Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
LA BANDA DEI SOLITI NOTI
Finora, a ogni scandalo, abbiamo sempre riconosciuto che Matteo Renzi e il suo governo non
c’entravano, perchè erano appena arrivati.
Da ieri, con l’arresto di Ercole Incalza, non è più così. Il governo c’entra eccome.
Il premier vede platealmente rottamata la sua presunta rottamazione e deve spiegare molte cose, al Parlamento e all’opinione pubblica.
E il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Ncd) se ne deve andare alla svelta.
Il fatto che non sia indagato non vuol dire nulla: per molto meno Renzi due anni fa, quando era ancora un aspirante segretario del Pd, chiese la testa di due ministri del governo Letta, Alfano e Cancellieri, che non erano indagati, ma certamente responsabili di condotte ritenute incompatibili con le loro funzioni (sequestro Shalabayeva e teleraccomandazioni alla figlia di Ligresti).
Lupi deve sloggiare o essere sloggiato non tanto per la storia dei presunti favori a suo figlio da parte di un costruttore arrestato, quanto soprattutto per aver confermato un anno fa e lasciato fino alla scadenza del mese scorso al suo posto di capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza, vecchia conoscenza di procure e tribunali.
Nè Lupi nè Renzi possono dire che non sapevano: nel febbraio 2014, appena nacque il governo, e poi ancora a giugno con un editoriale di Marco Lillo (“O Incalza o Cantone”), il Fatto aveva incalzato — è il caso di dirlo — il governo a rimuovere quel soggetto poco raccomandabile per “820 mila ragioni”: tanti erano gli euro sganciati dall’architetto Zampolini (vedi alla voce Cricca) nel 2004 per pagare la casa a suo genero, a due passi da piazza del Popolo, bissando l’operazione Scajola.
Solo che Scajola disse che la casa gliel’avevano comprata a sua insaputa.
Per Incalza invece la lista degli insaputisti va allargata ai sette governi che gli hanno lasciato le mani in pasta. Ingaggiato da Lunardi (Berlusconi-2), Ercolino Sempreinpiedi fu cacciato da Di Pietro (Prodi-2), poi riesumato da Matteoli (Berlusconi-3) e lasciato lì tanto da Passera (Monti), quanto da Lupi (governi Letta e Renzi).
E siccome un bel giorno andò finalmente in pensione, fu subito riciclato come consulente.
Con l’aggravante che, quando nacque il governo Renzi, Incalza era stato appena indagato (avviso n. 15!) a Firenze per gli appalti truccati del Tav.
Eppure fu subito rinnovato per un altro anno, con un concorso ad hoc. E quando i 5Stelle ne chiesero conto alla Camera, Lupi si presentò a leggere una imbarazzante difesa scritta dal suo avvocato.
Quindi, per favore, questi tartufi che in men che non si dica votano la legge per farla pagare ai giudici mentre da due anni non riescono a votare l’anticorruzione (anzi, riescono a non votarla), ci risparmino almeno lo stupore.
Oltrechè ramificato e invincibile — almeno finchè nessuno si deciderà a combatterla sul serio — la nostra Tangentopoli è anche ampiamente prevedibile: un piccolo mondo antico dove non c’è ricambio nemmeno fra i faccendieri, infatti s’incontrano sempre i soliti noti, già inquisiti ai tempi di Mani Pulite, poi reinquisiti negli anni 90 e 2000, tutti rimasti ai posti di combattimento.
Non nonostante, ma in virtù dei loro trascorsi penali.
Che, nel Paese di Sottosopra, fanno curriculum e sono indice di esperienza e affidabilità . Greganti, Frigerio e Grillo (Luigi) in Expo. Maltauro e Baita nel Mose.
E ora Incalza, già balzato alle cronache giudiziarie nel 1996 per gli scandali ferroviari di Necci & Pacini Battaglia.
Se poi qualcuno è proprio troppo vecchio per trafficare col girello e la flebo, o magari è passato a miglior vita, trasmette il background alla prole: nelle carte di Firenze, fra i comprimari non indagati, affiorano i nomi di Pasquale Trane, figlio del socialista pugliese Rocco, e Giovanni Li Calzi, figlio dell’ex assessore comunista milanese Epifanio.
