Luglio 30th, 2015 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI CITTADINI INDIGNATI HANNO CIRCONDATO IL SUO STUDIO, LUI E’ IRREPERIBILE… GLI AMERICANI INVOCANO L’ESTRADIZIONE PER QUESTO RIFIUTO UMANO
Se sarà riconosciuto colpevole di caccia illegale in un’area protetta, rischia l’estradizione e una durissima condanna.
Ma Walter Palmer, il dentista americano che ha ammesso di aver partecipato all’uccisione di Cecil, leone simbolo dello Zimbabwe, ora rischia per la sua incolumità : centinaia di manifestanti assediano il suo studio odontoiatrico esprimendo sdegno per la sua impresa, tanto che Palmer è stato costretto a sospendere la sua attività , consigliando ai pazienti di rivolgersi altrove.
Dopo la nota in cui Palmer si dichiarava “rammaricato” per la morte di Cecil – un leone di 13 anni, star del parco di Hwange e parte di un progetto di ricerca dell’Università di Oxford – il dentista del Minnesota ha scritto ai suoi pazienti, secondo quanto riportato dall’emittente KMSP della Fox, per dire loro che al momento non gli è possibile continuare la sua attività lavorativa.
“Capisco e rispetto – ha scritto – che non tutti condividono le stesse idee sulla caccia”. Per uccidere Cecil, il primo luglio, il dentista avrebbe pagato 50mila dollari alle guide locali: il felino è stato attirato con un’esca fuori dai confini del parco (dove non avrebbe potuto essere cacciato) per essere prima ferito e poi ucciso con un colpo di fucile dopo 40 ore di agonia.
L’animale è stato anche decapitato e scuoiato.
Palmer non si è ancora mostrato in pubblico e non si sa ancora dove sia, mentre i due uomini che lo hanno aiutato nell’impresa sono comparsi ieri in tribunale a circa 700 chilometri dalla capitale Harare.
Theo Bronkhorst, il cacciatore professionista, è stato rilasciato con una cauzione di mille dollari e – se condannato per non avere impedito una caccia illegale – rischia fino a 15 anni di carcere.
Nessuna accusa per Honest Trymore Ndlovu, il proprietario del terreno su cui è stato attirato Cecil, che è stato rilasciato.
Ora vediamo se gli Stati Uniti concederanno o meno l’estradizione a questo rifiuto umano.
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Luglio 30th, 2015 Riccardo Fucile
A SPESE NOSTRE: IL TRUCCHETTO DELL’ASSUNZIONE FITTIZIA NELL’IMPRESA PATERNA
Matteo Renzi alla fine ha portato a casa il suo tfr, trattamento di fine rapporto. 
Un tesoretto che, secondo le stime de Il Fatto, dovrebbe aggirarsi sui 48 mila euro. Soldi versati dalla Provincia e dal Comune (cioè dai contribuenti) di Firenze negli anni 2004-2014.
Da più di un anno, sono stati liquidati dalla società della famiglia Renzi al suo ex dirigente in aspettativa e sono sul conto corrente del premier.
Il dato è contenuto nel bilancio della società (controllata dalle sorelle Matilde con il 56% e Benedetta con il 36% e dalla mamma Laura con l’8%) depositato da poco.
Il Fatto ha raccontato come Renzi abbia costruito insieme con i suoi familiari questo tesoretto e un’invidiabile anzianità pensionistica.
Non grazie a un decennio di sudato lavoro, ma in forza di scelte furbe: l’assunzione nell’azienda di famiglia 12 anni fa, alla vigilia della candidatura alla Provincia, poi la cessione del ramo d’azienda da parte del padre alla mamma nel 2010, con il salvataggio del tfr di Matteo in un’altra società di famiglia, mentre il resto dell’impresa è poi fallita nel 2013 a Genova.
Infine il bel gesto delle dimissioni all’inizio del 2014, dopo che la storia era stata scoperta dal Fatto, con l’incasso dell’intera somma.
