Luglio 11th, 2015 Riccardo Fucile
“VOI SIETE QUEI LEGHISTI CHE NON SI INDIGNANO PER I SOLDI IN TANZANIA, MA PER ME CHE SONO TRANS? MA VAI A CONTROLLARE IL TUO CONTO CORRENTE IN TANZANIA INVECE DI ROMPERE I COGLIONI A ME”
Duello a colpi di sciabola a La Zanzara (Radio24) tra Efe Bal, la transessuale di origine turca
simpatizzante della Lega e in particolare del suo leader, Matteo Salvini, e il consigliere comunale del Carroccio milanese, Max Bastoni.
La miccia della discussione è data dall’iniziativa di Efe Bal, che ha fatto affiggere a Milano vari manifesti che la immortalavano nuda, con un fazzoletto verde recante il logo leghista del Sole delle Alpi a coprirle il seno.
E su tutti campeggiava la scritta “Efe Bal ministro dei lavori particolari”.
La trovata non è piaciuta alla base leghista e in particolare a Max Bastoni che, ai microfoni della trasmissione radiofonica, commenta: “Il signor Efe Bal non è un esponente della Lega, ma un uomo che ha fatto la tessera da sostenitore. Ha fatto questa iniziativa solo per pubblicità , utilizzando un simbolo che per noi ha un grande significato. Lui è solo un paraculo. Non so se va d’amore e d’accordo con Salvini, è un problema del segretario“.
Durante l’intervista, interviene Efe Bal, che ha un durissimo scontro con il consigliere leghista al punto da interrompere due volte la conversazione telefonica.
Cita la sua partecipazione alle manifestazioni di Pontida e il referendum per l’abolizione della Legge Merlin, su cui assieme a Salvini raccolse le firme e prestò la sua immagine. “Molti leghisti mi difendono anche da lei” — aggiunge — “e da quel suo amico, poverino… come si chiama? Maurizio Bastardo (Maurizio Bosatra, ex collaboratore di Roberto Calderoli, ndr)? Voi siete quei leghisti “veri” che non si indignano per i soldi in Tanzania, ma per me che sono una trans? Ma indignati di te stesso, testa di cazzo. Vai a controllare il tuo conto corrente in Tanzania invece di rompere i coglioni a me”.
Poi riaggancia il telefono, ma viene ricontattata.
E rincara: “Questo signore dice che sono un uomo, ma vorrei vedere se la moglie o fidanzata è bella o ha il fisico come il mio. Si trovino delle belle ragazze nella Lega e mettano quel cazzo di simbolo su di loro. Mi danno addosso invece di ringraziarmi per il mio coraggio nell’espormi, visto che la Lega è accusata di essere un partito omofobo, razzista e fascista. Mica sono una ladra come voi. Ma pensate a Belsito o al figlio di Bossi che si è comprato il diploma. Testa di cazzo”
Gisella Ruccia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 11th, 2015 Riccardo Fucile
IL SINDACATO ANIEF: “LO STATO HA RISPARMIATO 2,5 MILIARDI SULLA PELLE DEGLI INSEGNANTI”
Dopo nove anni di precariato, un’insegnante torinese cinquantenne si è presa la rivincita: ha fatto causa al ministero e ha ottenuto più di 20 mila euro di risarcimento.
Il tribunale di Torino le ha infatti riconosciuto il diritto a “ricostruire” la sua carriera in modo completo e non solo in parte, come invece prevedrebbero le regole.
E la sentenza potrebbe (è il caso di dirlo) fare scuola e spalancare la porta dei rimborsi a migliaia di altri ex precari.
La docente è stata assistita dall’Anief, rampante sindacato che negli ultimi anni ha ottenuto un successo crescente grazie alla sua capacità di ricorrere alla giustizia su pressochè qualsiasi tema scolastico.
L’insegnante era stata assunta nell’anno 2007-2008 dopo ben nove anni di precariato.
In quel momento la carriera le era stata “ricostruita”, cioè lo Stato le aveva riconosciuto l’anzianità di servizio e in questo modo le aveva permesso di ottenere gli scatti di stipendio previsti dal contratto nazionale.
Solo che una normativa interna prevede pure il “raffreddamento” della carriera: “Il riconoscimento per intero avviene solo nei primi quattro anni, per il resto vengono considerati validi solo i due terzi del periodo di servizio pre-ruolo”, spiega il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico.
Per il sindacato questa norma contrasta con una direttiva europea (la 70 del 1999), che prevede invece un principio di non discriminazione.
Insomma, l’anzianità di servizio va riconosciuta tutta e non solo in parte.
Di qui, il motivo del ricorso, che il giudice ha ritenuto fondato.
La sentenza ha infatti riconosciuto all’insegnante 20 mila euro di arretrati: 13.458 per il periodo in cui avrebbe dovuto maturare il primo scatto e 7.622 euro per il secondo scatto. In più, spiega Pacifico, “da questo momento in più passa al gradino superiore, dunque guadagnerà 200 euro in più al mese”.
Quello torinese è uno dei primi ricorsi presentati dall’Anief su questo tema ed è anche il primo che è arrivato a sentenza.
Il sindacato è convinto che la decisione del giudice diventerà un grimaldello per consentire a una marea di insegnanti di recuperare il denaro negato in passato: i possibili ricorrenti sarebbero infatti 400 mila, tra i 300 mila percari assunti dal 1999 in poi e i futuri 100 mila che verranno stabilizzati grazie alla riforma della Buona scuola.
