Luglio 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL “FATTO” PUBBLICA I NUMERI VERI DEGLI INGRESSI ALL’EXPO, GIORNO PER GIORNO
Il commissario Giuseppe Sala continua a mentire sui numeri Expo. 
“C’è trasparenza totale”, dichiara. Ma su quanti sono i visitatori c’è il buio più fitto. Pubblichiamo dunque i file degli ingressi giorno per giorno di maggio e giugno. Dimostrano la falsificazione dei dati.
Sala ha dichiarato che a maggio erano 2,7 milioni, invece sono 1.927.600 (772.400 in meno).
A giugno 3,3 milioni, invece sono 2.258.450 (1.041.550 in meno).
I dati che pubblichiamo sono comunque “expottimisti”, perchè i tornelli registrano democraticamente anche chi lavora nel sito, gli addetti ai padiglioni, i volontari, i vigilanti e gli omaggi: sono almeno 10 mila persone al giorno, circa 300 mila ingressi al mese.
Tolte queste, i visitatori veri, quelli che pagano un biglietto, non sono più di 1,6 milioni a maggio e 1,9 a giugno: non più di 3,5 milioni nei primi due mesi di Expo.
Dopo i primi dati diffusi dal Fatto quotidiano, mentre i giornaloni restavano zitti e facevano finta di non vedere e non sentire, la politica si è decisa a chiedere a Sala la verità sugli ingressi Expo, un dato difeso come si trattasse di un segreto politico-militare.
Il presidente del Consiglio comunale di Milano, Basilio Rizzo, ha scritto una lettera al prefetto, chiedendo quanti siano davvero i visitatori.
Alle richieste di trasparenza si sono via via aggiunti i rappresentanti di Forza Italia e di Alleanza nazionale.
Ora si sta muovendo anche la Lega: l’avvocato Domenico Aiello, che rappresenta Regione Lombardia nel consiglio d’amministrazione di Expo spa, uomo di fiducia del presidente Roberto Maroni, ha chiesto di mettere all’ordine del giorno del prossimo cda, il 21 luglio, anche “l’andamento ingressi (articolo apparso sul Fatto, in ordine alla polemica del consigliere Rizzo)”.
Che cosa risponderà Sala al rappresentante della Regione, che con il Comune di Milano è il grande azionista di Expo?
Continuerà a dire che va tutto bene? Negherà i dati veri anche al cda?
Maroni mostra segni d’insofferenza nei confronti di Sala anche a proposito di altre tre questioni, sulle quali ha chiesto di fare chiarezza nel prossimo consiglio d’amministrazione: quella delle bonifiche (non fatte?) dei terreni Expo, come denunciato in una lettera al presidente della Regione inviata dal gruppo Cinquestelle al Pirellone; quella dell’affidamento senza gara a Oscar Farinetti (Eataly) dei ristoranti regionali dell’esposizione; e quella dell’assemblea nazionale del Pd che si terrà dentro Expo.
Sala ha già risposto sull’assemblea Pd: “I regolamenti non prevedono alcun divieto di ospitare all’interno del sito espositivo, in idonea location, il congresso di un partito. Non vi è pertanto la base legale per rispondere negativamente alla richiesta, dal momento che saranno applicate le tariffe normalmente corrisposte per i numerosissimi soggetti che hanno già organizzato o programmato appuntamenti nel corso dei sei mesi dell’Esposizione Universale. Tutti i partecipanti inoltre acquisteranno regolarmente i biglietti di ingrasso ad Expo 2015”.
Così: Sala scrive freudianamente “ingrasso” invece che “ingresso”.
Poi cita i già avvenuti o programmati convegni di Confindustria, Coldiretti, Confagricoltura, Consob e Caritas.
E rivela che il Pd pagherà per l’auditorium 20 mila euro al giorno, per gli allestimenti e il catering tratterà “direttamente con il gestore dello spazio (Fiera Milano-Mico)”.
