo arrivati era il dopoguerra, un Paese ancora pieno di macerie con i segni del conflitto, triste, depresso, in cui gli italiani erano visti malissimo. Ci consideravano traditori, malfattori e infidi, convincerli a comprare qualcosa da noi era una missione quasi impossibile. Cominciai ad andare dai distributori con l’idea di vendere cioccolatini in pezzo singolo, con dentro il liquore e la ciliegia. Mi dicevano che bisognava fare delle scatole, non degli incarti singoli, perchè solo quelle si potevano mettere sugli scaffali dei negozi e quelle si vendevano. Io rispondevo che stavano mesi sugli scaffali e le persone le compravano solo per le grandi occasioni, per fare regali. Io invece pensavo a qualcosa che risollevasse il morale, che addolcisse ogni giorno la vita dei tedeschi: c’era il cioccolato, la ciliegia e c’era il liquore che scaldava in quell’epoca fredda e con scarsi riscaldamenti. Qualcosa che avesse una carta invogliante, elegante, lussuosa, di un rosso fiammante, che desse l’idea di una piccola festa ad un prezzo accessibile a tutti. Insistetti finchè non trovai un uomo intelligente che si fece conquistare dalla mia idea. La Valeria tedesca aveva bisogno di essere confortata, di sentirsi bene ogni giorno, di potersi fare un piccolo regalo: poteva funzionare tra fidanzati, tra marito e moglie e non c’era bisogno di aspettare feste o ricorrenze. Poi in inverno feci mettere enormi cartelloni pubblicitari in ogni grande stazione della Germania, con un immenso mazzo di fiori che non sfioriva mai. Per Natale mi misi d’accordo con la Fiat e al centro delle dieci maggiori stazioni piazzai in bella mostra una topolino rossa che avrebbe premiato i vincitori di un concorso legato al Mon Chèri. Fu un successo travolgente e l’anno dopo facemmo le cose ancora più in grande e mettemmo in palio dei diamanti».
Il suo racconto è pieno di entusiasmo, anche se è passato più di mezzo secolo, e di quel periodo ricorda l’entusiasmo insieme al freddo e alla fatica: «Pensi che la fabbrica era in una serie di bunker bombardati…».
Pasqua tutti i giorni
Gli chiedo allora quale è stata l’intuizione che è sembrata più pazza ma che gli ha dato più soddisfazione: «È successo anni dopo, in Italia, quando pensai che l’uovo di cioccolato non poteva essere una cosa che si vendeva e si mangiava una volta all’anno, a Pasqua. Però ci voleva qualcosa di più piccolo, che si potesse comprare ogni giorno a poco prezzo, ma doveva ripetere quell’esperienza e allora ci voleva anche la sorpresa, ma in miniatura. Pensai alla Valeria mamma, che così poteva premiare il suo bambino perchè aveva preso un bel voto a scuola, alla Valeria nonna che lo regalava per sentirsi dire: “Sei la più bella nonna del mondo” o alla Valeria zia che riusciva così a strappare al nipotino quel bacio e quell’abbraccio che faticavano sempre a conquistare. Ma così tanto cioccolato poteva preoccupare le mamme, allora pensai di rovesciare l’assunto tradizionale pubblicizzando che c’era “più latte e meno cacao”, quale miglior sensazione per una mamma di dare più latte al suo bambino? Così mi decisi e ordinai venti macchine per produrre ovetti, ma in azienda pensarono di aver capito male o che fossi diventato matto e non fecero partire l’ordine. Poi chiesero a mia moglie Maria Franca se la firma sull’ordine era davvero mia, lei confermò, ma per far partire la cosa dovetti intervenire di persona. Le obiezioni erano fortissime, dicevano che sarebbe stato un flop, che le uova si vendevano solo a Pasqua e allora io sbottai e dissi: “Da domani sarà Pasqua tutti i giorni”». Questo fu il 1968 di Michele Ferrero, la sua rivoluzione, quell’anno partì insieme all’ovetto la linea di prodotti per bambini che conosciamo come Kinder Ferrero.
Primo: innovare
«Ecco cosa significa fare diverso da tutti gli altri. Tutti facevano il cioccolato solido e io l’ho fatto cremoso ed è nata la Nutella; tutti facevano le scatole di cioccolatini e noi cominciammo a venderli uno per uno, ma incartati da festa; tutti pensavano che noi italiani non potessimo pensare di andare in Germania a vendere cioccolato e oggi quello è il nostro primo mercato; tutti facevano l’uovo per Pasqua e io ho pensato che si potesse fare l’ovetto piccolo ma tutti i giorni; tutti volevano il cioccolato scuro e io ho detto che c’era più latte e meno cacao; tutti pensavano che il tè potesse essere solo quello con la bustina e caldo e io l’ho fatto freddo e senza bustina. L’Estathè per dieci anni non è esploso, ma io non mi sono scoraggiato, perchè ero convinto che ci voleva tempo ma che l’intuizione era giusta e che la Valeria non sapeva ancora che era quello che aveva bisogno. Ma poi se ne è resa conto ed è stato un grande successo. Un unico rammarico: averlo lanciato solo in Italia, ma mi spaventavano con le indagini di mercato e non vollero portarlo in Francia e così oggi il mercato estero è già pieno di concorrenti. E poi ci inventammo uno scatolino morbido e leggerissimo che era una novità assoluta e la cannuccia…».
