NIENTE GUERRA (PER ORA) MA RENZI RESTA IN TRINCEA
IL PREMIER DETTA UNA LINEA PRUDENTE AI SUOI MINISTRI (ESTERI, DIFESA E INTERNO): DIPLOMAZIA AVANTI TUTTA
L’intervento militare in Libia è l’ultima ratio: dopo tre giorni di dichiarazioni bellicose e la frenata di Renzi lunedì, la linea ufficiale del governo italiano è questa. Ieri, il presidente del Consiglio ha riunito il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, il titolare del Viminale, Angelino Alfano e il sottosegretario con delega ai servizi, Marco Minniti, per chiarire la posizione dell’esecutivo.
Che spinge per l’intervento della diplomazia e lascia sullo sfondo l’azione militare.
L’Italia non esclude in futuro la possibilità di un intervento armato. Ma solo ed esclusivamente sotto l’egida delle Nazioni Unite, e se tutte le carte diplomatiche dovessero fallire: su questa posizione Roma starebbe cercando di coalizzare anche i partner in una girandola di telefonate che ieri ha visto il premier chiamare anche Hollande all’Eliseo.
“Identità di vedute” con il presidente francese, ha fatto sapere Palazzo Chigi.
Tra gli interlocutori ci devono essere anche Russia e Cina, due superpotenze non solo per il loro diritto di veto in Consiglio di sicurezza, ma anche per gli interessi strategici di Pechino e Mosca in Africa.
Per elaborare questa posizione, nei corridoi di Palazzo Chigi si dice che il presidente del Consiglio abbia tenuto conto delle informazioni dei servizi segreti, arrivate sul tavolo di Minniti.
Che hanno chiarito sia la reale situazione della Libia, sia i pericoli insiti in un’azione militare nel Paese.
L’ISIS è infiltrata a Tripoli, controlla un pezzo di Sirte, e Derna: si tratta di tribù, bande, pezzi di bande militari, che hanno preso come brand, come bandiera, l’Isis (non a caso Renzi ha sintetizzato davanti alla direzione del Pd “alcune milizie hanno voluto fare dell’Isis il loro punto di riferimento, perchè affascinate dalla sua comunicazione”).
Tra i rischi, quello che l’Isis si incancrenisca, non solo per altro terrorismo ma anche per infiltrazione della criminalità e della mafia.
Il primo obiettivo “diplomatico” è avvicinare — anche con un rafforzamento dell’inviato Onu Bernardino Leon (si parla di un affiancamento di Romano Prodi) — le due fazioni: quella del governo di Al Thani a Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, e il Congresso nazionale libico, sostenuto dalle milizie filo-islamiche a Tripoli.
Convincendole a trovare una posizione di unità nazionale, finalizzata a combattere l’Isis. Serve poi l’ impegno anche dei Paesi vicini alla Libia (Turchia, Qatar, Emirati Arabi, Egitto).
E un’iniziativa forte dell’Onu, che finora si è molto occupata di Ucraina, trascurando la questione libica.
Se mai si arrivasse all’intervento militare, questo dovrà essere graduato su quello che si trova sul campo: ci vogliono non meno di 50mila uomini e un impegno decennale. Ora, l’Italia è in chiara difficoltà , vista la contiguità territoriale (e il problema immigrazione) e gli affari dell’Eni: ma il rischio è che una guerra in quel Paese diventi il nostro Vietnam.
Oggi Gentiloni riferirà a Montecitorio, tenendo ferma la linea dell’azione diplomatica. Che poi è la soluzione verso la quale ha spinto anche il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, ieri, a conclusione dell’incontro bilaterale Italia-Santa Sede nella ricorrenza dei Patti Lateranensi.
La posizione “diplomatica e politica” sotto “l’egida dell’Onu” è stata affrontata anche nella telefonata tra il presidente americano Barack Obama e quello italiano Sergio Mattarella.
Oggi pomeriggio (ora italiana) ci sarà a New York una riunione del Consiglio di sicurezza Onu, da cui ci si aspetta qualche risposta.
La posizione del governo italiano è comunque complicata: Roma non vuole stare in panchina, insieme a “calma” e “prudenza” c’è l’esigenza di rimanere tra i protagonisti di una possibile azione in un Paese cruciale.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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