Alla fine, i Renzi hanno fatto pagare alla collettività il tfr che ora Matteo ha ritirato: circa 48 mila euro lordi (la somma percepita sarà più bassa per via della tassazione). Non è possibile essere più precisi perchè Renzi non ha voluto rispondere alle domande del Fatto al suo portavoce per sei giorni: mediante sms, e-mail e whatsapp. Dal bilancio 2014 della Eventi 6 Srl, risulta che l’azienda ha pagato nel 2014 tfr per 60.787 euro ai dipendenti (Renzi e un’altra collega) che hanno lasciato la società . Nell’ottobre 2010, il tfr accumulato da Matteo Renzi, nelle casse della Eventi 6, era pari a 28 mila e 326 euro e il Comune di Firenze ha versato per lui, alla stessa società , altri 14 mila e 938 euro nel periodo 2010-2013.
Quindi fanno 43 mila e 264 euro esistenti al 28 febbraio 2013 ai quali vanno aggiunti i versamenti per l’ultimo anno da sindaco per arrivare appunto a circa 48 mila euro.
La cronologia è nota ai lettori del nostro giornale, meno a quelli dei grandi quotidiani: Renzi il 28 ottobre 2003 è stato candidato dal suo partito di allora alla presidenza della Provincia di Firenze.
Un giorno prima, il 27 ottobre, l’allora segretario provinciale della Margherita è stato assunto dall’azienda di famiglia, Chil Post Srl che, per anni, lo aveva mantenuto nella posizione di collaboratore coordinato e continuativo (pagato 18 mila euro lordi nel 2003).
Matteo Renzi era anche socio — con il 40% delle quote — della Chil e, il 17 ottobre 2003 (evitando così di farsi assumere in una società di sua proprietà ), ha ceduto le quote alla madre, mentre la sorella Benedetta ha venduto le sue al babbo Tiziano. Dieci giorni dopo, l’ex socio Matteo è diventato unico dirigente della Chil Post.
La stranezza è che mamma e papà scoprono di avere bisogno del figliolo proprio quando Matteo ha deciso di fare per 5 anni il presidente della Provincia.
Mentre le due sorelle, che tirano la carretta, restano cococo.
La scelta di mamma e papà Renzi ha un effetto immediato: grazie allo Statuto dei lavoratori, Renzi beneficia dei contributi figurativi.
Così il presidente della Provincia eletto nel giugno del 2004(e poi il sindaco di Firenze)ha diritto al versamento dei contributi da parte dell’ente locale ai fini della pensione e del tfr.
Solo per otto mesi, da ottobre 2003 a giugno 2004, i contributi per Matteo sono stati pagati dalla sua famiglia, poi, per 10 anni, solo dai contribuenti fiorentini.
Dopo che il Fatto scopre lo scandalo, Renzi decide di dare le dimissioni dalla Eventi 6 nei primi mesi del 2014.
Un gesto del quale gli abbiamo dato atto che, però, porta con sè questo “effetto collaterale” favorevole per le tasche del premier.
Ci sono però similitudini con il caso di Josefa Idem. L’ex ministro fu assunta nel 2006 dall’associazione sportiva del marito, pochi giorni prima di essere nominata assessore a Ravenna. Per otto mesi aveva ottenuto i contributi figurativi dal Comune come Renzi. Per lei il pm di Ravenna, Angela Scorza, ha chiesto il rinvio a giudizio per truffa aggravata: a ottobre ci sarà l’udienza preliminare. L’ex ministro ha offerto anche la restituzione dei contributi al Comune. Renzi non risulta essere mai stato indagato. Nel frattempo è divenuto premier, non ha mai offerto la restituzione dei contributi versati (circa 200 mila euro e non i miseri 8 mila e 600 di Idem) e ora incassa anche i 48 mila euro (circa) del tfr. Non sarà il caso di ridare ai fiorentini almeno quelli?
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 30th, 2015 Riccardo Fucile
PENA TROPPO BREVE PER FAR SCATTARE LA SOSPENSIONE
Ha patteggiato 2 anni e dieci mesi per corruzione, pena confermata dalla Cassazione, è ancora ai domiciliari ma riceverà comunque il vitalizio dopo la lunghissima esperienza da amministratore regionale.
Il buen ritiro di Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto e attuale deputato di Forza Italia (con annesso stipendio), sarà lautamente finanziato dallo Stato nonostante la condanna definitiva rimediata dopo il coinvolgimento nell’inchiesta sulle tangenti per il Mose.
Poco importa, infatti, che in ben tre gradi di giudizio si sia provato come Galan debba restituire 2,6 milioni di euro alla collettività : quella pena infatti è troppo breve per trasformarsi in una mannaia sul vitalizio dell’ex governatore.
