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CAMPO DALL’ORTO, IL MANAGER DEL FLOP A LA7; ECCO CHI E’ IL PREFERITO DI RENZI COME DG DELLA RAI

Agosto 5th, 2015 Riccardo Fucile

UN PASSATO DA DIRETTORE DI RETE, POI IN MTV E ALLE POSTE… MA ASSIDUO FREQUENTATORE DELLA LEOPOLDA

I giornali e i retroscenisti ne sono convinti: per il ruolo di direttore generale della Rai, Matteo Renzi farà  il nome di Antonio Campo Dall’Orto, un passato a La7 (con risultati discutibili) e a Mtv, presenza fissa alla Leopolda.
Ecco il ritratto del possibile dg
Sette anni fa, la carriera di Antonio Campo Dall’Orto sembrava finita, in queste ore attende la nomina a direttore generale della Rai renziana.
Quando nel 2008 la Telecom cambia azionisti e top manager, da Marco Tronchetti Provera a Franco Bernabè, anche nella controllata Ti Media, cioè La7 finisce un’era. A Campo Dall’Orto vengono offerte due opzioni: andarsene subito con una buonuscita minima immediatamente o provocare lo scontro totale con i nuovi padroni, anche legale se necessario.
Campo Dall’Orto se ne va, si sposta nella provincia più lontana dell’impero, Mtv.
Nei bilanci di Ti Media si trovano i numeri dietro questo divorzio.
Nel 2007, Campo Dall’Orto ha una retribuzione complessiva di 1,2 milioni.
L’anno successivo prende 35 mila euro come consigliere d’amministrazione, 502 di “bonus e altri incentivi”, 1,9 milioni come incentivo all’esodo.
In totale 2,4 milioni, poco come congedo da quello che avrebbe dovuto essere il terzo polo televisivo. Ma le perdite erano pesanti: 103,6 milioni di rosso nel 2007, 104 nel 2008.
La nuova gestione di La7 nel giro di un anno dimostra che si poteva fare meglio: il rosso scende a 67,6 milioni.
Ma il cambio più rilevante si nota nell’Ebitda, cioè quello che misura l’andamento della gestione caratteristica dell’azienda: con Campo Dall’Orto era negativo di 42,5 milioni, con Gianni Stella solo di 7,3.
Campo Dall’Orto non commenta, “io mi concentro sempre sul domani”, dice da Liverpool dove si tengono gli Mtv Music Awards.
La televisione musicale è residuale come numeri, e un passo indietro di dieci anni per il manager di Conegliano che ha studiato ambizione al master di Publitalia e aveva lanciato Mtv in Italia alla fine degli anni Novanta. Ma tutto serve.
Ci sono intere pagine del bilancio di TI Media del 2009 dedicate alla sua nomina come advocate (una specie di ambasciatore) delle Nazioni Unite per aver mandato in onda una serie di concerti dedicati all’ambiente.
A La7 i giornalisti non esultano per l’arrivo di Gianni Stella, visto che debutta chiedendo il licenziamento di 25 giornalisti.
Ma neppure rimpiangono Campo Dall’Orto. La vicenda di Daniele Luttazzi aveva chiarito il suo stile: il programma del comico venne chiuso all’improvviso, pare per uno sketch non gradito su Giuliano Ferrara.
“Ha deciso e mi ha dato la notizia mandandomi un sms: non mi sembra molto corretto”, dice all’Ansa Luttazzi l’8 dicembre 2007.
Non solo: il telegiornale di La7, allora diretto da Antonello Piroso, dimentica di dare la notizia. Il comitato di redazione, la rappresentanza sindacale dei giornalisti, protesta.
Campo Dall’Orto si rifugia in Viacom International, la società  cui fa capo il marchio originale Mtv e attiva in Italia con una sua controllata.
Quando lascia l’azienda nel 2013, il presidente Bob Bakish dice che “recentemente aveva acquisito sotto la sua guida anche lo sviluppo del business in Africa e nei territori del Medio Oriente”.
Nessuno sa esattamente cosa faccia, Viacom è un gruppo complesso e articolato, ma lavorare per gli americani è sempre apprezzato.
E Campo Dall’Orto continua a frequentare la politica italiana forte di questo suo profilo internazionale, i bilanci in rosso di La7 sono dimenticati. Il manager non manca di farsi vedere a VeDrò, la convention di Enrico Letta, e non si perde una Leopolda, quella fiorentina di Renzi che diventerà  il serbatoio per la squadra dirigente del renzismo.
Ricorda di aver “seguito l’avventura politica di Obama” per una questione di “affinità ”.
Pur essendo considerato un leader, uno carismatico, legge i suoi interventi dagli appunti, con gli occhiali sulla punta del naso.
“Matteo ha fatto e fa un lavoro enorme, ha messo dentro al camper le speranze di milioni di persone che non volevano la solita alternativa che rassicura rispetto al fatto che non cambierà  niente e il populismo”, dice nel 2012 in uno spot per le primarie di Renzi (perse) di quell’anno.
Il suo grado di renzismo è tale che nel 2014 ottiene una poltrona nel cda di Poste Italiane, sul cui business non risulta abbia competenze specifiche. E ora gli tocca la Rai.