Il danno per il ministero sarebbe enorme: “Con questo sistema – accusa Pacifico – lo Stato ha risparmiato più di 2,5 miliardi sulla pelle dei lavoratori”
Stefano Parola
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 11th, 2015 Riccardo Fucile
HA FATTO IL CAMERIERE, IL FACCHINO, IL CONTADINO, IL TAGLIALEGNA, PER RISPARMIARE DORMIVA ANCHE SUI TRENI… POI E’ STATO ASSUNTO COME OPERAIO: ORA QUELL’AZIENDA E’ DIVENTATA SUA
Quella di Abderrahim Naji è una storia fuori dal comune. 
Con un filo rosso che la tiene unita: la determinazione a non arrendersi davanti agli ostacoli.
Abderrahim lascia il Marocco nel 1988, a 21 anni. Il divorzio dei genitori lo mette in crisi, vuole guadagnare per aiutare la mamma e i sei fratelli.
Per questo molla la facoltà di Chimica e fisica a Marrakesh e si mette un biglietto interrail in tasca. Dopo avere girato l’Europa, finisce per sbaglio a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova.
È il 1990. Un’azienda specializzata nello stampaggio delle materie plastiche lo prende come operaio. Dopo quattro anni è manager. Tempo altri due e si compra tutto.
Da quattro i dipendenti diventano 38. Cinque stabilimenti attivi.
I clienti salgono a più di 50. Anche la Cina importa da lui.
Il business continua a crescere. L’ultimo bilancio, del 2014, lo chiude con un fatturato di 6,6 milioni di euro, cioè il 38 per cento in più rispetto al 2013.
Il piano è di allargarsi ancora. Ora è in trattativa per un capannone di 12mila metri quadri. Se va in porto, questo significa nuovi macchinari e nuove entrate.
Quella di Abderrahim è la scalata di uno straniero in Italia. Un tassello scoperto della storia del Belpaese.
Cs Stampi è il nome della sua azienda. Decide di non cambiarlo anche dopo il passaggio di proprietà . Nel frattempo prende la cittadinanza italiana e mette su famiglia.
Si sposa con una donna veneta, ha due bambine, e i suoi fratelli lo raggiungono dall’Africa. Lui è il primogenito.
“Mia sorella si è laureata qui in chimica industriale e oggi collabora con me”.
Ama l’Italia e si sente amato dagli italiani. L’unica discriminazione che subisce è da parte delle banche.
È all’inizio della carriera. “Avevo chiesto un anticipo ma non volevano darmelo, non si fidavano per il colore della mia pelle. Eppure l’azienda da anni era loro cliente, era sana e forte”.
Un imprenditore locale assiste alla scena e mette la sua firma a garanzia del finanziamento. “Un gesto indimenticabile”, commenta.
Il viaggio di Abderrahim ha un traguardo che si chiama emancipazione.
Per imboccare la strada giusta sa che prima ha bisogno di mettersi in gioco.
Con un visto universitario si imbarca da Tangeri per la Spagna. Poi prosegue via terra. Su e giù dai treni per due anni. La prima tappa è Marsiglia. Ci rimane per quattro mesi. Trova un posto da lavapiatti. Ma è già pronto per ripartire un’altra volta.
Spiega: “Se hai liberà di scegliere, non puoi stare fermo, devi provare”.
Così esplora l’Italia, da Milano a Napoli. Quindi si dirige verso nord.
Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia. Fa il cameriere, il facchino, il contadino, il taglialegna. Per risparmiare dorme anche sui treni. “Quando ero in Norvegia ogni sera per tre mesi ho prenotato una cuccetta, il tragitto da una capolinea all’altro durava una notte. Al mattino mi trovavo sul posto di lavoro”.
Riesce a inviare parte di quello che guadagna alla famiglia lontana. Ma è tutto un accontentarsi per sopravvivere.
“Non mi sentivo realizzato da nessuna parte”, racconta. Allora si trasferisce in Svizzera. “Perchè le paghe sono più alte. Per un mese ho fatto il contabile per un viticoltore”.
Non è convinto però che quello sia il luogo ideale per rifarsi una vita.
Opta di nuovo per l’Italia. “Avevo sentito che presto ci sarebbe stata una sanatoria per gli extracomunitari. Allora mi sono fatto avanti. Meglio qui, che da qualche altra parte, pensai. C’è più calore, più accoglienza, più solidarietà . Il clima mi piace, la cucina è buona e di qualità . Voi vi lamentate, ma non siete freddi come quelli del Nord Europa”.
Sale sull’ennesimo treno della speranza. Il biglietto è per Como, vicino al confine. Ma si addormenta e si risveglia a Padova.
Qui inizia un altro capitolo, pieno di conquiste, che deve ancora finire. Mentre è in fila per il permesso di soggiorno, un sindacalista gli chiede se lo può aiutare con le traduzioni in francese dei moduli.
E in cambio del favore gli dà una mano a trovare un lavoro. “Con alloggio incluso”, specifica lui. Lo prende un’impresa edile come manovale.
Un giorno viene mandato su un cantiere di fianco a Cs Stampa. Passa di lì il titolare dell’azienda, scambiano due parole e scatta la proposta per un posto là dentro.
“Ho studiato i manuali delle macchine e la sera dopo gli ho dimostrato che sapevo usarle. Al che mi ha preso subito a lavorare con lui”.
Nel 1995 il proprietario decide di vendere l’attività a tre fratelli italiani a patto che Abderrahim rimanga al suo posto.
“Non ho chiesto aumenti di stipendio, solo la possibilità di piazzare dei macchinari a spese mie in azienda”. Compra il primo, poi il secondo. Ha esperienza, competenza, sa che quello è il suo mestiere.
I tre fratelli lo capiscono e alla fine gli cedono l’azienda.
Abderrahim dopo nove anni centra il traguardo.
Chiara Daina
(da “il Fatto Quotidiano”)
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