«Sa perchè ho potuto fare tutto questo? Per il fatto di essere una famiglia e di non essere quotati in Borsa: questo ha permesso di crescere con serenità , di avere piani di lungo periodo, di saper aspettare e non farsi prendere dalla frenesia dei su e giù quotidiani».
Parliamo ormai da più di due ore, nello stabilimento c’è un profumo fortissimo di caffè, mi spiega che stanno facendo i pocket coffee.
Il tempo sta per finire ma vuole ricordarmi una cosa a cui tiene più di tutto, la sua fede religiosa: «Tutto quello che ho fatto lo devo alla Madonna, a Maria, mi sono sempre messo nelle sue mani e lei devo ringraziare. La prego ogni mattina e questo mi dà una grande forza».
La sua stretta di mano e la sua energia, in quel giorno d’estate nel pieno dei suoi 85 anni, erano forti e invidiabili.
Ora stava per compierne novanta, ma era rimasto lucido e fedele alle sue regole e ai suoi principi.
Mario Calabresi
(da “La Stampa”)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
“NON LASCERO’ IL PARTITO PERCHE’ VOGLIO RIFONDARLO”
Raffaele Fitto è un uomo di 45 anni con i modi e i tratti dell’eterno ragazzo.
Quasi un imprinting lasciatogli dal suo esordio precoce in politica, quando ventenne si trovò a prendere il testimone del padre, governatore democristiano della Puglia, morto in un incidente d’auto.
Un compito assolto senza più fermarsi: giovanissimo presidente della sua regione, più volte parlamentare italiano ed europeo, ministro nell’ultimo governo Berlusconi, oggi impegnato a scalare la dirigenza di quel che resta di Forza Italia.
Del democristiano del Sud porta con sè un elettorato fedele, fatto di persone in carne ed ossa, di contatto fisico, di strette di mano, di implicite promesse.
Leader carnale in una politica ormai tutta mediatica, predilige ancora il novecentesco “territorio”, fa più uso di comunicati che di tweet ed è più presente nei telegiornali che nei talk-show.
Metodi che la politica 2.0 ritiene superati, ma che Fitto impone con una presenza quotidiana e martellante.
“E’ indispensabile uscire da una condizione di ipocrisia. Ci sono degli errori clamorosi compiuti negli ultimi mesi, il primo è quello della linea politica del nostro partito rispetto all’approccio nei confronti del governo Renzi sul tema delle riforme”.
Così di lui sappiamo parecchio. Sappiamo che è stato a lungo un pupillo di Berlusconi, che lo considerava una “protesi” del proprio corpo, ma che poi lo lasciò andare, forse deluso dalla sua difficoltà a sorridere e dal suo lungo argomentare. Sappiamo che oggi è il maggiore oppositore interno del vecchio leader e che, se non vincerà la battaglia in Forza Italia, potrebbe fare un partito tutto suo, forte di un seguito di 40 parlamentari.
Ma niente, o molto poco, è trapelato finora della sua storia privata, dei pensieri e dei sentimenti che l’hanno accompagnato in questa bruciante, eppure già lunghissima, carriera politica.
Abbiamo provato a farci raccontare anche questo.
Fitto, come ci si trasforma in poco tempo da protesi di Berlusconi a sua spina nel fianco?
«Dicendo pubblicamente la verità . Ripetendo che Forza Italia ha mandato in onda in questi mesi il proprio suicidio politico, perchè ha accettato tutti i diktat di Renzi senza colpo ferire e rinunciando a un’identità costruita in vent’anni. Berlusconi non ha indovinato un solo passaggio politico».
Adesso però sembra aver cambiato rotta. È troppo tardi?
«Non lo so. Io continuo a chiedere l’azzeramento del gruppo dirigente, le primarie per ricostruirlo e una discussione politica sui temi veri: tasse, debito, Europa, sicurezza…».
Ma non è ascoltato. Perchè non fa un partito suo?
«Detesto l’abitudine tutta italiana di andarsene quando non si è d’accordo. Voglio fare la mia battaglia dentro Forza Italia e anche fuori, tra la nostra gente che è delusa e arrabbiata. Non dia retta alle voci: non lascerò Berlusconi».
Resta evidente che siete passati al conflitto duro. Come accade solo alla fine di un amore…
«Con lui va così. Il rapporto politico diventa anche personale, nel bene e nel male. Ma la mia stima e il mio affetto sono intatti».
Non si sono incrinati neanche quando Berlusconi le ha gridato, come fosse un insulto: “Figlio di un vecchio democristiano”
«È stato un momento di tensione che ho voluto superare. Lei saprà che ho perso mio padre, grande uomo, grande politico e grande guida della mia adolescenza, quando avevo appena compiuto 19 anni. Il giorno prima festeggiavo con lui il mio compleanno, il giorno dopo lui non c’era più. Quella perdita ha segnato la mia vita. Mi ha incupito, forse per sempre».
Ma le ha regalato la politica.
«Non ne ero digiuno. L’ho respirata in casa e seguendo mio padre nelle campagne elettorali. L’ho assimilata nel mio paese, Maglie, che ha dato i natali a molti politici, tra cui Aldo Moro, che ancora ci guarda da una statua dove è rappresentato, un po’ esageratamente, con “l’Unità ” sotto il braccio».
