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EXPO, RISCHI PENALI CON SOLDI PUBBLICI, I 22.500 PARCHEGGI SONO SEMIVUOTI

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

ARRIVANO I SALDI: “VIENI IN AUTO, ENTRI GRATIS”… TRE MILIONI DI EURO LA PENALE

Niente sembra facile per questa Expo, tranne parcheggiare.
Visto l’afflusso di visitatori, così lontano dalle stime iniziali, tra le quattro aree attrezzate e i 22.550 posti disponibili c’è solo l’imbarazzo della scelta.
E ora c’è pure l’incentivo: a chi scarta i mezzi pubblici, la società  Expo2015 offre in omaggio il biglietto d’ingresso serale del valore di cinque euro, con buona pace delle politiche di contenimento dello smog delle giunte Moratti e Pisapia.
Ma tocca anche capire cosa muove la generosa gratuità  dell’ingresso per chi arriva in auto (il ticket parcheggio costa 12 euro), ultima carta “acchiappa-visitatori” di una manifestazione che si regge su numeri sempre più incerti.
Alla fine dei conti, i parcheggi di Expo agli italiani sono costati un sacco di soldi. Stabilire con esattezza quanti è impresa molto difficile.
Bisogna tornare indietro nel tempo di cinque anni, al Dpcm dell’1 marzo 2010 (scarica) che individuava le “opere essenziali” del dossier di candidatura di Milano del 2008.
In una tabella venivano indicati il fabbisogno di posti previsto, i costi e i tempi di realizzazione di quattro grandi aree in zone perimetrali al sito: due collocate a Rho, una ad Arese e una a Baranzate per un totale di 17mila posti auto e mille posti per bus.
Accanto alla colonna dei “costi” un totale di 71 milioni di euro, una cifra enorme.
Ma era la colonna dei sogni, perchè alla voce “fondi statali disponibili” c’era uno “zero” tondo tondo.
Il fatto è che a lungo si era sperato in un contributo attivo dei costruttori, immaginandoli pronti ad accollarsi costi e rischi dell’impresa di accogliere i visitatori in auto.
Presto si scoprirà  però che era un’ipotesi irrealistica e che i parcheggi diventeranno la prima vera grana di Expo.
Gli investitori privati si sfilano perchè colpiti dalla crisi e perchè non vedono chiare garanzie sui ritorni economici e sulla monetizzazione delle strutture dopo il 2015.
Tre anni dopo il governo emana il decreto del 6 maggio 2013 (scarica) che nomina il commissario unico delegato del Governo per Expo e riepiloga il dettaglio degli investimenti per le opere infrastrutturali: i costi per realizzare le aree di parcheggio salgono a 84 milioni, ma le risorse pubbliche stanno ancora a zero, mentre “le cifre sono suscettibili di variazione in base all’apporto dei privati”, che non ci sarà  mai.
Regione Lombardia a quel punto è costretta a sconfessare le sue stesse previsioni, ammettendo “l’impossibilità  di localizzare i parcheggi remoti così come indicati nel dossier di candidatura”.
Il problema diventa poi lampante il 5 novembre 2013, a poco più di un anno dall’avio dell’evento, in occasione di un Tavolo Expo Lombardia alla presenza del governo (ministri Lupi e Orlando, insieme al sottosegretario all’Expo Maurizio Martina), del governatore della regione Roberto Maroni con il suo vice Mario Mantovani e il vicesindaco di Milano Lucia De Cesaris (che ha lasciato la giunta proprio questa settimana).
E’ emersa allora con chiarezza “l’impossibilità  di coinvolgere i privati nella realizzazione dei parcheggi” che da progetto avrebbero dovuto essere costruiti in prossimità  dei padiglioni.
Si deve attrezzare di corsa un piano B, a costi ridotti e tempi possibili.
Le ipotesi di localizzazione del dossier finiscono nel cassetto, ne spuntano di nuove, fondate stavolta sulla localizzazione di parcheggi remoti oltre il territorio dei Comuni immediatamente adiacenti all’area Expo, ponendo come criterio di selezione un tempo di accesso al sito contenuto in 20-25 minuti.
Si ripiega allora su parcheggi connessi al sito col treno (Rho Fiera) e su altri da connettere con navette, possibilmente su aree già  di proprietà  pubblica o oggetto di trasformazione.
La nuova soluzione chiama in causa i singoli comuni in un affastellamento di accordi di programma, atti integrativi, varianti di progetto e delibere di spesa che rendono praticamente impossibile tirare la riga dei consuntivi.
Viene spianata l’area ex Alfa di Arese, a circa 10 km dalla manifestazione, sotto 31mila mq di cemento che offrono 11mila stalli.
Altri 10mila posti arrivano dal parcheggio di Fiera Milano, 1500 dal parcheggio Trenno e via dicendo. Ma sapere quanto si è speso per farlo è impossibile.
Siccome però Expo era già  un successo planetario prima che iniziasse, si pensò che neppure quelli   bastavano.
Il Direttore generale Giuseppe Sala, sempre a fine 2013, propone una variante in corso d’opera (scarica): oltre ai parcheggi previsti, suggerisce di realizzarne un altro a Cascina Merlata, a 500 metri dai cancelli, che permettesse di raggiungere l’area espositiva con una passerella da percorrere a piedi.
I fondi vengono stanziati con il “Destinazione Italia”, un decreto last-minute emanato il 23 dicembre 2013 (n. 145). Si tratta di 900 posti in tutto e per realizzarli vengono stanziati 31 milioni di euro, 34mila euro a posto (vuoto). Tutti a carico dei contribuenti.
LE PENALI
Se poi i parcheggi non si riempiono c’è un altro conto da pagare.
La società  pubblica dovrà  sborsare altri soldi. Il bando per la gestione delle aree, vinto dal gruppo Arriva (partecipato da Deutesche Bahn), vincola infatti Expo Spa a garantire la differenza dei mancati incassi sotto una determinata soglia di guadagno.
Il budget dei costi di gestione delle aree di Arese, Merlata e del servizio di navette da quelle di Trenno e Fiera Milano arriva a circa 11 milioni di euro.
Se non saranno coperti dagli incassi dei parcheggi, dice la clausola contrattuale, sarà  cura della Spa pubblica integrare per 3 milioni di euro.
Da qui, l’offerta dell’ultimo minuto degli organizzatori al motto: “Cari visitatori: non pagate l’ingresso, pagate il parcheggio”. Purchè paghiate.
Ecco perchè parcheggiare all’Expo sarà  anche facile, ma di “gratis” non c’è proprio nulla.

Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)

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CROCETTA SFIDA IL PD: “NON MI DIMETTO, SE MI SFIDUCIA E’ GOLPISTA”

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

RITA BORSELLINO CONTRO IL GOVERNATORE…DIVISO IL FRONTE ANTIMAFIA

“Non mi dimetto, sono un combattente e un combattente muore sul campo. Se lo facessi la darei vinta ai poteri forti”.
Lo dice alll’Ansa il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, dopo che le commemorazioni per il 23esimo anniversario della strage di via d’Amelio hanno fatto divampare ulteriormente le polemiche sull’intercettazione in cui il suo medico personale, Matteo Tutino, gli avrebbe detto: “Lucia Borsellino va fatta fuori come suo padre“.
Il governatore sfida i dem: “Il Pd vuole le mie dimissioni? Mai, mi sfiducino se vogliono, così si renderanno complici dei golpisti e passeranno alla storia come coloro che hanno ammazzato il primo governo antimafia della storia siciliana”.
Date le versioni contrastanti tra l’Espresso, che ha pubblicato la notizia dell’intercettazione, e la Procura di Palermo che ne ha negato l’esistenza, il presidente della Regione Sicilia arriva a chiedere che “il governo nomini subito una commissione d’inchiesta per accertare quali servizi deviati e quali poteri oscuri abbiano tentato di farmi fuori. Ieri l’ho chiesto al ministro degli Interni Alfano“.
Ieri Crocetta non ha presenziato alla cerimonia organizzata a Palazzo di giustizia di Palermo in ricordo del magistrato e degli agenti di scorta assassinati dall’autobomba del 19 luglio 1992, così come è rimasta in vacanza a Pantelleria Lucia Borsellino, fino al 30 giugno assessore della giunta Crocetta.
La famiglia è stata rappresentata dal fratello Manfredi, commissario di polizia, che dopo un intervento molto polemico sulla sorte politica della sorella Lucia è stato a lungo abbracciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
In una giornata ricca di esternazioni e interviste, il governatore risponde anche a lui: “Ho vissuto due giorni come un lebbroso colpevole di nulla, reietto, pensavo di non potere di uscire di casa per guardare gli occhi della gente. E’ stata ed è un’istigazione al linciaggio”, ha detto a Rai News, rispondendo poi a Manfredi Borsellino, che ieri aveva affermato che la sorella Lucia “ha portato la croce”: “Porto la croce con lei e la condivido dal primo giorno. Manfredi mi darà  forse atto che con Lucia ho parlato più di lui in questi anni. Ho visto i suoi problemi, le sue croci erano le mie”.
Dopo le dichiarazioni di Manfredi Borsellino, nel Pd siciliano sono ore convulse.
Se due giorni fa il segretario regionale Fausto Raciti, in conferenza stampa, aveva ribadito che “non ci sono ragioni per interrompere la legislatura”, ora si sussuegono le riunioni. Raciti si limita a dire: “Oggi, per rispetto dell’anniversario della strage di via D’Amelio preferisco non parlare”.
Ma secondo indiscrezioni, la direzione presa dal partito sarebbe quello dello scioglimento anticipato della legislatura in Sicilia.
Il tutto con il sì di Crocetta, che al momento però manifesta tutt’altro orientamento, dopo l’autosospensione dalla carica annunciata allo scoppiare del caso.
C’è, dunque, molta attesa per martedì 21 luglio, quando Crocetta interverrà  in aula per riferire in Assemblea regionale siciliana, in una seduta già  prevista dopo le dimissioni degli assessori Borsellino e Caleca.
Rita Borsellino, sorella del giudice assassinato, attacca però con estrema durezza: “Quanto squallore in tutta questa vicenda. Provo ribrezzo per certe parole che ho letto, ma non sono solo le parole a fare male, è atteggiamento e un certo modo di essere. Adesso Crocetta, se ne è capace, ritrovi la sua dignità ”.
La vicenda divide i volti storici del movimento antimafia, già  segnato da divisioni e polemiche, specie in Sicilia, dopo il coinvolgimento in inchieste delicate di personaggi che della lotta alle cosche avevano fatto una bandiera.
Con Crocetta- già  lui simbolo dell’antimafia da quando era sindaco di frontiera a Gela — si schiera Ivan Lo Bello, che da presidente di Confindustria Sicilia fece propria la battaglia contro il pizzo: “Secondo me si tratta di un complotto guarda caso confezionato due giorni prima della commemorazione”, afferma.
Mentre Nando dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, a margine di un convegno organizzato a Milano in ricordo della strage di via D’Amelio, si schiera per le dimissioni del governatore, “perchè quello che è accaduto, qualunque sia la forma in cui è stato accertato, è offensivo per la famiglia Borsellino. Non dimentichiamo”, ha aggiunto il sociologo, “che Lucia Borsellino se n’è andata, si è dimessa indipendentemente da qualsiasi intercettazione telefonica dopo aver dato la sua disponibilità  a mettere il proprio cognome, che è un cognome importante e pesante, al servizio della Sicilia”.
Trancianti i toni di Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia: dimissioni subito, “per tutelare ciò che resta della dignità  di un popolo costretto da tre anni a rappresentare se stesso con i toni sguaiati di un presidente giullare. Il quale, resti agli atti, con la lotta alle mafie non c’entra nulla”.

