Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
IL PM BISCEGLIA MUORE IN UN INCIDENTE STRADALE E IN ALCUNI APPARTAMENTI DEL PARCO VERDE SI FA FESTA
I pedofili, detti anche “orchi”, provano qualcosa simile alla gioia, quando fanno del male alle piccole vittime e soprattutto quando capita qualcosa di brutto a chi ha “osato” mettere il naso in quella cloaca che è il loro mondo segreto.
A questa orribile regola di comportamento non sono sfuggiti gli orchi del Parco Verde, uno dei quali spedito in cella proprio dal pubblico ministero Federico Bisceglia per aver abusato dalla stessa figlia.
Poco dopo le nove, quando il sito internet de “il Mattino” ha pubblicato per primo la notizia della tragica morte del pubblico ministero, sono stati fatti esplodere alcune batterie di fuochi artificiali, seguiti da radio ad altissimo volume a trasmettere un “è schiattato” tratto dal riff di qualche macchietta dialettale di serie b.
Lo Stato assiste impotente a questa manifestazione vergognosa, la politica non ha nulla da dire, i destorsi che fanno passerelle nei campi rom o ambiscono ad affogare i profughi tacciono.
Forse perchè vale il “prima gli italiani”, intesi anche come pedofili ?
O i pedofili italiani appartengono a una categoria protetta della nuova destra xenofoba?
Noi diciamo prima la legalità , a qualsiasi costo.
I bambini non si toccano, bastardi.
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
ZAIA FINANZIATO SOLO DAL PARTITO: MA LA CIFRA PRECISA NON LA DICE
“Chi è indagato, sotto processo o condannato, è preferibile che non finanzi la nostra campagna elettorale”. 
L’ufficio stampa di Alessandra Moretti spiega questa improvvisa svolta al telefono, quando facciamo notare che, tra i finanziatori della campagna elettorale di appena nove mesi fa, quella per le Europee, c’è chi è sotto processo per un’evasione fiscale da 70 milioni, come l’attuale presidente della Fiera di Vicenza, Matteo Marzotto.
“È preferibile? ”, chiediamo. “Beh — ci rispondono — non possiamo certo impedire a qualcuno di fare donazioni, se lo ritiene opportuno”
In attesa di conoscere i finanziatori della campagna elettorale in corso, abbiamo letto l’elenco di quelli di appena nove mesi fa e, al di là delle cifre, che non superano i 5 mila euro e si attestano spesso sui mille, è il parterre che si rivela davvero interessante.
“Dice davvero? — commenta quasi incredulo Alberto Altieri — È preferibile che questa volta non la finanzi perchè sono indagato? Mi dispiace, l’avrei fatto volentieri, vorrà dire che farò un passo indietro, la sosterrò solo con il voto”.
Alberto Altieri si autodefinisce un “grande elettore” di Alessandra Moretti.
È un simpatico 72enne di Thiene, provincia di Vicenza, e con la sua voce flebile guida un impero che vanta 115 anni di storia e 28 milioni di fatturato l’anno: lo studio di progettazione Altieri.
Una società — per comprenderne il livello – che figura tra i sostenitori della Fondazione Marcianum, guidata dal Gran Cancelliere nonchè Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, presieduta dall’ex re del Mose Giovanni Mazzacurati e frequentata, in qualità di consigliere, dall’ex “doge” nonchè ex ministro di Forza Italia Giancarlo Galan, oggi agli arresti domiciliari, e dall’ex sindaco del Pd Giorgio Orsoni, anch’egli indagato nell’inchiesta sul Mose.
In questo Veneto di ex, l’ex fidata segretaria di Galan, Claudia Minutillo, di Altieri disse a verbale: “Lo studio Altieri è ovunque”.
Il punto è che il “grande elettore” Altieri è indagato a Roma con l’accusa di truffa ai danni dello Stato: l’emergenza ambientale nella laguna di Grado e Marano — è la tesi del pm Alberto Galante – era stata inventata, tra il 2002 e il 2012, per incassare milioni dallo Stato e poi spartirli tra amministratori e imprenditori.
Nell’elenco dei 26 indagati figurano anche l’ex direttore generale del ministero dell’Ambiente, Gianfranco Mascazzini, e l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati.
Tra i grandi accusatori c’è Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni, il quale riferisce che la laguna di Grado e Marano era soltanto uno dei tanti commissariamenti, creati con “il malcelato fine di affidare prima la progettazione, e poi la realizzazione degli interventi, a soggetti di comodo, come Sogesid, Thesis e Studio Altieri”.
È vero che Altieri, per questa vicenda, era stato archiviato a Udine ma il 20 maggio, quando Moretti incassa il bonifico dei suoi mille euro, la storia era già nota.
E di certo era noto che il fratello di Alberto Altieri, Vittorio, da poco scomparso, era il compagno di Lia Sartori, parlamentare europea di Forza Italia, di lì a poco arrestata dalla procura veneziana per lo scandalo Mose.
“Ma io ho finanziato la Moretti — tiene a precisare Alberto Altieri — e non Lia Sartori. Perchè i sentimenti — spiega — non c’entrano niente con le scelte politiche”.
