Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
UN ESEMPIO DI COERENZA MELONIANA: IL SI’ ALLA NUOVA LEGGE SULLA PRESCRIZIONE DOPO AVER VOTATO IN PASSATO LA TESI OPPOSTA
Partiamo dal disegno di legge che è passato oggi alla Camera: cosa prevede?
Una prescrizione più lunga per tutti i reati e in particolare per quelli di corruzione.
L’aula della Camera ha approvato la riforma della ex Cirielli con 274 sì, 26 no, 121 astenuti.
Hanno votato a favore Pd, Fratelli d’Italia, Per l’Italia-Centro democratico e Scelta civica.
Pollice verso, invece, da Lega, Forza Italia e Psi.
M5s, Sel e Area popolare (Ncd-Udc) si sono astenuti.
Ora il testo passerà all’esame del Senato, dove il ministro Andrea Orlando non ha escluso modifiche dopo il pressing (e l’ira) degli alfaniani.
Che cosa prevedeva la vecchia normativa per dover essere modificata?
La ex Cirielli tagliava i termini di prescrizione per la gran parte dei reati.
Si tratta della contestata riforma del 2005, che venne approvata dall’allora maggioranza di centro-destra, dopo quattro letture tra Camera e Senato e le proteste dell’opposizione, dei magistrati e degli avvocati penalisti.
Era stata battezzata “salva-Previti”, perchè sembrava tagliata su misura per l’allora senatore azzurro alle prese con il processo Imi-Sir.
Ma all’ultimo momento fu approvata una norma transitoria che escludeva l’applicazione delle nuove norme ai processi in corso (anche se poi Previti ottenne gli arresti domiciliari per effetto di un’altra norma della ex Cirielli che escludeva il carcere per un ultrasettantenne, in presenza di precise condizioni).
La riforma Cirielli aveva cambiato il sistema di calcolo della prescrizione: mentre prima esisteva un termine di prescrizione base per fasce di reati (uguale per esempio per tutti i reati a cui dovesse essere applicata una pena tra i 5 e i 10 anni), con le norme introdotte nel 2005 il termine doveva corrispondere al limite massimo della pena edittale prevista per il singolo tipo di reato.
Si era poi ridotto dalla metà a un quarto l’aumento della prescrizione che ricorre per le varie interruzioni (per esempio dopo la sentenza di primo grado).
Il risultato complessivo è stato che mentre per i reati gravi che hanno pene elevatissime la prescrizione e’ diventata lunghissima, era stata invece drasticamente ridotta per la maggior parte degli altri illeciti penali.
Alcuni esempi: la ricettazione era passata da 15 a 10 anni; la calunnia e la falsa testimonianza da 15 a 7 anni e mezzo, una soglia bassa condivisa allora anche dai reati di corruzione (poi la legge Severino ha cambiato la materia aumentando le pene).
Numeri che fecero parlare l’allora presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, di un’amnistia mascherata e il Csm di una riforma “dagli effetti devastanti”.
Ma l’aspetto più divertente della vicenda è che l’intestatario della legge che porta il suo nome, l’on. Cirielli, che allora aveva sostenuto quelle norme per delega del Pdl, oggi ha sostenuto l’esatto contrario per conto di Fratelli d’Italia.
Un caso unico di chi vota per abrogare se stesso.
Non ci credete?
Ecco cosa ha detto oggi in aula il “fratello d’Italia”: “Noi siamo sostanzialmente favorevoli a questo provvedimento e anzi ringraziamo il ministro Orlando perchè nelle condizioni politiche in cui opera sta cercando di fare passi in avanti. Bisogna riconoscere che nel panorama di questi ultimi venti anni è l’unico ministro che sta facendo dei passi avanti anche rispetto ai ministri di centrodestra che non hanno operato nessuna riforma concreta e hanno fatto battaglie mediatiche per evidenti fini secondari”.
In pratica parlava di stesso, ma non era certo l’unico “fratello” ad aver fatto un triplo salto carpiato: nel 2005 erano tutti schierati per ridurre la prescrizione secondo gli imput berlusconiani, oggi, in cerca di una nuova verginità , eccoli pronti a votare per la prescrizione lunga nei casi di corruzione.
Fino all’estremo sacrificio di perdere la faccia.
Forse per rimediare e non farsi riconoscere contano su photoshop.
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
CRITICA IN AULA TOTI E LA ROSSI… E BRUNETTA SOSTITUISCE IL PRESIDENTE FITTIANO DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA
Una resa dei conti in piena regola. Raffaele Fitto parla addirittura di epurazione.
Sta di fatto che oggi nell’aula di Montecitorio anzichè parlare di prescrizione, tra i forzisti sono volati gli stracci.
L’intervento dell’azzurro Giovanni Chiarelli per annunciare il voto contrario «convinto» di Fi al ddl sulla prescrizione, si è trasformato in un vero e proprio regolamento di conti interno al partito berlusconiano, contro il cosiddetto Cercio magico.