Stefano Feltri e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)

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RAGUSA, VUOLE DONARE 2 MILIONI ALL’OSPEDALE: LO FANNO ASPETTARE TROPPO E SE NE VA

Agosto 5th, 2015 Riccardo Fucile

DOPO UNA LUNGA ANTICAMERA, IL BENEFATTORE ITALO-AMERICANO PERDE LA PAZIENZA E SI ALLONTANA… CHISSA’ CHE AVEVA DA FARE IL MANAGER DELLA ASL

Una donazione da due milioni di euro andata in fumo a causa della lunga anticamera davanti l’ufficio del manager.
Succede a Ragusa, dove l’azienda sanitaria provinciale stava per incassare la ricchissima donazione da parte di Giuseppe Giuffrè, imprenditore di origini ragusane ma trapiantato da anni negli Stati Uniti.
I soldi sarebbero serviti per comprare apparecchiature mediche e migliorare i servizi del nuovo ospedale Giovanni Paolo II.
Una donazione che avrebbe fatto comodo, visti i disastrosi conti regionali, che vedono il settore sanitario in profondo rosso da anni. Solo che il manager dell’Asp Maurizio Aricò doveva probabilmente avere di meglio da fare, dato che ha costretto il benefattore ad una lunga anticamera: talmente lunga che Giuffrè ha perso la pazienza ed è andato via. Inutili le scuse successive di Aricò: l’imprenditore italo-americano al momento sembra non avere più intenzione di procedere alla donazione.
La parlamentare regionale del M5S Vanessa Ferreri, dopo aver saputo della fuga del potenziale generoso donatore, ha richiesto la convocazione urgente di Aricò in commissione Sanità , per chiarire la vicenda.
Ferreri si scusa pubblicamente, da segretario della commissione sanità  dell’Assemblea regionale siciliana, con il signor Giuffrè, confidando in un suo ripensamento: “A pagarne le conseguenze — dice — sarebbero solo i cittadini”.
Il presidente della Commissione sanità  Pippo Digiacomo prova a trovare una giustificazione: “Apprendo con rammarico l’incidente accaduto nei locali dell’Asp di Ragusa che avrebbe fatto desistere il signor Giuseppe Giuffrè dall’annunciata decisione di donare una cospicua somma all’ospedale della città  iblea. Sono certo che si sia trattato di un semplice disguido e che possa essere superato”.
“Avevo incontrato Giuffrè — aggiunge — proprio all’ingresso dell’edificio e avevo avuto modo di ringraziarlo del suo affetto e della sua generosità  nei confronti della terra natia e sono profondamente dispiaciuto. A nome mio e della commissione Sanità  all’Ars voglio chiedere al nostro fortunato conterraneo di scusare l’incidente assolutamente estraneo al garbo e all’ospitalità  della bella terra iblea. I particolari dell’incidente verranno certamente chiariti nelle sedi opportune”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PRIMA PIANGE, POI VIETA IL PIAGNISTEO