Mille euro sono un’inezia, per una campagna elettorale, soprattutto per imprenditori del calibro di Altieri o Marzotto, ma quel che conta non è la cifra, bensì il sostegno, il cosiddetto endorsement.
Quando il piccolo grande finanziatore Matteo Marzotto bonifica i suoi mille euro per Moretti, è il 2 maggio 2014, ed è già da tempo imputato a Milano per un’evasione fiscale da circa 70 milioni di euro, legata alla vendita del marchio Valentino.
Nel suo curriculum spicca la presidenza dell’Enit — lasciata nel 2011 — che gli fu conferita direttamente da Silvio Berlusconi.
Ed ecco il rendiconto delle europee del 25 maggio scorso: 64.531 euro, dei quali 21.531 ricevuti da persone fisiche, 30 mila da imprese, 11mila spesi di tasca propria da Alessandra Moretti.
La candidata Pd, 9 mesi fa, poteva vantare il sostegno dell’ex presidente della Fiera di Vicenza Roberto Ditri — con i soliti mille euro d’ordinanza — e quello della Unicomm (grande catena di ipermercati) del patron Marcello Cestaro, ex presidente del Calcio Padova, squadra sull’orlo del fallimento.
Avrà pure finanziato la Moretti e il Pd, con i suoi tremila euro, ma a Cestaro le coop non stanno certo simpatiche: “Se la Coop — spiega a Il Giornale — decide di aprire un ipermercato a Bologna o Reggio Emilia, ci mette un niente. Noi abbiamo comprato un’area a Bassano nel 1990 e la prima signora col carrello è entrata nel 2012”.
Altri mille euro arrivano invece dalla Fiamm, che produce batterie, e vede il suo amministratore delegato, il 65enne Stefano Dolcetta, vicepresidente per la relazioni industriali di Confindustria.
La sua posizione sui contratti di lavoro è chiara: “È un errore modificare il Jobs Act sui licenziamenti collettivi”, ha dichiarato al Corriere della Sera, qualche giorno fa, ammonendo Renzi.
Questo è il profilo degli endorsement ricevuti dalla Moretti appena 9 mesi fa, incluso quello di Gianfranco Simonetto, cognato di Enrico Maltauro che, nell’inchiesta milanese sull’Expo, ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi.
La Maltauro è il colosso vicentino delle costruzioni, oggi presieduto da Simonetto, che non è indagato e a maggio scorso si attivò per la campagna elettorale della Moretti: “Ci fu solo una cena, organizzata a casa sua, alla presenza di alcuni amici — precisa l’ufficio stampa dell’azienda — ma senza alcun contributo”.
Infatti il nome di Simonetto non compare nell’elenco dei finanziatori della Moretti.
E nessun nome compare, invece, nell’elenco dei finanziatori, per l’ultima campagna elettorale del leghista Luca Zaia, attuale presidente del Veneto, quella delle regionali 2010.
Zaia ha dichiarato un sorprendente zero euro e zero centesimi.
“Le regionali del 2010 sono state finanziate dal partito — spiega il suo ufficio stampa — e non vogliamo contributi da privati: questa era e resta la nostra linea. Contribuirà il partito per quanto necessario, e tutti i candidati della Lega, Zaia incluso, parteciperanno alle spese per il saldo finale”.
Ma quanto a spese, nel 2010, la Lega Nord per la campagna elettorale di Zaia? “Dovremmo contattare il commercialista, è sabato, è in corso la manifestazione a Roma… non possiamo darle una cifra precisa”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
TRE LE NAVI IMPEGNATE PER PROTEGGERE L’IMPIANTO DI SABRATHA
Se non è un piano di intervento militare gli assomiglia molto. Le manovre navali nel Mediterraneo svelate ieri vengono confermate dai vertici dell’esercito.
Le navi sono tre, potrebbero arrivare a quattro.
Formalmente parlano di operazioni di addestramento il generale Claudio Graziano, subentrato ieri come capo di Stato Maggiore della Difesa all’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, e Pierpaolo Ribuffo, comandante del Gruppo navale impegnato in «Mare Aperto», l’esercitazione che prende il via dopo lo stop di Mare Nostrum.
La coincidenza con la crisi libica è però troppo evidente per rimanere sullo sfondo.
Niente illusioni ammette il ministro della Difesa Roberta Pinotti, «il periodo che abbiamo di fronte non sarà dei più facili».
Posizionamento strategico
Motivo per cui sia Graziano che Ribuffo ammettono come le attività addestrative svolgano «certamente anche un ruolo di sicurezza, deterrenza» e di «dissuasione». Attività che non escludono il dovere «di intervenire – precisa Binelli Mantelli – di fronte a violazioni del diritto internazionale».
La linea lungo la quale si muoveranno le navi è un posizionamento strategico a ridosso dalle acque internazionali.
Nessuno ormai nasconde il rischio che il caos in Libia possa inghiottire gli interessi italiani.
A partire dalla piattaforma offshore di Sabratha, a 80 chilometri dalle spiagge libiche.
È la struttura da difendere a ogni costo, con priorità altissima: se venisse colpita staccherebbe il rifornimento al terminal di Mellitah, che triangola con il gasdotto dell’Eni Greenstream, collegato alla Sicilia.