Si racconta che furono i notabili democristiani, guidati da sua madre, a farle occupare subito il posto lasciato vuoto.
«Vede come il pettegolezzo politico riesce a rendere volgare una storia di lacrime e fatica? Vuole che le racconti come è andata?».
Certo.
«Migliaia e migliaia di persone vennero a farci le condoglianze in casa, notabili e no. Al momento del funerale erano diventate decine di migliaia tanto che dovemmo trasferirci dalla chiesa alla piazza. Lì, in preda alla rabbia che spesso si accompagna al dolore, decisi di dire alcune parole di ringraziamento. Forse vennero bene, non lo so più. Ma fu quello il mio battesimo alla politica».
Lei però era un ragazzino. Davvero nessuno l’aiutò?
«La Democrazia cristiana era la nostra casa. Al di là delle correnti, Enzo Scotti, Ciriaco De Mita e molti altri furono vicini alla mia famiglia. Io cominciai a lavorare nel partito e due anni dopo, un po’ per le capacità che stavo mettendo in campo ma certo molto di più perchè ero il figlio di Salvatore Fitto, divenni consigliere regionale con 75 mila voti, il più alto risultato in Italia».
Aveva vent’anni e una strada ormai obbligata. Pensa mai a che cosa si è lasciato indietro? A quale altra vita ha rinunciato?
«All’inizio sì, ma oggi raramente. Mi lasciavo alle spalle un’infanzia diligente e un’adolescenza un po’ scapestrata. Tanta motocicletta con mirabili impennate, poca scuola, spesso marinata con giustificazioni false, tanto calcio con allenamenti quotidiani che mi hanno portato a rompermi i legamenti. E un po’ di botte ai giovani comunisti».
Fitto un picchiatore? Si stenta a crederlo.
«Non esageriamo. Andava così all’epoca. Bastava un manifesto che non doveva essere attaccato e ci si picchiava di brutto. Se ricordo quegli scontri con persone che poi hanno avuto ruoli nel Pci e nei Ds, riconosciamo tutti che erano momenti formativi. Mettevano in campo un’idealità politica di cui oggi si sente la mancanza».
Come coltiva la sua, se ancora ne ha?
«Ce l’ho, eccome. La mia bombola di ossigeno è il territorio dove la gente vera, con l’applauso e soprattutto con la critica, mi indica la strada. Poi c’è il mio pantheon che non tradisco: Margaret Thatcher, di cui sto leggendo in questi giorni una biografia politica, e Ronald Reagan. A loro mi sono ispirato quando, da governatore della Puglia, ho contenuto la spesa pubblica tagliando 21 ospedali e bloccando molte assunzioni. Una politica di risanamento che mi è costata la rielezione, ma che rifarei».
Va bene, l’aiuto a sfidare l’impopolarità . Che cosa pensa di questo papa?
«Per esprimermi aspetterei la conclusione del Sinodo. È giusto aprire alla società , però la religione ha alcuni punti fermi che vanno trattati con cautela. Bergoglio è molto mediatico, Ratzinger era più profondo».
Lei è un credente praticante?
«Sì, ma tengo per me la mia religiosità . Se vado a messa cerco di non farne un evento plateale. Sono fatti privati, come la mia vita familiare».
È vero, si sa tutto del suo essere stato figlio, ma niente del suo essere padre. Se ne sente all’altezza?
«Fisicamente non sono molto presente, ma sono un padre attento e, qualche volta, anche un po’ rigido. Ho due maschietti vicini di età , nove e otto anni, molto complici e per questo impegnativi. Credo sia mio compito insegnare loro a rispettare le regole. Di tenerezza ne hanno a volontà dalla loro mamma».
Le devo dare atto che lei è un uomo del Sud consapevole e convinto. Rispetta le tradizioni anche con sua moglie?
«Guardi, mia moglie Adriana è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. È la mia forza e il mio porto sicuro. L’ho conosciuta nel 2003, ci siamo guardati e ci siamo sentiti innamorati. Lei ha rinunciato a fare l’avvocato per la famiglia. L’avrei sposata anche subito, ma i miei impegni politici ci hanno fatto perdere due anni. Anche quando è nato il nostro primo figlio la politica ci si è messa di mezzo».
Come?
«Eravamo in piena campagna elettorale per le politiche del 2006, Berlusconi era venuto a Bari a fare la manifestazione di chiusura. Prima di salire sul palco gli avevo detto che forse mi sarei assentato perchè mia moglie era al termine della gravidanza. Per fare un inizio di comizio ad effetto, lui annunciò: “Facciamo gli auguri a Raffaele perchè sta nascendo il figlio”. Adriana fu inondata di telegrammi e fiori quando ancora era lontana dalle doglie. Fu una cosa divertente di buon augurio».
Che fa nel tempo libero, se ne ha?
«Torno sempre a casa e inseguo la mia grande passione: il calcio. Lo gioco con i miei figli, li accompagno ai loro allenamenti nella scuola di calcio a cui li ho iscritti, guardo con loro le partite della mia Juventus. Ascolto la musica del grande Ennio Morricone, che per me è la cosa più rilassante che esista, e leggo qualcosa. Oltre che alla biografia della Thatcher, ora sto leggendo“Open” di Andre Agassi, dove il tennista spiega come sia stato quasi obbligato a diventare un campione sacrificando molte altre possibilità della sua vita».