E i biglietti li acquisterà “da nostri rivenditori”. Non dice però a quanto.
Intanto i supersconti continuano.
Biglietti addirittura gratis per chi ha un imponibile inferiore ai 10 mila euro, con accredito attivo da ieri sul sito dell’Inps.
Trenitalia partecipa alla promozione offrendo agli accreditati biglietti a metà prezzo su Frecce o Intercity per Milano. “I visitatori”, ha dichiarato Sala, “non sono inferiori alle attese”.
Veramente arduo da dimostrare, visto che le previsioni erano di 4,1 milioni per maggio e 4,7 per giugno.
Luglio sta andando anche peggio. E l’imbarazzo sta contagiando anche gli amministratori pubblici (Atm trasporti, Ansa rifiuti, Trenord treni regionali…) costretti a organizzare i servizi sulla base di dati drogati.
Grave soprattutto la situazione di Trenord, che ha ridotto i servizi ai pendolari per mandare a Expo treni che arrivano e ripartono sempre vuoti.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 16th, 2015 Riccardo Fucile
INTERCETTATO AL TELEFONO IL CHIRURGO TUTINO PARLA DI LUCIA, USANDO PAROLE PESANTISSIME…E CROCETTA ASCOLTA E TACE
Lucia Borsellino «va fermata, fatta fuori. Come suo padre».
Come Paolo Borsellino, il giudice assassinato il 19 luglio 1992.
Sono parole pesantissime, intercettate pochi mesi fa. A pronunciarle non è un boss, ma un medico di successo: Matteo Tutino, primario dell’ospedale palermitano Villa Sofia.
All’altro capo del telefono c’è il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, che ascolta e tace. Non si indigna, non replica: nessuna reazione di fronte a quel commento macabro nei confronti dell’assessore della sua giunta, scelto come simbolo di legalità in un settore da sempre culla di interessi mafiosi.
Lo rivela l’Espresso nel numero in edicola domani.
Rosario Crocetta e Matteo Tutino hanno condiviso molto. Il chirurgo estetico da anni è il suo medico personale.
Un rapporto intenso, proseguito fino all’intervento della magistratura che il 29 giugno lo ha arrestato con l’accusa di falso, abuso d’ufficio, truffa e peculato, contestando un intreccio perverso tra incarichi pubblici e affari privati.
Anche in quelle ore, Tutino ha chiamato Crocetta sul cellulare per avvertire il più famoso dei suoi pazienti: «Mi stanno arrestando».
Non ha avuto nessun sostegno, soltanto il consiglio di rivolgersi a un buon avvocato. Gli stralci di queste intercettazioni sono confermate dai magistrati e dagli investigatori che lavorano all’inchiesta: questa volta, dicono, «si va fino in fondo».
L’indagine è solo all’inizio e promette un autunno caldissimo nei palazzi del potere palermitano.
Ma il primo effetto è arrivato proprio con le dimissioni di Lucia Borsellino, per scelta etica e perchè ha scoperto di essere bersaglio delle offese del medico personale del suo presidente.
Il segnale arriverà forte e chiaro: nè Lucia, nè i suoi familiari parteciperanno quest’anno alla commemorazione della strage di via D’Amelio.
Piero Messina e Maurizio Zoppi
(da “L’Espresso”)
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Luglio 16th, 2015 Riccardo Fucile
L’EXPORT ITALIANO PUNTA A RADDOPPIARE CON MACCHINARI, COSTRUZIONE ED ENERGIA
Tre miliardi di export in più nei prossimi 4 anni per tornare ai livelli di 10 anni fa. 
L’accordo sul nucleare può rimarginare una ferita che fa ancora male all’azienda Italia.
Dal 2006, quando iniziarono le limitazioni, il conto dei mancati affari italiani in Iran è stato di 15 miliardi.
E ora, secondo uno studio della Sace, si potrebbe recuperare il tempo perduto e riconquistare un mercato da 80 milioni di consumatori.