Chiarelli, dopo aver ringraziato il capogruppo Renato Brunetta per il suo operato, spiega di non aver parlato del tema in discussione in Aula -la prescrizione- «con colleghi come Toti e la Rossi, impegnati a studiare strategie per distruggere tutto quel che Berlusconi ha compiuto in questi anni. Mi scuso per la divagazione, consegnerò il mio intervento a Bergamini», la responsabile comunicazione del partito, «affinchè Toti e gli altri possano dire cose sensate quando vanno in tv».
Immediata a durissima la reazione di Brunetta, che ha seduta stante sostituito Chiarelli, rimuovendolo dalla commissione Giustizia.
“Non mi preoccupo per Gianfranco Chiarelli, a cui esprimo amicizia e sostegno, ma per noi tutti, per cosa siamo diventati. Che situazione avvilente! Da partito liberale di
massa, cosa siamo diventati? Il partito delle censure, dei commissariamenti, delle sostituzioni, delle epurazioni. Ciascuno può giudicare», il commento di Raffaele Fitto.
Solidarietà al deputato forzista è stata espressa anche da Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze della Camera: “Esprimo vicinanza e solidarietà all’amico Gianfranco Chiarelli. Ogni censura è una pagina triste per chi la pratica, non per chi la subisce” –
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO L’ANNUNCIO DEL SINDACO, SI SCALDANO I FEDELISSIMI DEL PREMIER, IMPEGNATI NELLA CACCIA ALLE POLTRONE
Le pressioni su Giuliano Pisapia e la caccia a un nuovo candidato sindaco di Milano erano in corso da
tempo.
Nel pomeriggio di domenica scorsa, a sorpresa, sotto una pioggerellina noiosa che pareva l’esatto contrario dell’incredibile arcobaleno che aveva salutato la grande festa della vittoria in piazza Duomo, il 30 maggio 2011, l’annuncio che molti aspettavano, Pisapia l’ha dato: “Non sarò candidato a diventare il tredicesimo sindaco di Milano”. Il gran rifiuto era messo in conto e anzi in molti, soprattutto a sinistra, ci speravano. Ma ora che è arrivato obbliga la politica a iniziare subito una campagna elettorale che sarà lunga 14 mesi e che mostrerà una doppia guerra fratricida, senza esclusione di colpi, che si combatterà dentro la sinistra e dentro il Pd.
Perchè Pisapia ha detto no? “Perchè l’avevo chiarito fin dalla campagna elettorale del 2011: se avessi vinto avrei fatto un solo mandato”.
Per coerenza, dunque, e non per stanchezza. “perchè la politica non deve essere una professione, ma un servizio”.
Non che non fosse stanco, “Giuliano”, come lo chiamano i suoi amici e i milanesi che se lo ricordano giovane militante della sinistra.
Stanco di vedersi rinfacciare le cose che non è riuscito a realizzare perchè una città come Milano è una grande macchina difficile da governare.
Stanco di essere considerato una specie di traditore dalla parte più a sinistra dello schieramento che l’ha sostenuto e che lo immaginava come una sorta di Che Guevara arrivato a conquistare Palazzo Marino.
Stanco dell’arroganza degli Squaletti del Pd, i Bravi Ragazzi renziani di Milano che nessuno conosce fuori dalla circonvallazione (e pochi anche dentro), ma che pretendono di dargli ordini, credendo davvero di essere loro il più grande partito della città .
Non è stata comunque la stanchezza a fargli fare il gran rifiuto, perchè l’uomo è combattivo e le sfide, semmai, lo galvanizzano.
Ma sa che il prossimo mandato sarà , per chiunque vinca, difficilissimo: senza soldi, a gestire una città sempre più complicata, in una fase politica che non è più quella in cui ha vinto.
Giuliano Pisapia in questi anni ha perso qualche battaglia, ha fatto qualche compromesso, ha creato qualche delusione.
Ma resterà nella storia di Milano l’uomo che è riuscito a compiere il miracolo: riportare il centrosinistra alla guida della città che ha visto passare il craxismo, il leghismo, il berlusconismo.
Ha fatto vincere, sotto quell’incredibile arcobaleno, la “rivoluzione arancione” e poi, malgrado i molti disillusi, ha saputo tenere Palazzo Marino fuori dalle bufere giudiziarie che hanno spazzato tutti gli altri palazzi del potere ambrosiano.
Un sindaco onesto, al di là di ogni dubbio.
Non è poco, di questi tempi.
E in fondo, quello che ha retto meglio la fine della fase che aveva fatto vincere altri sindaci più o meno “arancioni”, da Luigi De Magistris a Napoli fino a Marco Doria a Genova, per non dire di Ignazio Marino a Roma.
Resterà il sindaco che ha aperto una fase nuova, dimostrando che la sinistra pulita può vincere anche nella terra di Craxi, di Bossi e di Berlusconi.