Sta parlando di sè?
«No, a me oggi va bene così. Ma siccome ho cominciato molto presto, penso che farò politica ancora per un po’ e poi mi costruirò una vita più tranquilla realizzando un progetto nella mia terra di Puglia a cui penso da tempo».
Quale?
«Un agriturismo, anzi una grande masseria che sia abitazione e impresa, dandoci insieme un rifugio e un reddito».
Mi permette di non crederci?
«Anche mia moglie non ci crede e ride sempre quando glielo dico. Ma la stupirò. Anzi vi stupirò tutti».
Stefania Rossini
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER DETTA UNA LINEA PRUDENTE AI SUOI MINISTRI (ESTERI, DIFESA E INTERNO): DIPLOMAZIA AVANTI TUTTA
L’intervento militare in Libia è l’ultima ratio: dopo tre giorni di dichiarazioni bellicose e la frenata di
Renzi lunedì, la linea ufficiale del governo italiano è questa. Ieri, il presidente del Consiglio ha riunito il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il titolare del Viminale, Angelino Alfano e il sottosegretario con delega ai servizi, Marco Minniti, per chiarire la posizione dell’esecutivo.
Che spinge per l’intervento della diplomazia e lascia sullo sfondo l’azione militare.
L’Italia non esclude in futuro la possibilità di un intervento armato. Ma solo ed esclusivamente sotto l’egida delle Nazioni Unite, e se tutte le carte diplomatiche dovessero fallire: su questa posizione Roma starebbe cercando di coalizzare anche i partner in una girandola di telefonate che ieri ha visto il premier chiamare anche Hollande all’Eliseo.
“Identità di vedute” con il presidente francese, ha fatto sapere Palazzo Chigi.
Tra gli interlocutori ci devono essere anche Russia e Cina, due superpotenze non solo per il loro diritto di veto in Consiglio di sicurezza, ma anche per gli interessi strategici di Pechino e Mosca in Africa.
Per elaborare questa posizione, nei corridoi di Palazzo Chigi si dice che il presidente del Consiglio abbia tenuto conto delle informazioni dei servizi segreti, arrivate sul tavolo di Minniti.
Che hanno chiarito sia la reale situazione della Libia, sia i pericoli insiti in un’azione militare nel Paese.
L’ISIS è infiltrata a Tripoli, controlla un pezzo di Sirte, e Derna: si tratta di tribù, bande, pezzi di bande militari, che hanno preso come brand, come bandiera, l’Isis (non a caso Renzi ha sintetizzato davanti alla direzione del Pd “alcune milizie hanno voluto fare dell’Isis il loro punto di riferimento, perchè affascinate dalla sua comunicazione”).
Tra i rischi, quello che l’Isis si incancrenisca, non solo per altro terrorismo ma anche per infiltrazione della criminalità e della mafia.
Il primo obiettivo “diplomatico” è avvicinare — anche con un rafforzamento dell’inviato Onu Bernardino Leon (si parla di un affiancamento di Romano Prodi) — le due fazioni: quella del governo di Al Thani a Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, e il Congresso nazionale libico, sostenuto dalle milizie filo-islamiche a Tripoli.
Convincendole a trovare una posizione di unità nazionale, finalizzata a combattere l’Isis. Serve poi l’ impegno anche dei Paesi vicini alla Libia (Turchia, Qatar, Emirati Arabi, Egitto).
E un’iniziativa forte dell’Onu, che finora si è molto occupata di Ucraina, trascurando la questione libica.
Se mai si arrivasse all’intervento militare, questo dovrà essere graduato su quello che si trova sul campo: ci vogliono non meno di 50mila uomini e un impegno decennale. Ora, l’Italia è in chiara difficoltà , vista la contiguità territoriale (e il problema immigrazione) e gli affari dell’Eni: ma il rischio è che una guerra in quel Paese diventi il nostro Vietnam.
Oggi Gentiloni riferirà a Montecitorio, tenendo ferma la linea dell’azione diplomatica. Che poi è la soluzione verso la quale ha spinto anche il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, ieri, a conclusione dell’incontro bilaterale Italia-Santa Sede nella ricorrenza dei Patti Lateranensi.
La posizione “diplomatica e politica” sotto “l’egida dell’Onu” è stata affrontata anche nella telefonata tra il presidente americano Barack Obama e quello italiano Sergio Mattarella.
Oggi pomeriggio (ora italiana) ci sarà a New York una riunione del Consiglio di sicurezza Onu, da cui ci si aspetta qualche risposta.
La posizione del governo italiano è comunque complicata: Roma non vuole stare in panchina, insieme a “calma” e “prudenza” c’è l’esigenza di rimanere tra i protagonisti di una possibile azione in un Paese cruciale.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
IMPRENDITORI “CONTIGUI ALLA ‘NDRANGHETA A PRANZO CON ASSESSORE DELLA CITTA’ VENETA PER PARLARE DI APPALTI…IPOTESI SOSTEGNO ELETTORALE ALLA LEGA IN CAMBIO DI AFFARI PUBBLICI
Il sindaco di Verona Flavio Tosi è stato pedinato dai carabinieri in Calabria.
È quanto emerge dalle carte dell’indagine “Kyterion”, un filone calabrese dell’inchiesta “Aemilia” che a gennaio ha colpito la cosca Grande Aracri di Cutro.