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INTERVISTA A VAROUFAKIS: “NESSUNO CREDE ALL’ACCORDO, TSIPRAS SI E’ ARRESO, IO RESTO E COMBATTO PER LA GRECIA”

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

“ALEXIS POTEVA SCEGLIERE SE ESSERE GIUSTIZIATO O PIEGARSI, HA SCELTO LA SECONDA”

“Sto andando a Corfù in vacanza. Non sono qui per dare consigli, ma ho incontrato degli amici”.
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, è seduto sulla grande poltrona di pelle nella hall di uno degli alberghi che si affacciano su piazza Syntagma.
Accanto a lui c’è l’ex ministro delle Finanze, Yannis Varoufakis. Nel pomeriggio di due giorni fa, poco prima che venisse annunciato il rimpasto di governo, Stiglitz ha incontrato anche il premier greco Alexis Tsipras.
“Il piano europeo è sbagliato — spiega il Nobel — crea disuguaglianze senza risolvere il problema: il debito. Va ristrutturato, questo è ormai accettato da più fronti”.
Stiglitz porge una busta con un’importante bottiglia di vino rosso a Varoufakis, e prima di allontanarsi aggiunge: “Siamo davanti al più lungo bank holiday che io abbia mai visto in Europa, bisogna fare qualcosa, ma le scelte fatte non porteranno ai progressi attesi”.
Mentre il professore si dirige verso gli ascensori Varoufakis si alza in piedi e dice: “Hai tre domande a disposizione”.
Ha ricevuto molte critiche per le sue decisioni che hanno ritardato l’accordo…
La Grecia era già  in bancarotta prima che arrivassimo noi di Syriza al governo, quello che è avvenuto dopo è stata una scelta politica per ribaltare la nostra elezione. Le decisioni della Bce ci hanno messo in un angolo dal primo giorno. Nonostante i grandi sforzi che abbiamo fatto questi sono stati cinque mesi di non negoziati. Non erano interessati a trovare un accordo, volevano solo farci cadere o umiliarci forzandoci ad arrenderci. È stata una mossa dittatoriale nel contesto dell’Unione europea. Penso che il modo in cui siamo stati trattati, nonostante avessimo proposte estremamente moderate, è stato un colpo per il concetto d’integrazione europea. L’Unione europea è andata contro la sua storia e ha ucciso la sua anima.
Non pensa di avere delle responsabilità ? Non ha dei rimorsi?
Assolutamente no. Tutti facciamo degli errori, ma noi siamo le vittime. Le istituzioni ci hanno maltrattato e soffocato finchè non ci siamo arresi. Il governo non ha fatto nulla per contribuire alla recessione economica, dovuta alla mancanza di liquidità . Questa è stata imposta politicamente, per sabotare l’unico governo europeo che si alzato in piedi contro l’irrazionalità  macroeconomica e l’inumanità  sociale.
Il risultato è la creazione di nuovo debito. Ora ci sono margini per chiedere un taglio di questo debito?
No, chi dice questo non ha guardato a cosa è successo. Nel 2010 lo Stato greco è diventato insolvente. I poteri europei hanno deciso che la soluzione fosse, con nuovi prestiti, la creazione del più grande debito dell’Eurozona, con il paese più insolvente, a condizione di un’austerità  crescente. Questo ha fatto diminuire l’avanzo primario, con il quale avremmo dovuto pagare i vecchi e i nuovi debiti. E da qui la catastrofe. Noi dal primo giorno abbiamo chiesto una cosa sensata, nè di destra nè di sinistra: il debito andava ristrutturato.
Tsipras si è sbarazzato di lei?