Fra gli indagati invece troneggia Vito Bonsignore, che non è il figlio dell’andreottiano condannato per tentata corruzione a Torino negli anni 90 e di nuovo pizzicato 10 anni fa nelle scalate dei furbetti del quartierino: è sempre lui, solo che ora è uno degli azionisti di maggioranza — come pure Incalza — di Ncd, prezioso alleato di Renzi, acronimo di Nuovo Centro Destra (per distinguerlo dal vecchio), accreditato dai giornaloni come la “nuova destra liberale ed europea”.
E Antonio Bargone non è un parente dell’ex deputato Pci-Pds-Ds, dalemiano di ferro e sottosegretario ai Lavori pubblici di Prodi e D’Alema: è sempre lui, solo che s’è messo in proprio e presiede le autolinee Sat.
Idem per altri coprotagonisti, anch’essi inquisiti, tipo Rocco Girlanda (ex deputato Pdl e sottosegretario di Letta), Stefano Saglia (ex deputato di An e del Pdl), Fedele Sanciu (ex senatore Pdl) e Alfredo Peri del Pd, assessore della giunta regionale dell’Emilia-Romagna guidata da Vasco Errani, poi caduta per la condanna del governatore per falso in atto pubblico. A prescindere dalle responsabilità penali, che sono personali e saranno vagliate dai giudici, finisce alla sbarra la banda larga dei soliti noti, che da 30 anni “fa il bello e il cattivo tempo” nella grande mangiatoia delle grandi opere: Prima e Seconda Repubblica, governi politici e tecnici, destra e centro e sinistra, rottamati e rottamatori.
L’unico leader che ebbe il coraggio di liberarsi di Incalza, Di Pietro, è anche l’unico espulso dal Parlamento: era incompatibile col sistema.
Per anni ha proposto una legge semplice semplice: fuori dalle pubbliche funzioni i politici e gli amministratori condannati e fuori dalle gare pubbliche gl’imprenditori condannati.
È quello che Renzi chiama “Daspo per i corrotti”, credendo di averlo inventato lui.
Ma si guarda bene dal farlo. Ora forse è più chiaro perchè.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
CORROTTI, CORRUTTORI, FIGLI E COGNATI: E’ IL SELFIE DEL NOSTRO PAESE
Noi non conosciamo i tecnocrati di Stato, questa casta segreta di dirigenti pubblici che le statistiche internazionali considerano la meno efficiente e la più pagata del mondo. Non li conosciamo perchè si rifiutano scaltramente di andare in televisione: l’assenza di volto è per loro garanzia di impunità e di durata.
Chi di voi, fino a ieri, sapeva dell’esistenza di Ercole Incalza, da trent’anni burattinaio delle grandi opere, colui che decide cosa si fa e soprattutto chi lo fa?
Proviene dalla Cassa del Mezzogiorno, la «cantera» dello spreco italico, e da lì è passato ai Lavori Pubblici, dove ha comandato da monarca assoluto con gli ultimi sette governi di destra, sinistra e centro.
Il processo ci dirà se l’ingegner Incalza è davvero il corruttore che lo accusano di essere.
Di sicuro consentire a un uomo — fosse anche San Francesco — di imbullonarsi per decenni a una poltrona, maturando relazioni e segreti che potrà usare come arma di scambio e di ricatto, è lo specchio di un sistema marcio e imbelle.
Perchè noi non sapevamo di Incalza, ma la politica sì.
Arrivato al ministero, l’onorevole Lupi ha trovato il mandarino dei Lavori Pubblici ormai in pensione eppure ancora al vertice di una fantomatica «struttura tecnica di missione» che gli consentiva di continuare a dirigere, a settantuno anni, il traffico degli appalti.
Invece di accompagnarlo ai giardinetti, Lupi lo ha difeso in privato e nelle aule parlamentari, lodandone le qualità insostituibili quando i Cinquestelle ne chiesero la testa.