Ora si facciano sotto altri, anche anagraficamente più giovani, per tentare di gestire una fase che avrà a che fare con buchi di bilancio e grandi difficoltà a rientrare dagli investimenti fatti per una M4 di cui la città poteva fare a meno e per i terreni di Expo che dopo la fiera nessuno vuole.
Sotto a chi tocca.
Dentro il Pd, a Pierfrancesco Majorino che tenterà di unire gli antirenziani, che a Milano sono forti; o a Lia Quartapelle, volto umano dei Bravi Ragazzi maestri d’arroganza che nel nome di Renzi (e nella scia di Penati) qui hanno conquistato il partito; o a Emanuele Fiano, che tenterà una mediazione tra le diverse anime. Piacerebbe tornare nella sua città anche a Ivan Scalfarotto, che per Renzi ha dimenticato i Girotondi.
A Stefano Boeri non dispiacerebbe avere la rivincita.
Andrea Guerra, l’ex ad di Luxottica, sarebbe per il renzismo il candidato perfetto. Umberto Ambrosoli sarebbe l’anima della Milano civica e fuori dai partiti.
Giuseppe Sala, commissario di Expo, sarebbe la carta vincente se Expo dovesse essere un trionfo (e se alla fine dell’esposizione le manette non torneranno a scattare). Tra 14 mesi, poi, sarà libero anche Ferruccio de Bortoli, in uscita dal Corriere della sera, “papa straniero” che potrebbe portare la pace dopo il conflitto sanguinoso che si è già aperto e che potrebbe perfino finire — chissà — col restituire a un centrodestra smarrito e diviso la guida della città .
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
LA CAMPANIA PREMIATA DA LEGAMBIENTE PER IL PIANO RIDUZIONE DEI RIFIUTI… CAPOFILA NELLA DIFFUSIONE DELLA FIBRA OTTICA
Le reiterate e continuate diatribe in atto tra i presunti “eroi” di quel che resta del centro-destra e le varie indiscrezioni variamente diffuse in rete nei giorni scorsi, comprese quelle relative ai “ricostruttori Fittiani” che parrebbero sempre più divisi tra “deluchiani”, “caldoriani” e “candidato autonomo”, danno la chiara dimensione di una politica sempre più contorta, astrusa e poco presente, sia a sè stessa che ai fini che dovrebbero appartenerle.
La politica dovrebbe essere esclusivamente servizio. Un modo specifico per servire il proprio Paese, la propria terra e la propria gente ma, scandali ripetuti e continuati, episodi vari di arroganza, di prepotenza e di straripamento dallo specifico fine istituzionale, come le continue piroette di questo o di quel “personaggio”, offrono l’idea sempre più evidente di un sistema che del bene comune se ne interessa davvero poco.
Il “tutto” sembra sempre e soltanto finalizzato all’acqusizione del potere fine a sè stesso, incapace di incarnare, sia “una visione”, sia quei sogni di necessaria grandezza che dovrebbero essere propri di qualsivoglia persona intenda agire per sè stesso e per gli altri.
E la nefandezza dell’infauso epilogo davvero è devastante perchè la storia l’hanno fatta sempre i sogni, la passione, le visioni illuminate e la coerenza ed il coraggio degli uomini veri, sinceramente intransigenti e autenticamente combattenti.
Cose di cui il nostro Paese, soprattutto in questa fase così drammatica e disperata, ha un bisogno sempre più evidente e pregnante.
Renzi, per esempio, sta portando avanti la sua “piccola rivoluzione democratica”.
Alla fine non sarà una gran cosa: l’idea complessiva è quella di un impianto rabberciato, poco chiaro e finanche carente della necessitata lungimiranza del caso.
Al netto di questo irreffragabile dato, però, “a sinistra” si cerca di fare.
Nel centro-destra, invece, soltanto chiacchiere e “balletti vari”.
E la cosa davvero è drammatica perchè il centro-destra non può in alcun modo sottrarsi al compito propugnato dalla storia: continuare nelle sterili divisioni di bottega, nella sempre più totale carenza di idee appassionate e capaci di rimettere in moto le sorti di un Paese sempre più in ginocchio, sarebbe molto più di una mera carenza di spessore per involgere direttamente la dimensione del crimine vero e proprio consumato ai danni del proprio Paese e della propria gente.
E le cose non cambiano nemmeno se dal “generale”, si involge “al particolare”.
E che il riferimento sia alla “situazione Campana” è oltremodo scontato ed immediato.
Inaccettabile che una parte dello pseudo centro-destra campano possa sostenere il Sindaco PD De Luca nella corsa a Governatore della nostra terra.
E’ vero che nella vita può succedere di perdere il senso delle cose, ma a tutto c’è un limite, finanche all’indecenza.
Lo scenario è avvilente. Evidentemente in troppi sono sordi “al richiamo del sangue”, dei sogni, dell’essere fedeli alla parola data ed ai valori intangibili di un’area che non si dovrebbe nemmeno permettere di metterli in discussione.