Il personale posto a guardia potrebbe non bastare in caso di attacco, come è avvenuto a metà febbraio ai giacimenti di Mesla e di el-Sarir, vicino a Tobruk.
Fortunatamente le attività Eni sono in prevalenza concentrate nelle regioni occidentali, meno esposte per ora alla furia jihadista.
Precauzioni difensive
La situazione incontrollata suggerisce però precauzioni difensive definibili, appunto, «dissuasive».
D’altronde, che l’opzione militare non sia un tabù lo attestano le parole di Pinotti, per la quale nella risposta alle crisi internazionali «la componente militare deve sapersi combinare» con le vie diplomatiche, economiche e di intelligence.
E anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, pur sottolineando la contrarietà a interventi esterni, avverte l’«urgenza di raggiungere risultati», per mettere al riparo l’Italia dalle mire terroristiche.
L’elenco dei target di difesa aerea e antisommergibile è ampio, ammettono dalla Difesa, il che spiega il coinvolgimento degli incursori del Comsubin partiti da La Spezia – vera e propria unità di anti-terrorismo – di marò del San Marco e di elicotteri imbarcati ieri.
Un dispiegamento massiccio da impiegare in caso di necessità .
È in questo scenario che si collocano le ricostruzioni delle ultime ore sulla nave San Giorgio che nel cuore della notte carica forze speciali e mezzi a La Spezia, per poi dirigersi alla base di Augusta da dove assieme al cacciatorpediniere Duilio e alla fregata Bergamini salpati da Taranto punterà a lambire le acque libiche.
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
LASCIA IL PRESIDENTE, IN PASSATO AVEVA TRASCORSO 15 ANNI IN CARCERE PER AVER PARTECIPATO ALLA GUERRIGLIA TUPAMAROS
«Se avessi a disposizione altre due vite, le impiegherei entrambe per aiutarvi nella vostra lotta». 
Parla commosso Josè Mujica ai suoi sostenitori in uno dei tanti incontri che hanno preceduto la cerimonia con la quale oggi consegnerà la presidenza dell’Uruguay al medico Tabarè Và¡zquez, suo compagno di partito, che ritorna al potere dopo cinque anni. «Pepe», come lo chiamano i suoi, termina il suo mandato con una popolarità molto alta e una stella in ascesa, che va ben oltre i confini del più piccolo Paese del Sudamerica.
Le battaglie storiche
Icona moderna del progressismo, alfiere di battaglie storiche come la legalizzazione dell’aborto, i matrimoni fra le persone dello stesso sesso e, soprattutto, la liberalizzazione della marijuana, una legge unica al mondo che entrerà in vigore quest’anno dando allo Stato il controllo della vendita e distribuzione della canapa.
Molti leader continentali saranno oggi presenti a Montevideo per dimostrargli, ancora una volta, la stima e l’affetto che già gli hanno espresso negli ultimi mesi in tutti i forum a cui hanno partecipato.
Così come fu Fidel Castro, Mujica è diventato un punto di riferimento per i governi di sinistra della regione.
Piace perchè alle parole ha aggiunto i fatti, con uno stile di vita particolarmente austero, da «presidente più povero del mondo».
«Non sono povero – ama ripetere – ma molto ricco, perchè la mia ricchezza non viene da cose materiali ma dall’esperienza e dalle battaglie che ho portato avanti».
Dal maggiolone blu alla scelta di continuare a vivere nella casa in campagna con i polli e le galline, fino alla decisione di destinare l’ottanta per cento dello stipendio per la costruzione di case popolari alla periferia di Montevideo, condomini dove oggi vivono centinaia di famiglie.
C’è chi sostiene che un fenomeno politico come il suo era fattibile solo in Uruguay, un Paese di appena tre milioni di abitanti, con l’indice di corruzione più basso del continente e una tradizione di Welfare State che risale ai primi del Novecento.
Ma è stato lui stesso a ricordare che quel sistema sociale era stato distrutto dai militari e poi dai governi conservatori.
Protagonista nel mondo
«Durante quasi 50 anni il mondo ci ha considerati una specie di Svizzera, poi siamo stati figli bastardi dell’impero britannico, infine ci siamo impoveriti, ricordando l’unica nostra gloria sportiva, il “Maracanazo” ai mondiali di calcio del 1950. Se oggi siamo risorti in questo mondo globalizzato è perchè abbiamo imparato dai nostri errori».
Profeta no global, con un linguaggio schietto e non accademico, Mujica non ha esitato a intervenire sulla scena internazionale.
Ha ricevuto i rifugiati della guerra in Siria e poi cinque ex prigionieri del carcere di Guantanamo, dopo essersi messo d’accordo, da ex guerrigliero tupamaro con il vicepresidente americano Biden, che ha voluto essere presente oggi a Montevideo.
Ancora in politica
Il suo futuro, ora, non è certo la pensione. È stato eletto senatore con record di voti e a maggio aiuterà la moglie Lucia Topolanski, anche lei senatrice, nella corsa per la carica di sindaco di Montevideo.
Ha già detto che non esclude di candidarsi per le presidenziali del 2019, quando avrà 85 anni.