E adesso si scopre che l’imprenditore Perotti, indagato perchè in combutta con Incalza, regalò al figlio neolaureato del ministro un Rolex e un posto di lavoro nello studio del cognato.
Corrotti, corruttori, figli e cognati: il selfie del nostro Paese.
La nausea è tanta, ma la soluzione sarebbe semplice.
Limitare drasticamente la durata degli incarichi pubblici e considerare il ministro in carica responsabile degli atti firmati dai suoi burocrati.
In tal caso, Lupi dovrebbe dimettersi in giornata.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
“IO AVVOCATO DI CASALEGGIO? I CLIENTI SONO SEMPRE RISERVATI”
Sessantacinque anni, due repubbliche dopo, Antonio Di Pietro è di nuovo a Milano. Dopo aver dominato
quel momento di svolta della storia politica italiana che fu Mani Pulite, ha deciso di voler fare il sindaco.
A che punto è la sua candidatura, avvocato?
«Mi sto confrontando con il tessuto civico e sociale di Milano per vedere se ci sono le realtà culturali e le persone per bene per portare avanti il progetto».
Ora ce lo dica in dipietrese.
«Non mi candido tanto per candidarmi. Se ci metto la faccia e parto così presto non è solo per partecipare».
Si sussurra che avrebbe già l’accordo con Casaleggio.
«Bisogna essere in due per sposarsi. Il M5S per definizione non appoggia persone che abbiano già ricoperto un mandato politico. C’è scritto nel loro non-statuto e non li voglio tirare per la giacca».
Dipendesse da lei sarebbe cosa fatta?
«Apprezzo che si sia affermato il M5S quando è andato in declino l’Idv. Hanno la stessa ragion d’essere. Sono molto contento che il cittadino abbia potuto sfogare nelle urne la rabbia e la delusione contro un sistema corrotto».
Ma?
«Ma caro Beppe, non basta limitarsi alla protesta, bisogna passare alla proposta. Anche se credo che ultimamente l’abbia capito».
Altri consigli?
«Grillo farebbe bene a farsi eleggere in Parlamento. È bene che il comandante stia al timone».
È vero che Casaleggio è un suo assistito?
«I clienti, per definizione, sono riservati».
C’è chi giura di aver ricevuto lettere come suo legale.
«Io difendo i miei clienti».
Se dice così però conferma.
«Dice?».
Torniamo a Palazzo Marino. Lei col rinnovamento che “c’azzecca”?
«Milano è l’espressione più chiara del fatto che non è cambiato nulla dalla prima Repubblica. La city milanese tesse gli stessi intrighi di potere che c’erano durante Tangentopoli».
Vuole fare il sindaco sceriffo?
«No, non mi candido per fare lo sceriffo. Non conosco il milanese ma conosco i milanesi. È so quel che ci vuole».
Chi è Matteo Renzi?
«È il più abile venditore di elettrodomestici di questo paese».
Questa l’aveva già detta su Berlusconi.
«Renzi vende fumo dando per realizzato tutto ciò che è un’aspirazione. Coniuga i verbi solo al futuro. Vorrei ricordargli che seguendo solo quel tempo verbale non ci sarebbero più figli».
Per ora in Parlamento non ha perso una battaglia.
«Intanto ha trasformato il suo partito in qualcosa d’altro, poi toccherà al Paese. Ma le pare normale che in Parlamento la sua opposizione interna dica che non è d’accordo con lui ma finisca sempre per votare quello che vuole Palazzo Chigi?»
Non le piace la rottamazione?
«Ma quale rottamazione? Ha portato dentro il potere degli yes men».
Anche Raffaele Cantone è uno yes man?
«Cantone, poverino, con i poteri che ha fa quel che può».
E Mattarella?
«Lo aspetto al varco della prima firma su Italicum. Se lo firma dopo aver bocciato il porcellum da giudice costituzionale allora è tutto fumo e niente arrosto».