Agosto 5th, 2015 Riccardo Fucile

IL POTERE AI TEMPI DI RENZI

Dunque riassumiamo: “Basta piagnistei”. Una variante.
L’ennesima, del “basta piangersi addosso”, rimbocchiamoci le maniche, basta lamentarsi e ognuno aggiunga a piacere fino a esaurimento scorte (peraltro inesauribili).
C’è qualcosa di nuovo, anzi, di antico, nella nuova polemica del Caro Leader, eccezionalmente lanciata dal Giappone.
È più di una frecciatina a questo o quello (i giannizzeri del Capo si affannano a dire che la frase non era rivolta a Saviano) ed è persino più di una filosofia contingente, quelle piccole pillole di saggezza renzista di cui è disseminato il cammino del governo.
Dietro, accanto, sopra e sotto l’esortazione a non lamentarsi, a non fare piagnistei, c’è l’essenza stessa del potere.
Chi ricorda i burbanzosi nuovisti renzisti alla vigilia della “scalata” (cit.), avrà  la sporta piena di lamentazioni.
Era un piagnisteo continuo, uno stillicidio di acide lamentazioni: e non ci fanno votare alle primarie come vorremmo, e sono antichi, e sono cattivi con noi che siamo il nuovo, e ammazzano un’intera generazione, e le rubano il futuro con le loro pensioni da favola (e mica parlavano delle pensioni d’oro, sia chiaro).
I palchi della Leopolda pre-marcia erano essenzialmente questo: il grido di dolore di una generazione in camicia bianca e ritratti di Blair che lamentava e denunciava l’inverecondo complotto ai suoi danni: ecco, ci bloccano!
Un piagnisteo in piena regola che toccava vette di lirismo epico quando si innestava sulla questione generazionale: nugoli di trenta-quarantenni affranti dal non avere il potere e le possibilità  che avevano avuto i trenta-quarantenni prima di loro.
Mano ai fazzoletti, si piangeva un bel po’.
Poi, cambiato verso, basta. Il piagnisteo non vale più, perchè adesso comandano loro e lamentarsi è diventato gufismo applicato, reato federale.
Che ci sia in effetti da lamentarsi un po’ lo vedono tutti (la questione del Sud, mai messo così male dai tempi dello sbarco dei Mille e forse pure da prima è da manuale), ma ogni visione della realtà  con non collimi con le sorti luminose e progressive che arrivano (arrivano? Stanno arrivando? Arriveranno? E lasciatelo lavorare, no?) è considerata attività  antipatriottica.
Dunque non un meccanismo del renzismo — pfui — ma un meccanismo intrinseco del potere: quando erano di là , “calpesti e derisi”, come dice l’Inno, riempivano fazzoletti di lacrime come alla prima di Love Story, ora che sono di qua, nella stanza dei bottoni, chi piange, o anche solo segnala quello che non va è uno che “sa solo lamentarsi”.
Tracciata questa linea filosofica del “non piangete, bambine”, il resto viene da sè come naturale corollario.
Esempio di scuola, il mirabolante ministro Franceschini,che inaugurando la Palestra Grande di Pompei (apertura al pubblico in ritardo di duemila anni) si toglie alcuni sassolini delle scarpe e chiede provocatoriamente se questa buona notizia avrà  sui giornali lo stesso spazio di quando Pompei crolla in testa ai turisti.
E’ più che una domanda peregrina: è scema.
Perchè nei paesi civili, e giustamente, la gente considera quel che funziona normale e quel che non funziona degno di segnalazione, nota e denuncia.
E dunque nessun giornale titolerà  mai “Traffico regolare sull’A1”, ma magari scriverà  mezza pagina nel caso di “Ingorgo spaventoso in autostrada”.
Dunque, il ribaltamento, assai bislacco, è questo: si invoca la normalità  chiedendo di fare una cosa anormale: celebrare l’ovvio e censurare o silenziare l’eccezione.
Con in più la consegna dell’illusione alle masse: “ehi, rimboccatevi le maniche!”. Bello, edificante, un po’ coreano del Nord.
Ma quando si rimboccano le maniche, i nemici del piagnisteo, mica risollevano l’economia del Sud o fanno decollare l’occupazione, no.
Al massimo puliscono qualche muro dalle scritte.
Senza piagnistei.