Merito, come racconta Repubblica, della legge regionale veneta 47 del 2012 che accoglie il decreto Monti, negando ogni emolumento per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione, “ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale”, cioè le stesse norme che prevedono come l’interdizione scatti dai tre anni di pena in su.
Ecco quindi che gli servizio affari legislativi del consiglio regionale Veneto si è trovato costretto a scrivere, nel parere chiesto dal presidente Roberto Ciambetti, che “non potrà non verificarsi , da parte della struttura regionale incaricata della loro esecuzione il sussistere delle condizioni per la materiale corresponsione delle diverse componenti del trattamento indennitario differito”.
Cioè la Regione deve pagare Galan, che in caso contrario gli può anche fare causa.
Pronto ad incassare il vitalizio anche Renato Chisso, consigliere regionale e assessore di Galan e Luca Zaia,condannato a 2 anni e sei mesi e accusato di aver ricevuto 6 milioni di euro di tangenti.
Per lui i contabili della Regione Veneto hanno già fatto i conti: 80.558,88 euro all’anno e un tfr da 96.244,87 euro.
Denaro che non potrà essere sequestrato nonostante a Chisso siano stati confiscati 2 milioni di euro, mai trovati dalla Guardia di Finanza.
Il motivo? I soldi del vitalizio arriverebbero successivamente rispetto alla pena.
Fabio Tonacci
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 30th, 2015 Riccardo Fucile
I PARASUBORDINATI SONO LA CATEGORIA PIU’ POVERA
Chi sta peggio dei lavoratori atipici? Gli atipici in pensione. 
Stando ai calcoli dell’Inps percepiscono un assegno medio da 160 euro al mese.
Loro sono quelli che, per almeno 20 anni di lavoro e stipendi striminziti, hanno versato i contributi alla gestione separata dell’ente previdenziale italiano, nella cassa dei parasubordinati perchè erano inquadrati come co.co.co, contrattualizzati a progetto, parasubordinati o collaboratori esterni.
Finalmente sono andati in pensione, ma avranno davvero poco tempo per rilassarsi, perchè con un assegno da 160 euro dovranno darsi (ancora) da fare per arrivare a fine mese.
A rivelare gli importi in questione è Tito Boeri, presidente dell’Inps, che ha deciso di pubblicare sul sito www.inps.it il monitoraggio dei flussi di pensionamento relativo al 2014 e al primo semestre di quest’anno.
Come prevedibile, i parasubordinati sono la categoria più povera.
Complessivamente il traguardo del buen retiro è stato raggiunto da 326mila ex lavoratori parasubordinati e nel 2014 la pensione è stata raggiunta da 26.294 di loro, altri 13.531 ci sono arrivati nei primi sei mesi di quest’anno.
Tutte pensioni di vecchiaia, guadagnata cioè per raggiunti limiti di età , mentre nessuno ha ottenuto una pensione di anzianità , quella che si conquista sgobbando per 41 e mezzo per le donne e 42 anni e mezzo per gli uomini.
L’età dei pensionati atipici è piuttosto alta, 68 anni, sono per lo più uomini (73 per cento) e la metà di loro proviene dal Nord Italia, mentre solo un decimo risiede al Sud o nelle isole.
Quanto prenderanno di pensione i precari? L’Inps ha elaborato per l’Espresso online un’analisi puntale della previsione pensionistica di due lavoratori.
I problemi dei futuri pensionati atipici sono due e hanno origini storiche.
Innanzitutto l’aliquota versata dai precari nella loro cassa previdenziale è inferiore rispetto a quella pagata dai colleghi che un contratto vero e proprio ce l’hanno.
Nel 1996, quando è nata la gestione separata, i primi co.co.co versavano all’Inps il 10 per cento del loro stipendio lordo, poi il 27 per cento ed entro il 2016 l’aliquota sarà alzata al 30 per cento. Comunque meno rispetto al 33 per cento versato dai lavoratori dipendenti.
Per i collaboratori il calcolo della pensione si fa esclusivamente con il metodo contributivo (cioè dividendo il totale dei contributi versati per un coefficiente di aspettativa di vita) e se nei primi anni di lavoro i soldi accantonati nel fondo Inps sono pochi si finirà per scontare questa carenza quando si andrà in pensione.
Ecco perchè Tito Boeri sarebbe favorevole all’introduzione di un contributo di solidarietà da parte dei pensionati di oggi a quelli di domani, che nel frattempo devono fare i conti con un secondo problema.