O forse, molto più semplicemente, ma non per questo suscettibile di “attenuanti” comunque impossibili da concedere, in troppi vedono nei modi del “De Luca di turno” dinamiche di “atavica memoria”, insostenibili e privi di senso.
Non ci si faccia prendere dalle “tentazioni di duplicazione della storia”.
La storia è un fatto sempre unico e irripetibile e certi suoi attori non sono duplicabili. Non tutti i giorni, insomma, nasce “un Mussolini”, “un Churchill” o “una Thatcher”, e che il decaduto sindaco “piddino” manco ci si avvicini a certe soglie – non dico di “grandezza” perchè davvero sarebbe impossibile! – ma di “almeno sufficiente” valutazione di partenza, mi sembra un dato oltremodo evidente e scontato.
Il centro-destra, anche quello campano, non può cedere alle lusinghe “del meno peggio” o della “poltrona facile”.
Non può farlo e assolutamente non deve. Non è vero che le “ideologie” sono finite. Non è vero che il “rosso”, il “nero” o “l’azzurro” sono scomparsi: nel cuore della gente esistono ancora, perchè le persone hanno bisogno di identificarsi, di credere in cose specifiche e di dare sostanza reale ai sogni, alle speranze e ai desideri.
L’idea della politica come mera somma di soluzioni possibili ai vari problemi della specifica fase di riferimento, proprio non funziona.
La storia dei popoli è sempre stata “storia del pensiero” e la politica non può e non dovrà mai sottrarsi alle necessità di una “visione lucida”, programmata e programmatica delle cose che devono succedere e che si deve riuscire a veicolare.
La politica, insomma, è “sogno” – che si rinnova di continuo! – e “missione” allo stato puro.
La credibilità non si conquista con le belle parole o coi gesti plateali ed eclatanti: si consuma tutti i giorni, passo dopo passo, parola dopo parola, promessa mantenuta dopo ogni singola promessa mantenuta.
Chi se ne dimentica per assecondare l’ego avido e fuorviante o la peggiore delle ignominie concettuali possibili, non è degno, nè di chiamarsi Italiano nè di dirsi uomo del “proprio tempo”.
Caldoro merita la riconferma. Sarebbe un errore fatale per il centro-destra campano dividersi per sostenere soluzioni diverse se non addirittura antinomiche.
Sarà poco “appariscente”, poco incline ai talk show o alle prime pagine dei giornali. Sarà anche un uomo dai modi semplici. Chissà .
Ma Stefano Caldoro — un incontrovertibile politico, moderato nei toni, ma forte nel pensiero — è stato l’artefice effettivo di una silenziosa quanto “rivoluzionaria rivisitazione” dell’intero “sistema Campania”.
Anzi, prendendo spunto anche da altrui riflessioni, io parlerei chiaramente di un “modello Caldoro”: qualcosa che meriterebbe di essere addirittura approfondito in prestigiose sedi accademiche quale spunto di ben più serie e profonde riflessioni.
Insomma, Caldoro ha governato bene e l’ha fatto con sostanziale e dirompetente decisionismo.
Non si è mai abbandonato alle tentazioni della ribalta mediatica.
Non ha mai ceduto alle lusinghe della contrapposizione dialettica fine a sè stessa.
Non ha mai perso o spostato il “baricentro” della propria azione programmatica, ma ha consumato fatti autentici e di valore riuscendo ad imporre il necessitato cambio di passo.
Una “piccola rivoluzione operativa e di concetto”, insomma: cose capaci di mettere finalmente in ginocchio quel “sistema” delle rendite di posizione sottese all’antagonistica politica della “spesa facile”, un sistema tanto vituperato – a parole! – ma per nulla avversato nei fatti, fatta eccezione per quei “piccoli, autentici uomini” che fanno della parola data una questione d’onore prima ancora che di serietà !
Ed esservi riuscito in una terra fin troppo abituata “a campare di politiche passive”, è un merito fin troppo degno per essere affidato al dimenticatoio della propaganda elettorale becera e inconsistente.
Caldoro ha consumato un piccolo, grande capolavoro riducendo il debito sanitario, raggiungendo il dimezzamento del debito verso i fornitori e consumando l’annientamento del disavanzo sanitario fino al punto da “chiudere” il 2014 con un avanzo di ben 80 milioni.
Una realtà amministrativa che è stata capace di far diventare la Campania una regione capofila nella diffusione della fibra ottica e che ha altresì conquistato il primato di regione italiana che ha speso più fondi europei in percentuale.
Senza contare la potenziale sfida dell’Expo e la questione dei rifiuti.
Da un lato, insomma, la sifda di provare a candidare la Campania come patria della Dieta Mediterranea, dall’altro la certezza del riconoscimento ufficiale di una Regione premiata dalla Federambiente e da Legambiente come l’unica realtà che è stata capace di un piano strategico per la riduzione dei rifiuti.
Se “destra” è merito e visione illuminata.
