DOPO L’INTESA SUL NUCLEARE, GLI SCAMBI CON L’IRAN AUMENTERANNO DI UN MILIARDO
L’EXPORT ITALIANO PUNTA A RADDOPPIARE CON MACCHINARI, COSTRUZIONE ED ENERGIA
Tre miliardi di export in più nei prossimi 4 anni per tornare ai livelli di 10 anni fa.
L’accordo sul nucleare può rimarginare una ferita che fa ancora male all’azienda Italia.
Dal 2006, quando iniziarono le limitazioni, il conto dei mancati affari italiani in Iran è stato di 15 miliardi.
E ora, secondo uno studio della Sace, si potrebbe recuperare il tempo perduto e riconquistare un mercato da 80 milioni di consumatori.
«Se l’export italiano riuscisse a riproporre una crescita simile a quella osservata nel periodo pre sanzioni – scrivono i ricercatori dell’Ufficio studi della Sace – si raggiungerebbe un livello di esportazioni superiore a 2,5 miliardi di euro nel 2018».
Si tornerebbe ai livelli del 2005.
Concorda Roberto Luongo, direttore generale dell’Ice, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle nostre aziende: «In uno scenario mutevole e complesso in cui mercati importanti per l’Italia come Grecia, Libia, Tunisia, Siria e Iraq, per motivi diversi, si ritrovano in condizioni difficili, si riapre una pagina in passato molto positiva per interscambi e opportunità »
In pista l’Eni e altre 50
L’interesse delle imprese è ripreso con l’avanzare delle trattative: nei primi tre mesi dell’anno le esportazioni sono salite del 32%. «Negli ultimi 8-10 mesi – racconta Luongo – c’è stata circa una decina tra missioni e partecipazioni a fiere e manifestazioni.
Come Ice non abbiamo mai chiuso l’ufficio di Teheran: abbiamo circa 4-500 aziende interessate a investire nel Paese, per lo più pmi». Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, conta di organizzare una missione «fin dalle prossime settimane».
Si ripartirà dalle risorse naturali. «L’Iran non può prescindere dal gas, di cui possiede la seconda riserva al mondo, nè dai giacimenti di petrolio, per cui è al quarto posto», ricorda Luca Miraglia, ad di Quarkup group, che nell’ultimo anno ha accompagnato oltre 100 aziende ad affacciarsi sul mercato iraniano. Major del petrolio e imprese collegate riaprono i contatti.
Per l’Eni, storica presenza nel Paese, l’accordo di ieri «rappresenta una tappa incoraggiante – fanno sapere dal quartier generale -. Se le sanzioni internazionali venissero sollevate e il governo iraniano proponesse un nuovo quadro contrattuale, più allineato agli standard internazionali e meno penalizzante per le compagnie dell’ “oil&gas”, potremmo considerare nuovi investimenti nel Paese».
Ma Teheran non si limiterà a esportare greggio e importare tutto il resto.
«L’Iran – spiega Miraglia – ha capito che per il futuro non può più fare affidamento esclusivamente nel petrolio, ma che ha bisogno di diversificare. La strategia è divenuta chiara nei piani al 2025 che puntano a dare un incentivo allo sviluppo industriale».
Opportunità e rischi
Per l’azienda Italia può essere un’opportunità e un rischio. Un’opportunità , perchè, come ricorda Luongo, si apriranno spazi importanti «per la nostra meccanica strumentale, per chi produce macchinari, impianti, tecnologia».
Serviranno più infrastrutture, «con lo sviluppo di porti e aeroporti»: largo ai costruttori, che potranno partecipare anche al fabbisogno di case e centri commerciali, determinato anche da una «decisa crescita demografica», sottolineano da Sace.
Senza scordare l’importanza di macchinari per l’agricoltura, per il trattamento delle acque, per l’energia (a cui in passato ha lavorato Ansaldo Energia) la componentistica per l’auto (Landi Renzo ha storicamente puntato sul Paese) e non solo (le cucine a gas di Sabaf, per esempio). Così come ha buone possibilità l’industria chimica, farmaceutica e dell’arredamento.
Eppure partecipare al banchetto imbandito su una tavola che vale 800 miliardi di dollari, rispetto al passato «potrebbe essere più difficile», dice Miraglia.
L’euro più debole rispetto al dollaro e verso la valuta locale, il riyal, rende l’Italia competitiva. Però già in tempo di sanzioni, Paesi meno allineati come India e Cina, si sono posizionati.
E ora arriveranno anche gli americani che, rispetto all’Italia, forse avranno coperture finanziarie più solide per farsi largo tra gli ayatollah.
Francesco Spini
(da “La Stampa”)
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