Non si è voluto sbarazzare di me. Si è reso conto di avere una pistola puntata e poteva scegliere se essere giustiziato o arrendersi. Ha deciso che la seconda possibilità  era la strategia migliore. Ero in disaccordo e mi sono dimesso. Ma capisco in che difficile situazione si trovasse, per questo siamo uniti. Tutto quello che stavamo chiedendo era un’opportunità  per riformare il nostro paese.
C’è stato un rimpasto di governo. C’è ancora qualcuno nell’esecutivo che condivide il suo punto di vista, ossia che non approva il programma dei creditori?
Nessuno crede in questo accordo. So che Tsipras non crede in questo programma imposto al governo. Un programma che lo stesso premier ha descritto come catastrofico. È un giorno triste quello in cui un governo democraticamente eletto viene messo davanti alla possibilità  di non vedere mai più riaprire le banche se non accettando delle riforme fiscali che non hanno alcun senso.
Il primo ministro non ha voluto i tecnici nel governo, sarebbero stati utili per implementare questo programma?
Questa domanda non ha senso. Non ci sono misure tecniche che possano far funzionare un programma non attuabile. Possono esserci ingegneri e fisici che lavorano contro la gravità , ma la gravità  vincerà  sempre. Questo programma fallirà , non importa chi lavorerà  alla sua realizzazione. Di fatto è già  fallito. Estendere la crisi nel futuro e pretendere che sia risolta è irrazionale. Neanche il ministro tedesco Wolfgang Schà¤uble crede in questo programma. Il Fondo monetario internazionale non ci crede e prevede che il debito salirà  al 200%. L’accordo c’è stato imposto per vendetta. L’Europa non ha riconosciuto i propri errori e ha continuato a spingere per un programma sapendo già  che è fallito.
Si sente di dovere delle scuse ai greci per le sue decisioni?
Il 61,5% ha votato con me, per il No a questo accordo.
Ci sono state proteste negli ultimi giorni, in molti non capiscono perchè hanno votato No al referendum…
Io mi sono dimesso la notte del referendum, perchè il governo ha sbagliato non utilizzando il risultato per far pressione sui creditori. Capisco però Tsipras e i miei colleghi che hanno alzato le mani e accettato l’accordo. Non sono più rivoluzionario di Tsipras, nè lui di me, è stata una scelta difficile. Gli europei dovrebbero essere molto infelici per quanto è stato fatto a un piccolo e orgoglioso paese che ha sofferto per cinque anni e che sarà  costretto a soffrire ancora per molto. Una cosa che non ha nulla a che fare con il rendere l’Europa un posto migliore dove vivere.
Siete stati puniti per quanto potrebbe avvenire alle elezioni in Portogallo, Spagna e Irlanda?
È una buona domanda, ma preferisco non commentare.
Cosa farà  in futuro? Tornerà  alla vita che faceva prima?
Mi sono dimesso perchè il governo non era pronto a dare forza al No arrivato dal referendum. Sono un deputato e sono qui per restare e il mio ruolo verrà  più che rinforzato da questi eventi. Ci sono 140mila persone che hanno votato per me, penso di essere il parlamentare più votato di tutta Grecia nelle ultime elezioni. Glielo devo, resterò qui, devo combattere per la causa greca e per il 61,5% che ha votato No al referendum.
Lo farà  restando in Syriza o creerà  un nuovo partito?
Certamente con Syriza.

Cosimo Caridi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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ROTTAME LEGHISTA: “GABRIELLI PORCO COMUNISTA, PER TE OLIO DI RICINO”

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

E QUESTO SAREBBE IL VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE MARCHE… E LA MAGISTRATURA CONTINUA A FARE FINTA DI NULLA