Se “destra” è mantenimento della parola data.
Se “destra” è legalità e senso dello Stato, allora c’è poco da aggiungere.
I “destri confusi e venduti” facciano pure quello che vogliono. Si concedano pure al PD e alla “politica della poltrona ad ogni costo”
Il popolo non è stupido, però…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra liberale
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
GLI ATTI DELL’INDAGINE SUL RUBY TER… E LE OLGETTINE CHIAMAVANO SILVIO “NANO MALEFICO”
Ruby sarebbe stata ad Arcore negli ultimi mesi del 2014, precisamente a cavallo tra novembre e
dicembre.
Un’ipotesi investigativa che emerge dall’informativa redatta dalla sezione milanese di polizia giudiziaria il 10 dicembre scorso.
Dalla lettura del documento, che fa parte degli atti di indagine depositati dalla procura al Tribunale del Riesame, emerge come la giovane marocchina si sia preoccupata di spegnere il cellulare una volta giunta nei pressi di villa San Martino: un'”accortezza”, scrivono gli inquirenti, per scongiurare il rischio di essere “agganciata” dalla cella di Arcore: “Dall’analisi complessiva effettuata – si legge nel documento – sembra potersi affermare che Karima el Mahroug con ogni probabilità si rechi ad Arcore e che in queste occasioni usi l’accortezza di spegnere il cellulare già in fase di avvicinamento con la presumibile finalità di non far registrare la propria presenza sulle celle del luogo in cui si reca”.
L’impressione è che Ruby si muova con cautela per timore di essere intercettata ad Arcore.
Circostanza che parrebbe confermata dal tono usato dalla giovane marocchina in una telefonata con la sua “fiamma” Daniele Leo.
Sono le 2 e 41 del mattino del 2 dicembre scorso quando Karima telefona al fidanzato “il quale – annotano gli investigatori – è molto risentito perchè il telefono della donna è stato spento fino a quel momento”.
Di fronte quella che potrebbe apparire una scenata di gelosia, Ruby reagisce invitando il fidanzato a calmarsi e riflettere: in particolare “spiega i suoi movimenti ricordando all’uomo che lui sa benissimo il motivo per cui ha tenuto il telefono spento”.
E ancora, il 6 dicembre Ruby contatta un investigatore privato incaricato di controllare il fidanzato Daniele e “la stessa anticipa che non sarà raggiungibile tra le 22.30 e le 2.30”.
In effetti, quella stessa sera, scrivono ancora gli inquirenti, “dalle 22.37 le celle iniziano a cambiare fino a quella di Carugate (paese della Brianza poco distante da Arcore – ndr)”.
Successivamente “i positioning dalle ore 23.19 e fino alle ore 00.49 non hanno dati, circostanza che segnala che l’apparecchio è stato spento o irraggiungibile”.
Dopodichè “il telefono viene acceso alle ore 00.49” e “le celle agganciate sono inizialmente quelle di Vimercate”.
Ma dagli atti depositati dalla procura milanese al Tribunale del Riesame emergono anche particolari imbarazzanti per l’ex premier: nelle intercettazioni le olgettine chiamavano Silvio Berlusconi “nano malefico”.
E’ la mattina del 18 novembre scorso e Aris Espinoza chiama al telefono Imma de Vivo.
Gli uomini della polizia giudiziaria sintetizzano il contenuto della conversazione in un brogliaccio dell’intercettazione.
Le due ragazze, scrivono, “parlano degli uomini che frequentano e Espinoza ad un certo punto dice che il suo compagno adora il nano malefico. De Vivo dice che non importa, Espinoza dice che comunque anche de vivo adora il nano malefico e che tutte loro lo adorano”.
A questo punto una delle due ragazze si rende conto di poter essere intercettate.
Così Imma de Vivo “si ferma e dice: “Ma non è che parlando di nano malefico qualcuno capisca qualcos’altro? stiamo parlando di uno stilista, eh?!'”.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
SCAMBIO AL VETRIOLO TRA L’ATTORE E LA SOTTOSEGRETARIA SOTTO INCHIESTA
Botta e risposta al vetriolo su Twitter fra l’attore Alessandro Gassmann e la sottosegretaria ai Beni culturali e al Turismo Francesca Barracciu.
La lite, cominciata fra l’attore e la politica, ha finito per coinvolgere tantissimi utenti che si sono schierati dalla parte di Gassmann finchè, dopo qualche ora, la Barracciu ha «capitolato» postando le sue scuse.
La lite
La lite è partita con un tweet di Gassman con cui l’attore chiedeva ai sottosegretari indagati di dimettersi.
Prima l’attore lo ha fatto con un tweet con quattro foto, poi ha indirizzato un tweet alla stessa Barracciu chiedendole «intanto che chiarisce, lascia la poltrona pagata da noi?».