Infatti quando l’atipico perde il lavoro smette anche di versare la quota previdenziale all’Inps e rischia così assegno pensionistico groviera, con un sacco di buchi contributivi.
La nostra previdenza è strutturata in modo che pochi abbiano tanto e, negli ultimi anni, la spesa per le pensioni sta ingessando sempre di più l’economia, penalizzando chi ancora non ha raggiunto l’età .
Mentre sul fronte dell’invalidità , il divario Nord-Sud è abissale
In autunno Tito Boeri invierà ai lavoratori dipendenti la busta arancione con all’interno un calcolo di quando si potrà andare in pensione e a quanto ammonterà l’assegno.
Dal 2016 sarà inviata anche ai parasubordinati. Ma farsi un’idea della pensione a dimensione di precario è già possibile usando il calcolatore online elaborato da Itinerari Previdenziali, comitato scientifico dell’economista Alberto Brambilla, in collaborazione con la società informatica Epheso e il Mefop, la società del ministero dell’Economia per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione.
Ad esempio, un collaboratore a progetto quarantunenne, con alle spalle 13 anni di contributi e un reddito che si aggira attorno ai 15 mila euro lordi all’anno, andrà in pensione a 69 anni e 3 mesi.
Ponendo che la sua carriera sia già piuttosto assestata e dunque non preveda particolari aumenti di retribuzione (al punto che l’ultima busta paga si assesterà intorno ai 19.500 euro), nella peggiore delle ipotesi (cioè con una crescita del pil nazionale dello 0,5 per cento) percepirà un assegno di 13 mila euro.
Gloria Riva
(da “L’Espresso”)
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Luglio 30th, 2015 Riccardo Fucile
RIVOLUZIONE IN BUVETTE DOPO L’AFFIDAMENTO A UNA DITTA ESTERNA
Addio alla macchina del caffè, alle pentole, allo shaker dei cocktail, per passare alla cornetta del telefono: quattro dei diciotto addetti alla buvette di Montecitorio lasceranno quanto prima il bar della Camera riservato ai deputati che si affaccia sul Transatlantico e a una decina di passi dall’Aula.
Saranno trasferiti al centralino della Camera, sulla base di una delibera dell’Ufficio di presidenza, che “trasformerà ” in commessi i restanti 14.
Alla fine di maggio i questori di Montecitorio Stefano Dambruoso (Sc), Paolo Fontanelli (Pd) e Gregorio Fontana (Fi) avevano deciso di avviare la procedutra per il “passaggio di professionalità d’ufficio” per tre cuochi (“coordinatori del reparto Cucina”) e quindici banconisti (“coordinatori dei servizi di ristoro” che prestano servizio alla buvette, uno dei luoghi simbolo della Camera, il bar per i deputati i cui prezzi ora sono sostanzialmente in linea con quelli di qualsiasi bar del centro di Roma.
“Tale decisione — ha spiegato all’ufficio di presidenza Laura Boldrini chiedendo di avallare il trasferimento dei dipendenti della buvette ad altra mansione — discende dall’impossibilità di assicurare un efficiente funzionamento dei servizi di ristorazione a gestione diretta a causa di una rapida riduzione dell’organico registrata a partire dal secondo semestre 2014″, un “fuggi fuggi” scatenatosi quando già si presagiva l’arrivo del tetto alle retribuzioni di tutti i dipendenti della Camera.
La buvette fino ad ora era l’unico punto di ristoro gestito direttamente dalla Camera: il ristorante dei deputati e le mense, infatti, sono state da tempo affidate ad una ditta esterna.
La delibera approvata prevede, in particolare, che le 18 unità di personale interessate al passaggio di professionalità “siano destinate, sulla base dell’attitudine rilevata, alla professionalità di assistente parlamentare” (con la corrisponente qualifica), nonchè “in un numero massimo di quattro al centralino trelefonico, con la corrispondente qualifica di coordinatore di reparti”.
L’atto approvato prevede, poi, che si tenga conto per il trasferimento della “propensione manifestata da ciascun dipendente interessato al cambio di professionalità ”, che sarà comunque sottoposto ad colloquio.
Per accertare l’attitudine di un banconista abituato da decenni a fare caffè e a servire cocktail, bevande e tramezzini a rispondere al telefono ed a trasferire le “onorevoli chiamate”.
Roberto Grazioli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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