«Gabrielli un porco di un comunista al servizio del Pd, attento che ti abbiamo segnato sul nostro elenco, arriveremo, l’olio di ricino te ne daremo tanto».
È la frase choc (l’ultima parte in diletto anconetano) postata dal vicepresidente del Consiglio regionale delle Marche, il leghista Sandro Zaffiri, sul suo profilo Facebook.
Passano poche ore e si diffonde lo sconcerto negli ambienti politici e non, non solo per il contenuto minaccioso e offensivo delle dichiarazioni contro il prefetto di Roma, dopo le polemiche per la vicenda dei profughi, ma anche per il ruolo istituzionale di Zaffiri.
Interviene tra i primi il presidente della Regione Luca Ceriscioli, Pd: «Nessuno può permettersi di evocare pratiche fasciste, per di più se è un rappresentante delle istituzioni. È vergognoso e mi auguro possa quantomeno chiedere scusa al prefetto Gabrielli al quale va tutta la mia solidarietà  e quella della giunta regionale per il lavoro che sta compiendo. Evocare pratiche squadriste o continuare ad aizzare e stuzzicare istinti populisti come fanno la Lega e Salvini, non contribuisce in alcun modo a risolvere e mettere freno al fenomeno dell’immigrazione».
Severo anche il giudizio del presidente dell’Assemblea legislativa, Antonio Mastrovincenzo: «Sono amareggiato da parole che oltraggiano le istituzioni e, allo stesso tempo, fomentano intolleranza verso persone disperate che fuggono da guerre e miserie. Zaffiri è vicepresidente del Consiglio regionale delle Marche, il ruolo che ricopre non gli consente di superare il limite della decenza e del rispetto delle istituzioni».
Il segretario regionale del Pd Francesco Comi si spinge oltre, chiedendo le dimissioni: «Violare così prepotentemente il rispetto della persona e scadere nella becera e vile violenza verbale dimostra il limite, umano prima ancora che politico, del consigliere leghista. Questa è politica da medioevo, di inaudito squallore».
Di «rischio barbarie» parla il deputato marchigiano del Pd Emanuele Lodolini, mentre la collega senatrice Camilla Fabbri ammonisce: «Spiace dover ricordare al vicepresidente del Consiglio regionale che in Italia vige una Costituzione, nata dal sangue versato dalle cittadine e dai cittadini che hanno animato la Resistenza, e che questa Costituzione fonda il nostro Stato democratico».
Su Facebook l’ex presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, invita a «reagire con fermezza. Non si possono lasciare passare certe cose».

(da “il Secolo XIX”)

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FLORESTANO (FDI): “I PROFUGHI? LI AMMAZZEREI CENTO ALLA VOLTA”, IL PARTITO LO STRONCA

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

“NE PRENDO 100 IO, A FUCILATE, E POI DATEMENE ALTRI”: SI DIFFONDE IL DELIRIO RAZZISTA, MA LA MAGISTRATURA NON HA NULLA DA DIRE

«Certo, io ne prendo 100 alla volta: tempo di sparare per farli cadere in una buca e me ne date altri cento. In una giornata ne faccio fuori quanti ne sbarcano».
È la frase choc sugli immigrati scritta su Facebook da Fabrizio Florestano, dirigente locale ferrarese di Fdi (Fratelli d’Italia), che in pochissimo ha fatto il giro del web.
Le parole postate sul social network hanno scandalizzato anche gli stessi componenti del suo partito e Paolo Spath, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio comunale e responsabile provinciale del partito, ha convocato il direttivo per martedì.
Spath prende le distanze dalle estreme affermazioni di Florestano: «Quelle frasi sono un vero delirio, inqualificabili dal punto di vista umano, e Florestano deve spiegare se le condivide davvero, perchè questo non è il pensiero del suo partito. Ascolteremo cosa avrà  da dire, ma non servono giustificazioni, solo le scuse e in… mondovisione. Altrimenti avremo l’obbligo politico di prendere provvedimenti in modo collegiale».

(da “il Secolo XIX“)

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“PAOLO BORSELLINO CI HA LASCIATO UN PATRIMONIO IMMENSO”: IL RICORDO DI GRASSO

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

RITA BORSELLINO: “DA 23 ANNI NON HO PIU’ LA FORZA DI PIANGERE”

Proseguono le celebrazioni in via D’Amelio, a Palermo, per ricordare la strage che uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
Il presidente del Senato Pietro Grasso ha affidato a Facebook un toccante ricordo dell’amico Borsellino, accompagnato da una foto in cui Paolo tiene sulle spalle la figlia.
“Da quella terribile estate del 1992, ogni 19 luglio sento l’esigenza simbolica di raccogliere i pensieri che quotidianamente affollano la mia mente e lasciarli idealmente riposare all’ombra dell’ulivo piantato dove furono uccisi Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina: il coraggio e la professionalità  dei miei ex colleghi, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine caduti, le vittime innocenti della mafia, gli anni bui della Sicilia, i soprusi delle cosche, gli errori commessi, i successi conseguiti e, soprattutto, il dolore che sembra essere impermeabile al tempo. Coltivare la memoria del nostro passato, ogni giorno, è fondamentale perchè da essa scaturiscono l’orgoglio e l’energia che servono per riscattare la dignità  del nostro Paese.
Il 19 luglio 1992, con quell’esplosione che sembrò trascinare via ogni speranza, ci costringe ancora a riflettere, a valutare i risultati, a rinnovare il nostro impegno per la legalità  e la nostra fede nella giustizia.
Paolo Borsellino è stato un grandissimo uomo, uno straordinario magistrato, un amico.
Come tutti i maestri ci ha lasciato un immenso patrimonio intellettuale, etico e professionale: ciascuno di noi, nessuno escluso, ha il diritto e il dovere di trarre dal suo esempio una personale ispirazione, un insegnamento, una ragione per non abbandonarsi all’indifferenza”.