La notizia è stata pubblicata oggi dal Quotidiano del Sud.
Tosi non è indagato, ma il 29 gennaio 2012 i suoi movimenti sono stati dettagliamente monitorati dai carabinieri che lo hanno seguito dal momento in cui è atterrato a Lamezia Terme, dove ha noleggiato una Citroen C4, alla cena tenuta a Crotone dopo la presentazione di un libro presso l’auditorium dell’istituto professionale di Stato “Sandro Pertini”.
Nel mezzo una visita in Procura a Catanzaro, dove Tosi si è incontrato con il pm Claudio Villani, e una serie di incontri con alcuni imprenditori locali tra cui il presidente del Crotone Raffaele Vrenna, ras delle discariche e degli inceneritori tra Cosenza e Crotone.
Ma anche con il presidente della Provincia di Crotone Stano Zurlo, il presidente locale di Confindustria Giovanni Lucente e il sindaco di Isola Capo Rizzuto Gianluca Bruno.
I carabinieri, in sostanza, stavano eseguendo alcuni accertamenti circa il sostegno elettorale che la famiglia Giardino, di isola Capo Rizzuto, ha garantito a Tosi.
Operanti da anni a Verona, dove gestiscono imprese edili e distributori di carburante, infatti, i Giardino vengono ritenuti dagli inquirenti contigui alla criminalità organizzata.
Il sospetto è che questi imprenditori abbiano potuto avere rapporti con ambienti istituzionali veronesi in relazione a un appalto “pilotato” per la realizzazione di un centro sportivo che speravano di ottenere grazie al sostegno del “politico amico”.
Nel corso di una telefonata intercettata a Gino Frontera, arrestato a fine gennaio, quest’ultimo fa riferimento all’ “appoggio di ‘Alfonso’ (Alfonso Giardino, ndr) a Tosi”.
“Sono in festa — è la frase registrata dal cellulare di Frontera — ora che là a Verona ha vinto Tosi quello che appoggiavano loro, quindi secondo me sono in festa”.
“Si pone in evidenza — scrivono i carabinieri — che quando parla dell’appoggio elettorale non fanno riferimento alla sola persona (‘Alfonso’) ma viene usato il termine ‘loro’”.
Sempre secondo gli investigatori dell’Arma, i Giardino si sarebbero infiltrati nell’amministrazione Tosi attraverso Marco Arduini detto il “dentista” grazie al quale sarebbero giunti all’allora assessore Marco Giorlo, “per ottenere — è scritto nell’informativa — lavori ed altra utilità come fare assumere persone al Comune di Verona”.
Tra i lavori a cui puntavano gli imprenditori calabresi c’è quello della “sostituzione di tutte le illuminazioni a Verona” e la realizzazione di un centro sportivo: “Quello è un tredici — dice Alfonso Giardino a Marco Arduini — Portalo a casa. Da quello che ho capito lo prendiamo noi in mano, in gestione. Sai cosa vuol dire?”.
L’imprenditore calabrese è impaziente di vincere l’appalto.
Lo rassicura, nel giugno 2012, Franco Giardino: “Mi ha chiamato Marco ieri. Ha parlato con quello, gli ha detto che è tutto a posto. Non ci sono problemi di nessun genere. Ci dà quello che vogliamo”.
Frasi pesanti soprattutto se si tiene in considerazione che cosa scrivono i carabinieri nell’informativa: “Le attività tecniche hanno fornito il pieno coinvolgimento di Giardino Alfonso in dinamiche che riguardano la ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto”.
Voti e appalti frutto di relazioni e amicizie consolidate anche a tavola poche settimane prima. Il 28 maggio 2012 i carabinieri hanno filmato con la telecamera il pranzo all’osteria “Al Duca” di Verona al quale hanno partecipato i cugini calabresi, Marco Arduini e l’assessore Marco Giorlo.
Inconsapevoli di essere intercettati, imprenditori, politici e mediatori parlano liberamente al telefono di appalti come se fossero stati vinti ancora prima dei bandi per l’assegnazione.
Nel corso di un’altra intercettazione, l’imprenditore Alfonso Giardino (alias “Fronzo”) telefona al cugino Vincenzo che si trova a Isola Capo Rizzuto per parlargli di un altro importante lavoro: “Sono qua a cena con l’amico politico là , quello di Verona, hai capito? Mi ha mandato a chiamare con certi geometri architetti questa sera. In pratica c’è una progetto grosso che ti devo spiegare. Ci dobbiamo unire per fare una cosa di queste perchè non è, non è una cosa da niente, è un progetto da 260 milioni in Madagascar. C’è una ferrovia, ci sono strutture, di costruzioni, ci danno tutto il pacchetto in mano e ci danno il 50, dal 20 al 50% avanti, ok? Nelle mani, subito, ok?… I soldi sono stati già stanziati dall’Unione mondiale. Il lavoro è sicuro al 100%, hai capito? Mi ha portato Marco Giorlo”.
I rapporti tra l’amministrazione Tosi e personaggi dell’imprenditoria crotonese, proprio in relazione agli appalti pubblici, erano stati raccontati da una puntata di Report dell’anno scorso, realizzata da Sigfrido Ranucci, duramente contestata dal sindaco leghista.