La risposta non si è fatta attendere: la politica ha risposto sì che «chiarirà tutto a fondo», ma ha anche attaccato Gassmann scrivendo «intanto che impara a fare l’attore, può evitare di far pagare biglietto cinema per i suoi film?».
Un paragone che non sta in piedi e infatti ha scatenato le critiche e proteste degli utenti dei social.
Gassmann, intanto, si è limitato a postare la foto di un raschietto per scollare il politico indagato dalla poltrona.
Le scuse
L’attore ha poi coinvolto nella discussione anche altri utenti del mondo del cinema e della tv, come la regista Francesca Archibugi e l’attore e presentatore Luca Bizzarri.
Alla fine, dopo qualche ora, la Barracciu ha capitolato e si è scusata: «A volte su Twitter si esagera, capita a tutti, oggi è capitato a me, sorri», ha scritto postando anche il link ad una canzone di Billy Joel.
Greta Sclaunich
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
SE VUOLE VINCERE, IL CENTRODESTRA NON DEVE RINCORRERE LA DESTRA XENOFOBA E ANTIEURO
Le elezioni francesi dicono che il centrodestra, se vuole vincere e mietere consensi, non deve
inseguire la destra, o addirittura acquattarsi sotto la sua leadership.
Nicolas Sarkozy è il centrodestra di governo, non imbocca strade velleitarie e catastrofiche come l’abbandono dell’euro, magari accentua l’allarme sull’immigrazione, ma lo fa senza spirito antisistema, prospettando un governo credibile.
Marine Le Pen è la destra che ha una grande forza elettorale. Un quarto dei voti è comunque un pezzo importante della società francese.
È la destra che raccoglie e interpreta ogni protesta, che dà voce a una Francia non rappresentata da un establishment avvizzito e stanco, ma non sarà mai una destra di governo.
Per la destra di Matteo Salvini, il risultato della Le Pen sarebbe un enorme successo. Per un centrodestra che aspirasse a competere con il centrosinistra per guidare l’Italia e non vuole essere risucchiato in una logica minoritaria, sarebbe una sconfitta mentre l’indirizzo giusto è quello scelto da Sarkozy, non dalla Le Pen. O dalla Lega di Salvini.
Un’altra cosa che il centrodestra italiano dovrebbe imparare dalle elezioni francesi è che il ritorno di Sarkozy è stato il frutto di una aspra lotta politica all’interno dell’Ump.
E che le leadership si conquistano sul campo, e non per un’investitura di un monarca che domina il partito come una sua creatura personale.
La differenza è ben capita dall’elettorato.
Un partito che non lo capisce è solo una corte destinata a dilaniarsi una volta che il Capo dovesse lasciare la scena. Ecco ciò che rende diverso, e vincente, il centrodestra francese da quello italiano.
Invece la tentazione di Forza Italia è di mettersi sulla scia di Salvini, pensando che la protesta sia vantaggiosa in termini elettorali.
Lo è, se si vuole stare attorno al 25 per cento della Le Pen.
Non lo è, se si vuole conquistare l’elettorato che cerca la protesta ma ambisce anche a governare, che è scontento dell’Europa ma intuisce che la fine dell’euro sarebbe una disfatta, che è devastata da una tassazione esosa e iniqua, che vuole meno ingerenza dello Stato, che non accetta che gli immigrati entrino in modo indiscriminato e caotico ma poi esige un governo che tagli la spesa pubblica per diminuire sensibilmente le tasse.
E sa che con le parole d’ordine suggestive di Salvini si prende la scena mediatica, ma non si prende l’elettorato sufficiente per battere un avversario, Matteo Renzi, che oggi è fortissimo, molto più forte di Hollande e dei socialisti francesi.
Salvini è addirittura contro la riforma delle pensioni, che almeno ha salvato il bilancio dello Stato.
Un centrodestra credibile potrebbe mai battersi per restaurare l’antico regime pensionistico dopo aver tentato per anni di riformarlo, scontrandosi anche con l’inerzia e il conservatorismo della sinistra di allora?
Il centrodestra italiano appare invece liquefatto, in balia di sentimenti opposti e contrastanti.
Un giorno si vincola al patto del Nazareno: e magari si potrebbe dire che Sarkozy non avrebbe ottenuto lo stesso successo se avesse stretto un patto così vincolante con gli avversari socialisti.
Il giorno dopo, magari offeso per il trattamento non proprio amichevole del premier Renzi sulla vicenda del nuovo presidente della Repubblica, cerca di divincolarsi goffamente, proponendo nuovi patti con chi predica l’uscita dall’euro e vorrebbe seguire le orme di Marine Le Pen.
Dentro questa oscillazione così marcata, si perde la stessa prospettiva di contendere al Pd di Renzi il governo dell’Italia, che invece è il compito e la missione di un sistema democratico fondato sul bipolarismo.
Il successo di Sarkozy dimostra che rifiutarsi di lasciarsi sedurre dalle proteste antisistema e antieuro può portare buoni risultati e rimettere la democrazia come teatro di una competizione tra due schieramenti che rivaleggiano per ottenere la maggioranza dei voti sufficienti a formare un governo.