Momenti di tensione questa mattina prima dell’inizio delle commemorazioni: uno scooter posteggiato proprio in via D’Amelio ha creato subbuglio perchè non si riusciva a trovare il proprietario.
La Polizia stava per sequestrare il mezzo quando è arrivato il proprietario della Vespa scusandosi. Adesso sono iniziate le manifestazioni con i giovani che giocano, cantano e suonano.
“Ieri quando ho sentito che nel luogo ‘naturale’, il Palazzo di Giustizia, Manfredi ha trovato forza di venire fuori con quelle parole toccanti avrei pianto anch’io. Ma io non riesco più a piangere da 23 anni a questa parte”, ha detto stamattina Rita Borsellino in via d’Amelio, commentando le parole pronunciate ieri dal nipote Manfredi Borsellino, figlio di Paolo assassinato a Palermo il 19 luglio del 1992.
Istituzioni e mondo politico, oggi, rendono omaggio al giudice assassinato, mentre non si fermano le polemiche per la presunta intercettazione tra il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, e l’ax assessore alla Sanità  siciliana, Lucia Borsellino
In un intervento sul Sole24Ore , il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, riflette sulla lezione più grande di Falcone e Borsellino:
“L’eredità  più preziosa di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone per i giovani magistrati, ma prima ancora per tutti noi cittadini di questo Paese, è il loro esempio: senso delle istituzioni e senso del dovere spinti fino al limite estremo del sacrificio, oltre che, naturalmente, eccezionali qualità  professionali e umane”, afferma Pignatone, che dei due magistrati vuole sottolineare “la disponibilità  ad affrontare le indagini con quello che io chiamo spirito laico, cioè senza pregiudizi di alcun tipo. Questo è tanto più necessario quando oggetto delle indagini sono realtà  complesse o addirittura segrete per definizione come sono le associazioni mafiose”.
“Un altro punto di riflessione – rileva Pignatone – è l’attenzione alla concretezza del lavoro, al suo risultato in sede giudiziaria. In una delle sue rare interviste Paolo Borsellino ricorda che nel maxiprocesso erano iscritte come indiziate di reato circa 850 persone, ma il rinvio a giudizio fu disposto nei confronti di 475 soggetti, per gran parte dei quali il processo si concluse con l’affermazione di responsabilità  e la pronunzia di sentenze di condanna. Una selezione, quindi, tanto attenta quanto rigorosa”.
“Naturalmente – osserva anche – dalle indagini emergono elementi di conoscenza della realtà  sociale, economica e politica attorno a noi ma, almeno secondo me, le indagini si fanno, e si giustificano, per fare i processi ed avere una pronunzia del Giudice su fatti specifici addebitati a persone specifiche”.

(da “Huffingtonpost“)

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IL TELEGRAPH ACCUSA: GLI SFARZI DELLA MOGHERINI TRA “PIATTI E POSATE D’ARGENTO PER 3 MILIONI DI EURO”

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

LA MOGHERINI RESPINGE LE ACCUSE IN UN TWEET

Servizi di piatti in stile imperiale, bicchieri in cristallo, porcellane e interi servizi di posate in argento.
Il servizio diplomatico dell’Unione europea spende e spande per milioni di euro per ospitare banchetti, party e visite di dignitari dal mondo intero.
Mentre proprio l’Europa impone a tutti rigore e austerità , il Telegraph sbatte in prima pagina gli sfarzi di Bruxelles, e il quotidiano britannico, almeno nella scelta delle fotografie a corredo, svela sfacciatamente il suo principale bersaglio: Federica Mogherini, l’alto rappresentante Ue per la politica estera europea.
Che in un tweet smentisce.
Stando alle indiscrezioni del Telegraph, i servizi da tavola – che saranno utilizzati in occasione di ricevimenti tanto a Bruxelles che presso le 140 rappresentanze ue all’estero – in preziosissima ceramica cinese col bordo dorato e abbelliti da un’incisione della bandiera europea, bicchieri da whisky, brandy e champagne, nonchè vassoi, candelabri e molto altro ancora, costeranno all’incirca 2 milioni di sterline, vale a dire quasi 3 milioni di euro.
Circa dieci volte il costo di un analogo ordine di recente effettuato dalla Casa Bianca.
Il servizio europeo per l’azione esterna (european external action service – eeas) è stato creato nel 2009 dal trattato di Lisbona e “sta assumendo un’importanza via via maggiore”, riconosce il Telegraph, che guarda con preoccupazione al nuovo corso dopo l’uscita della britannica Lady Ashton.
Poi il quotidiano conservatore britannico precisa: “È guidato dall’alto rappresentante, Federica Mogherini, un’ex giovane comunista diventata poi ministro degli Esteri italiano. Il servizio ha uno staff di 3.400 persone e un budget di 793 milioni di euro, con sedi persino alle Seychelles, in Australia, Canada e Kazakhstan”.
Il servizio Ue è “sempre più apprezzato dagli Stati Uniti”, ammette ancora il Telegraph, dando voce ai timori di alcuni deputati tory preoccupati di vedere ridimensionato il ruolo del Foreign and Commonwealth office.