Da qualche settimana, poi, è online il suo sito web personale (pepemujica.uy), attraverso il quale intende mantenere il dialogo con gli ammiratori sparsi per il mondo.
Nella home page, una sua foto in bianco e nero e due parole di ringraziamento facili da capire in tutte le lingue: «Gracias Pueblo!».
Emiliano Guanella
(da “La Stampa”)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
MARONI IN SEI MESI MESI HA SPESO 5,9 MILIONI SU 6 IN CASSA IN NOLEGGI, SONDAGGI E SOCIETA’ DI COMUNICAZIONI… I 71 DIPENDENTI LICENZIATI: “E A NOI HANNO NEGATO UN MILIONE PER ATTIVARE I CONTRATTI DI SOLIDARIETA'”
I diamanti di Belsito valevano 90mila euro. Per recuperarli e mostrarli a Pontida Roberto Maroni ne ha spesi più in avvocati.
Complessivamente allo studio del legale di fiducia Domenico Aiello la Lega ha versato 804mila euro per undici parcelle.
Quando l’attuale presidente della Lombardia è diventato segretario della Lega, i costi di via Bellerio hanno registrato un notevole aggravio.
Un dato: dal 31 gennaio 2013 da uno dei conti del partito in appena sei mesi sono usciti 5,9 milioni di euro. In cassa rimangono 100mila euro.
Si va dai soldi per un cambio gomme (450 euro) agli affitti, dai 50mila euro alla scuola Bosina (della moglie di Bossi) ai 20 di autonoleggi.
Prima il Nord (ora il Sud)
Non ci sono le mutande verdi di Roberto Cota nè le canottiere di Umberto Bossi, perchè ogni leader ha il proprio pallino.
E quello di Maroni sembra essere la comunicazione.
Basti dire che in appena tre mesi, da marzo a maggio 2013, dalle casse della Lega escono 414.500 euro solo per Google.
Le elezioni si erano appena concluse e Maroni era impegnato nel lancio della sua nuova Lega con lo slogan “Prima il Nord”. Iniziativa miseramente naufragata, considerato che il Carroccio ora punta al sud.
Maroni però ci credeva e anche Matteo Salvini. L’attuale segretario fu infatti incoronato leader al Lingotto di Torino durante il congresso che sancì la nascita di “Prima il Nord”.
Per il solo affitto del Lingotto per i due giorni dalle casse della Lega sono usciti 48mila euro.
Nulla rispetto alle iniziative volute da Maroni per la sua campagna elettorale.
Il 23 e 24 febbraio 2013 si vota per le Politiche e per le Regionali in Lombardia.
La sua è una vittoria quasi annunciata, grazie all’accordo raggiunto con Silvio Berlusconi con la benedizione ciellina, dopo numerose resistenze, di Roberto Formigoni.
Eppure Maroni non si sente troppo sicuro e investe in comunicazione i soldi della Lega. 150mila se ne vanno per “pulire internet”, compito affidato a una società di “reputation manager”.
In appena tre giorni vengono poi distribuiti 250 mila euro, così: 125 mila alla società Opportunity marketing per un “piano media Lega Nord” il 18 febbraio, il giorno successivo 52.550 al gruppo Fma come acconto per “Guerrilla pre evento elettorale” e 22mila a Mailclick per la campagna Lega Nord, mentre il 20 febbraio 53.449 euro vanno alla Manzoni: pubblicità .
A queste spese vanno aggiunte quelle dello staff, la Pubblica Comunicazione di Patrizia Carrarini, ora assunta in Regione con un contratto da 139 mila euro più 41 mila di premio risultato.
Per la sola campagna elettorale di Maroni la società di Carrarini incassa 199 mila euro. In due mesi.
Poi ci sono i sondaggi. Il leader del Carroccio si affida a Swg a cui versa in sessanta giorni, 155 mila euro.
Infine gadget, hostess, marketing. Complessivamente per queste voci se ne vanno dalle casse della Lega altri 500 mila euro.
I documenti del Fatto Quotidiano
Fatture, contratti, ricevute di questi movimenti sono in possesso del Fatto Quotidiano. Tenendo in considerazione esclusivamente il conto corrente acceso presso la Sparkasse Cassa di Risparmio da Stefano Stefani, il segretario amministrativo che sostituì nel 2012 l’ex tesoriere Francesco Belsito, in uscita sono state registrate movimentazioni per 5,9 milioni di euro in appena sei mesi, quelli compresi tra il gennaio e il luglio 2013.
Piena era Maroni. Che si prende cura comunque anche del quotidiano La Padania. Nonostante i 60 milioni di euro ricevuti dallo Stato come finanziamenti all’editoria, il giornale del partito naviga in cattive acque.
Maroni sovvenziona con tre bonifici da 150mila euro la società che lo edita, inoltre fa sottoscrivere al suo partito ben 20.613 abbonamenti per un costo complessivo a carico delle casse di via Bellerio di 773.193,63 euro.
Per essere esatti. Il foglio del Carroccio chiuderà i battenti comunque, finendo nelle macerie che si ritrova a gestire Salvini.