Alessandro Robecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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BUZZI ACCUSA: “DA ZINGARETTI A MARINO, SOLDI A TUTTI I PARTITI”

Agosto 5th, 2015 Riccardo Fucile

MAFIA CAPITALE, I VERBALI DEL FACCENDIERE TIRANO IN BALLO ANCHE STORACE

Salvatore Buzzi, ras della cooperativa “29 giugno” e uomo di spicco, insieme a Massimo Carminati, di Mafia Capitale ne ha per tutti.
E dal carcere accusa tutti i politici di aver preso soldi, a partire dall’entourage dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a quello del sindaco di Roma, Ignazio Marino.
Lo riporta un articolo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”.
Buzzi parla in particolar modo dell’ex sindaco della capitale Gianni Alemanno e di Marino.
E poi del presidente della regione Zingaretti.
Ed è sul governatore che muove con maggior decisione. A cominciare dalla gara da poco meno di 1 miliardo di euro bandita nel 2014 per il centro unico di prenotazioni ospedaliere, di cui Buzzi vincerà  un lotto (prima che la gara venga annullata).
“La gara era in quattro lotti. Tre andavano alla maggioranza e una all’opposizione. Era l’accordo che Storace aveva fatto con Zingaretti. Poi, al posto di Storace, noi mettiamo in pista Gramazio (Luca, arrestato lo scorso giugno, ndr ). E Zingaretti dice: “Non ti preoccupare, fai questa cosa con Venafro (ex capo di gabinetto del governatore, ora indagato, ndr ), ci penso io con lui”.
Da quel momento in poi, si parla solo con Venafro. Fatto l’accordo politico a monte con il Presidente, poi parli con il capo di gabinetto. Il capo di gabinetto fa l’accordo con Gramazio, il quale, per essere sicuro che venga rispettato, chiede un membro in commissione aggiudicatrice di gara”.
C’è dell’altro. Buzzi indica un uomo chiave nell’entourage di Nicola Zingaretti. Peppe Cionci. “Gravita intorno a Zingaretti. È l’uomo dei soldi. Quando abbiamo fatto la campagna elettorale per lui, siamo andati da Cionci. Non ha un ruolo politico. Ha un ufficio vicino alla sede della redazione di Repubblica. È un imprenditore. Se uno deve fare una campagna elettorale e deve dare dei soldi al comitato Zingaretti, ti rivolgi a Cionci. Tutti a Cionci”.
Sempre su Repubblica, Zingaretti si difende in un’intervista affermando: “Una macchina del fango contro di me. Non c’è mai stata un’intesa con la destra per dividersi gli appalti: la prova è che in due anni nessuna gara è stata vinta da quelle cooperative”.
Lasciando la Regione Lazio e passando al Comune, Buzzi afferma che con Marino erano cambiate le regole.
“Con Alemanno – spiega – comandavano gli assessori. Con Marino, i dirigenti dei dipartimenti”. Mentre l’aula consiliare Giulio Cesare era diventata un suk dove la facevano da padrone i due capi-bastone del Pd, l’allora presidente dell’Assemblea Mirko Coratti e l’allora capogruppo Francesco D’Ausilio (a quest’ultimo, Buzzi sostiene di aver fatto arrivare, attraverso il suo capo segreteria Salvatore Nucera, una tangente da 6.500 euro per una gara per la pulizia delle spiagge di Ostia).
“La regola era che si pagava la tangente sul valore del 50 per cento dei lotti di gara. E che, un lotto era indicato dalla politica. Era la politica che decideva a chi doveva essere assegnato”. “Pagavate quanto?”, chiede Ielo. “Il 3, 4, 5 per cento”, risponde Buzzi.
L’ex capo della coop “29 giugno” aggiunge:
“Con D’Ausilio ci venne imposta per la prima volta una tassazione sulle gare per il servizio giardini e il V dipartimento (assistenza immigrati ndr). Diceva D’Ausilio: ‘Dovevate pagare tutto’. Avemmo una discussione. Gli dissi: “Non puoi entrare a gamba tesa sulle coop sociali’. Anche perchè non potevo andare da una piccola coop sociale e dirgli ‘paga D’Ausilio’. Per questo ci accordammo con Nucera che si pagava solo sul 50 per cento dei lotti”.

(da “Huffingtonpost”)

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