Francesco Maesano
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
IN DUE ANNI IL NUMERO DI CRISTIANI AMMAZZATI E’ QUADRUPLICATO
C’era una volta «Aguirre furore di Dio», ossia quando il cristianesimo evocava lo spettro dei conquistadores armati di spada, croce e bandiera spagnola, la quintessenza del colonialismo. Oggi i cristiani bianchi sono una minoranza e gli altri hanno spesso a mala pena il potere di difendersi, ma tutti scontano l’antico peccato originale evocato dall’Aguirre del film di Herzog in un mondo mai stato così poco occidente-centrico e anche per questo pronto a prendersi la rivincita sui più deboli.
«Gli ebrei del XXI secolo»
L’ultimo rapporto di «Open Doors International» disegna la ramificata persecuzione di una comunità religiosa che lo scorso anno l’ambasciatore israeliano all’Onu Ron Prosor definì «gli ebrei del nuovo millennio».
Prosor additava i Paesi musulmani, che di fatto occupano 8 dei primi 10 posti della lista nera. Ma, laddove secondo il think tank Pew i cristiani costituiscono il 70% delle vittime dell’odio religioso (in due anni il numero di morti è quadruplicato passando da 1201 nel 2012 a 4344 nel 2014), non c’è solo la Mezzaluna. In pole position per il 13° anno consecutivo c’è la Corea del Nord con i suoi almeno 50 mila cristiani rinchiusi in lager degni di Primo Levi.
L’esodo dal Medioriente
Per quanto incalzato da Pyongyang, il Medioriente, terra dei primi cristiani, vede il loro numero assottigliarsi da almeno mezzo secolo.
Il Center for American Progress ne calcola tra 7 e 15 milioni (5% della regione) concentrati tra Egitto, Siria e Libano. Ma se i copti egiziani (10%) si sono rifugiati tra le braccia del presidente Sisi (ancor più dopo l’esecuzione di 21 di loro da parte degli jihadisti libici) gli altri fanno le valigie.
Il milione e mezzo di cristiani iracheni del 2000 è ormai un terzo (il 40% degli ospiti dei campi profughi iracheni è battezzato) mentre in Siria i killer del Califfato braccano come animali gli epigoni d’una comunità che si sentiva tra le più tutelate dell’area (e rimpiange Assad).
In realtà oggi se ne parla. Ma passate le breaking news i cristiani del Medioriente tendono a tornare «nell’angolo cieco della nostra visuale del mondo», come ebbe a dire l’intellettuale francese amico di Che Guevera Règis Debray, «troppo» cristiani per i terzomondisti e «troppo» esotici per l’Occidente.
La sfida islamista
Le radici della neopersecuzione dei cristiani sono sempre, sotto sotto, più economiche o etniche che religiose.
L’islam inoltre, Corano alla mano, ritaglia un posto privilegiato a cristiani e ebrei, le Genti del Libro. Eppure, anche allontanandosi dal Medioriente sono i Paesi musulmani quelli che rendono la vita più difficile ai fratelli maggiori.
Come le Maldive, paradiso di turisti in cui la croce va tenuta nascostissima. Come l’Iran, l’Arabia Saudita, la Libia. Come la Nigeria terrorizzata da Boko Haram.
Come il Pakistan, dove i cristiani sono appena il 2% e, incalzati anche giuridicamente dalle condanne per blasfemia (vedi Asia Bibi, in carcere da oltre 5 anni), si sentono braccati (a onor del vero il Pakistan ha attentati ogni giorno e non solo contro le chiese).
Il problema in molti di questi Paesi è il divieto del proselitismo, ma se i cattolici adottano un profilo invisibile anche i più agguerriti gruppi evangelici o neocatecumenali si guardano bene dallo sfidare le autorità come i profeti armati di Cortès.
Le vittime più ignote
Potrà sembrare un paradosso ma da qualche anno i cristiani martirizzati in nome di Allah godono almeno di un’attenzione mediatica negata ad altri (in alcuni casi sono target anche perchè più appetibili per chi cerca visibilità ).