(da “Huffingtonpost”)

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IL GIOCO DELLE TRE CARTE DI RENZI: PROMETTE 45 MILIARDI DI SGRAVI, MA NON DICE COME

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

IL GOVERNO HA GIA’ BISOGNO DI 17 MILIARDI A BREVE… FINIRA’ CON TAGLI AI SERVIZI, COMUNI IN BANCAROTTA E SFORAMENTO DEL DEFICIT

“Nel 2016 via l’imposta sulla prima casa, l’Imu agricola e quella sugli imbullonati, nel 2017 taglio di Ires e Irap, nel 2018 rimodulazione degli scaglioni Irpef e intervento per i pensionati“.
Sono le promesse fatte agli italiani da Matteo Renzi durante l’assemblea del Pd.
Poco dopo “fonti di governo” hanno diffuso stime in base alle quali gli interventi annunciati dal premier comporteranno un calo delle tasse di 5 miliardi di euro l’anno prossimo, 20 quello successivo e altrettanti nel 2018.
La sola Tasi (la nuova imposta sulla prima casa introdotta dalla legge di Stabilità  2014) lo scorso anno ha fruttato alle casse dello Stato un gettito di 3,5 miliardi.
A regime si parla dunque di 45 miliardi di introiti fiscali in meno.
Una “riduzione senza precedenti”, ha detto Renzi. Neanche un accenno, però, alle coperture necessarie per tradurre in realtà  il sogno dell’inquilino di Palazzo Chigi. Che, al netto dell’impegno preso oggi con i cittadini, a breve dovrà  varare una legge di Stabilità  da almeno 20 miliardi.
Le carte da giocare, a parte la solita spending review, sono essenzialmente un maggior deficit (sempre che ci sia il benestare di Bruxelles) e i proventi dell’operazione di rientro dei capitali, su cui però non c’è alcuna certezza.
Servono 17 miliardi solo per evitare aumento di Iva e accise
Resta da vedere quali saranno le reazioni del ministero delle Finanze, considerato che solo tre mesi fa il ministero guidato da Pier Carlo Padoan ha varato un Documento di economia e finanza che indica una pressione fiscale in costante salita fino al 2017: dal 43,5% attuale al 44,1%.
Ma soprattutto, i tecnici del Tesoro sono già  impegnati a scrivere una manovra finanziaria che deve scongiurare il rischio che scattino le clausole di salvaguardia su Iva e accise: solo per questo servono circa 17 miliardi, che di fatto ipotecano per intero una spending review da almeno 10 miliardi.
I dettagli sono ancora da definire, ma il Def prevede nero su bianco che l’operazione passerà  anche attraverso la riduzione delle cosidette tax expenditures, cioè le agevolazioni fiscali. Il governo conta di recuperare in questo modo almeno 1,5 miliardi. Insomma, da una parte Renzi promette sgravi, dall’altro ha già  in programma una sforbiciata delle detrazioni che si tradurrà  di fatto in un aumento delle tasse.
Nuove uscite obbligate: dal rinnovo dei contratti pubblici alla proroga degli sgravi contributivi
Ma la lista delle uscite è tutt’altro che finita qui. Occorre prevedere le risorse necessarie per sbloccare i contratti degli statali come imposto dalla Corte costituzionale.
Il Def valuta il costo potenziale per il 2016 in 1,7 miliardi, anche se la cifra effettiva dipenderà  dall’esito della contrattazione con i sindacati. In più, a maggio il governo aveva promesso che sarebbe intervenuto per consentire maggiore flessibilità  dell’uscita dal lavoro con penalizzazioni sulla pensione.
Una misura che vale diversi miliardi, come calcolato dal presidente dell’Inps Tito Boeri.
Bisogna poi aggiungere le risorse da destinare alla proroga degli sgravi contributivi in vigore dallo scorso gennaio e quelle per l’allentamento del Patto di stabilità  per gli enti locali. Con i quali è appena stata firmata l’intesa su tagli alla sanità  per 2,6 miliardi.
Visto che la coperta è cortissima, l’ipotesi più gettonata è che il governo intenda giocare la carta del maggior deficit.
A prima vista non ci sono grossi margini, visto che la differenza tra quello tendenziale e quello programmatico (il famoso “tesoretto”) è già  stata ipotecata per far fronte alla sentenza della Consulta che ha bocciato la mancata rivalutazione degli assegni previdenziali e per ridurre il debito come richiesto da Bruxelles occorre contenere il disavanzo strutturale.
Ma il premier potrebbe, come annunciato a maggio, “far casino” e invocare una maggiore flessibilità  a fronte delle riforme messe in campo nel frattempo.
L’altro asso nella manica sono i proventi della voluntary disclosure, a cui non per niente Palazzo Chigi, dopo la partenza in sordina, ha tentato di dare una spinta inserendo in uno degli ultimi decreti fiscali una norma che precisa la non punibilità  per chi si “autodenuncia” per fatti precedenti il 2009.
L’abolizione della Tasi? Già  prevista. Ma al suo posto arriverà  la local tax
Renzi, infine, ha omesso di ricordare che l’abolizione dell’attuale imposta sulla prima casa — la Tasi, che lo scorso anno ha fruttato alle casse dello Stato un gettito di 3,5 miliardi — è prevista da tempo perchè il governo intende sostituirla con la cosiddetta local tax.
Un balzello unico destinato ad accorpare Imu, Tasi e diversi tributi minori imposti dalle amministrazioni locali.
Con il solito rischio: che cambi solo il nome ma l’esborso resti lo stesso.
Dulcis in fundo, non si può non ricordare che nemmeno un mese fa l’esecutivo ha dovuto rimandare ancora l’avvio della riforma del catasto perchè dalle simulazioni fatte sulla base della nuova classificazione (basata sulla metratura e sulla collocazione geografica dello stabile) era emerso che le rendite catastali nelle grandi città  sarebbero aumentate fino a sei volte, facendo quindi schizzare all’insù l’Imu.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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ANNUNCIO MENO TASSE PER 45 MILIARDI, MA UN REBUS SU COPERTURE E COMUNI