Basti pensare che il Matteo cresciuto a Bossi e acqua del Po oltre a chiudere il quotidiano, la tv e la sede, ha licenziato tutti i dipendenti: 71 persone che, da accordi sindacali proposti, sarebbero stati salvati con uno stanziamento di appena un milione di euro da parte del partito.
Ma Salvini ha detto no, non ci sono soldi. I delegati Rsa, Francesco Bonora, Franco Quaglia e Roberto Marraccini, confermano. “La Lega ha negato quel milione di euro che avrebbe attivato i contratti di solidarietà per tutto il 2015, niente da fare: negati”.
Obiettivo: azzerare il personale
L’idea di “azzerare il costo del personale” in realtà era già stata messa nero su bianco il 3 aprile 2013 dallo studio commercialisti Pallino interpellato all’epoca da Maroni per capire come gestire i fondi a disposizione e risparmiarne qualcuno anche in vista dell’annunciata riduzione dei contributi elettorali dallo Stato.
La relazione conclude con la previsione di “possibili tagli del 35% su tutti i costi”. Personale, parco auto (che ammontava a 1,7 milioni). Quattro paginette. La consulenza viene pagata il 30 giugno 25mila euro. Poi Maroni si affida alla Price Water House.
Quanto costano i noleggi
Ci sono poi le spese vive, la quotidianità .
Maroni e la sua portavoce storica, Isabella Votino, hanno un contratto di noleggio con conducente con la società Blue Car Milano. E in auto vanno un po’ ovunque.
Ad aprile, ad esempio, per raggiungere il sacro prato di Pontida da dove sventola i noti diamanti di Belsito, fa un giro di appena 218 chilometri: Pontida-Milano-Varese-Pontida. Ma l’autista aspetta per sei ore.
A febbraio, mese delle elezioni, è tutto un viaggiare tra studi televisivi e case.
Prendi Maroni, prendi Votino, porta a Sky, aspettali a Sky. Riportali a la7. Poi Rai. Insomma, alla società in pochi mesi vengono pagati servizi per oltre 20 mila euro. All’epoca, tesoriere era Stefano Stefani.
Contattato telefonicamente per avere delucidazioni in merito alle uscite di 5,9 milioni avvenute proprio l’anno successivo allo scandalo Belsito, spiega molto semplicemente: “L’amministrazione si limita a registrare le spese approvate dal federale”.
Stefani ha lasciato l’incarico dopo un anno.
Era tra i favorevoli a presentare la Lega parte civile nel processo contro Belsito. E lo è tuttora.
Iniziativa che Salvini ha invece ritirato.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
“COLPA DEL CERCHIO MAGICO, EMARGINATI TUTTI COLORO CHE RESISTONO A METODI INACCETTABILI”
Ha tagliato i ponti con il circo berlusconiano. Raramente a Roma e mai ad Arcore, solo un ostinato silenzio. 
A un tratto, però, Sandro Bondi torna a farsi sentire. Quando è troppo, è troppo.
«In Piemonte hanno colpito due persone per bene senza alcun motivo. È una epurazione assurda, opera del cerchio magico che ruota attorno a Berlusconi», confida al sito “lo Spiffero”.
I malcapitati a cui si riferisce il senatore sono Valter Zanetta, coordinatore azzurro di Verbania, e il commissario torinese Ettore Puglisi.
Sono stati messi alla porta senza prevviso dal coordinatore regionale Gilberto Pichetto.
La colpa? Aver scelto di schierarsi con Raffaele Fitto.
Lontani i tempi in cui organizzava seminari politici nella splendida cornice di Gubbio, anche Bondi è rimasto vittima dalla brigata che gestisce l’agenda dell’ex Cavaliere.
Senatore Bondi, cosa succede?
«Mai avrei pensato che nel partito che ho contribuito a fondare si potesse arrivare a livelli tanto bassi».
Dopo tanto silenzio interviene per difendere i due dirigenti allontanati.
«Abitando in Piemonte, ho fatto solo una considerazione dopo quanto avvenuto ieri. In questo periodo stanno avvenendo cose molto gravi e difficili da comprendere».
L’input è arrivato dal cerchio magico. Hanno rimosso due fittiani, in un clima da resa dei conti.
«Io non faccio parte di nessuna corrente, ma constato da tempo che c’è una volontà di emarginare tutti coloro che, per diversi motivi, non si adeguano a cose e metodi che sono inverosimili e inaccettabili».
Ha avuto modo nelle ultime settimane di sentire Berlusconi per manifestare questo malessere?
«Da tempo non lo sento».
Però è amareggiato.
«L’altro ieri un giornale mi ha nuovamente preso di mira scrivendo che io e Manuela (la senatrice Repetti, la compagna a cui è legatissimo e con cui trascorre il suo tempo lontano dalla politica) saremmo stati a capo di un gruppo a favore dell’Imu agricola».
Non è così?
«È una cosa assolutamente falsa e strumentale. E non credo che sia stata casuale»
Pensa al cerchio magico?
«Non so se il tentativo di screditarmi pubblicamente e altre cose che stanno avvenendo siano collegate e gestite dal cerchio magico. Io preferisco continuare a restare nel silenzio e, soprattutto, fuori dalla politica».
Di certo il pugno di ferro è benzina sul fuoco dello scontro intestino, come rileva immediatamente Raffaele Fitto.