«Se l’export italiano riuscisse a riproporre una crescita simile a quella osservata nel periodo pre sanzioni – scrivono i ricercatori dell’Ufficio studi della Sace – si raggiungerebbe un livello di esportazioni superiore a 2,5 miliardi di euro nel 2018».
Si tornerebbe ai livelli del 2005.
Concorda Roberto Luongo, direttore generale dell’Ice, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle nostre aziende: «In uno scenario mutevole e complesso in cui mercati importanti per l’Italia come Grecia, Libia, Tunisia, Siria e Iraq, per motivi diversi, si ritrovano in condizioni difficili, si riapre una pagina in passato molto positiva per interscambi e opportunità »
In pista l’Eni e altre 50
L’interesse delle imprese è ripreso con l’avanzare delle trattative: nei primi tre mesi dell’anno le esportazioni sono salite del 32%. «Negli ultimi 8-10 mesi – racconta Luongo – c’è stata circa una decina tra missioni e partecipazioni a fiere e manifestazioni.
Come Ice non abbiamo mai chiuso l’ufficio di Teheran: abbiamo circa 4-500 aziende interessate a investire nel Paese, per lo più pmi». Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, conta di organizzare una missione «fin dalle prossime settimane».
Si ripartirà dalle risorse naturali. «L’Iran non può prescindere dal gas, di cui possiede la seconda riserva al mondo, nè dai giacimenti di petrolio, per cui è al quarto posto», ricorda Luca Miraglia, ad di Quarkup group, che nell’ultimo anno ha accompagnato oltre 100 aziende ad affacciarsi sul mercato iraniano. Major del petrolio e imprese collegate riaprono i contatti.
Per l’Eni, storica presenza nel Paese, l’accordo di ieri «rappresenta una tappa incoraggiante – fanno sapere dal quartier generale -. Se le sanzioni internazionali venissero sollevate e il governo iraniano proponesse un nuovo quadro contrattuale, più allineato agli standard internazionali e meno penalizzante per le compagnie dell’ “oil&gas”, potremmo considerare nuovi investimenti nel Paese».
Ma Teheran non si limiterà a esportare greggio e importare tutto il resto.
«L’Iran – spiega Miraglia – ha capito che per il futuro non può più fare affidamento esclusivamente nel petrolio, ma che ha bisogno di diversificare. La strategia è divenuta chiara nei piani al 2025 che puntano a dare un incentivo allo sviluppo industriale».
Opportunità e rischi
Per l’azienda Italia può essere un’opportunità e un rischio. Un’opportunità , perchè, come ricorda Luongo, si apriranno spazi importanti «per la nostra meccanica strumentale, per chi produce macchinari, impianti, tecnologia».
Serviranno più infrastrutture, «con lo sviluppo di porti e aeroporti»: largo ai costruttori, che potranno partecipare anche al fabbisogno di case e centri commerciali, determinato anche da una «decisa crescita demografica», sottolineano da Sace.
Senza scordare l’importanza di macchinari per l’agricoltura, per il trattamento delle acque, per l’energia (a cui in passato ha lavorato Ansaldo Energia) la componentistica per l’auto (Landi Renzo ha storicamente puntato sul Paese) e non solo (le cucine a gas di Sabaf, per esempio). Così come ha buone possibilità l’industria chimica, farmaceutica e dell’arredamento.
Eppure partecipare al banchetto imbandito su una tavola che vale 800 miliardi di dollari, rispetto al passato «potrebbe essere più difficile», dice Miraglia.
L’euro più debole rispetto al dollaro e verso la valuta locale, il riyal, rende l’Italia competitiva. Però già in tempo di sanzioni, Paesi meno allineati come India e Cina, si sono posizionati.
E ora arriveranno anche gli americani che, rispetto all’Italia, forse avranno coperture finanziarie più solide per farsi largo tra gli ayatollah.