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
ACCORDO CON NCD PER LE REGIONALI SIA IN CAMPANIA CHE IN VENETO…. NELLA ROSA DEI CANDIDATI BRUNETTA E GARDINI
L’esplosione del centrodestra si consuma nella storica roccaforte veneta. 
Al termine di una lunga giornata di colloqui, Forza Italia e Nuovo centrodestra siglano l’alleanza in Campania e in Veneto, promettendo candidati autonomi rispetto alla Lega.
Uno strappo storico, se confermato.
Silvio Berlusconi, a dire il vero, preferirebbe presentarsi alle Regionali a braccetto con il Carroccio e lotta per far cadere il veto leghista sull’Ncd: «Anche perchè altrimenti perdiamo tutti».
La risposta di Matteo Salvini, però, è gelida e conferma il divorzio: «Presentano i loro governatori? Perfetto — spiega al telefono quando già è sera — Berlusconi è libero di fare una scelta nella massima serenità : o si allea con Alfano, o con la Lega».
È una somma di debolezze a dettare il patto tra i centristi e gli azzurri. Difficilmente FI può rinunciare al sostegno dell’area popolare in Campania, decisiva per tentare di rieleggere l’uscente Stefano Caldoro.
E d’altra parte è complicato per il Ncd presentarsi isolato alle prossime Regionali. «Non c’è dubbio, noi sosteniamo Caldoro ma vogliamo correre con FI in Veneto», conferma Gaetano Quagliariello.
Il comunicato stilato al termine del summit, limato anche nelle virgole da Deborah Bergamini, mette nero su bianco le condizioni dell’asse.
«Nel corso dell’incontro — si legge — è stata apprezzata la possibilità di un accordo politico per le Regionali». Ed esiste già un metodo per la scelta del candidato governatore: «In Campania sarà ovviamente il presidente uscente. In Veneto dovrà essere individuato all’interno di una rosa».
Alcuni nomi sono già stati vagliati dalle due delegazioni. In primis quello di Renato Brunetta, ma anche Elisabetta Gardini e Antonio De Poli.
Berlusconi sarebbe in realtà ben lieto di sostenere la corsa del leghista Luca Zaia, a patto di superare l’ostracismo padano su Alfano.
Per questo incontrerà nuovamente Salvini, tentando l’ultimo pressing, ma solo dopo un vertice tra FI e Lega in agenda nelle prossime ore.
«Ci vedremo anche con i legisti e Fratelli d’Italia — conferma Altero Matteoli — E non ci sarebbe nulla di strano a correre tutti assieme, visto che il Nuovo centrodestra al Nord già governa con la Lega».
E però Salvini non arretra, mettendo alle strette il leader di Arcore: «Noi o Alfano, basta scegliere». Senza un improvviso ripensamento leghista, la strada dell’ex Cavaliere diventerà allora obbligata e l’asse con il Nuovo centrodestra comprenderà anche il resto d’Italia.
«Si parte dall’accordo in Veneto e Campania — rileva De Poli — per poi provare ad allargare l’alleanza anche alle altre Regioni. In prospettiva, poi, si riapre il percorso per la costruzione di qualcosa di nuovo nell’area moderata».
Prima di rianimare un centrodestra al collasso, Berlusconi dovrà risolvere una volta per tutte la faida interna. Sospinto dal cerchio magico, l’ex premier ha lanciato ieri una nuova sfida al capo dei frondisti Raffaele Fitto, sostituendo in Puglia il coordinatore regionale Francesco Amoruso con Luigi Vitali.
Uno schiaffo al big salentino, ma anche l’antipasto di un’esclusione dei fittiani dalle liste delle prossime Regionali.
L’affronto non resterà senza risposta, visto che il leader dei dissidenti prepara un nuovo affondo (forse già oggi) e intanto rassicura al telefono i suoi parlamentari.
«Più Berlusconi alza il tiro, più aumenta lo scontro. Prova a spaventarci, ma non ha capito che ci fa un regalo perchè mostra di avere paura».
L’ultima parola sarà pronunciata sabato prossimo a Roma, durante l’assemblea dei “ricostruttori”.
Si attendono scintille.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
PERQUISITE LE ABITAZIONI DI UNA VENTINA DI OLGETTINE E DELL’EX LEGALE DI RUBY …CASE E REGALI, COSàŒ PAPI HA TENUTO BUONE LE INVITATE ALLE CENE ELEGANTI
Per Silvio Berlusconi si avvicina il processo Ruby 3, quello in cui sarà accusato di corruzione in atti giudiziari, per aver pagato i testimoni del processo Ruby 1.
Per molti mesi l’indagine sulle ragazze, gli ospiti e gli avvocati che avrebbero addomesticato le testimonianze è rimasta a covare sotto la cenere.
È stata aperta nel gennaio 2014, imposta da due sentenze di primo grado (quella di Berlusconi e quella del trio Fede-Mora-Minetti).
Dopo l’arrivo delle motivazioni d’appello che confermano il quadro accusatorio (e dopo lo sfilacciamento del patto del Nazareno, ma questo è solo un caso), ieri finalmente la procura di Milano ha disposto le perquisizioni nei confronti di una ventina di ragazze presenti alle feste di Arcore e del primo avvocato di Ruby, Luca Giuliante.
Ai primi di marzo l’indagine sarà chiusa.