«C’è ormai un vero e proprio allarme democratico nel nostro partito, le primarie sono più che mai necessarie e urgenti. Dopo quanto è accaduto in Puglia, ora si assiste ad assurde ritorsioni anche in Piemonte».
Pochi giorni fa, in effetti, l’intera classe dirigente pugliese di Forza Italia si è dimessa in seguito al commissariamento del coordinatore regionale fittiano.
Non è la prima volta che Bondi si lascia andare a uno sfogo.
«Questa storia è finita – confidò al Foglio nel novembre del 2013 – dietro Berlusconi non c’era niente. In questi anni non abbiamo costruito nulla di umanamente e politicamente solido o autentico. Finisce male».
Per lui, che ha amato il leader, il nuovo corso è causa di quotidiano tormento.
Fino alle epurazioni, l’ultimo sgarbo che fatica ad accettare: «Sono convinto che questa decisione sia stata imposta a Pichetto. Mai l’avrebbe presa di testa sua, come mai Berlusconi avrebbe agito in questo modo».
E allora di chi è la colpa? Per il senatore tutto conduce a Maria Rizzotti, chirurgo estetico e parlamentare arruolata dai centurioni di Arcore.
«È lei – ricorda – che fa da cinghia di trasmissione tra il cerchio magico e il partito in Piemonte».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
NON ESISTONO “PIU’ DESTRE”, MA SOLO UN POPOLO CHE HA BISOGNO DI SENTIRSI RAPPRESENTATO… NON SERVONO PAROLE O “LECTIO MAGISTRALIS”, MA GESTA E SCELTE SEMPLICI DA UOMINI VERI
La manifestazione svoltasi ieri a Roma al grido “Renzi a casa”, ha dato una sorta di immagine bidimensionale dello stato della destra in Italia.
Da una parte, l’immagine della cosiddetta pseudo-destra “della pancia”, quella che grida e che cavalca la disperazione e la rabbia della gente, alla ricerca della “pesca delle occasioni”.
Dall’altra, quella della destra raffinata, elegante, sofisticata: quella della “destra con cultura di Governo”, che però non riesce neanche più a portare 100 amici in una sala prenotata per 1.000 persone.
La realtà è che non ci sono “più destre”, ma “solo” un popolo moderato che ha bisogno di risentirsi protagonista e degnamente rappresentato, sia nelle istanze che nei bisogni di ogni tipo.
Fino a quando avremo politici e politicanti che penseranno di essere solo loro a contare e a “segnare la via”; fino a quando avremo politici che continueranno ad immaginare di potersi mettere su una cattedra per “fare la lezione al popolo”, la nostra idea non avrà mai un futuro.
A “chi ha dato”, consiglierei vivamente di farsi da parte: non ha più, nè l’autorità , nè l’autorevolezza, nè la lucidità per dispensare pseudo-patenti, compiti, funzioni o per individuare chi avrebbe diritto di incarnare una possibile storia diventandone il leader.
La sovranità si appartiene al popolo e sarà proprio il popolo che dirà “chi, come e quando”.
Nelle more c’è da prendere atto che la società è variamente composta ed articolata, che ha diverse sfumature e che ha bisogni variamente esplicitati.
Al netto dei distinguo, vi è una parte che non si sente adeguatamente rappresentata, che ha perso la speranza e che ha perso la fiducia in personaggi che hanno saputo soltanto tradire, abbandonandosi alla propria boria.
Un vero leader non dispensa patenti, non impone una strada, non schernisce chi la pensa diversamente: si fa riconoscere e si fa “individuare” dal suo popolo, lo prende per mano, ci si mette accanto e cammina con lui, perchè soltanto insieme sarà possibile stabilire dove e quando “andare”.
Al popolo non interessano le lezioni: per ritornare “a credere” ha bisogno di vedere combattenti audaci, appassionati e irriverenti.
Le distanze dalla gente e dai loro bisogni non si combattono e non si colmano con le parole o con le lectio magistralis.
Occorrono gesta, semplici ma da uomini veri.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
SU 170.000 PROFUGHI ARRIVATI NEL 2014, NE SONO RIMASTI IN ITALIA SOLO 67.034… MENO DEGLI 80.000 CHE IL MINISTRO DEGLI INTERNI LEGHISTA VOLLE REGOLARIZZARE 4 ANNI FA
La realtà è solo ciò che appare. 
È unicamente quel che rimandano in circuito il web, la televisione, i giornali.
Le foto di Lampedusa, i derelitti umani ripresi al largo delle coste, la massa disperata e imballata su gommoni di fabbricazione cinese che dopo tre miglia sono destinati all’inabissamento divengono il fondale della Grande Paura, cartellonistica pubblicitaria per frasi shock, sostegno visivo all’uso quotidiano di uno spot politico che sta facendo faville e merita di essere approfondito.
Siamo invasi dagli immigrati, anzi: siamo all’apocalisse dei barconi.
Nella torre di Matteo Salvini, che ieri svettava alta a piazza del Popolo, a Roma, i neri d’Africa e i musulmani d’Oriente stanno per cingerci al collo, toglierci la libertà , quel poco di prosperità che ci rimane.