Luglio 19th, 2015 Riccardo Fucile

LA PRESSIONE FISCALE E’ AL 43%, IL PROSSIMO ANNO E’ PREVISTA AL 44,1%…SERVONO 10 MILIARDI PER EVITARE AUMENTO IVA… E RENZI CI RACCONTA LA SOLITA FIABA

Qualcuno ha cominciato a chiamarlo il “Contratto dell’Expo”.
Il rilancio del presidente del Consiglio Matteo Renzi che promette una mega riduzione di tasse triennale va dritto alla pancia degli italiani.
Come fu per Silvio Berlusconi che nel 2001 a “Porta a porta” annunciò le famose due aliquote Irpef da 23% sotto i 100 mila euro e da 33 sopra: non si fecero mai ma portarono molti voti.
Il problema delle tasse tuttavia c’è e Renzi si prepara alla guerra, e forse alla campagna elettorale, affrontando il cuore del malessere fiscale italiano. Dall’assemblea del Pd di Milano fa balenare una «rivoluzione copernicana»: dall’odiosa Tasi che grava sui proprietari di casa, alla urticante Irap che ancora pesa sugli imprenditori e, alla pesante Irpef che falcidia lavoro dipendente e pensioni. Secondo i primi calcoli il sogno di Renzi potrebbe costare fino a 45 miliardi in tre anni.
L’operazione naturalmente è appena abbozzata nelle sue linee generali.
Ma la mossa politica non è affatto vaga, anzi fin troppo chiara e meditata.
La pressione fiscale quest’anno, nonostante l’operazione 80 euro che ha agito sull’Irpef, ha raggiunto livelli molto alti: siamo al 43,5% e il prossimo anno arriveremo al 44,1.
Poco sopportabile soprattutto la tassa sulla casa, che gli italiani hanno appena accantonato con la rata di giugno e che si ritroveranno di fronte a dicembre.
Il costo medio della Tasi sulla prima casa (il nuovo nome di quella che fu l’Ici e poi l’Imu) è stato quest’anno di 180 euro a famiglia ma se andiamo a vedere la “top ten” dei Comuni dove si paga di più, realizzata dalla Uil servizio politiche territoriali, si scopre che a Torino ci sono punte di 403 euro, a Roma di 391 e a Firenze di 346.
Il disagio monta: i proprietari accusano Tasi e Imu (sulle seconde case) di affossare il mercato immobiliare; il ritorno delle detrazioni, affidato alle scelte dei singoli sindaci, ha creato un caos di oltre 100 mila combinazioni tra Isee, numero dei figli, zone censuarie e rendite.
Qualcuno che possa prendere in mano la bandiera di questo scontento può sempre esserci: per Renzi dunque meglio giocare d’anticipo (e del resto un segnale era già  arrivato con lo stop alla riforma del catasto dei gioni scorsi).
L’intera tassazione sulla casa tra Imu e Tasi pesa 23,8 miliardi, ma per abolire la Tasi sulla prima abitazione ne servono 3,8 e sarà  necessario trovare risorse alternative per i Comuni già  in forte crisi finanziaria.
Più facile a dirsi che a farsi.
Anche perchè la legge di Stabilità  2016, che dovrebbe contenere l’operazione di riduzione delle tasse, è già  un esercizio da equilibristi: la priorità  è infatti quella di impedire che dal 1° gennaio del 2016 scatti l’aumento di due punti delle aliquote Iva e delle accise e siccome si tratta di 12,8 miliardi di gettito bisogna assolutamente trovarne 10 attraverso la spending review, ancora in corso e tutta da scrivere da qui all’autunno.
Senza contare che le due batoste assestate dalla Corte costituzionale al governo Renzi con le due sentenze sulla indicizzazione delle pensioni e degli stipendi degli statali pesano sui conti pubblici di quest’anno e del prossimo per altri 4 miliardi
L’impresa di cancellare con un colpo di spugna il disagio Tasi- Imu non si dovrebbe fermare alla prima abitazione: stando alle parole del presidente del Consiglio almeno altre due rogne verrebbero eliminate, l’Imu sui terreni agricoli montani non coltivati e i cosiddetti “imbullonati” cioè la doppia Imu che pagano gli imprenditori sul capannone e sui macchinari fissati a terra, appunto con i bulloni.

Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)

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