Oltre che nei lager nord-coreani in cui si sconta la devozione a un Dio diverso da Kim Il-sung o nei villaggi poverissimi dell’Orissa indiana, i cristiani vengono ammazzati in Messico e in Colombia, dove magari gli assassini ostentano pesanti croci d’oro al collo ma non tollerano il richiamo alla legalità dei sacerdoti vicini ai più poveri.
La Cina comunista sta sperimentando una lievissima apertura verso il «culto del male» ma resta saldamente a metà della classifica dei Paesi peggiori in cui vivere per un cristiano.
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
“LANDINI E’ UN SIMPATICO TRIBUNO, MA NON METTE D’ACCORDO LA SINISTRA”
Massimo Cacciari non è entusiasta delle primarie: «Potrebbero essere un grande strumento se ci fosse
un albo degli elettori. Così invece ce le facciamo in casa. Campania, Liguria, ognuno con le proprie storture: è il bricolage più assurdo».
E l’iniziativa di Landini? L’ha entusiasmata?
«Dovrebbe?»
Lei ha rivolto un appello alla sinistra Pd perchè si accordi con lui. Non sembra indifferente.
«Mica sono d’accordo con loro, che appello vuole che faccia? Dico solo che se non trovano l’accordo tra di loro che razza di opposizione fanno? Diventano patetici».
Con Landini per fare cosa?
«Innanzitutto cambiare il sindacato, garantire che al suo interno si svolga un’autentica vita democratica».
Magari proponendo una legge sulla rappresentanza sindacale?
«Forse. Purchè però non la faccia Renzi sulla loro testa. Dovrebbe essere il sindacato a fare una proposta, non aspettare che dei partiti che si sono liquefatti gli dettino le regole».
Landini è la persona giusta?
«Landini mi è molto simpatico. E poi quando parla della classe operaia mi scatta una nostalgia irresistibile. Ma non ha capito che il mondo è cambiato».
In che modo?
«Il mondo prima era più semplice, ma non bisogna averne nostalgia. Fare le previsioni in questo mondo è diventato impossibile, troppe variabili, nessun valore conosciuto. ».
Non le chiediamo tanto. Pensa che finirà per candidarsi?
«Fintanto che non si mettono d’accordo tutti gli oppositori di Renzi, Landini non si muoverà ».
Manca il collante?
«Ho consigliato ai miei amici Civati, Cuperlo e Barca di istituire un triumvirato per fare fuori i Bersani e i D’Alema».
Scusi, e Speranza?
«Ma dai, per carità ».
Cosa gli manca?
«Ma cosa vuole? È il bersaniano che media con Renzi. Non c’è più possibilità di politiche di compromesso. La gente ha bisogno di posizioni chiare e leadership definite, i pontieri non servono più».
E cosa serve?
«L’opposizione non si fa con uno stillicidio di no a Renzi. Occorre organizzarsi in modo organico, non resistendo a chi comanda ma andando oltre chi comanda, mettendo in piedi una strategia che superi colui al quale ti opponi. Altrimenti diventa vana resistenza.
Landini ce l’ha?
«Per ora porta avanti una tipica attività tribunizia. È un tribuno della plebe, in senso romano, non dispregiativo. Poi però deve mettersi d’accordo col Senato. È depositario di un certo potere, ma da solo non basta».
Non crede che ci sia una componente di «tribunicia potestas» in tutti i nuovi leader?
«Certo! A partire da Salvini, passando per Tsipras e questi di Podemos»
Anche nel presidente del Consiglio?
«No, Renzi è un uomo di potere, un senatore fatto e finito».
Però si rivolge spesso al popolo senza intermediari.
«Vero, ma conosce tutti i giochi del Senato, li ha imparati in quattro e quattr’otto. È un animale senatorio, culturalmente diverso dal tribuno: è nato Cesare».
Tra i tribuni della plebe non ha nominato Grillo.
«Appartiene a una generazione ormai passata. Non esiste, cronologicamente parlando. I suoi in Parlamento sono destinati a sciogliersi o a rifluire su posizioni renziane».
Francesco Maesano
(da “La Stampa“)
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