Il futuro, la democrazia e quel che segue sono a grave rischio.
I numeri testimoniano un crollo degli arrivi: ma allora di cosa si sta parlando
L’anno scorso, che è pur sempre un anno assai carico di disgrazie e di arrivi, di morti in mare e di attraversamenti ancora annunciati, sono giunti sulle coste italiane – nelle condizioni che sappiamo – 170 mila migranti.
Sono giunti i vivi, perchè dei morti non abbiamo censimento esatto.
Ed è vero che il numero degli sbarcati è quattro volte in più che nel 2013, oltre il doppio rispetto al 2012.
Eppure prendendo in considerazione proprio quest’anno, il numero di arrivi risulta equivalente al numero dei permessi di soggiorno che nel solo 2007 il governo rilasciava attraverso i cosiddetti flussi.
E i permessi vidimati erano almeno quattro volte in meno delle presenze stimate, delle richieste inoltrate, di immigrati clandestini già al lavoro da noi.
Se poi dovessimo incolonnare le cifre di chi ad oggi è rimasto in Italia dopo lo sbarco, di coloro attualmente assistiti nelle diverse strutture d’accoglienza, dovremmo riconsiderare nettamente al ribasso la cifra iniziale perchè dei 170 mila sbarcati circa centomila sono i ripartiti.
Ad oggi infatti le presenze censite arrivano a 67.034
Numero che risulta sconfitto dall’offerta che solo nel 2011 il ministero dell’Interno – lo guidava il leghista Roberto Maroni, anch’egli sul palco ieri a sventolare la bandiera della sovranità minacciata – rendeva disponibile per chi volesse regolarizzarsi. Ottantamila permessi di soggiorno nel relativo decreto flussi: 50 mila a favore di nazionalità cosiddette privilegiate (Paesi che con l’Italia hanno stipulato accordi di cooperazione) e 30 mila destinate all’universo delle badanti.
È praticamente da quell’anno che in Italia i flussi sono scomparsi, che gli arrivi degli immigrati per vie diverse dal mare sono quasi cessati per ragioni essenzialmente economiche.
E da quell’anno l’Italia è divenuta terra d’attracco, di sosta temporanea e poi di transito per il nord Europa (Germania, Olanda, Svezia).
Abbiamo registrato 26 mila visti di asilo politico, contro i 127 mila della Germania.
Esiste dunque, per cifre assolute e relative, un documentato crollo degli arrivi.
Ma ciò che non si vede, semplicemente non è.
La Lega ha sempre fatto un lavoro superlativo per produrre un effetto ottico, un elemento fantastico tra la realtà e l’apparenza.
E dobbiamo dire che c’è quasi sempre riuscita. Nel 2007, per esempio, il senatur Umberto Bossi sbraitava contro terun e neri, la Padania era dei padani eccetera eccetera. A Treviso era stato eletto sindaco lo sceriffo Gentilini, quello che espiantava le panchine dai parchi pur di togliere un sedile a chi non aveva niente.
Eppure, incredibile paradosso, in quello stesso anno le domande di assunzione di extracomunitari nel solo nord est erano pari a circa un terzo delle 740 mila giunte da tutta Italia al Viminale.
Un numero di offerte di lavoro quasi cinque volte superiore a quello permesso dal relativo decreto di regolarizzazione.
Leghisti gli uni e spesso leghisti gli altri.
Leghisti di lotta — i padroncini che chiedevano braccia robuste per le stalle, le fonderie e per aiutare i nonni invalidi — e leghisti di governo che obbligavano a serrare le fila contro l’invasione barbarica.
Ricordatevi le quote latte: il Carroccio fa campagna elettorale, il conto lo paghiamo noi
Esiste una proiezione fantastica della realtà leghista che diviene, per merito della propaganda e di una inclinazione ambientale alla xenofobia, realtà oggettiva, documento inattaccabile, verità assoluta.
È esattamente quel che è successo con gli allevatori padani e le quote latte.
Ricordate?
Gli allevatori – agevolati dal governo di centrodestra e sostenuti apertamente dalla Lega – rifiutarono di produrre entro i limiti stabiliti dall’Unione europea.
Limiti in effetti ingiusti ma che l’Italia aveva sottoscritto. Il gioco del rifiuto è durato trent’anni. Alla fine il conto salato: quattro miliardi di multa da parte di Bruxelles trasformati in revoca dei contributi comunitari di pari importo.
Settanta euro a testa abbiamo pagato.
Chi oggi porta il conto a Bossi, Maroni e Salvini? Nessuno.
L’industria della sicurezza e dell’accoglienza vale 800 milioni e solo il 5% va ai migranti
E chi dice ai capi leghisti che dei circa 800 milioni di euro, una cifra importante, che l’Italia destina al problema dell’immigrazione, meno del 5% giunge in tasca agli immigrati?
Il resto, tutto il resto, è sostegno all’industria dell’accoglienza e della sicurezza, all’indotto del catering alla residenza alberghiera.
La verità è che gli immigrati sono divenuti un reddito per migliaia di italiani.