Senza questa «vocazione maggioritaria», il sistema ne verrebbe inevitabilmente sbilanciato, confinando la protesta, sia grillina che leghista, in un recinto molto largo e numericamente consistente, ma non tanto largo da diventare alternativa di governo.
La lezione Sarkozy in Francia vuol dire proprio questo: che il centrodestra di governo deve diventare qualcosa di diverso dalla destra di protesta se vuole contare qualcosa. Altrimenti la stessa democrazia dell’alternanza ne verrebbe impoverita e rinsecchita.
Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
SE VA AVANTI COSI’, LO INAUGURA FOODY LA MASCOTTE
Se va avanti così, a tagliare il nastro all’inaugurazione dell’Expo ci sarà solo Foody, la povera mascotte del Grande Evento, un pupazzo con la faccia di frutta e verdura che, direte voi, è sempre meglio che aver la faccia di bronzo o peggio.
O forse no: a inaugurare la Grande Esposizione Universale ci saranno tutti, in pompa magna e con la banda, la propaganda a soffiare retorica del Grande Colpo di Reni italiano.
La seconda ipotesi è la più probabile, secondo la ben nota teoria da generali in pensione secondo cui è meglio dire che hai vinto anche quando hai perso. Prepariamoci.
E prepariamoci anche a un piccolo cambio di tono: non sarà una retorica di tipo imperiale rivolta al pianeta (“Ehi, mondo, guardate cosa sappiamo fare!”), ma un messaggino rassicurante per il consumo interno (“Oh, dai, ci abbiamo messo una pezza”).
Ora serve una premessa solenne.
Non è questione di gufi e gufismi, si spera che l’Expo vada benone, che ci si diverta, si mangi bene, eccetera, eccetera, ma i segnali non sono esattamente entusiasmanti.
Gli studi di redditività della manifestazione sbandierati fin qui parlavano di 20-24 milioni di visitatori, per esempio.
E Matteo Renzi, invece, in visita a Milano, proprio su quei cantieri che sono tornati ieri sulle prime pagine (favori, Rolex e CL compresi), ha indicato come obiettivo i 10 milioni di biglietti venduti.
Un dimezzamento netto degli obiettivi.
Ci sarebbe dell’altro. Chi ha ragione sui biglietti già venduti?
Le notizie di stampa rilanciate dall’organizzazione (fonte principale il Commissario Unico Sala) che parlano di otto e passa milioni di tagliandi già staccati, o il giovane dinamico Premier che dice che quei milioni sono al momento solo tre?
Non proprio dettagli, se si pensa che la presenza di visitatori è il principale indicatore per valutare il successo di un grande evento.
L’Expo di Hannover del 2000, per esempio, di visitatori ne ebbe diciotto milioni, ed è considerata un enorme flop (pure senza favori, Rolex e CL).
Se si sommano questi dati ad altri dati, forse più impalpabili, più legati alle varie sensibilità , più “emotivi”, per così dire, si vedrà che il quadro non migliora.
Che ci sia un’inchiesta su presunti maneggi, con tanto di inchieste, arresti, intercettazioni, anche sul Padiglione Italia ha il beffardo sapore della metafora, ma anche una sua micidiale potenza evocativa.
Padiglione Italia: appunto. Nè migliora il quadro il peccato originale dell’Expo, che fu decidere di costruirla su terreni privati anzichè valorizzare aree pubbliche.
E poi, aspetto veramente grottesco della faccenda, ci si metta anche il fatto che ancora nessuno ha la minima idea di cosa fare di tutto quello che rimarrà , insomma di come utilizzare quelle aree su cui si sono gettati a secchiate milioni e milioni di euro.
Il tutto mentre si vagheggiava di orti e contadini, cibo sano e tradizioni, sostenibilità e nutrire il pianeta, per trovarsi poi tutto quanto sponsorizzato da Coca Cola e McDonald’s.
Per non dire dei diecimila e più “volontari” che lavoreranno all’evento.
Gratis, tanto per mandare un segnale chiaro e forte sulla dignità del lavoro
Ora, l’ottimismo obbligatorio faccia il suo corso, si applichi fino in fondo la vecchia prassi di gridare alla vittoria anche quando si perde quattro a zero.
Certo però che la frase pronunciata nei cantieri Expo dal Caro Leader suona un po’ inquietante: “Mostreremo al mondo di cosa siamo capaci”.
Eh, già , il timore è proprio quello.
Alessandro Robecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2015 Riccardo Fucile
L’INTERIM ALLE INFRASTRUTTURE E LA SCELTA DI QUALE MINISTERO AFFIDARE A NCD
Il problema è il peso: quale dicastero toccherà a Ncd dopo le dimissioni di Lupi dalle
Infrastrutture?