Ieri i magistrati Luca Gaglio e Tiziana Siciliano hanno anche interrogato per più di sette ore, come teste, il ragionier Giuseppe Spinelli, da sempre pagatore delle spese di Berlusconi: anche di quelle conseguenti alle feste del bunga-bunga di Arcore, nel 2010. Berlusconi aveva ammesso e rivendicato di aver pagato molte delle partecipanti alle serate, anche con una “paghetta” fissa di 2.500 euro al mese.
“Le ragazze hanno perso il lavoro e il fidanzato”, spiegava Silvio, a causa delle indagini dei magistrati e degli articoli dei giornalisti.
Poi, nel 2013, aveva annunciato che i “risarcimenti” erano stati interrotti.
Non è vero, hanno scoperto i pm Gaglio e Siciliano, coordinati dal procuratore aggiunto Piero Forno: i pagamenti sono continuati.
Soldi, ma anche case. Come “liquidazione”.
E allora ecco le perquisizioni di ieri, che hanno riguardato 22 dei 45 indagati del Ruby 3, quelli che accanto alla falsa testimonianza hanno anche l’accusa di corruzione in atti giudiziari, in concorso con Silvio Berlusconi che, nell’ipotesi d’accusa, avrebbe cercato di falsare gli esiti processuali addomesticando le testimonianze di molti degli invitati alle feste.
“Follow the money”, segui i soldi: e la procura ha seguito i flussi di denaro delle ragazze, i loro acquisti di case e di altri beni, il tenore di vita inspiegabile con le entrate dichiarate.
Silvio non è un ingrato: continua a pagare chi lo ha difeso nei processi, testimoniando che le feste di Arcore erano solo “cene eleganti”, o al massimo spettacolini di burlesque.
Del resto, “quando hai una barca, non ti devi preoccupare quanto ti costa l’equipaggio”, aveva detto in una pausa del processo.
Perquisita anche la casa a Genova di Ruby, ovvero Karima El Maharoug, la ragazza che da minorenne aveva frequentato le feste di Arcore e poi ammesso di aver ricevuto soldi dall’ex presidente del Consiglio, raccontando al telefono (intercettata) che aveva promesso in cambio di “fare la matta” e di negare tutto.
Sequestrati i computer e i telefoni delle ragazze, tra cui Barbara Guerra, Iris Berardi, Marysthell Garcia Polanco, Lisney Barizonte, Roberta Bonasia, le gemelle Concetta ed Eleonora De Vivo, Aris Espinosa, Barbara Faggioli, Manuela e Marianna Ferrera, Miriam Loddo, Raissa Skorkina, Alessandra Sorcinelli, Elisa Toti, Ioana Visan.
Barbara Guerra ha aperto la porta di casa soltanto quando sono arrivati i vigili del fuoco con l’incarico di abbatterla.
Abita in una villa da un milione di euro progettata dall’archistar Mario Botta.
Insieme con Iris Berardi, si era costituita parte civile nel processo a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, con l’intenzione di chiedere i danni e dunque di “rompere il fronte” delle ragazze di Arcore.
Ma aveva poi, come l’amica Iris, revocato la sua costituzione ed era uscita dal processo.
A Francesca Cipriani sono state trovate migliaia di euro in una cassetta di sicurezza.
“Nessuna richiesta di documenti a noi”, dice Niccolò Ghedini, riferendosi anche al collega Piero Longo, con lui difensore di Berlusconi.
Entrambi sono indagati nell’inchiesta Ruby 3.
Perquisite invece l’abitazione e lo studio di Luca Giuliante, oltre che la casa di sua madre. Copiato il contenuto del computer di studio, sequestrati i telefoni e, a casa, un portatile della sua compagna.
Giuliante era nel 2010 l’avvocato di Ruby, protagonista dello strano “interrogatorio” avvenuto la notte del 6 ottobre 2010 e raccontato in diretta dagli sms e dalle telefonate (intercettate) di Luca Risso, poi diventato il compagno di Ruby e il padre di sua figlia Sofia Aida.
Alla sua fidanzata di allora, Serena Facchineri, Risso quella notte dice: “Sono nel mezzo di un interrogatorio allucinante”. Serena: “Stai attento… ricordati grano”.
Luca: “Si son fermati un attimino perchè siamo alle scene hard con il Pr…”.
Grano (cioè soldi), sesso e inquinamento probatorio: la saga di Ruby continua.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
SORIA FA I NOMI DI CHI AVREBBE RICEVUTO REGALI, VIAGGI E PAGAMENTI CASH… NELLA LISTA BRESSO, CHIAMPARINO, AUGIAS, ELKANN, ISABELLA FERRARI, SANDRELLI E FRANCO NERO… PIOGGIA DI SMENTITE E QUERELE
Sei anni dopo lo scandalo, Giuliano Soria porta i suoi nomi in aula di tribunale. 
Siede davanti al giudice per la prima volta e chiede di parlare.
È il processo d’appello per l’inchiesta sul Premio Grinzane Cavour, si discute la condanna per il patron a 14 anni di carcere inflittagli dal tribunale per peculato, maltrattamenti, malversazioni. Soria appare invecchiato e stanco.
Sale sul banco degli imputati a fatica, reggendosi a una stampella. Porta con sè solo qualche foglio di appunti: il libro nero di politici, scrittori, attori e giornalisti. Sono gli immorali, i «voraci», i «patetici » che ha dovuto, dice, compiacere per una vita.