Francesco Spini
(da “La Stampa”)
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Luglio 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL PARTITO DEL PREMIER SI SPACCA, VAROUFAKIS E LA PRESIDENTE DELLA CAMERA VOTANO NO
In una drammatica notte per la Grecia il Parlamento di Atene ha approvato il primo pacchetto di riforme che Alexis Tsipras ha concordato a Bruxelles per evitare la Grexit.
Ma il primo ministro greco ha davanti agli occhi la gravissima spaccatura del suo partito (40 deputati su 149 non hanno votato il piano, tra cui l’ex ministro Varoufakis, la ‘pasionaria’ presidente del Parlamento Zoe Konstantopolou e il leader dell’ala radicale Lafazanis, mentre la vice ministro delle Finanze Nantia Valavani si è dimessa) e i primi scontri di piazza del suo governo.
E sono in molti stanotte a chiedersi ad Atene quanto ancora Tsipras riuscirà a rimanere in sella, dal momento che stanotte ha perso la sua maggioranza politica.
“E’ un accordo che non ci piace ma che siamo “obbligati” a rispettare”, ha detto il premier intervenendo durante la seduta fiume del Parlamento chiamata a votare su riforma dell’Iva, indipendenza dell’ufficio di statistica, ‘Fiscal Council’ ed eliminazione delle baby pensioni.
“A Bruxelles avevo di fronte tre alternative: l’accordo, il fallimento con tutte le sue conseguenze e il piano Schaeuble” di una Grexit temporanea.
E fra le tre, “ho fatto una scelta di responsabilità ” e di “dignità “, ha scandito Tsipras.
I numeri per far approvare il piano li ha avuti.
Ma con il voto determinante delle opposizioni di Nea Dimokratia, Pasok e To Potami, che hanno votato sì come lo junior partner del suo governo, il partito di destra Anel del ministro della Difesa Kammenos, di fatto turandosi il naso.
Nei discorsi è prevalso il senso di salvare il salvabile.
La sconfitta ‘politica’ per Tsipras è tutta dentro il suo partito. Ed è enorme.
A nulla è valso l’aut aut che aveva lanciato nel pomeriggio ai ribelli (“Senza il vostro sostegno (nel voto di stasera sarà difficile per me restare premier. O stasera siamo uniti, o domani cade il governo di sinistra”).
Le defezioni sono state tantissime e ora sarà difficile continuare l’esperienza del primo governo di estrema sinistra della storia della Ue. Almeno in queste condizioni.
Prima delle drammatiche ore finali, e mentre a Bruxelles si continua a lavorare per il prestito ponte che potrebbe permettere di far riaprire le banche, il Paese aveva vissuto una giornata punteggiata da cortei, dalla serrata delle farmacie e dallo sciopero dei dipendenti pubblici (quelli più colpiti, ma anche quelli che fino al 2010 arrivavano a prendere 2mila euro al mese per un posto da donna delle pulizie al ministero delle Finanze).
Tensione alle stelle, ma pacifica. Almeno fino alla prima serata.
La rabbia degli estremisti è scoppiata alle 21.10, provando a cambiare con la violenza la storia della Grecia. Una bomba carta è esplosa in piazza Syntagma.
Gli anarchici e i black bloc hanno tirato anche bombe molotov. Nella piazza simbolo della democrazia greca sono arrivati con i caschi, le maschere antigas, le maglie nere mentre il popolo dell’ Oxi fatto giovani, impiegati, mamme, zie, adolescenti, ma anche bambini, da ore gridava e distribuiva volantini per esortare Tsipras a non cedere al “ricatto” della Germania e dell’Eurosummit.
Dopo la prima esplosione, sono volati i lacrimogeni della polizia e la piazza si è svuotata. Cordoni di poliziotti si sono schierati.
Poi la calma è tornata. E la parola è tornata alla politica.
(da “Huffingtonpost“)
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