Stavolta non è (solo) una questione di poltrone, perchè dal modo in cui si concluderà la trattativa in corso tra Renzi e Alfano si capiranno gli scenari futuri: si capirà cioè quali sono le valutazioni del premier sui rapporti in prospettiva con il partito alleato, quale sarà il destino di Area popolare, e dunque quale sarà la durata dell’attuale governo con gli attuali equilibri.
Tutto sta dentro una nomina. Perciò il presidente del Consiglio ha chiesto tempo al capo dello Stato: «Ho bisogno di tempo», gli ha detto, prendendo a pretesto la difficoltà di scegliere con chi riempire il posto rimasto vacante nell’esecutivo, siccome «di nomi ce ne sono ma solo uno mi convince», quello di Delrio.
Tuttavia la scelta dell’interim da parte di Renzi non è certo legata alla preoccupazione di doversi privare a Palazzo Chigi dell’attuale sottosegretario.
Il tempo gli serve per chiudere quello che – a tutti gli effetti – è stato un passaggio di crisi del governo, e per stabilire quale orizzonte dare al suo gabinetto e con quali assetti.
Nei ripetuti colloqui con Alfano – nei giorni a cavallo delle dimissioni di Lupi – il premier si sarebbe impegnato a riconoscere «un ruolo politico forte» a Ncd, con un ministero dello stesso peso, a testimonianza del suo interesse per la stabilità .
Ma l’idea di destinare ai centristi gli Affari regionali – pur con la delega del Mezzogiorno – è parsa contraddire l’impegno iniziale: un simile ministero, peraltro senza portafogli, darebbe il senso del ridimensionamento della forza alleata.
Con inevitabili contraccolpi.
Perchè Renzi ha la «golden share» nella maggioranza, e può quindi immaginare di disporne a piacimento, magari preventivando per Ap un flop alle Regionali.
Ma l’opzione di fare Alfano suo prigioniero deve tenere in conto la crepa che si sta aprendo in Ncd.
Un tema di cui a palazzo Chigi si è discusso riservatamente la scorsa settimana, se è vero che – appena Lupi è entrato nell’occhio del ciclone per l’inchiesta di Firenze sull’Alta Velocità – gli uomini del premier hanno subito preso in mano il pallottoliere: volevano valutare l’impatto che avrebbe potuto avere al Senato l’eventuale rottura dell’allora ministro con la maggioranza.
Ma il problema non è (solo) numerico, è politico: e il ridimensionamento dei centristi non sarebbe a costo zero.
Alfano ritiene di potersi fidare della bontà dell’accordo con il premier, e continua a trattare proprio mentre Berlusconi invita invece i dirigenti di Ncd a non fidarsi: «Non fidatevi di Renzi. Come ha preso in giro me, prenderà in giro anche voi».
Il pressing su Lupi è evidente, ce n’è traccia non solo nell’endorsement fatto nei giorni scorsi dalla forzista Gelmini per una sua «possibile candidatura» a sindaco di Milano, ma anche nelle parole esplicite pronunciate ieri da Maroni: «Ho parlato poco fa con l’ex ministro e mi pare che dentro Ncd ci siano movimenti interessanti…».
Sarà pure un’ingerenza negli affari interni di un’altra forza politica, ma visto il conflitto che si è aperto in quello che è stato il centrodestra, il governatore leghista non se ne cura ed evoca una spaccatura di Ncd, nel giorno in cui la capogruppo alla Camera, De Girolamo, chiama alla «conta interna» contro Alfano per arrivare a un «appoggio esterno» del governo Renzi.
Si vedrà se è una mossa isolata o la testa di ponte di un progetto più ampio.
Ancora ieri sera Lupi – che è prossimo a sostituire la De Girolamo nel ruolo a Montecitorio – in una intervista a Quinta colonna ha ripetuto che il suo gesto è stato «un atto per rafforzare il governo».
Ma in una alleanza conta la reciprocità dei gesti e non c’è dubbio che i centristi siano in tensione, visto che in molti vedono nell’atteggiamento del premier una volontà di «annettere» il loro partito.
Ecco perchè la scelta del capo del governo sul peso da dare a Ncd nell’esecutivo sarà decisiva.
Ecco perchè ha chiesto «tempo» a Mattarella per risolvere la vertenza, pur tradendo ieri un certo nervosismo: a chi era rivolta la battuta sull’Italicum, che «con il premio di maggioranza consente di superare il meccanismo devastante del potere di veto dei piccoli partiti»?
A Renzi tocca l’ultima parola, da lì si capiranno la traiettoria del governo e della legislatura.
Dopo la rottura del patto del Nazareno, infatti, se anche la sponda con Ncd dovesse indebolirsi, il premier si troverebbe esposto a sinistra, e quella parte del Pd – per quanto rottamata – medita di tornare a contare, almeno in Parlamento.
Perciò il rapporto con Alfano è stato finora importante.
A meno che il leader del Pd non guardi già al dopo Regionali: se così fosse, vorrebbe dire che all’indomani delle urne mette in conto tutto…
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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