Per far crescere la «sua creatura »: il premio letterario che «considera come un figlio», che ha nominato suo «unico erede nel testamento», per il quale ha impegnato ogni proprietà , a cui ha «dedicato 28 anni di carriera»
Soria racconta di quando andava al festival di Stresa con centomila euro in banconote per pagare gli artisti sottobanco.
Fondi neri forniti da un imprenditore che emetteva fatture false intestate al premio letterario e pagate da soldi pubblici. «È una consuetudine nel mondo dello spettacolo – racconta Soria – i premi venivano pagati in nero, gli artisti vogliono così altrimenti non vengono o chiedono cinque volte tanto».
E fa i nomi di Corrado Augias, «il più vorace di fondi neri», Philip Roth che «voleva almeno 30mila dollari», e poi «Giancarlo Giannini, Eleonora Giorgi, Stefania Sandrelli, Charlotte Rampling, Michele Placido, Fabio Troiano, Franco Nero, Isabella Ferrari, Vincenzo Cerami, Vassili Vassilikos».
Qualcuno ammette, Franco Nero nega: «Sono in America, non so neanche cosa sia quel premio e quel signore non l’ho mai conosciuto».
Il «patetico Alain Elkann aveva preteso di volare a New York con la moglie in business class e ci costò 13mila euro», dice Soria.
«Parlerà il mio avvocato», risponde lui. Anche dirigenti del ministero dei Beni culturali erano di casa, così come i politici, che attingevano pure dalle casse del Premio: «L’assessore di Torino Fiorenzo Alfieri aveva chiesto denaro per l’allora sindaco Sergio Chiamparino e in due occasioni glielo diedi ». Secca la replica del governatore: «Mai avuto rapporti finanziari con lui».
Giuliano Soria rievoca gli anni floridi, tratteggia le trame di politica e salotti. «Il Grinzane Cavour dipendeva dai politici e in particolare da Mercedes Bresso, che lo usava per le sue attività di relazione.
Molte manifestazioni sono state organizzate per compiacere lei e il marito, anche per il loro compleanno», è il suo colpo di fioretto.
L’ex presidente della Regione Piemonte ribatte: «Semmai era il Grinzane che sfruttava la mia presenza, però ho sempre pensato che il Premio potesse avere un valore per il Piemonte».
Soria sa che le sue parole faranno rumore e gli daranno ancora un giorno di celebrità . Potrebbe sembrare lo sfogo di un imputato che si concede un’ultima comparsata ora che non ha più nulla da perdere.
Ma le sue parole sono perfettamente studiate e anche le persone che trascina nello scandalo sono evidentemente solo una parte di quelle che ha frequentato. I magistrati avrebbero festeggiato per una confessione così anni fa, quando indagavano sulla capacità di penetrazione del «sistema Grinzane».
Oggi, al massimo, potrà servirgli a ottenere una condanna un poco più lieve per se stesso e per suo fratello Angelo.
Federica Cravero e Ottavia Giustetti
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 18th, 2015 Riccardo Fucile
I DATI DANNO RAGIONE: IN 20 ANNI CALO DELL’80% DELLE PROSTITUTE… IL 60% DEGLI UOMINI SVEDESI E’ D’ACCORDO E I CLIENTI SONO SCESI ALL’8%
Per limitare la prostituzione di strada, il Comune di Roma vuole concentrarla in alcune zone, come hanno già tentato di fare altre città , prima fra tutte Venezia/Mestre.
Nello stesso tempo, alcune proposte di legge vorrebbero legalizzare pienamente anche in Italia la compravendita di prestazioni sessuali, seguendo l’esempio di Paesi come l’Olanda e la Germania.
L’Italia dovrebbe affrontare con lungimiranza la questione prostituzione, perchè è dal 1958 che il Parlamento non ne discute
Tuttavia, la legalizzazione non è l’unica strada possibile.
Paesi all’avanguardia nell’emancipazione sessuale e nei diritti civili seguono il cosiddetto «modello svedese», adottato – sulla spinta dei movimenti femministi – in Svezia dal 1999 e successivamente in Islanda e Norvegia.
Questi Paesi sanzionano chi acquista prestazioni sessuali (ma non chi vende sesso): non per moralismo o paternalismo, ma perchè comprare sesso è considerato violenza contro la persona, anche quando il/la sex-worker afferma di svolgere tale attività per scelta.
Nei Paesi citati, questa legislazione è integrata con l’accompagnamento e l’assistenza verso chi vuole lasciare il lavoro del sesso.
Le prime ricerche sull’effetto di queste leggi sono incoraggianti, poichè si rileva una significativa riduzione del fenomeno, specialmente in strada.
In Svezia nel 1995 operavano circa 3.000 prostitute/i, mentre nel 2008 stime analoghe parlano di 300 prostitute/i in strada e 350 in casa.
La Svezia avrebbe un decimo delle/dei prostitute/i della Danimarca, a fronte di una popolazione quasi doppia.
Inoltre, il numero di uomini che riferisce di aver comprato sesso scende dal 13% del 1996 all’8% del 2008, e gli uomini svedesi favorevoli alle sanzioni verso i clienti passano dal 20% del 1996 al 60% del 2008.
Quindi, se l’obiettivo è ridurre la prostituzione e ridimensionare tutto il mondo di sfruttamento che ci gira attorno, la strada seguita dalla Svezia sembra essere quella giusta.
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