E se domani d’incanto smettessero gli sbarchi, un mucchio di buste paga salterebbero. Perchè al netto degli abusi, delle camarille di potere se non vere e proprie mafie – vedi l’eclatante esempio di Roma – il circuito finanziario tiene in vita una nuova forma di attività economica, la cosiddetta impresa sociale, che non ha più nulla del volontariato e della carità .
Ogni sbarcato ha diritto a un pocket money di 2,5 euro al giorno a fronte di un contributo statale di 30.
Che è destinato a piccole imprese italiane, coop, società che partecipano ai bandi di gara che la Direzione centrale immigrazione, diretta dal prefetto Morcone, istituisce ogni anno.
Le regioni del Nord si rifiutano di accettare la loro quota di migranti, ma se tutti i comuni italiani si rendessero disponibili ad accogliere (contro soldi) i migranti, il numero in ciascun comune sarebbe di 21 (ventuno).
Cioè niente.
Antonello Caporale
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 1st, 2015 Riccardo Fucile
IL CONTADINO: “ENTRO GIUGNO NIENTE PANE”. IL PESCATORE: “FINITO PURE IL PESCE”….LA MASCOTTE GIOGIO’ APRE IL CONCERTO, POI UNA SERIE DI CORBELLERIE GALATTICHE DEL PADAGNO
Lo spettro lugubre di una carestia apocalittica aleggia in piazza del Popolo: sul palco un sediente rappresentante dei contadini annuncia che in Italia, al massimo entro giugno, finiranno pane, latte e carne. Conclude e salgono due pescatori liguri, padre e figlio.
De profundis anche per l’italico pesce.
Poi è il turno di Simone Di Stefano, vicecapo di Casa Pound, che grida: “In Italia non produciamo più acciaio”. La colpa è “dell’Unione Sovietica Europea”, come dice in un videomessaggio Marine Le Pen, icona europopulista.
Alle 14 e 40, quando mancano venti minuti all’inizio della manifestazione, Piazza del Popolo è piena a metà , fino all’obelisco. Mezzavuota,quindi. Trentaminuti e arrivano in supporto quelli di Casa Pound, ma i numeri dell’invasione fascioleghista di Roma restano bassi.
Non più di 15.000-20.000 persone, secondo fonti ufficiose della Digos.
Il debutto romano della destra blu, questo il colore predominante sul palco, copiato dal lepenismo transalpino, non ha numeri esaltanti.
Un mezzo flop, in cui peraltro c’è di tutto. I salviniani di Orte, per fare un esempio, e quelli della Puglia e della Campania. Il tricolore e la bandiera del secessionismo padano. Le famigliole con la colazione al sacco e le auto blu di chi ha una poltrona come Calderoli o Maroni.
Il discorso di Salvini è peggio: un’insalata russa (mentre sventolano i vessilli russi con l’aquila degli zar) con decine di ingredienti inconciliabili.
Don Milani, don Sturzo, gli immigrati da stendere senza pietà se ti entrano in casa, il turpiloquio continuo, il genocidio degli armeni, le foibe, la prostituzione che esiste da duemila anni e quindi viva le case chiuse.
Prima dell’inizio, due maxi-schermi diffondono il verbo salviniano estrapolato dai talk show.
Ma il contrasto più stridente del casino mentale di Salvini è tra l’evocazione di Alekos Panagulis e i saluti romani; Panagulis, compagno di Oriana Fallaci, combattè il regime greco dei colonnelli.
Prima era toccato aanche alla Meloni, ridotta ormai al ruolo di gruppo spalla o apri-concerto. Bossi, Calderoli e Maroni sono invece sul palco.
Tra fumogeni verdi e petardi e sulle note assordanti di una marcia che è un misto dei Carmina Burana e di Braveheart, il comizio di Salvini comincia alle 16 e 39.
“Perchè ogni volta che dico Renzi dite vaffanculo?”. La piazza esplode. Altri fumogeni e petardi. “Renzi, Renzi, vaffanculo”. E poi Alfano, sempre “vaffanculo”. Linguaggio cupo, oltre che volgare. “Questi infami che governano l’Italia”. “La legge Fornero la cancelleremo e vaffanculo alla Fornero”. “Cazzo, abbiamo una crescita dello 0,1 per cento”. “Prenderemo a calci in culo i falsi invalidi”. “Nella nostra Italia non c’è spazio per i campi Rom. Vai a fare il Rom da qualche altra parte”. “Se entri in casa mia per rubare devi sapere che puoi uscirne steso”. “Renzi servo sciocco dell’Ue” “Chi non salta comunista è” “Vi faremo un mazzo così”. “Anche se non sbaglio nulla, mi rompono lo stesso i coglioni”.
Resuscita, Salvini, persino il termine “zecche” che sta per “comunisti”.
Alla fine, sul lato a destra del palco, quattro giovani padani in carne chiedono a Mario Borghezio di posare per un selfie. Borghezio li guarda e dice: “Vedo che siete anche voi esili come me. Provassero a venire questi quattro black bloc del cazzo”. O quattro “barboni” secondo la versione di Salvini.
Dimenticando che l’ultima volta che sono arrivati vicini a Bologna Salvini non li ha certo affrontati, ma è scappato a gambe levate in auto.
Nulla di fascista, solo leghista.
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